17.3.05

Senza titolo 610

Ti cerco.

 



 



 



 


Sfoglio pagine di versi

 



 


fra le pieghe di questo desiderio

 



 


e ti cerco.

 



 


Ti cerco mentre dormi

 



 


ignaro della mia malinconia

 



 


notturna e con le spalle

 



 


alla luna guardo e sento

 



 


l’eco dei tuoi passi divenuti

 



 


ormai solo ricordo.

 



 


Il domani diviene oggi

 



 


in quel cielo che mi riempie

 



 


gli occhi di rosa e rabbia

 



 


e io sempre ti cerco.

 



 


Domani ,

 



 


detto come una preghiera,

 



 


sfiderò nuovamente il sorgere

 



 


del sole e la mente che

 



 


vuole nutrirsi delle tue parole.





 


15.3.05

Senza titolo 609

Entra in

 



Circolo

 



Esanime il

 



Ricordo di

 



Rotoli

 



Stanchi del

 



Passato

 



Vagabondo

 



S’imprigiona

 



Nell’ombra

 



Delusa della

 



Ragione

 



Estrapolando il

 



Dolore per

 



Vie sempre

 



Più traverse

 



E scoscese per

 



La voglia di

 



Dimenticanza

 



Che mai

 



S’ammoglia e

 



Si muove

 



Scalza

 


14.3.05

Senza titolo 608


Ho ricentuto questa  email    :
Ciao Giuseppe,
mi chiamano il poeta gattaro di Roma,vedi se puoi trovare un angolino, per
questa mia poesia gattosa, sul tuo sito.
Leopold Persidi e i suoi 60 piccoli a-mici della colonia felina ti salutano.




LA  MIA   COLONIA  FELINA *

Come l' Aurora, piange al mattino
Il suo figlio morto ucciso d 'Achille
Così anch' io, piango ogni giorno
I miei piccoli amici che non ci sono più.
Mi sento più simile a  loro e dissimile ai miei simili
E se qualcuno di essi soffre e muore, mi addolora
Soffre  tutto il mio essere e muore una parte di me.
Amano incamminarsi  dalla colonia- avanti, indietro
A me da presso, nella valle del fiume Aniene
Giocano, si rincorrono, mi fermo, si fermano
Mi muovo, si muovono  qualcuno dei più piccoli piange
Si sente smarrito, lo chiamo, l' aspetto
E  poi  tutti insieme sostiamo su dei massi di tufo .
Seduto, mi salgono sulle spalle, sulle ginocchia,
sulla testa, in un abbraccio continuo, si alternano gelosi
per ricevere un sussurro,una carezza  è una gioia
e il tiepido sole del mattino e della sera, che ci riscalda,
vedendoci gioisce.

                       Leopold   Persidi  Roma.10-12-2001

*Secondo Premio Letterario Anna  Maria  Salerno
  Roma. Ediz.2001/2002 Sezione poesia

Senza amore

Accettami se la luna è cangiante

Non andar più lontano del mio amore

Le calandre han bucato l'aurora

Di là da come mi vedi è buio


Le stagioni non tendono più le loro mani piene

Hai bisogno d'un cuore in tua balia

Riscalderò per te i colori del mondo

se resti con me che ho paura...


- André Frénaud-


13.3.05

Senza titolo 607

Sguardi ruvidi
Mi scorrono
Addosso
Nell’inerzia
Color ruggine
E saliva
Mentre qualcosa
Mi rovina
Cerco di
Assaporarlo con
La lingua
Ma scivolano
Le catene nella
Polvere di
Questa foschia
Non ho più
Ordine,ora che
Con le dita
Traccio un
Nome trovo
Soltanto
Amnesia

12.3.05

cambiamento nei confronti delle donne


    Leggendo l’articolo del numero  scorso  di  D di repubblica  , citato  nel  mio  precedente post  sul  8 marzo   e  la frase \ aforisma   odierna  ( 12\3\05 ) dell’agenda  giorninonviolenti 2005  :<<  la  prima  illusione   , consiste nell’identificare   nella nostra mente , l’uomo [ e  la donna ]  con il male  che fa Cosi arriviamo quasi sempre  alla  conclusione  che basta  uccidere  [non solo con le armi]  l’uomo [e  la donna] per  eliminare il male  [ per il troppo orgoglio  ] >>( Jean Gossl) . Sono arrivato a  questa autocritica   che  è  il post  di oggi  . Solo  i frustati   si comportano   come mi sono comportato  io  in  questi 17 anni    verso le  donne vedere il caso  C:.CL   di cui   vi ho parlato   parzialmente   (  è  una   questione  troppo personale   )  nel  blog  .,  solo recentemente  ( da quando  ho iniziato  prima con  una  pseudo ML \  Nw  fatta da me  e il mio cdv Vijana  e  poi da  questo blog  ) , ma  soprattutto   grazie   all’amicizia  di  Voi  tutte ( sia  quelle più presenti come  Kismat  ,  sia quelle meno presenti  ) e  di   due   di Sbs   in particolare  l’autrice del blog  AlbaPrimitiva  . splinder   ne  di Stefania Lisi  una dei fondatori di testedatagliare          ho (   e   lo sto facendo  )  cambiato atteggiamento  .  . Accorgendomi  che  è ora di  trasformare  la mia  frustrazione  (   a chi non capita   d’averne  )     in qualcosa   di costruttivo   , e perché no  , duraturo per la mia opera  d’arte  che  è la  vita   , in  modo da  farne  un  ancora   \  un ancoraggio   nel mare  in tempesta   visto  che  parafrasando una  famosa  canzone  di Luca Carboni   :<<    Perché siam  barche  in mezzo al mare  >>  .

10.3.05

Senza titolo 606

LA GUERRA CONTINUA

di Pierluigi Sullo

Il check point dei media e della politica italiani ha regole d'ingaggio se possibile piu' drastiche di quelle dei militari nordamericani a Baghdad. Il paragone e' certamente eccessivo, se si pensa alla pallottola che ha ucciso Nicola Calipari. Ma provate voi a mettervi nei panni di persone come Giuliana Sgrena e il suo compagno Pier Scolari, o l'intera redazione del manifesto, che hanno vissuto - in modi diversi, certo - un mese di tensione e paura, di fatica e di speranza.
Uno di quei momenti della vita che si', ti cambiano per sempre, come dice Gabriele Polo, ma allo stesso tempo lasciano cicatrici nell'anima e, nel caso di Giuliana, nel corpo, visto che dovra' essere ri-operata per riparare i danni di quelle pallottole. Ecco, mettetevi nei loro panni e immaginate che, subito dopo l'enorme gioia per la salvezza della nostra compagna, e subito dopo il grande trauma della morte di un agente dei servizi che si era conosciuto come una persona seria, competente ed umana, subito dopo questa tempesta di emozioni, vi capiti di essere diffamati, derisi, volutamente malintesi dalla generalita' dei grandi giornali e dei grandi telegiornali, e da molta parte della politica.
Ci vogliono nervi molto saldi, e una enorme serenita', per resistere. I nervi e la serenita' che aveva Gabriele, martedi' sera, nella trasmissione chiamata "Ballaro'", quando invece di balzare alla gola di un idiota [si', ho scritto idiota] come il ministro leghista della giustizia [ossimoro], si limitava a guardarlo, mentre quello diceva che Napoli e' molto piu' pericolosa di Nassiriya, che in Iraq non c'e' la guerra e che Giuliana e' piu' amica dei suoi sequestratori che dei suoi liberatori.
Perfino il Comitato di redazione del Tg4 ha protestato contro il direttore, Emilio Fede, per gli insulti che andava scagliando su Giuliana. Anche il Cdr del Tg1 si e' ribellato, dopo i trucchi per rinviare la notizia sulla morte di Calipari [e il direttore, Mimun, ha fatto martedi' sera leggere un proclama come fosse una notizia, su quanto il direttore del Tg1 e' inappuntabile]. Perfino il Wall Street Journal, invece che occuparsi delle azioni delle industrie militari, o forse proprio per questo, ha abbandonato il suo stile "britannico" [che non e' mai esistito], per insultare la giornalista del manifesto. Ed Eugenio Scalfari, con il suo tono alla Camillo Cavour, insiste nel mettere sullo stesso piano l'"errore" di Giuliana, l'essersi fermata troppo a lungo nella moschea, con quello di Calipari, il non aver preso le misure le sicurezza di cui, tutti lo sanno, il fondatore della Repubblica e' un grande esperto, avendo frequentato i peggiori quartieri di Baghdad in tempo di guerra. Mentre l'ex umorista Michele Serra - sospinto dal guerrologo Adriano Sofri - fa della triste ironia sull'antiamericanismo e altre fesserie.
Dobbiamo continuare? Feltri e il Giornale, il Corriere della Sera e il suo re-inviato Lorenzo Cremonesi, che sui servizi segreti nordamericani ne sa piu' di Negroponte, ministri assortiti in ogni radio e tv, Bruno Vespa e Lucia Annunziata… Eppure, due piccole verita' restano li'. La prima e' che un sondaggio di Ap-Biscom, non del centro sociale Leoncavallo, dice che il 70 per cento degli interpellati vuole il ritiro delle truppe, e pensa che gli Usa non ci faranno mai conoscere la verita', sulla morte di Calipari. La seconda e' che Giuliana Sgrena si costituira' parte lesa nel processo, se mai si fara', ai colpevoli della sparatoria di cui e' stata vittima insieme ai due agenti del Sismi.
In effetti, di cosa stiamo parlando? Di una donna sequestrata, delle mobilitazioni pubbliche e del lavoro riservato [di Callipari, non di quell'esibizionista di Scelli, che a Falluja ha visto solo bambini con la maglietta dell'Inter e del Milan, dato che c'e' andato quando esistevano ancora bambini, nella citta' irachena] per salvarla. E del fatto che, quando l'ostaggio era ormai a qualche centinaio di metri dall'aereo che l'avrebbe riportata tra noi, raffiche di proiettili l'hanno ferita, mentre uccidevano il suo salvatore. E questi proiettili sono statunitensi.
Sarebbe semplice. E semplici sono le domande. Perché hanno sparato? Perché contro quella macchina? Dove si e' inceppata la famosa "catena di comando"? E per quale ragione? Fino a che non si avranno risposte certe, tutte le ipotesi sono possibili. Tutte. E continuare a parlare di "incidente", come tutti fanno, compreso il buon vecchio centrosinistra [quasi al completo] e' altrettanto fazioso, che se qualcuno parlasse di "omicidio premeditato" [cosa che nessuno fa].
La verita' e' che di quel che effettivamente e' accaduto non frega niente, ai grandi [tele]giornali e a quel genere di politica, altrimenti salterebbero sulla sedia, dopo che il ministro degli esteri ha parlato in parlamento, non nel suo salotto, di un'auto che viaggiava a 40 all'ora, mentre le solite "fonti militari" dicono ad Abc News che l'auto procedeva a 160 [dev'essere la mania italiana per la Ferrari e la Formula Uno]. Quel che gli interessa e' arginare il vulcano di indignazione, e di dolore, e di verita', che erutta nella societa' italiana, ossia riparare alla meglio lo strappo nel solo legame davvero indiscutibile della politica italiana, quello con gli Stati uniti d'America. Da quello strappo consegue il crollo di legittimita' della guerra.
Una guerra finalmente svelata come tale, perché di colpo di vede che Baghdad o Falluja non assomigliano per niente a Scampia o a Secondigliano, e chi lo dice, come il ministro Castelli, appare per quel che e': un idiota [si', l'ho scritto per la seconda volta]. E anzi sono un posto dopo chiunque puo' uccidere chiunque, dove ai posti di blocco i soldati statunitensi sparano a prescindere, nella migliore delle ipotesi sulla morte di Calipari e sul ferimento di Giuliana.
Per ottenere questo scopo, la prima cosa da fare e' screditare le voci contrarie, specialmente se sono molto popolari come Giuliana Sgrena. Che per colmo di sfortuna e' anche testimone oculare, oltre che vittima e bersaglio delle stesse pallottole che hanno ucciso Nicola Calipari.
Quel che sta avvenendo e' impressionante. Non si e' mai visto un tale accanimento contro una persona inerme, come Giuliana, e contro un giornale piccolo, come il manifesto. Qui abbiamo cinque milioni e mezzo di copie e quindici milioni di telespettatori contro qualche decina di migliaia di copie. A rigore, dovrebbero aver gia' vinto. Ma c'e' quel 70 per cento che vuole il ritiro delle truppe: Anche questo e' impressionante: quanto l'Italia ufficiale sia lontana e diversa da quella reale. Mentre la societa' dice "la guerra e' finita" [ed e' il titolo del numero di Carta che esce questa settimana], i media e la politica dicono "la guerra continua".
E' una situazione che si e' data piu' volte, nella storia italiana. Per esempio l'8 settembre del 1943. Non si deve mai esagerare, ma una tale frattura, tra rappresentanti e rappresentati non e' tranquillizzante. Ma, intanto, un gesto ciascuno puo' facilmente farlo: scrivere un messaggio al manifesto [lettere@ilmanifesto.it] per dire, semplicemente, coraggio, vi vogliamo bene, non vi abbattete, siamo con voi.

Fonte: http://www.carta.org/editoriali/index.htm

Senza titolo 605

Mi perdo tutto,negli attimi che spreco a capire quello che per gli altri è un difetto,rubo sguardi solo per appagare il mio silenzio,non importa attraverso,il tempo m’ha cambiato?
Vorrei gridare,ma ormai ho perso la voce,l’intonazione,la reazione,sono uno sconfitto,allora mi fermo a capire qualcosa del tutto,del tutto le persone,delle persone il niente,del niente la ragione,della ragione la sconfitta,nella sconfitta il niente…..E torno all’ideale superamento dell’eccesso,a me stesso da cui scappo e non rientro,mi sto intorno come ombra od intonaco,tanto prima o poi cado giù nell’estensione rappresa della mia assenza,tornando in strada,ma cosa cambia,domani è oggi,sempre uguali non mi resta che continuare ad infrangermi nei loro discorsi,tanto l’orizzonte non riscalda,è lontano,sicuro della sua distanza,non mi prende per mano ed io m’infrango nell’eterea aria dei sogni,che non vogliono morire,che non sanno dire,che non so interpretare,tutto scannando il tutto,nella ragione atavica degli altri astanti,per mitigare l’animo nella poesia,per disperdermi in qualcosa che non sia io.

8.3.05

Senza titolo 603

 

Raccontare una giornata stupenda nei minimi particolari.. non mi riesce bene…

Vederlo di mattina.. fa sempre un certo effetto… (inebriante???).. raramente capita, siamo una coppia notturna noi… siamo stati al comicon, per l’intero giorno…e poi..sonnecchiare in macchina, con la pioggia che tamburellava, e poi di nuovo insieme agli amici…

Non ho sentito né tristezza né rabbia… camminavo di nuovo sentendomi leggera…

GRAZIE!

..te l’ho scritto già, ma te lo ripeterei all’infinito…

 

 

… e tra il gelo che c’era a lavoro la mia mente riandava alla giornata di ieri, si, voglio sempre sentirmi come ieri… ho voglia di iniziare tante nuove cose… e lo devo fare!

 

 

Ora…

Ora… senza parole, dalla bellezza del suo post nel suo blog….non pensavo scrivesse per me…

FELICE!!!


7.3.05

Senza titolo 602

Mi sento assente
Tra la gente
Fatto a pezzi
per la realtà
che conosco
perché oso
dire ciò che penso
non farmi comandare
gridare da solo
in mezzo al mare
mi sento assente
quando c’è il bisogno
di sentirsi corrotto
quando tutto è rotto
e si da la colpa
a chi è più sotto
mi sento assente
un po’ perdente
a volte fetente
ma mai indifferente
come i cani chiamati gente 
 

6.3.05

Senza titolo 601

Non ci sono lacrime
Nei miei occhi
Solo sguardi
Di morsi
Discorsi colti
E senza volti
Si ripetono nel vuoto
Cercando ciò
Che non trovano
Provocando dolo
Non ci sono lacrime
Nei miei occhi
Solo sospiri
Nei rintocchi
Profonde ossessioni
D’unghia
Giorni recisi
Come foglie
Da bruciare
Non ci sono occhi
Nelle mie lacrime
Li tengo chiuso
Forse la polvere
Forse il desiderio
Quando mi sveglierò
Cercherò il sereno 
 

Senza titolo 600

Sgrena: perché hanno sparato?
di Enrico Fierro

Il faro del blindato ha illuminato con una luce accecante la macchina sulla quale viaggiavano Giuliana Sgrena, Nicola Calipari - entrambi seduti sul sedile posteriore - un maggiore dei carabinieri seduto davanti e un iracheno collaboratore del Sismi alla guida del veivolo. Non è un fuoristrada blindato, ma una macchina come le tante che circolano a Baghdad. Il gruppo non voleva dare nell’occhio, per questo qualcuno di loro aveva indossato abiti arabi. Dalla proiezione del fascio di luce sparato dal blindato americano - un Humvee corazzato - alle raffiche di mitra non sono passati miniuti, neppure secondi. Solo attimi. Accendere la luce, premere il grilletto: si è trattato di una azione unica. Tre-quattrocento colpi, non solo di calibro pesante, ma anche di armi leggere, hanno investito la macchina degli italiani, quasi fino a spaccarla in due.

Questo raccontano a caldo le «fonti» dei servizi accorse sulla strada per l’aeroporto civile di Baghdad dopo la sparatoria che è costata la vita a Nicola Calipari, il ferimento di due agenti del Sismi e della giornalista Giuliana Sgrena. Questo ha dichiarato la stessa Sgrena interrogata ieri dai magistrati romani Franco Ionta e Pietro Saviotti, che indagano sulla «tragica fatalità» di venerdì sera. L’ipotesi di reato è omicidio volontario aggravato e triplice tentato omicidio, il fascicolo, ovviamente, è ancora vuoto, non ci sono indagati. Abbondano, però, le versioni contrastanti, i tentativi di insabbiamento. Sostengono gli americani che l’auto con a bordo l’ostaggio italiano appena liberato viaggiasse a velocità sostenuta. «Non è vero - dichiarano la Sgrena e l’agente del Sismi ai pm romani - : la nostra auto aveva una andatura regolare e non suscettibile di equivoci». E non è vero che la macchina non sia fermata ad un chek-point. «A spararci addosso - dicono i due - è stata una pattuglia che ha sparato dopo averci illuminato con un faro». Gli americani, invece, parlano di «procedure rispettate» e dicono che i militari di pattuglia «hanno tentato più volte di chiedere all’autista di fermarsi». Non è andata così, stando ai racconti dei superstiti. Dice Giuliana Sgrena: «Stavo parlando con Nicola Calipari, lui mi raccontava cosa era successo in Italia nei giorni del mio sequestro. All’improvviso ci è arrivata addosso una pioggia di fuoco...». Le regole di ingaggio per i militari americani impegnati in pattugliamenti e posti di blocco prevedono che se un automezzo ignora le richieste di rallentare o di fermarsi, i soldati rispondono con spari di avvertimento. Solo se la macchina decide di non fermarsi, arriva l’ordine di sparare direttamente sul velivolo. Venerdì sera a Baghdad non è andata così. I mitra pesanti del blindato e i fucili mitragliatori dei soldati sono stati puntati direttamente sull’automobile che trasportava agenti e ostaggio italiani.

«E’ stata una cosa terribile, il fuoco continuava, il nostro autista non riusciva neanche a spiegare che eravamo italiani», racconta la Sgrena. Hanno sparato all’impazzata e poi hanno circondato quell’auto con un morto e tre feriti a bordo impedendo a chiunque di avvicinarsi, è il racconto di chi è accorso subito sul luogo della sparatoria. I soldati americani non si sono fidati fino all’ultimo, tanto che ai feriti è stato impedito l’uso dei telefoni satellitari e dei cellulari che avevano a bordo. Alcune fonti sostengono che gli apparecchi sono stati sequestrati, altre che che ai tre italiani sia stato imposto di spegnerli. Perché gli americani hanno sparato sulla macchina degli agenti segreti italiani? Perché nessuno, né il Dipartimento di Stato, né il comando Usa e l’intelligence presenti a Baghdad, sapevano dell’operazione condotta dal Sismi, è la tesi. Il Washington Post cita una fonte ufficiale del Dipartimento di Stato e scrive che «gli italiani non hanno informato né l’ambasciata americana a Baghdad né il comando militare Usa del rilascio della Sgrena, nonostante un coordinatore americano sulla questione degli ostaggi avesse lavorato con loro sul caso». Tesi sostenuta anche da alcune fonti del governo iracheno citate ieri da Aki-Adnkronos-international. Parla un alto esponente del governo di Baghdad: «Gli italiani non avevano avvertito noi né gli americani perché temevano che gli avremmo impedito di portare avanti le trattative con i terroristi. Temevano un intervento militare proprio al momento della consegna dell’ostaggio». Un esponente del ministero dell’Interno iracheno si spinge a parlare anche di un eventuale riscatto pagato ai rapitori, «una somma enorme», il tutto tenendo all’oscuro le autorità irachene, «e questo non ci fa piacere». Come sono andate le cose, altre fonti, lo raccontano in modo diverso. Gli americani sapevano che il gruppo di Nicola Calipari era, come si dice in gergo, in «teatro». Sapevano, cioè, che il funzionario del Sismi era in Iraq per dare gli ultimi ritocchi alla trattativa per la liberazione di Giuliana Sgrena. Agli americani, però, non erano stati forniti tutti i dettagli dell’operazione, soprattutto la data e il luogo del rilascio della giornalista. Una misura prudenziale, perché il Sismi temeva che le forze speciali Usa potessero organizzare un blitz per la cattura dei rapitori. Una ipotesi vista come una sciagura, un bagno di sangue con il rischio che Giuliana Sgrena ci rimettesse la vita. E non è un mistero per nessuno che sul terreno iracheno intelligence italiana e quella Usa siano ai ferri corti. Per gli americani con i terroristi e i rapitori non si tratta, per gli italiani, se necessario, sì. Anche i francesi non amano la linea dura. L’esperienza della lunga detenzione dei due reporter francesi, Christian Chesnot e Geroges Malbrunot, rapiti il venti agosto del 2004 e rilasciati dopo quattro mesi, la dice lunga sul conflitto sotterraneo in corso in Iraq tra intelligence alleate. Perché ogni volta che gli 007 parigini riuscivano a localizzare l’area dove i terroristi tenevano prigionieri i due reporter, arrivavano gli americani «saturandola» con operazioni e blitz militari ad hoc che facevano saltare ogni possibile trattativa. Gli americani, quindi, sapevano della presenza degli 007 italiani, ma sono stati informati dell’operazione solo quando la Sgrena era già in macchina. Libera. A trattativa finita e quando i rischi di un blitz erano ormai scongiurati. Una situazione delicata, come si vede, tanto che Nicola Calipari ha voluto gestirla direttamente, senza delegare altri agenti suoi sottoposti.

Per il resto, fonti del Sismi e fonti diplomatiche italiane parlano di una comunicazione tra l’ambasciata italiana a Baghdad e il comando militare Usa nella quale gli americani venivano addirittura informati del passaggio dell’auto. Ci sono poi le telefonate fatte da Nicola Calipari dalla macchina mentre si dirigeva verso l’aeroporto. Almeno tre chiamate, due in Italia, a Palazzo Chigi, una a Baghdad. Se queste informazioni risulteranno vere nel corso dell’inchiesta giudiziaria, vorrà dire che gli americani sapevano - in ritardo per quanto riguarda i dettagli dell’operazione - ma sapevano che su quella macchina viaggiavano agenti segreti italiani e un ostaggio liberato. Se sapevano non hanno informato bene tutte le pattuglie, mobili e fisse ai posti di blocco, che sorvegliano l’autostrada che dalla città porta all’aeroporto civile della capitale irachena. Dove c’era l’aereo italiano che avrebbe dovuto riportare indietro l’intero gruppo. Un altro mistero. Reso ancora più fitto da una frase detta ieri dal ministro dell’Ambiente Altero Matteoli. «Pare che l’arrivo dell’aereo che doveva prendere la giornalista in un’ora così insolita, abbia messo in allarme i soldati americani; pare che uno dei motivi sia questo...». Parole buone per giustificare la gaffe fatta ieri l’altro dal ministro degli Esteri Fini, che a caldo ha parlato di «tragica fatalità», non certo per portare grandi contributi alla chiarezza. Perché, spiegano fonti dell’intelligence abbastanza irritate per la girandola di dichiarazioni governative e per l’atteggiamento del Dipartimento di Stato Usa (che anche ieri parlava di «sfortunato incidente»), «a Baghdad, dove gli aeroporti sono controllati dagli americani, non può atterrare neppure un aquilone senza preavvisi, permessi e controlli rigidissimi». Quindi anche sul perché della presenza di quell’aereo italiano militari e intelligence Usa sapevano.

Troppi misteri, resi ancora più inquietanti dalle dichiarazioni di Pier Scolari sugli «avvertimenti» che Giuliana Sgrena avrebbe ricevuto dai suoi rapitori poche ore prima del rilascio: «Stai attenta perché gli americani ti vogliono uccidere...». Forse si tratta di una suggestione, di una frase capita male, di una forzatura dettata dall’emozione. Ma anche questo è un mistero tra i tanti. Che toccherà all’inchiesta giudiziaria appurare. La speranza è che la morte di Nicola Calipari non subisca l’oltraggio delle vittime di un altro «sfortunato incidente» provocato dalle truppe Usa, quello del Cermis.

www.unita.it 

 

5.3.05

8 marzo

 

In  questi  giorni  
sentirete parlare  sui
giornali  ,  su internet   e  in tv  
della festa   ( ormai  secondo me 
divenuta    commerciale  )  in
maniera  retorica  e 
ampollosa , Sic ,  al  90% in maniera ipocrita   e 
strumentale  . Ebbene  quest’anno  eviterò  , come  l’anno scorso  di farvi il pistolotto  moralistico,e
vi racconterò  la storia di un
personaggio  femminile  perché molte scoperte scientifiche    e 
innovazioni  culturali  , non dimentichiamolo ,   sono 
dovute  alle  donne  
.Buon  8 marzo a  tutte le 
donne  in particolare  a 
voi  che   con i vostri pensieri profondi  e le 
vostre  poesie , foto  e 
quant’altro   fate  crescere  
questo blog   . Perché  come 
dice  Umberto  Galimberti  
su  D (  www.dweb.it  occorre essere registrati per leggere   la 
versione cartacea   ) di
repubblica  del  5\3\2005 : << [---]  Perché
la storia che l’uomo inaugura con le sue imprese è appesa al filo che la donna tesse
nell’attesa. Se Penelope avesse smesso di tessere la
sua tela Ulisse avrebbe perso il filo che lo teneva legato alla sua Itaca.
Tutto quello che accade a Ulisse, tutto il suo peregrinare e viaggiare, in una
parola tutta la sua storia dipende dal filo che Penelope tesse. Perché la
storia è iscritta nella natura e guai a quell’uomo, a quella cultura, a quella
civiltà che tradisce questo rapporto e, come l’Occidente, perde l’orma del
mondo naturale. OR-MA TRA-DITA è quel che risulta mescolando tra loro le
sillabe di OR-DITO e TRA-MA. progresso, redenzione.[…]. >>



 



Racconto  ,
riportando   un’intervista  fattagli  
nel  febbraio  2003  
dal  giornale  dei Saveriani http://www.saveriani.bs.it/ , la  figura 
di   Leah Tsemel   
ex  militante della  black panthers  Israeliane   e  ora avvocato     difensore   i
palestinesi accusati  di terrorismo  .



 



<< "No, non ho mai pensato di lasciare questo
paese". Leah Tsemel, avvocato e criminologa, quasi si sorprende della
domanda. Una vita professionale e famigliare, lontano da qui, non riesce
assolutamente ad immaginarla. Come lo scrittore David Grossman (v. MO 10/02) e
l'antropologo Jeff Halper (v. MO 1/03), ha la percezione di essere al posto
giusto nel momento giusto. "Proprio perché lo stato di Israele calpesta,
in modo sistematico, i diritti del popolo palestinese, il mio impegno ha un
senso. E la mia presenza è necessaria",dice  Solo due avvocati
israeliani, due donne - Felicia Langer (oggi residente a Tübingen, in Germania,
dove ha accettato una cattedra universitaria e si è chiusa in esilio
volontario) e lei - sin dai primi anni '70 hanno accettato di rappresentare in
giudizio dei prigionieri politici palestinesi. Il che ha significato una
tensione e uno stress divoranti giorno su giorno, un lavoro mal pagato, una
carriera stroncata sul nascere. "Anche se una come me poi ce la fa a
vivere, perde comunque la sua reputazione. Per i suoi compatrioti è una
traditrice; negli arabi suscita sospetto". Eppure, ci sono famiglie
palestinesi che da tre generazioni vengono difese da Leah Tsemel. Si deve ad
israeliane/i come lei, se questo paese per certi versi può continuare a dirsi
democratico.



Com'è lavorare come avvocato in un paese che, sistematicamente, viola i
più fondamentali fra i diritti umani?

   In un posto di questo genere, c'è bisogno di avvocati più che in
qualunque altro... Il lavoro è molto e di grande rilevanza. Data la situazione,
siamo continuamente coinvolti in nuove battaglie legali. Davanti a tribunali
militari, difendiamo palestinesi come singoli individui. Presso la Corte
suprema di giustizia israeliana, solleviamo questioni di principio. Infine nei
tribunali ordinari, ci battiamo quotidianamente per controversie di ogni tipo.
Quello che Jeff Halper (v. MO 1/2003) ha recentemente raccontato ai vostri
lettori in merito al tentativo di difendere i palestinesi cui sono state rase
al suolo le abitazioni, ha naturalmente un secondo capitolo, di carattere
giudiziario: dalle strade ai tribunali, la lotta prosegue.



Le è mai capitato di difendere uno dei firmatari della petizione
"refusenik" contro il servizio militare nei Territori occupati?                                                                                                                                



 Sì, naturalmente. Ma fra le cose che faccio,
questa è una delle più semplici. Dico "semplice", perché l'imputato
non è un arabo. E dunque non è qualcuno che per la lingua che parla, per il
colore della sua pelle, per l'area culturale da cui proviene, ecc. è
considerato un terrorista. Quando è un palestinese ad essere coinvolto,
scattano automaticamente una serie di pregiudizi. Sin dall'inizio mi relaziono
con qualcuno che è considerato un "nemico dello stato"; e devo
insistere sul diritto di quel "nemico". Che non è cosa facile.
   Un refusenik è, dopo tutto, un ebreo israeliano che va
nell'Esercito, ma consapevolmente rifiuta il servizio nei Territori. Fino a
questo momento, la posizione dello stato è stata molto lineare. Per me, ripeto,
sono dei casi semplici: possono andare a trovarli in carcere, mentre nel caso
del palestinesi questo è un diritto che mi viene molto spesso negato. Ancora:
il mio cliente, se è palestinese, è sottoposto a torture durante gli
interrogatori; le sue condizioni di prigionia sono difficilissime. A confronto,
un detenuto israeliano gode di privilegi.



Quanto tempo passa prima che lei possa incontrare un suo cliente
palestinese dopo l'arresto?

  
Legalmente posso vederlo, nei Territori occupati, 18 giorni dopo l'arresto. Non
è mai capitato, in tutta la mia carriera, che ciò avvenga prima. La famiglia
deve attendere un mese.



Per quale ragione ha scelto di fare proprio la criminologa?                                                  



 
Risale a trent'anni fa, questa decisione. Allora pensavo (e tuttora penso) che
i cosiddetti "criminali", quelli che stanno peggio, che dalla nascita
sono socialmente svantaggiati, avessero maggior bisogno di tanti altri di un
buon avvocato. Pochissime persone, all'epoca, erano disposte ad assumersi casi
così: era decisamente impopolare; si veniva attaccati in maniera pesante.
Dunque, bisognava essere molto coraggiosi per fare i criminologi. Non è mai stato
facile.



Si ricorda qualche storia in particolare?



 Moltissime. Di una stessa famiglia, mi è
capitato di rappresentare il padre, il nonno, il figlio e oggi il nipote. È una
lunga lotta.



Veniamo alle elezioni del 28 gennaio. Chi pensa che le vincerà?                



 Molto probabilmente Sharon e, con lui, la
destra. Che forse dà una descrizione esatta dello stato in cui ci troviamo. La
maggioranza degli israeliani, oggi, è di destra. Si considerano dei
"patrioti". Non pensano ad alcuna reciprocità tra se stessi e i
palestinesi. Non pensano ad un futuro per entrambi. Hanno invece gettato le
basi per una relazione simile a quella che lega un padrone ad uno schiavo. Non
riconoscono il diritto all'indipendenza, all'autodeterminazione dei
palestinesi. E l'obiettivo principale resta quello di liberarsi del maggior
numero possibile di loro e di occuparne i territori. Questa è l'atmosfera che
si respira oggi in Israele.



Che cosa pensa di Ariel Sharon?



La
mia opinione è molto negativa. Penso che non stia solo guidando gli israeliani,
ma che li stia plasmando secondo il suo carattere, la sua natura. Intendo dire
che Ariel Sharon è Israele oggi. E Israele è lui. Su ciò non dobbiamo farci
illusioni. Questa è la vera faccia del nostro paese. Se si prende Sharon, l'intera
storia della sua vita, è l'immagine reale di quello che siamo. Molto più di
Rabin o di chiunque altro. Con questo non voglio dire che Rabin fosse un santo…
Eppure, c'è qualcosa di positivo nel fatto che sia lì ad occupare il posto di
premier. Perché fa esattamente ciò che Israele vuole che faccia. Lo fa alla
luce del sole. Non so dove tutto ciò ci porterà… Ma quel che è certo, è che non
ci sono maschere oggi sulla faccia.

Quanto l'Amministrazione americana sta influenzando quella israeliana?
Mai come oggi Washington e Tel Aviv sembrano marciare allo stesso passo…



 Innanzitutto, dovremmo stabilire chi
influenza chi. Perché nemmeno questo è chiaro. A volte sembra che sia "la
coda a muovere il cane" e non il contrario. Certo è che, mai come oggi,
c'è stata una convergenza di interessi così perfetta fra le due parti: gli
americani vogliono mettere le mani sul petrolio iracheno; mentre gli israeliani
vogliono approfittare di questa situazione, aiutando gli Usa dietro una ricca
contropartita. Ambiscono, infatti, a diventare la base degli interessi
americani in Medio Oriente, o il loro ufficiale sostituto. Una nuova guerra
contro l'Iraq, più che mai, mette Tel Aviv nella condizione di agire con un
balzo in avanti ai danni della popolazione palestinese: eliminarli, occuparne
le terre è di sicuro "più facile", se c'è un conflitto in corso.



L'influenza americana, a suo avviso, sta in qualche modo distruggendo la
cultura israeliana?

   È
molto difficile parlare di una "cultura israeliana". Forse una
"dis-cultura"… Quella israeliana è una cultura colonialista, fatta di
razzismo, che ricorda da vicino il regime sudafricano ai tempi dell'apartheid.
Dove vigeva la legge del più forte.



C'è una lotta in corso anche fra voi avvocati? La magistratura
israeliana, come tutte le magistrature, è percorsa da correnti politiche di
destra e di sinistra?



 Naturalmente, in Israele ognuno è interessato
alla politica. È come se, vivendo qui, fosse impossibile restarne fuori, non
schierarsi. Se c'è però anche una lotta anche fra gli avvocati stessi? Non
proprio. C'è chi, come me, ha scelto di rappresentare i palestinesi davanti
allo stato; e, dunque, ha dibattiti con gli avvocati che difendono lo stato.
Questo cerca perennemente di giustificare le proprie violazioni: dalle
demolizioni delle case alle confische di terre, all'uso della tortura. E noi
non siamo riusciti ad organizzare un vasto movimento d'opinione pubblica.



Come mai?



 Non sono nella corrente di maggioranza. Non
sono una sionista. Non posso promettere alla maggioranza sionista una soluzione
per loro praticabile. Contemporaneamente, la gente è influenzata da ciò che
essa chiama "terrore": il senso di insicurezza è profondamente
radicato negli israeliani. Di questo, essi incolpano i palestinesi; evitano di
guardare dentro se stessi. Quindi, è difficile. Non ho una vera alternativa da
offrire.



Qual è la reazione dell'opinione pubblica israeliana davanti all'alto
tasso di suicidi anche fra giovanissimi, denunciato recentemente dal quotidiano
Ma'ariv?



 Sono spaventati da questa volontà di morte
che pervade la società israeliana. Ma non riescono a capire che sono essi
stessi gli artefici, tramite le tante rioccupazioni, le rappresaglie ai danni
dei palestinesi, di tanta disperazione: se i teen-ager si uccidono, è perché il
presente è un inferno. E il futuro non può essere tanto diverso.



Lei ha un sogno?



 Certo, che ce l'ho. Ma sembra allontanarsi
ogni giorno di più. Vorrei che riuscissimo a vivere nell'equanimità, senza
repressione. Ma come ho detto: anziché realizzarsi sembra scomparire per
sempre. Non so quanto realistico sia sognare oggi…



Ha mai pensato di lasciare Israele?                                                                                                          



No.
Il mio impegno ha più efficacia lì che altrove.



>>



 



alla  prossima 




In  questi  giorni  
sentirete parlare  sui
giornali  ,  su internet   e  in tv  
della festa   ( ormai  secondo me 
divenuta    commerciale  )  in
maniera  retorica  e 
ampollosa , Sic ,  al  90% in maniera ipocrita   e 
strumentale  . Ebbene  quest’anno  eviterò  , come  l’anno scorso  di farvi il pistolotto  moralistico,e
vi racconterò  la storia di un
personaggio  femminile  perché molte scoperte scientifiche    e 
innovazioni  culturali  , non dimentichiamolo ,   sono 
dovute  alle  donne  
.Buon  8 marzo a  tutte le 
donne  in particolare  a 
voi  che   con i vostri pensieri profondi  e le 
vostre  poesie , foto  e 
quant’altro   fate  crescere  
questo blog   . Perché  come 
dice  Umberto  Galimberti  
su  D (  www.dweb.it  occorre essere registrati per leggere   la 
versione cartacea   ) di
repubblica  del  5\3\2005 : << [---]  Perché
la storia che l’uomo inaugura con le sue imprese è appesa al filo che la donna tesse
nell’attesa. Se Penelope avesse smesso di tessere la
sua tela Ulisse avrebbe perso il filo che lo teneva legato alla sua Itaca.
Tutto quello che accade a Ulisse, tutto il suo peregrinare e viaggiare, in una
parola tutta la sua storia dipende dal filo che Penelope tesse. Perché la
storia è iscritta nella natura e guai a quell’uomo, a quella cultura, a quella
civiltà che tradisce questo rapporto e, come l’Occidente, perde l’orma del
mondo naturale. OR-MA TRA-DITA è quel che risulta mescolando tra loro le
sillabe di OR-DITO e TRA-MA. progresso, redenzione.[…]. >>



 



Racconto  ,
riportando   un’intervista  fattagli  
nel  febbraio  2003  
dal  giornale  dei Saveriani http://www.saveriani.bs.it/ , la  figura 
di   Leah Tsemel   
ex  militante della  black panthers  Israeliane   e  ora avvocato     difensore   i
palestinesi accusati  di terrorismo  .



 



<< "No, non ho mai pensato di lasciare questo
paese". Leah Tsemel, avvocato e criminologa, quasi si sorprende della
domanda. Una vita professionale e famigliare, lontano da qui, non riesce
assolutamente ad immaginarla. Come lo scrittore David Grossman (v. MO 10/02) e
l'antropologo Jeff Halper (v. MO 1/03), ha la percezione di essere al posto
giusto nel momento giusto. "Proprio perché lo stato di Israele calpesta,
in modo sistematico, i diritti del popolo palestinese, il mio impegno ha un
senso. E la mia presenza è necessaria",dice  Solo due avvocati
israeliani, due donne - Felicia Langer (oggi residente a Tübingen, in Germania,
dove ha accettato una cattedra universitaria e si è chiusa in esilio
volontario) e lei - sin dai primi anni '70 hanno accettato di rappresentare in
giudizio dei prigionieri politici palestinesi. Il che ha significato una
tensione e uno stress divoranti giorno su giorno, un lavoro mal pagato, una
carriera stroncata sul nascere. "Anche se una come me poi ce la fa a
vivere, perde comunque la sua reputazione. Per i suoi compatrioti è una
traditrice; negli arabi suscita sospetto". Eppure, ci sono famiglie
palestinesi che da tre generazioni vengono difese da Leah Tsemel. Si deve ad
israeliane/i come lei, se questo paese per certi versi può continuare a dirsi
democratico.



Com'è lavorare come avvocato in un paese che, sistematicamente, viola i
più fondamentali fra i diritti umani?

   In un posto di questo genere, c'è bisogno di avvocati più che in
qualunque altro... Il lavoro è molto e di grande rilevanza. Data la situazione,
siamo continuamente coinvolti in nuove battaglie legali. Davanti a tribunali
militari, difendiamo palestinesi come singoli individui. Presso la Corte
suprema di giustizia israeliana, solleviamo questioni di principio. Infine nei
tribunali ordinari, ci battiamo quotidianamente per controversie di ogni tipo.
Quello che Jeff Halper (v. MO 1/2003) ha recentemente raccontato ai vostri
lettori in merito al tentativo di difendere i palestinesi cui sono state rase
al suolo le abitazioni, ha naturalmente un secondo capitolo, di carattere
giudiziario: dalle strade ai tribunali, la lotta prosegue.



Le è mai capitato di difendere uno dei firmatari della petizione
"refusenik" contro il servizio militare nei Territori occupati?                                                                                                                                



 Sì, naturalmente. Ma fra le cose che faccio,
questa è una delle più semplici. Dico "semplice", perché l'imputato
non è un arabo. E dunque non è qualcuno che per la lingua che parla, per il
colore della sua pelle, per l'area culturale da cui proviene, ecc. è
considerato un terrorista. Quando è un palestinese ad essere coinvolto,
scattano automaticamente una serie di pregiudizi. Sin dall'inizio mi relaziono
con qualcuno che è considerato un "nemico dello stato"; e devo
insistere sul diritto di quel "nemico". Che non è cosa facile.
   Un refusenik è, dopo tutto, un ebreo israeliano che va
nell'Esercito, ma consapevolmente rifiuta il servizio nei Territori. Fino a
questo momento, la posizione dello stato è stata molto lineare. Per me, ripeto,
sono dei casi semplici: possono andare a trovarli in carcere, mentre nel caso
del palestinesi questo è un diritto che mi viene molto spesso negato. Ancora:
il mio cliente, se è palestinese, è sottoposto a torture durante gli
interrogatori; le sue condizioni di prigionia sono difficilissime. A confronto,
un detenuto israeliano gode di privilegi.



Quanto tempo passa prima che lei possa incontrare un suo cliente
palestinese dopo l'arresto?

  
Legalmente posso vederlo, nei Territori occupati, 18 giorni dopo l'arresto. Non
è mai capitato, in tutta la mia carriera, che ciò avvenga prima. La famiglia
deve attendere un mese.



Per quale ragione ha scelto di fare proprio la criminologa?                                                  



 
Risale a trent'anni fa, questa decisione. Allora pensavo (e tuttora penso) che
i cosiddetti "criminali", quelli che stanno peggio, che dalla nascita
sono socialmente svantaggiati, avessero maggior bisogno di tanti altri di un
buon avvocato. Pochissime persone, all'epoca, erano disposte ad assumersi casi
così: era decisamente impopolare; si veniva attaccati in maniera pesante.
Dunque, bisognava essere molto coraggiosi per fare i criminologi. Non è mai stato
facile.



Si ricorda qualche storia in particolare?



 Moltissime. Di una stessa famiglia, mi è
capitato di rappresentare il padre, il nonno, il figlio e oggi il nipote. È una
lunga lotta.



Veniamo alle elezioni del 28 gennaio. Chi pensa che le vincerà?                



 Molto probabilmente Sharon e, con lui, la
destra. Che forse dà una descrizione esatta dello stato in cui ci troviamo. La
maggioranza degli israeliani, oggi, è di destra. Si considerano dei
"patrioti". Non pensano ad alcuna reciprocità tra se stessi e i
palestinesi. Non pensano ad un futuro per entrambi. Hanno invece gettato le
basi per una relazione simile a quella che lega un padrone ad uno schiavo. Non
riconoscono il diritto all'indipendenza, all'autodeterminazione dei
palestinesi. E l'obiettivo principale resta quello di liberarsi del maggior
numero possibile di loro e di occuparne i territori. Questa è l'atmosfera che
si respira oggi in Israele.



Che cosa pensa di Ariel Sharon?



La
mia opinione è molto negativa. Penso che non stia solo guidando gli israeliani,
ma che li stia plasmando secondo il suo carattere, la sua natura. Intendo dire
che Ariel Sharon è Israele oggi. E Israele è lui. Su ciò non dobbiamo farci
illusioni. Questa è la vera faccia del nostro paese. Se si prende Sharon, l'intera
storia della sua vita, è l'immagine reale di quello che siamo. Molto più di
Rabin o di chiunque altro. Con questo non voglio dire che Rabin fosse un santo…
Eppure, c'è qualcosa di positivo nel fatto che sia lì ad occupare il posto di
premier. Perché fa esattamente ciò che Israele vuole che faccia. Lo fa alla
luce del sole. Non so dove tutto ciò ci porterà… Ma quel che è certo, è che non
ci sono maschere oggi sulla faccia.

Quanto l'Amministrazione americana sta influenzando quella israeliana?
Mai come oggi Washington e Tel Aviv sembrano marciare allo stesso passo…



 Innanzitutto, dovremmo stabilire chi
influenza chi. Perché nemmeno questo è chiaro. A volte sembra che sia "la
coda a muovere il cane" e non il contrario. Certo è che, mai come oggi,
c'è stata una convergenza di interessi così perfetta fra le due parti: gli
americani vogliono mettere le mani sul petrolio iracheno; mentre gli israeliani
vogliono approfittare di questa situazione, aiutando gli Usa dietro una ricca
contropartita. Ambiscono, infatti, a diventare la base degli interessi
americani in Medio Oriente, o il loro ufficiale sostituto. Una nuova guerra
contro l'Iraq, più che mai, mette Tel Aviv nella condizione di agire con un
balzo in avanti ai danni della popolazione palestinese: eliminarli, occuparne
le terre è di sicuro "più facile", se c'è un conflitto in corso.



L'influenza americana, a suo avviso, sta in qualche modo distruggendo la
cultura israeliana?

   È
molto difficile parlare di una "cultura israeliana". Forse una
"dis-cultura"… Quella israeliana è una cultura colonialista, fatta di
razzismo, che ricorda da vicino il regime sudafricano ai tempi dell'apartheid.
Dove vigeva la legge del più forte.



C'è una lotta in corso anche fra voi avvocati? La magistratura
israeliana, come tutte le magistrature, è percorsa da correnti politiche di
destra e di sinistra?



 Naturalmente, in Israele ognuno è interessato
alla politica. È come se, vivendo qui, fosse impossibile restarne fuori, non
schierarsi. Se c'è però anche una lotta anche fra gli avvocati stessi? Non
proprio. C'è chi, come me, ha scelto di rappresentare i palestinesi davanti
allo stato; e, dunque, ha dibattiti con gli avvocati che difendono lo stato.
Questo cerca perennemente di giustificare le proprie violazioni: dalle
demolizioni delle case alle confische di terre, all'uso della tortura. E noi
non siamo riusciti ad organizzare un vasto movimento d'opinione pubblica.



Come mai?



 Non sono nella corrente di maggioranza. Non
sono una sionista. Non posso promettere alla maggioranza sionista una soluzione
per loro praticabile. Contemporaneamente, la gente è influenzata da ciò che
essa chiama "terrore": il senso di insicurezza è profondamente
radicato negli israeliani. Di questo, essi incolpano i palestinesi; evitano di
guardare dentro se stessi. Quindi, è difficile. Non ho una vera alternativa da
offrire.



Qual è la reazione dell'opinione pubblica israeliana davanti all'alto
tasso di suicidi anche fra giovanissimi, denunciato recentemente dal quotidiano
Ma'ariv?



 Sono spaventati da questa volontà di morte
che pervade la società israeliana. Ma non riescono a capire che sono essi
stessi gli artefici, tramite le tante rioccupazioni, le rappresaglie ai danni
dei palestinesi, di tanta disperazione: se i teen-ager si uccidono, è perché il
presente è un inferno. E il futuro non può essere tanto diverso.



Lei ha un sogno?



 Certo, che ce l'ho. Ma sembra allontanarsi
ogni giorno di più. Vorrei che riuscissimo a vivere nell'equanimità, senza
repressione. Ma come ho detto: anziché realizzarsi sembra scomparire per
sempre. Non so quanto realistico sia sognare oggi…



Ha mai pensato di lasciare Israele?                                                                                                          



No.
Il mio impegno ha più efficacia lì che altrove.



>>



 



Buon 8  marzo  all'anno prossimo

4.3.05

Senza titolo 599

                                                

Giuliana Sgrena è stata liberata!

 Ieri lui è stato carino… sento quanto gli è insopportabile vedermi così… sento che si sforza…

Si…è stato proprio carino.. pensava di trovarmi triste e si è vestito tutto in ghingheri, un ghingheri personale, ovviamente…

Lui è stato dolce…

Mi sono scocciata di sentirmi così…

 Un mio amico mi ha detto che devo ritornare un pochino bambina.. che io non ci sono…quanto sono vere queste parole!

Tantissimi auguri Darkuzio!

 “è come quell'assetato che vagando senza meta nel deserto
brama un sorso d'acqua... quanto grande sarà la sua ricompensa quando troverà l'oasi?”

SOLITARIO

Grigio dorate maglie di luna
fanno tutta la notte un velo,
sul lago dormiente i lampioni a riva
da vignuoli di laburno sono avvinti.

Le maliziose canne mormorano alla notte
un nome - il suo nome -
e piena di delizia l'anima mia,
di vergogna vien meno.

James Joyce

Senza titolo 598

 SI PUO' ESSERE PIU' STUPIDI NEL CREDERE CHE L'AMANTE TI SIA FEDELE? ELLA TI HA TRADITO, TI STA TRADENDO E TI TRADIRA'

Senza titolo 597

i taxi sembrano
pirati alla deriva
ricordano le strade
a fatica,il fumo
annoiato scappa
dal finestrino
per ricongiungersi
alle ore ed al
destino,i semafori
non hanno più voglia
di dettar legge alla
folla,mentre qualcosa
vola intorno ai miei
occhi,ronza il motore
e l’intestino,ho
dimenticato il porto
ora che i gabbiani son
a tribordo nelle onde
pedonali che nessuno
rispetta,se solo la
vita non fosse tempo
l’eternità negherebbe
gli spazi oltre il
cielo aperto 
 

2.3.05

Senza titolo 596

 

Le cose belle non esistono.

O almeno.

Esistono nella misura in cui vogliamo accettare anche il loro lato oscuro.

Poi esistono le cose vere.

Queste ci sono al di fuori della nostra volontà.

E possiamo trovare un barlume di bellezza solo se vogliamo vederle.

Poiché la verità è spesso oscurata e la bellezza può essere tale solo quando è vera.

Senza titolo 595

  Giornata mondiale contro la guerra il 19 marzo

Manifestazione nazionale a Roma

(ore 15.00 piazza della Repubblica)

Via subito le truppe dall’Iraq

Portiamo l'Italia fuori dal sistema di guerra

Libertà per Giuliana Sgrena e tutte/i i sequestrati

A due anni dall'invasione dell'Iraq, visti i pericoli dell’escalation della guerra permanente In Medio Oriente , stante quanto è stato ribadito e rilanciato dai movimenti sociali nel Forum Sociale Mondiale a Porto Alegre, fa appello ad una straordinaria manifestazione globale il 19 marzo.

Il movimento internazionale contro la guerra esige oggi più che mai la fine dell'occupazione dell'Iraq. Esige che gli USA cessino di minacciare la Siria, l'Iran, il Venezuela, Cuba ed altri paesi. Sostiene il diritto dei palestinesi all'autodeterminazione e ad una pace fondata sulla giustizia.

I movimenti contro la guerra si stanno impegnando per stabilire maggiori contatti con le forze che resistono contro l'occupazione in Iraq e in Medio Oriente. I movimenti contro la guerra che si sono sviluppati a livello mondiale appoggiano il diritto del popolo iracheno a resistere contro l'occupazione. In questo senso condividiamo la proposta di organizzazione di una conferenza - da tenersi fuori dall'Iraq occupato - di tutti i diversi gruppi e delle forze antioccupazione dell'Iraq per confrontarsi anche con il movimento internazionale contro la guerra.

Le elezioni tenutesi in Iraq hanno rivelato sia la loro manipolazione sia la loro incapacità di essere un reale elemento di ricomposizione popolare di un paese occupato militarmente ed hanno reso ormai evidente il progetto di balcanizzazione del paese. Le elezioni non hanno affatto portato alla normalizzazione mentre l'occupazione ha trasformato l'Iraq in un mattatoio in cui imperversano le truppe occupanti, i mercenari e gli squadroni della morte. E' in questo contesto che giornalisti scomodi scompaiono. vengono uccisi o intimiditi ogni volta che cercano di far luce sui crimini di guerra e su quanto è avvenuto a Falluja. E' il caso di Giuliana Sgrena del Manifesto e prima di lei dei giornalisti francesi, dei giornalisti di Al Jazeera, di Baldoni o delle cooperanti del Ponte Per. La ritirata dei giornalisti italiani dall’Iraq è un primo effetto di questa situazione. Un effetto speculare a quello della legge sul codice militare di guerra che minaccia con pene pesantissime i giornalisti che rivelano notizie rilevanti sulle missioni militari italiane. E’ ormai chiaro che su quanto accade sui teatri di guerra non vogliono più testimoni. La sorte di Giuliana Sgrena come la libertà d’informazione dipende dalla costanza e dall’ampiezza della mobilitazione popolare che si oppone all’interventismo militarista del governo. Facciamo di tutto per contribuire a liberarla.

Riteniamo necessario combattere tutti gli aspetti del sistema mondiale di guerra. L'integrazione dell'Italia nel sistema della guerra permanente, è quanto venuto configurandosi negli ultimi anni. E' un sistema che prevede l'invio di soldati all'estero per missioni militari mascherate da operazioni di pace o guerre "umanitarie"; che utilizza le basi militari USA e NATO nel nostro paese come strumento operativo della guerra preventiva, includendovi - come è stato recentemente confermato - anche le armi nucleari operative nelle basi di Ghedi ed Aviano; che vede crescere sistematicamente le spese militari e per la "sicurezza" sottraendo alle spese sociali; che privilegia lo sviluppo della ricerca e degli investimenti nell'industria bellica; che vara leggi liberticide contro la libertà di informazione, di associazione e di manifestazione.

E' questo sistema di guerra che dobbiamo combattere anche in Italia per indebolire qui da noi gli interessi e le basi materiali della guerra infinita contro gli altri popoli e paesi. E' la sfida democratica, quella per una politica estera opposta alla ideologia della guerra, quella che il movimento lancia a tutti i soggetti in campo.

E per questi motivi che appoggiamo i militari che si rifiutano di andare in guerra e difendiamo gli attivisti perseguitati perchè si sono attivati contro la guerra bloccando i treni, i porti e le strade su cui transitavano gli armamenti destinati al mattatoio iracheno.

Il 19 marzo prossimo, secondo anniversario dei bombardamenti sull'Iraq, il movimento contro la guerra riempirà le piazze delle principali città degli Stati Uniti e delle capitali nel resto del mondo. In Europa, a Londra e a Roma, le manifestazioni assumono particolare importanza perchè i due governi sono direttamente impegnati nell’occupazione dell’Iraq.

Chiamiamo i movimenti pacifisti, antimilitaristi, antimperialisti, le forze sindacali, politiche, sociali, i soggetti della cultura e dell'informazione, a mobilitarsi il 19 marzo a Roma in una grande manifestazione nazionale

1) per esigere subito il ritiro delle truppe di occupazione dall'Iraq

2) per ribadire la sovranità dell’Iraq e la legittimità della resistenza all’occupazione militare

3) per animare anche in Italia la campagna internazionale contro le basi militari USA e NATO e lo smantellamento delle armi nucleari installate nelle basi in Italia

4) Per rilanciare le campagne per il disarmo nucleare, contro la produzione e l’export delle armi, per la riduzione delle spese militari

Adoperiamoci in ogni ambito nelle prossime settimane per preparare con incontri, sit in e manifestazioni locali la giornata mondiale contro la guerra, affinchè il 19 marzo ci sia una nuova grande manifestazione nel nostro paese. I governi della guerra devono trovarsi nuovamente la strada sbarrata dal popolo della pace. Se non ora, quando?

Il Comitato promotore della manifestazione del 19 marzo

Info e adesioni: roma19marzo@libero.it

Secondo voi una donna di 46 anni che non si è sposata e non ha avuto figli è incompleta o completa ? io la risposta la ho . ma Vorrei sapere cosa ne pensate.

 colonna  sonora    Bandiera  -  di Giulia  Mei   Secondo alcuni mie utenti di fb che hanno commentato questo mia provocazione ...