Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
16.7.24
Buon compleanno Renato di © Daniela Tuscano del la pagina fb Tulipano - Il Web Magazine Indipendente scritto dal Popolo
diario di bordo 62 anno II . covid nuovo allarme o è il classico al lupo al lupo ? ., Moglie e amante alla finale di Euro 2024: ancora guai per Kyle Walker ., Troppo giovane per la maturità, la scuola le dice di ripetere l’anno: 16enne si diploma con 100 e lode dopo l’intervento del Mim
Moglie e amante alla finale di Euro 2024: ancora guai per Kyle Walker
un Giovane : << "Non voglio arrivare a fare ciò che Filippo Turetta ha inflitto a Giulia Cecchettin".>>e si fa aiutare da un cntro antiviolenza
sfogliando il web ha letto sull'ANSA - PORDENONE, 16 LUG -
"Non voglio arrivare a fare ciò che Filippo Turetta ha inflitto a Giulia Cecchettin". Con queste parole, un giovane di Pordenone, dopo aver
assistito a una serata informativa, si è rivolto allo sportello gestito dall' associazione Istrice, che si occupa degli autori di violenza, per chiedere aiuto rispetto alle sue gravi reazioni di rabbia nei confronti della compagna. secondo leggo.it «Il ragazzo ci ha conosciuti dopo una serata informativa organizzata con Voce Donna - hanno fatto sapere dall'Istrice - era spaventato per le reazioni scomposte del passato e per quelle che avrebbe potuto avere nuovamente. Ha capito che queste potevano rappresentare un eventuale pericolo per chi gli stava vicino. E si è fatto aiutare ». cercando ulteriori notizie su tale fatto ecco cosa riporta https://www.rtl.it/notizie ( da cui ho preso la foto sopra al centro ) L’associazione Istrice fa sapere che il ragazzo si è mostrato spaventato per le reazioni avute in passato e per quelle che potrebbe avere in futuro, riconoscendo in sé una certa pericolosità. La sua consapevolezza nasce dalla serata informativa a cui ha partecipato in cui è stato raccontato il caso di Turetta e Cecchettin insieme ai segnali che vanno colti in casi di violenza e nei quali il giovane si è riconosciuto, chiedendo successivamente aiuto.
L’ASSOCIAZIONE ISTRICE
“Alcuni maltrattanti arrivano da noi a seguito di procedure per codice rosso e, quindi, inviati dalle forze di polizia o dal tribunale. Ci sono casi che vengono indirizzati tramite i servizi o la rete sanitaria e poi ci sono situazioni di chi si avvicina spontaneamente a noi”, questo è stato reso noto dall’associazione stessa che si occupa dei responsabili di atti di violenza". In riferimento al giovane hanno aggiunto: “l’avvicinamento spontaneo avviene più facilmente quando si tratta di giovani perché sono più propensi a riconoscere di avere un problema. Così è stato per il ragazzo che si è avvicinato a noi rivedendosi nel drammatico caso di cronaca dei mesi scorsi, sollecitando aiuto prima che la situazione degenerasse".L’iniziativa rivolta agli uomini maltrattanti prende vita da un protocollo siglato tra la questura di Pordenone e l’associazione Istrice: uno spazio di ascolto rivolto a chi ha commesso atti di violenza di qualsiasi tipo sulle donne, avviando un percorso di crescita, consapevolezza, maturazione e comprensione delle reali responsabilità delle loro azioni, agendo sul rischio di recidiva. E’ auspicabile che questo sia uno strumento che punti a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne in modo diverso e più efficace rispetto al passato.
15.7.24
il caso Morgan di - francesca pili
E ancora tanti, troppi, uomini (ominicchi — senza alcuna educazione sentimentale, affettivamente immaturi, incapaci di affrontare i propri limiti e i propri fantasmi, e di avere delle relazioni adulte, equilibrate, sane, funzionali, paritetiche, insomma: degne di essere definite tali, che dovrebbero lavorare su loro stessi, trovare l'umiltà e il coraggio di mettersi in discussione, riconoscere la dannosità e decidere di decostruire certi schemi comportamentali, spesso di genere, atavici e precostituiti, in vari casi pure farsi aiutare da professionisti, e
invece cercano di rivalersi sulle donne con le quali intrecciano o vorrebbero intrecciare dei rapporti —, ché gli uomini dovrebbero essere un'altra cosa), come Marco Castoldi, noto Morgan, pensano che le donne non appartengano solo a se stesse, non siano esseri pienamente senzienti, autodeterminati e autodeterminanti, che hanno il diritto di fare le proprie scelte, non siano libere, ma un loro possesso, un oggetto di cui disporre a piacimento, non accettano un "no" come risposta, e, se questo arriva, iniziano a perseguitarle con mille forme di abusi, dallo stalking, al revenge porn, ai ricatti e dalle minacce di rovinare loro reputazione e carriera, l'esistenza, a quelle di far loro, oltre che psicologicamente ed emotivamente, pure fisicamente del male (Morgan, con amici, parlava neanche tanto velatamente di voler per forza avere dei rapporti sessuali — «devo svuotarmi le palle» dice, che importa ciò che vuole o non vuole lei — con Angelica Schiatti, con la quale aveva avuto una breve frequentazione a singhiozzo, terminata da anni, sebbene lei certo non desiderasse la stessa cosa, sebbene lei non volesse proprio avere a che fare assolutamente nulla e in alcun modo con lui, insomma, diciamolo chiaro: parlava di volerla stuprare, e aveva pure affittato una casa vicino alla sua per poterla perseguitare meglio — una vicenda aberrante, terrificante, da pelle d'oca), rendono la loro vita impossibile, un incubo continuo, sentirsi braccate, avere costantemente paura, non sentirsi più libere di vivere, di amare, di fare ciò che vogliono, di andare dove vogliono, di frequentare chi vogliono, di essere ciò che sono, spesso perseguitano anche le persone che stanno accanto a queste donne: amici, amiche, amicə, compagni, compagne, compagnə o parenti (in questo caso, il compagno di lei, il cantautore Calcutta, e la madre).Uomini che non hanno capito, o, meglio, che non riescono ad accettare, che non intendono accettare, che una donna è libera, non è un loro possesso, che amare significa condividere un pezzo di strada, che può essere breve o lungo, durare pure una vita, con lei, ma nella piena libertà, nel pieno rispetto della persona, degli spazi, dei tempi, della volontà, delle passioni, dei desideri, nella piena fiducia; che l'amore, quello vero, è libertà, non catena, e coercizione, senso del possesso, prevaricazione, violenza, abuso, manipolazione, ricatti, minacce.L'amore non è mai limitazione della vostra né dell'altrui libertà.Se non volete che una donna, che la vostra compagna di vita, così come qualunque altra donna, sia libera, se pensate di avere il diritto di pretendere, di decidere per lei, di costringerla a qualcosa, di controllarla, di cambiare il suo modo di essere, non l'amate, non l'avete mai amata, non sapete nemmeno cosa sia l'amore. Scappate lontane anni luce da un uomo che crede che donna libera sia sinonimo di donnaccia (e che crede nel concetto stesso di donnaccia), che pensa che una donna libera sia un pericolo o una minaccia, anziché ciò che naturalmente, per sua natura è, per vostra natura siete, per nostra natura siamo, innanzitutto come esseri umani, esattamente come ogni essere umano, proprio come lui — se poi lui non è libero, ma imprigionato da se stesso, dalle sue paure, dalle insicurezze, da traumi mai voluti affrontare, la responsabilità non è certo vostra: voi potete stargli accanto, rassicurarlo, ma il percorso di liberazione di e da se stesso, nel modo utile, spetta a lui, e, se non vuole farlo, non è e non deve diventare una vostra responsabilità: andatevene, non siete la sua terapeuta; scappate lontane anni luce da un uomo che cerca di manipolarvi per farvi sentire sbagliate, indegne, colpevoli di chissà che, per convincervi che, se non gli lasciate limitare la vostra libertà, in qualsivoglia modo, non lo amate veramente, e, magari, meritate pure di essere, in qualche modo, a vari livelli, "punite". Se davvero vi ama, se vi stima, se vi rispetta, dovrebbe amare prima di tutto proprio la vostra libertà, dovrebbe trovare a dir poco meravigliosa la vostra libertà, che è ciò che vi rende, perché vi permette di esserlo, esattamente quello che siete; dovrebbe amare, stimare, rispettare la vostra autenticità, le vostre peculiarità, la vostra individualità, la vostra personalità, la vostra unicità, la vostra vita.Non può mai volervi subordinata, in alcun modo, in nessuna cosa, non può desiderare che proprio e soprattutto con lui non vi sentiate libere.Dovrebbe essere felice e orgoglioso che siate una donna libera. Dovrebbe voler condividere questa libertà con voi. Dovrebbe volere che siate libere, e felici. Dovrebbe voler essere libero, e felice, insieme a voi.Scappate lontane anni luce da uomini che vi trattano come una loro proprietà e vorrebbero spacciarvelo per amore: l'amore non è mai, mai, mai possessione. L'amore con questo schifo non c'entra nulla.E quanta gente sa, e tace, e copre uomini del genere, fino a che, spesso, non è troppo tardi (e siamo già alla violenza finale, l'ultimo atto, nient'altro che la punta di questo enorme iceberg: il femminicidio), in questa maledettissima società patriarcale, ancora così terribilmente maschilista e misogina! Siete complici!E questo vale sempre: https://www.facebook.com/share/p/iPetZUwr6wThyGBg/
Sono vent'anni che si susseguono proposte di legge per l'introduzione di codici identificativi per gli agenti di polizia ma nessuna di queste è mai stata approvata
di polizia ma nessuna di queste è mai stata approvata. Perché? Ne parliamo nella nuova puntata di Mele 🍏
➡ https://open.spotify.com/show/1LuWOPevfjqV0RmrBF37C1
➡ https://podcasts.apple.com/it/podcast/mele/id1647401353
➡
https://podcasts.google.com/feed/aHR0cHM6Ly93d3cuc3ByZWFrZXIuY29tL3Nob3cvNTY3NTczMS9lcGlzb2Rlcy9mZWVk
anche le donne rap \ trap s'adeguano al sessismo dei colleghi il caso di Anna Pepe
Da #AnnaPepe una donna che è riuscita a imporsi in un ambiente : maschilista e misogino e di ( ovviamente senza generalizzare troppo anchge se quel poco che si salva è lo 0,05 % ) Brani effimeri, privi di soluzioni rigeneranti per l’ascoltatore medio e interpretati da aspiranti cantanti, barcollanti nell’intonazione e nel senso ritmico come dice un esperto musicale : << Trap Remo, il festival dell’incompetenza musicale diffusa - Pentagrammando (antoniodeiara.it) >> come quello #rap, il sottogenere #trap.,in particolare , che abitualmente ( al 99.95 % ) veicola una visione poco edificante della donna, sessismo , edonoismo sfrenato , violenza , ecc .
Nuova intimidazione alla sua azienda. Ma Patrizia Rodi Morabito resiste: non lascio la Calabria
Ma non si arrende .
14.7.24
San Giovanni Suergiu, assunto e licenziato: non ha la terza mediaPer Stefano Sulas niente stabilizzazione dopo 29 anni di precariato: la scoperta dopo la firma del contratt
Stefano Sulas (65 anni) mostra il contratto di lavoro annullato dopo le verifiche su i suoi documenti |
Essa è il paradosso \ dilemma della burocrazia assurda ed astrusa che non distingue la regola dall'eccezione . E permette che gli acculturati non scolasticamente vengano discriminati , mentre ignoranti e Gaffers ( vedi un famoso ministro di questo governo che confonde Pompei con il Colosseo o dice che Colombo era contemporaneo di Gallileo ) vengono osannati dal media maistream e sono al potere . Ingnorano che le vite come la sua sono più dignitose della loro e che ha faticato per vivere onestamente e ha sempre dimostrasto la dignità e il suo valore erchè non è solo un pezzo di carta a detterminare una persona e il suo impegno ed passione che ci mette nel prorio lavoro ed i sacrifici fatti per dare alla famiglia una vita dignitosa . E poi il fatto di non aver pouto studiare ed essere andato a lavorare dopo la terza elementare non significa che persone come lui siano senza valore perchè non è un pezzo di carta che dettermina il valore e le competenze di una persona ma come esso agisce con quello che ha imparato ( ed impara semre visto chje nella vita non si finisce mai d'imparare ) con : umiltà , sacrifici , ed assenza di giudizio
Il sindaco ingrassa di 40 chili, il paese scende a correre con lui per farlo dimagrire: «Mi hanno dato del panzone»
Perdere peso e rimettersi in forma può essere difficile, soprattutto se si è costretti a compiere l'impresa da soli.
Ma a Luciano Fregonese, sindaco di Valdobbiadene (Treviso) da ormai dieci anni, il supporto non manca: l'appuntamento fisso è alle 19.30, il giovedì, quando i cittadini si incamminano con lui tra le colline e i vigneti per aiutarlo a non mollare, a fare quel passo in più per rimanere attivo. D'altronde il mestiere del sindaco non è semplice, forse troppo sedentario, e quei 40kg messi su dal primo mandato vanno bruciati, ma è meglio farlo in compagnia. I risultati? Magari non saranno promettenti come quelli delle elezioni, ma ne vale comunque la pena.
L'iniziativa: camminata col sindaco
La prima uscita risale a qualche settimana fa, ed era sempre un giovedì. Luciano Fregonese si è incamminato, verso le sette e mezza di sera, e pian piano dietro di lui è cresciuta la folla: all'inizio erano meno di 50, ma poi il passaparola ha fatto la differenza e più di 100 cittadini - a volte 150, a volte 130, a seconda della temperatura e degl impegni - hanno percorso le strade sterrate al suo fianco, supportandolo nell'impresa. Come riporta il Corriere del Veneto, l'età è variabile, dai sei ai settant'anni, e gran parte dei partecipanti sono donne, «perché noi siamo meno pigre di voi maschietti», avverte una mamma che ha preso l'impegno di controllare il chilometraggio e il tempo impiegato.
Il sindaco aveva provato ad affrontare da solo a perdere peso, «a mangiare una volta al giorno, ma niente da fare». Ora ha un motivo in più per continuare, per riuscire e per mettere un piede davanti all'altro. Solitamente le camminate si protraggono per circa 5km, a volte un po' di più, e si passa un'ora in compagnia, tra chiacchiere di vario tipo, commenti sull'immondizia scaricata nel posto sbagliato e un lampione che non funziona. Una volta raggiunto il traguardo, sudato magari ma soddisfatto, Luciano sorride ai suoi cittadini, li ringrazia e dà appuntamento al prossimo giovedì.
La corsa
«Mi hanno dato del panzone tempo fa, scritto su un muro - racconta Fregonese al Corriere - Non mi sono offeso, dopo 20 anni da amministratore, questo è il risultato. Somministrare ingrassa, ingrassano gli obblighi conviviali, le lunghe deliberare con effetti micidiali sui partecipanti». A Valdobbiadene è diventata un'istituzione. E' stato da poco confermato per la terza volta nella carica di primo cittadino. Il problema, insomma, è che all'atto del primo insediamento nel Comune, 10 anni fa, la bilancia segnava 90 kg; oggi 130. Ora tutto il paese tifa per lui, e il suo saluto. Giovedì prossimo, in piazza alle 19.30, c'è un nuovo appuntamento con la corsa di saluto
Storie di migranti e andrangheta : da Roccantica a New York. Una storia di famiglia ., DOVE LO STATO NON ABITA PIÙ: SAN LUCA, ASPROMONTE
due storie ua d'emigrazione del secolo scorso un altra delle cause . che confermano lo studio de la società sparente di Emiliano morrone ( wikipedia e account facebook )
er approfondire
emigrati.it - associazione internet degli emigrati italiani
da https://lavocedinewyork.com/people
Storie di migranti: fu così che Vittoria tenne fede al suo nome 1912, da Roccantica a New York. Una storia di famiglia testimonianza dell'esodo
di Luigi Troiani *
Vittoria e il marito Antonio / Per gentile concessione della famiglia Perfetti-Feroli
Nonostante il rarefarsi dei protagonisti dell’esodo dall’Italia nel secolo dell’emigrazione (1861-1970), la memorialistica dedicata al fenomeno continua a godere ottima salute. Se le generazioni che hanno ispirato quelle pagine poco alla volta tendono a scomparire, sono spesso i figli e i nipoti a testimoniare quella che giustamente considerano epopea di famiglia, anche per senso di gratitudine e rispetto.
Nel genere, non tutte le pubblicazioni meritano eguale stima sotto il profilo letterario, ma – quando sincere e documentate – tutte vanno ad arricchire l’elenco dei racconti di vita collettiva e individuale che formano la memoria mai colma, necessaria alle comunità di destinazione e di origine. Solo attraverso quella memoria si possono rinsaldare i legami privati. Ma anche quelli pubblici – istituzionali, culturali ed economici – che tante località italiane hanno costruito con i
luoghi dove loro ex cittadini sono emigrati.Simone Feroli
Un buon esempio di come questa memoria detta memoria possa essere tramandata, viene da Storia di una emigrata, un lavoro di Simone Feroli che non casualmente porta in premessa una frase di Wang Shu: “Perdere il passato significa perdere il futuro”.
La narrazione si occupa della vicenda della zia dell’autore, “Vittoria, che nel 1912 partì per una nuova vita negli Stati Uniti”, abbandonando Roccantica, comune della provincia di Rieti, a 26 anni. Siamo all’antivigilia della Prima grande guerra, e la giovane donna parte, come altre centinaia di migliaia di italiani, per il mal operare degli allora governanti, che invece di dedicarsi allo sviluppo delle sacche di povertà del paese, andavano per guerre coloniali nel Mediterraneo, combattendo l’impero turco per sottrargli i territori libici.
Viaggia da sola verso Napoli e prende, come milioni di connazionali, il transatlantico della speranza, che al termine della lunga e faticosa traversata approda vicino a Liberty Statue, inaugurata proprio nell’anno di nascita di Vittoria. Benché debba lasciarsi dietro gli affetti che l’hanno accompagnata dalla nascita, ha deciso di lasciare la vita contadina, tra campagna, mulino e forno, botti di vino e di olio, e sfidare la sorte della vita nel paese sconosciuto ma “favoloso”. Se ne sente attratta e spera che lì possa svoltare.
Non va completamente allo sbaraglio: ad attenderla, come capita a un po’ tutti gli italiani che sbarcano al molo di Ellis Island, ci sarà un parente o un amico di famiglia. Vittoria, dopo il lungo viaggio in mare iniziato il 18 aprile è attesa mercoledì 1° maggio dal cugino Attilio che con la moglie Olga vive a Eastchester nel Westchester newyorkese. Al cugino toccherà trovarle un giaciglio e qualche lavoretto, tanto per cominciare. Poi sarà lei a darsi da fare. L’arrivo ad Ellis il giorno della festa dei lavoratori è comunque di buon auspicio.
A poco più di quattro mesi dall’arrivo, Vittoria andava in sposa a tal Antonio Cinquina, vedovo, con il quale sarebbe rimasta tutta la vita. Adesso era “sistemata” come si diceva allora, aveva casa e famiglia a Tuckahoe e ne era la “padrona”. I coniugi Cinquina si sarebbero presto trasferiti nel Bronx e qui avrebbero allevato i figli che nel frattempo, come usava, il buon Dio inviava copiosi.
Per l’autore ricostruire i fatti della quotidianità, all’interno del progressivo inserimento di Vittoria nella società americana, con il contestuale progressivo distacco dal passato italiano, è obiettivamente difficile, a causa della frammentarietà delle testimonianze orali e scritte e della facilità con cui le une possono entrare in conflitto con le altre. Dal quadro complessivo si ha il relato di una vita sufficientemente armoniosa, costellata di qualche sventura e di tante gioie. Vittoria e Antonio mettono al mondo cinque figli che vanno ad aggiungersi a Michelina, dote del primo letto.
Agli atti del censimento del 1925 il nucleo famigliare figura ancora compatto allo stesso domicilio. Il capofamiglia è operaio in una raffineria di zucchero, Vittoria è casalinga. Nel censimento del 1950, riporta Feroli, “risulta che Antonio di 71 anni e Vittoria di 64 a casa erano rimasti da soli. I figli si erano sistemati, chi più e chi meno.” A parte Enrico, chiamato a combattere nel luglio 1943 -e morto col grado di caporale nel marzo 1945 – quattro giorni prima del ventiseiesimo compleanno – da radio-operatore nel 579th 392th Bomb Group. Lo avrebbero insignito della “Purple Hearth”. Aveva gli anni di mamma Vittoria all’arrivo a Ellis Island.
Tante e belle le foto di Roccantica che, in coda, corredano il libro di una fetta d’Italia sparita.
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Insegna Relazioni Internazionali e Storia e Politiche UE all’Angelicum di Roma. Coordino le ricerche e gli studi della Fondazione Bruno Buozzi. Tra i promotori di Aiae, Association of Italian American
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DOVE LO STATO NON ABITA PIÙ: SAN LUCA, ASPROMONTE
Terra di ’ndrangheta Il Comune calabro dove nessuno si è candidato è di nuovo commissariato Tra abbandono e omertà, qui il tempo torna indietro E il futuro non arriva mai
- Il Fatto Quotidiano
- » Maddalena Oliva INVIATA A SAN LUCA (RC)
Un vecchio canto della Locride vuole che, da queste parti, in mezzo all’aspromonte, un professore iniziò a sezionare centinaia di banditi morti. Cercava tracce di tanto rancore esploso col brigantaggio dopo l’unità d’italia e poi, più tardi, con l’onorata Società. Molti risultarono ammalati di cuore. I più riportavano invece strani funzionamenti delle ghiandole surrenali: da cui, la ferocia incontenibile. “Li sudditi son tutti immiseriti – suonava il canto – ministri, senatori e deputati fanno communa e vui padre Vittorio (Vittorio Emanuele II, ndr) non guardate. Vui jiti a caccia, fumati e durmiti”.
Ad aver paura di guardare, qui, a San Luca, non è stato solo il re. Alle amministrative, meno di un mese fa, non si sono presentati candidati. Come già nel 2017 e nel 2018. Dopo lo scioglimento per mafia nel 2013, il Comune è stato sempre commissariato. Prima per infiltrazione mafiosa, poi, nel 2015, per il non raggiungimento del quorum dei votanti. E infine perché nessuno si era candidato. “È la nostra protesta contro lo Stato”, dissero i cittadini. Fino al 2019. Quando ad avere il coraggio di presentarsi e a essere eletto fu l’infermiere in pensione Bruno Bartolo, 73enne. Raggiunto oggi da quattro avvisi di garanzia (per ipotesi di reati ordinari, non di mafia), ha deciso di non ricandidarsi. “Nessun condizionamento né pressioni di ’ndrangheta – spiega – le istituzioni non mi hanno aiutato. L’avviso di garanzia è stato un pugno allo stomaco, ma il motivo è la solitudine”. Così il tempo a San Luca è tornato indietro, come solo in Calabria accade. A occuparsi dell’ordinaria amministrazione è tornato un commissario. E, ancora, si è insediata la Commissione d’accesso antimafia, per accertare eventuali condizionamenti nell’amministrazione Bartolo. Ad annunciarla, la presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo. Direttamente da San Luca: “È emersa un’inerzia totale dell’amministrazione. Siamo qui per sostenere la speranza di chi non vuole assoggettarsi al mandamento di questo territorio. E abbiamo il compito di dire alle donne e ai bambini che cambiare si può e si deve”.
Visto dall’alto San Luca – assieme a Platì e ad Africo tra i paesi più isolati della Locride, pur essendo coi suoi 105 km² di area montana il secondo Comune della provincia di Reggio Calabria – è una macchia grigio-gialla. Spunta dalla pancia di un vallone che cinge l’aspra montagna, “montagna bianca” in greco. Una fiumara prosciugata, a un fianco, rocce sospese su voragini, dall’altro. Sospese e abbandonate come le vite dei suoi 3.700 abitanti che paiono fantasmi. Qui sono imparentati tutti con tutti. E hanno il cognome pesante: Nirta, Strangio, Pelle, Vottari, Mammoliti. Gli arrestati per 416bis sono 115, 250 quelli per associazione finalizzata al traffico di droga, 50-60 i residenti raggiunti da altre misure cautelari. “Ma non simo tutt’ d’ndrangheta, chiaro?”, dice Don Tonino Saraco, rettore del Santuario della Madonna di Polsi, il luogo sacro finito su giornali e tv di tutto il mondo per i famosi summit di ’ndrangheta in cui i vertici di tutti i “Crimini” o “Province” erano soliti incontrarsi, per alleanze, strategie, riti di iniziazione. Era il 2010 quando le telecamere dei carabinieri li ripresero riuniti attorno a Domenico Oppedisano, capo-crimine di allora, ma esiste traccia di questi incontri dalla fine dell’800. Don Tonino è il religioso scelto per riportare il santuario “all’immagine di ciò che deve essere: luogo di preghiera e di accoglienza dei pellegrini ma anche spazio di crescita sociale e civile che non si concilia con illegalità e malavita”. E, nonostante le intimidazioni, don Tonino, uno di quei calabresi cocciuti e veraci, sta portando avanti la sua missione: ha spostato l’effigie della Madonna adorata dai boss (non c’è bunker per i latitanti che non ne conservi l’immagine o la statua) per far spazio al busto di don Giuseppe Giovinazzo, parroco decapitato nel 1989 proprio all’ombra di Polsi; ha preso con sé a lavorare alcuni detenuti da reinserire; ha collaborato per ripulire l’area mercatale, lì dove ogni bancarella veniva assegnata seguendo gerarchie mafiose. “Eppure non si esce dalla rappresentazione di San Luca come il ‘Locale-mamma’ di ’ndrangheta. Ci manca il coraggio di ribellarci pubblicamente. Per paura, per autodifesa. Ma stiamo facendo, pur se silenziosamente, cose straordinarie”.
È che in certe situazioni, lo sforzo di evitare il conflitto aperto può diventare omertà. E la Chiesa per molti anni, con l’ex parroco di San Luca e del santuario di Polsi, quel don Pino Strangio condannato in primo grado a 9 anni e 4 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa, è stata connivente se non protagonista. Si deve a monsignor Francesco Oliva, vescovo della Locride, un cambio di passo. Al posto di Strangio, ha nominato parroco dell’unica chiesa di San Luca un 35enne al primo incarico, Don Gianluca, che ha aperto l’oratorio che qui non esisteva. Il vescovo ha scritto una lettera alla cittadinanza: “La mancata presentazione di liste è una resa. Conosco le sofferenze e le ferite di questa comunità, ma il governo della Città è nelle nostre mani e non possiamo arrenderci. Altrimenti abbiamo perso tutti, lo Stato e la Chiesa”. Così è nata l’idea di lanciare una scuola di formazione politica, “perché abbiamo bisogno di una buona politica, cosa difficile ma possibile. Alcuni paesi hanno
perso la fiducia nelle istituzioni, credono che non valga la pena andare a votare... non dobbiamo accettarlo”.
A San Luca alle ultime politiche l’affluenza è stata del 22%. È una vecchia storia quella del paese appestato e dimenticato. Da quando – era il 1592 – i pastori montanari dell’antico villaggio di Potamìa, costretti dalle frane, scesero più a valle a fondare San Luca. Cominciò così, tra miseria e sofferenza, la vita errante di questo popolo, con il miraggio di mutevoli terre promesse. Ieri le ricchezze accumulate negli anni dei sequestri. Oggi quelle del narcotraffico mondiale. È qui che passano la droga e le armi che riforniscono le piazze di tutte le mafie. È qui che sono nati e cresciuti i rampolli delle note famiglie – tutti giovanissimi, anni 2000 – tra i latitanti più pericolosi del Paese. Ed è da qui che 16 carabinieri, comandati dall’ottimo maresciallo maggiore Michele Fiorentino, di stanza a San Luca da 21 anni, instancabilmente danno la caccia alle stesse famiglie, agli stessi cognomi, alle stesse persone. Chi, come il brigadiere Carmine Tripodi, anche a costo della vita. “Sono passate le generazioni, ma siamo tornati indietro. Sa cosa si dice qui? Che se non avete un precedente non vi potete sposare...”, racconta con un riso amaro il comandante. “È un gioco delle parti: noi stiamo da una parte, loro dall’altra”.
La gente ha paura di restare, ha paura di venire, ha paura di lavorare a San Luca. Eppure, a colpire sono le tante macchine di cilindrata pesante – con targa tedesca, come un memento di Duisburg – che si muovono su strade deserte in mezzo alle classiche case “non finite” calabresi, coi piani di mattoni in dote per le figlie femmine e i fiocchi ai cancelli per la Madonna di Polsi. Soldi, tanti, ne circolano (leggendario il ritrovamento da parte dei carabinieri di sei milioni di euro sottoterra). Donne in giro non se ne vedono. Solo uomini, anziani, a cercare ombra sotto gli oleandri o seduti sulle ringhiere. Nonostante l’indice giovanile tra i più alti d’italia – 785 ragazzi su 3.700 abitanti – la vita ha mantenuto molti dei vecchi usi, oltre ai principi dell’onore e del rispetto. Le ragazze, per esempio, vengono “scelte” durante la “vetrina” della processione di Pasqua. Si sposano ancora bambine e fanno di media 4-5 figli. Poi vivono in casa, chiuse. È un’italia, se è Italia, di 80-100 anni fa. C’è chi, come il Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, è convinto che per luoghi “costituzionalmente incompatibili con lo Stato di diritto”, ci sia bisogno di “un progetto che metta in campo strumenti non ordinari, altrimenti il rischio è lo sfiancamento dello Stato”. E lo Stato qui si conosce solo quando viene inaugurata una caserma: allora si vedono ministri e qualche politico locale. Ma quando ha aperto quella ad Africo Nuovo, in un ex villone sottratto ai Morabito, nessun cittadino si è presentato. Anche i bambini con le bandierine tricolori erano scolari di un altro paese. “Queste persone sono rimaste ostaggio di quella agenzia diseducativa che si chiama ’ndrangheta e hanno visto la politica trattare coi propri aguzzini. Facile dire loro ‘ribellatevi’... La strategia qui è da sempre la stessa: siamo al quarto commissariamento. Ma nel frattempo i processi democratici non sono cresciuti né sono stati sgominati i clan, quindi...”. Francesco Mollace è uno di quegli insegnanti che ci crede tanto. Docente di Filosofia e storia e membro del Forum regionale terzo settore e scuola, è il presidente di Civitas Solis, che gestisce, assieme a Save the Children, il “Punto Luce” di San Luca. L’unico spazio di aria – assieme a Libera con la sua referente Deborah Cartisano – per bambini e mamme del luogo. Coi loro progetti, dai corsi di robotica alla musica, dalla ginnastica all’inglese, Francesco e le educatrici dimostrano che, con un’alternativa, è possibile togliere a questi ragazzi lo stigma che suona come una condanna: “Sono di San Luca”. “C’è un enorme potenziale che, se non orientato, prende altre vie. Bisogna che qualcuno ci creda. In Calabria abbiamo, tra gli studenti, il più alto tasso di competenze alfabetiche e numeriche non adeguate e il più basso indice di lettura di libri e quotidiani (4%). Il cancro puoi decidere se curarlo sezionando, tagliando, asportando. Oppure, come sta avvenendo in oncologia, rigenerando i tessuti, con l’immunoterapia”.
Nicola Gratteri, profondo conoscitore di queste terre, ripete in continuazione “meglio una scuola che un carcere”. Ma a San Luca di scuole ce n’è una sola e senza un dirigente fisso da oltre due anni. Il padre di Corrado Alvaro, scrittore che qui è nato, era un maestro. Fece “un patto con l’avvenire. Che quanti figli avrebbe avuti li avrebbe fatti studiare”. Ma l’incitamento continuo era di “abbandonare il paese maledetto”, ricordava il figlio Corrado. Che mai dimentico dei suoi anni a San Luca, scrisse: “L’adolescenza è una riserva per quando la fantasia avrà cessato di parlare”. Ma ci sono luoghi in cui da sempre resta muta. O quasi.
Secondo voi una donna di 46 anni che non si è sposata e non ha avuto figli è incompleta o completa ? io la risposta la ho . ma Vorrei sapere cosa ne pensate.
colonna sonora Bandiera - di Giulia Mei Secondo alcuni mie utenti di fb che hanno commentato questo mia provocazione ...
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