16.7.24

Buon compleanno Renato di © Daniela Tuscano del la pagina fb Tulipano - Il Web Magazine Indipendente scritto dal Popolo

 


Precisiamo: per me #renatopozzetto è innanzi tutto #cochierenato👬, perché nascono in due e perché è giusto. Cochi era considerato, ingenerosamente, la «spalla» della coppia, ma senza di lui Pozzetto non avrebbe raggiunto la popolarità stellare che lo circonda ancor oggi, ormai lontano dagli schermi, dall'alto dei suoi 84 anni. Renato è stato Renato grazie a una squadra di stralunati geniacci: lui e Cochi, appunto, entrambi autori dei loro sketch e canzoni, una più fulminante dell'altra, e il terzo (in)comodo, il convitato di pietra, l'ipermilanese (in realtà albano-pugliese) #enzojannacci; più una gang di svitati assortiti, da #dariofo a #feliceandreasi, da #waltervaldi a #boldi e #teocoli e al più giovane #diegoabatantuono. #milano è unica perché non ha gigioni, sa mettere d'accordo talenti superlativi senza che uno affossi l'altro. Cochi&Renato facevano ridere tanto, di gusto, anche i bambini, ma la loro comicità era raffinata, pungente, iconoclasta. In una parola, #patafisica: lunare come il sopracciglio di Renato levato verso il cielo, che rimanda ad altri mondi, perché qui ci si prende troppo sul serio mentre siamo un punto nell'universo, oscuro, anzi, nebbioso. Quella #madonna evocata così spesso dal laico Renato - e non può essere che la #madonnina - indica tante cose: lo stupore bambino, lo spavento sbarellato, e soprattutto il «Bum», lo svelamento della sparata. Sdrammatizza, si dice; di fatto riporta le cose alla loro giusta dimensione che può essere anche molto drammatica, ma è l'unica che abbiamo e bisogna affrontarla a viso aperto. Questa è Milano, un pragmatismo onirico, che come gli occhi acquosi di Pozzetto scorre e va, trascinando via i ciottoli di facili certezze.

diario di bordo 62 anno II . covid nuovo allarme o è il classico al lupo al lupo ? ., Moglie e amante alla finale di Euro 2024: ancora guai per Kyle Walker ., Troppo giovane per la maturità, la scuola le dice di ripetere l’anno: 16enne si diploma con 100 e lode dopo l’intervento del Mim

“Covid, tornino le misure di protezione”. Chi sta lanciando un nuovo allarme e perché Gabriele Angelini the social post Pubblicato: 16/07/2024 08:28


 “Esplosione di Covid nel Lazio“. Sembra un titolo del 2020, ma in realtà è del 2024, e precisamente del 15 luglio. A lanciare l’incredibile allarme è la Federazione nazionale medici di medicina generale
(Fimmg), alla luce dei “dati della rete della Fimmg Roma nella regione Lazio, dove i numeri del Covid stanno risalendo in modo importante, con rischi reali per le persone anziane e debilitate”. Secondo i medici la questione è così seria al punto che la federazione – si legge in una nota ripresa da Il Tempo – ha già inviato un alert ai medici di famiglia con le misure da intraprendere, non ultima quella di attivare, negli studi ove siano state allentate, “le misure di protezione come mascherine e distanziamenti, fornendo le regole di approccio e le informazioni sui comportamenti da tenere per evitare contagi alle persone deboli”. Nel Lazio si registrano “da 1 a 3 casi per medico al giorno, con una diffusione non monitorata dai numeri nazionali, poiché è stato notevolmente ridotto il sistema di rilevamento dei tamponi” e quindi i dati ministeriali sono “fortemente sottostimati”.

Maria Corongiu, infettivologa e presidente della Fimmg Roma rincara la dose: “Attendiamo di conoscere quale variante Covid stia circolando in Italia, dopo che la variante KP.3 negli Usa ha già preso il sopravvento”. Ma il problema maggiore – secondo il medico – è che “sono state smantellate tutte le misure di prevenzione e di controllo, il monitoraggio dei tamponi è stato interrotto, e quindi il rischio di contagio per le persone anziani e fragili è elevatissimo”. Un tuffo all’indietro nel tempo che sembra farci precipitare in una voragine spazio-temporale incredibile. Ma ha davvero senso nel 2024 continuare con questo terrorismo? Tra i fattori che preoccupano Corongiu c’è “la caduta dell’obbligo delle protezioni individuali negli ospedali dal 30 giugno”. Poi la presidente Fimmg Roma tira le orecchie a quei cittadini che eseguono il test in autonomia ma “non dichiarano al medico la presenza della malattia e quindi una consistente quota delle infezioni non viene rilevata neanche dai medici di famiglia”.

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Moglie e amante alla finale di Euro 2024: ancora guai per Kyle Walker



 Kyle Walker© Fornito da Il Giornale

Per Kyle Walker, difensore dell'Inghilterra, la finale contro la Spagna si preannuncia piuttosto complicata, non solo per il fatto di dover marcare Nico Williams, una delle stelle di Euro 2024, ma anche per questioni extra-calcistiche. Oltre alla moglie Annie Kilner con i quattro figli Riaan, Roman, Reign e Rezon al seguito, sulle tribune dedicate alle Wags ci sarà anche l'amante Lauryn Goodman insieme al primogenito avuto dalla relazione col difensore del City, con tanto di maglietta numero 2 con la scritta "papà". Una situazione ritenuta ad alto rischio, tanto che la sicurezza della nazionale inglese ha avuto indicazioni di evitare qualsiasi contatto tra le due donne.
Come sottolineano i tabloid, del resto, se dovessero trovarsi faccia a faccia è facile immaginare che la situazione potrebbe sfuggire di mano e trasformarsi in un caos difficilmente gestibile. Un rischio da scongiurare in ogni modo, vietando innanzitutto l'ingresso dell'amante di Walker alla zona riservata a mogli, compagne e fidanzate dei giocatori. Una precauzione da extrema ratio, ma necessaria. Secondo il Sun, infatti, pare che Lauryn sia piuttosto incline a scenate e Annie voglia evitare qualsiasi contatto con lei per non creare problemi. Insomma la serata di Walker non sarà per niente tranquilla, costretto a tenere a bada non solo i formidabili attaccanti spagnoli ma a preoccuparsi anche che fili tutto liscio in tribuna.
La ricostruzione
Nei mesi scorsi intorno a Walker si è scatenata una vera e propria bufera, che ha invaso le pagine dei giornali sportivi inglesi. Il difensore del Manchester City ha vissuto per 12 anni con la moglie Annie Kilner, sposata nel 2021 e dalla quale ha avuto quattro figli. Questo quadretto ideale è durato fino al 27 dicembre scorso, giorno della trasferta del City a Liverpool. Mentre Walker con i Citizens batteva l'Everton per 3-1, la modella e influencer Lauryn Goodman telefonava a Kilner per raccontarle tutta la verità, stanca di vivere nella menzogna. A quel punto tutto il mistero è stato svelato: il calciatore ha portato avanti per anni una doppia relazione, preoccupandosi tanto del suo principale nucleo familiare, quanto del rapporto con la modella, con cui ha comunque avuto due figli, finora tenuti nascosti.
La moglie sotto choc di fronte alla notizia, non voleva credere all'influencer, tanto da chiederle delle prove. A quel punto Lauryn Goodman lo ha dimostrarlo con assoluta certezza, inviandole diverse foto insieme al difensore e i test del Dna dei figli. Annie aveva chiesto la separazione dopo che aveva saputo della nascita del secondo figlio con l'altra donna. "Quello che ho fatto è orribile e me ne assumo la piena responsabilità. Ho preso decisioni stupide e sciocche: l'uomo che doveva amarla e prendersi cura di lei le ha fatto questo", queste le parole di Walker, che poi si è riappacificato con la moglie. E adesso vive due rapporti paralleli.
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A volte la realtà supera la fantasia, e anche nelle intricate maglie della burocrazia scolastica può accadere che il lieto fine prevalga. È la storia di una studentessa che, grazie al proprio merito e all’intervento del Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, è riuscita a diplomarsi a soli 16 anni, superando un ostacolo che sembrava insormontabile.
La ragazza, dopo aver frequentato la prima elementare, aveva deciso di iscriversi a un liceo quadriennale, percorso che le avrebbe consentito di diplomarsi con un anno di anticipo. Tuttavia, a pochi giorni dall’esame di maturità, la famiglia ha ricevuto una brutta sorpresa: la scuola, con una serie di scuse per l’errore, ha comunicato che la studentessa non avrebbe potuto sostenere l’esame perché “troppo giovane”.
La normativa, infatti, prevede che per accedere al diploma in quattro anni sia necessario rientrare in determinati parametri anagrafici, requisiti che la ragazza, a causa del mese di nascita, non possedeva. La soluzione proposta dalla scuola? Iscriversi a un quinto anno “standard” e rimandare la maturità all’anno successivo.Una beffa per la studentessa, che aveva sempre avuto ottimi risultati scolastici, e per la sua famiglia, che si è vista negare il diritto a un percorso di studi meritato. La madre della ragazza, però, non si è arresa e ha deciso di rendere pubblica la vicenda, rivolgendosi ai media e al Ministero dell’Istruzione.La segnalazione è arrivata al Ministro Valditara, che ha preso a cuore la vicenda e si è attivato per trovare una soluzione. Grazie al suo intervento, la studentessa ha potuto sostenere regolarmente l’esame di maturità, conseguendo il diploma con il massimo dei voti e la lode.“Quando ho saputo che il Ministro si sarebbe attivato, non potevo crederci”, ha dichiarato la madre della ragazza. “Il Ministro ha accolto il nostro appello, garantendo la tutela e la continuità del percorso didattico di mia figlia. Questa storia ci insegna che bisogna avere fiducia nelle istituzioni e che, di fronte alle ingiustizie, è importante far sentire la propria voce”.Una storia a lieto fine che dimostra come, a volte, la determinazione e la fiducia nelle istituzioni possano davvero fare la differenza. E che anche la burocrazia, di fronte al buon senso e alla volontà di fare, può fare un passo indietro.

un Giovane : << "Non voglio arrivare a fare ciò che Filippo Turetta ha inflitto a Giulia Cecchettin".>>e si fa aiutare da un cntro antiviolenza

  sfogliando  il  web    ha  letto   sull'ANSA -  PORDENONE, 16 LUG -

 "Non voglio arrivare a fare ciò che Filippo Turetta ha inflitto a Giulia Cecchettin". Con queste parole, un giovane di Pordenone, dopo aver

assistito a una serata informativa, si è rivolto allo sportello gestito dall' associazione Istrice, che si occupa degli autori di violenza, per chiedere aiuto rispetto alle sue gravi reazioni di rabbia nei confronti della compagna.  secondo leggo.it «Il ragazzo ci ha conosciuti dopo una serata informativa organizzata con Voce Donna - hanno fatto sapere dall'Istrice - era spaventato per le reazioni scomposte del passato e per quelle che avrebbe potuto avere nuovamente. Ha capito che queste potevano rappresentare un eventuale pericolo per chi gli stava vicino. E si è fatto aiutare ».

 cercando   ulteriori notizie    su  tale  fatto ecco cosa  riporta    https://www.rtl.it/notizie    (  da   cui    ho preso  la    foto  sopra al  centro )  L’associazione Istrice fa sapere che il ragazzo si è mostrato spaventato per le reazioni avute in passato e per quelle che potrebbe avere in futuro, riconoscendo in sé una certa pericolosità. La sua consapevolezza nasce dalla serata informativa a cui ha partecipato in cui è stato raccontato il caso di Turetta e Cecchettin insieme ai segnali che vanno colti in casi di violenza e nei quali il giovane si è riconosciuto, chiedendo successivamente aiuto.
L’ASSOCIAZIONE ISTRICE
Alcuni maltrattanti arrivano da noi a seguito di procedure per codice rosso e, quindi, inviati dalle forze di polizia o dal tribunale. Ci sono casi che vengono indirizzati tramite i servizi o la rete sanitaria e poi ci sono situazioni di chi si avvicina spontaneamente a noi”, questo è stato reso noto dall’associazione stessa che si occupa dei responsabili di atti di violenza". In riferimento al giovane hanno aggiunto: “l’avvicinamento spontaneo avviene più facilmente quando si tratta di giovani perché sono più propensi a riconoscere di avere un problema. Così è stato per il ragazzo che si è avvicinato a noi rivedendosi nel drammatico caso di cronaca dei mesi scorsi, sollecitando aiuto prima che la situazione degenerasse".L’iniziativa rivolta agli uomini maltrattanti prende vita da un protocollo siglato tra la questura di Pordenone e l’associazione Istrice: uno spazio di ascolto rivolto a chi ha commesso atti di violenza di qualsiasi tipo sulle donne, avviando un percorso di crescita, consapevolezza, maturazione e comprensione delle reali responsabilità delle loro azioni, agendo sul rischio di recidiva. E’ auspicabile che questo sia uno strumento che punti a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne in modo diverso e più efficace rispetto al passato.


15.7.24

il caso Morgan di - francesca pili

 E ancora tanti, troppi, uomini (ominicchi — senza alcuna educazione sentimentale, affettivamente immaturi, incapaci di affrontare i propri limiti e i propri fantasmi, e di avere delle relazioni adulte, equilibrate, sane, funzionali, paritetiche, insomma: degne di essere definite tali, che dovrebbero lavorare su loro stessi, trovare l'umiltà e il coraggio di mettersi in discussione, riconoscere la dannosità e decidere di decostruire certi schemi comportamentali, spesso di genere, atavici e precostituiti, in vari casi pure farsi aiutare da professionisti, e

invece cercano di rivalersi sulle donne con le quali intrecciano o vorrebbero intrecciare dei rapporti —, ché gli uomini dovrebbero essere un'altra cosa), come Marco Castoldi, noto Morgan, pensano che le donne non appartengano solo a se stesse, non siano esseri pienamente senzienti, autodeterminati e autodeterminanti, che hanno il diritto di fare le proprie scelte, non siano libere, ma un loro possesso, un oggetto di cui disporre a piacimento, non accettano un "no" come risposta, e, se questo arriva, iniziano a perseguitarle con mille forme di abusi, dallo stalking, al revenge porn, ai ricatti e dalle minacce di rovinare loro reputazione e carriera, l'esistenza, a quelle di far loro, oltre che psicologicamente ed emotivamente, pure fisicamente del male (Morgan, con amici, parlava neanche tanto velatamente di voler per forza avere dei rapporti sessuali — «devo svuotarmi le palle» dice, che importa ciò che vuole o non vuole lei — con Angelica Schiatti, con la quale aveva avuto una breve frequentazione a singhiozzo, terminata da anni, sebbene lei certo non desiderasse la stessa cosa, sebbene lei non volesse proprio avere a che fare assolutamente nulla e in alcun modo con lui, insomma, diciamolo chiaro: parlava di volerla stuprare, e aveva pure affittato una casa vicino alla sua per poterla perseguitare meglio — una vicenda aberrante, terrificante, da pelle d'oca), rendono la loro vita impossibile, un incubo continuo, sentirsi braccate, avere costantemente paura, non sentirsi più libere di vivere, di amare, di fare ciò che vogliono, di andare dove vogliono, di frequentare chi vogliono, di essere ciò che sono, spesso perseguitano anche le persone che stanno accanto a queste donne: amici, amiche, amicə, compagni, compagne, compagnə o parenti (in questo caso, il compagno di lei, il cantautore Calcutta, e la madre).Uomini che non hanno capito, o, meglio, che non riescono ad accettare, che non intendono accettare, che una donna è libera, non è un loro possesso, che amare significa condividere un pezzo di strada, che può essere breve o lungo, durare pure una vita, con lei, ma nella piena libertà, nel pieno rispetto della persona, degli spazi, dei tempi, della volontà, delle passioni, dei desideri, nella piena fiducia; che l'amore, quello vero, è libertà, non catena, e coercizione, senso del possesso, prevaricazione, violenza, abuso, manipolazione, ricatti, minacce.L'amore non è mai limitazione della vostra né dell'altrui libertà.Se non volete che una donna, che la vostra compagna di vita, così come qualunque altra donna, sia libera, se pensate di avere il diritto di pretendere, di decidere per lei, di costringerla a qualcosa, di controllarla, di cambiare il suo modo di essere, non l'amate, non l'avete mai amata, non sapete nemmeno cosa sia l'amore. Scappate lontane anni luce da un uomo che crede che donna libera sia sinonimo di donnaccia (e che crede nel concetto stesso di donnaccia), che pensa che una donna libera sia un pericolo o una minaccia, anziché ciò che naturalmente, per sua natura è, per vostra natura siete, per nostra natura siamo, innanzitutto come esseri umani, esattamente come ogni essere umano, proprio come lui — se poi lui non è libero, ma imprigionato da se stesso, dalle sue paure, dalle insicurezze, da traumi mai voluti affrontare, la responsabilità non è certo vostra: voi potete stargli accanto, rassicurarlo, ma il percorso di liberazione di e da se stesso, nel modo utile, spetta a lui, e, se non vuole farlo, non è e non deve diventare una vostra responsabilità: andatevene, non siete la sua terapeuta; scappate lontane anni luce da un uomo che cerca di manipolarvi per farvi sentire sbagliate, indegne, colpevoli di chissà che, per convincervi che, se non gli lasciate limitare la vostra libertà, in qualsivoglia modo, non lo amate veramente, e, magari, meritate pure di essere, in qualche modo, a vari livelli, "punite". Se davvero vi ama, se vi stima, se vi rispetta, dovrebbe amare prima di tutto proprio la vostra libertà, dovrebbe trovare a dir poco meravigliosa la vostra libertà, che è ciò che vi rende, perché vi permette di esserlo, esattamente quello che siete; dovrebbe amare, stimare, rispettare la vostra autenticità, le vostre peculiarità, la vostra individualità, la vostra personalità, la vostra unicità, la vostra vita.Non può mai volervi subordinata, in alcun modo, in nessuna cosa, non può desiderare che proprio e soprattutto con lui non vi sentiate libere.Dovrebbe essere felice e orgoglioso che siate una donna libera. Dovrebbe voler condividere questa libertà con voi. Dovrebbe volere che siate libere, e felici. Dovrebbe voler essere libero, e felice, insieme a voi.Scappate lontane anni luce da uomini che vi trattano come una loro proprietà e vorrebbero spacciarvelo per amore: l'amore non è mai, mai, mai possessione. L'amore con questo schifo non c'entra nulla.E quanta gente sa, e tace, e copre uomini del genere, fino a che, spesso, non è troppo tardi (e siamo già alla violenza finale, l'ultimo atto, nient'altro che la punta di questo enorme iceberg: il femminicidio), in questa maledettissima società patriarcale, ancora così terribilmente maschilista e misogina! Siete complici!
E questo vale sempre: https://www.facebook.com/share/p/iPetZUwr6wThyGBg/

Sono vent'anni che si susseguono proposte di legge per l'introduzione di codici identificativi per gli agenti di polizia ma nessuna di queste è mai stata approvata

 Sono vent'anni che si susseguono proposte di legge per l'introduzione di codici identificativi per gli agenti
di polizia ma nessuna di queste è mai stata approvata. Perché? Ne parliamo nella nuova puntata di Mele 🍏

➡ https://open.spotify.com/show/1LuWOPevfjqV0RmrBF37C1 


➡ https://podcasts.apple.com/it/podcast/mele/id1647401353 

https://podcasts.google.com/feed/aHR0cHM6Ly93d3cuc3ByZWFrZXIuY29tL3Nob3cvNTY3NTczMS9lcGlzb2Rlcy9mZWVk


anche le donne rap \ trap s'adeguano al sessismo dei colleghi il caso di Anna Pepe


Da #AnnaPepe una donna che è riuscita a imporsi in un ambiente : maschilista e misogino e di ( ovviamente  senza  generalizzare  troppo   anchge  se  quel poco  che  si  salva  è lo 0,05 %  )  Brani effimeri, privi di soluzioni rigeneranti per l’ascoltatore medio e interpretati da aspiranti cantanti, barcollanti nell’intonazione e nel senso ritmico  come  dice   un esperto   musicale  : <<  Trap Remo, il festival dell’incompetenza musicale diffusa - Pentagrammando (antoniodeiara.it) >> come quello #rap, il sottogenere #trap.,in particolare , che abitualmente ( al 99.95 % ) veicola una visione poco edificante della donna, sessismo , edonoismo sfrenato , violenza , ecc .
Ė il talento non le manca sarebbe lecito aspettarsi una presa di posizione, un racconto alternativo. Non è proprio così. Peccato. un opportunità per portare un cambiamento in un genere e un sottogenere giovanile molto diffuso . Che partito come uno sfogo alle frustrazioni , al disagio , alla denuncia sociale sia degnerato in : crimalità disvalori sessismo,omofobia , misoginia tuute caratteristiche alla base del femminicidio \violenza di genete

Nuova intimidazione alla sua azienda. Ma Patrizia Rodi Morabito resiste: non lascio la Calabria



la calabria non solo società sparente , emigrazione ed omertà come ( ne ho parlato precedentemente in un post ) nel caso di SAN LUCA, ASPROMONTE Terra di ’ndrangheta Il Comune calabro dove nessuno si è candidato è di nuovo commissariato Tra abbandono e omertà, qui il tempo torna indietro E il futuro non arriva mai, ma che di resistenza e di lotta come il caso Patrizia Rodi Morabito  (  foto a sinistra   tratta   dalla stessa  fonte  dellì'articolo ) , proprietaria di uun azienda agricola e imprenditrice di Rosarno, vicepresidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, che subisce minaccie ed attentati .
 Ma non si arrende .
E' notizia di questi giorni di


da www.avvenire.it

Secondo incendio in appena due settimane all’azienda agricola di Patrizia Rodi Morabito, imprenditrice di Rosarno, vicepresidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, dirigente di Coldiretti e membro del Servizio per la pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Oppido Mamertina-Palmi. È la quarta intimidazione in soli quattro mesi all’azienda di famiglia “Tenuta Badia-Rodi” che coltiva soprattutto ulivi, agrumi e kiwi in biologico.lo scorso 5 marzo le sono state tagliate e incendiate alcune piante secolari di ulivo. Il 16 marzo ignoti hanno abbandonato rifiuti di ogni genere davanti al cancello dell’azienda, mentre altri rifiuti sono stati lasciati all’interno del terreno. E nella stessa tenuta hanno divelto una sbarra di accesso. Uno sfregio commesso il giorno dopo la visita del prefetto di Reggio Calabria, Clara Vaccaro, e del presidente della Camera di commercio, Antonio Tramontana, un gesto di solidarietà e attenzione nei confronti dell’imprenditrice. Quindici giorni fa proprio dai rifiuti è partito l’incendio che ha danneggiato l’impianto irriguo e quattro ettari coltivati a kiwi. Ieri altre fiamme, questa volta partite non dalla strada ma all’interno dell’azienda, in un luogo simbolico, dove nel 2000 erano stati incendiati dei capannoni i cui scheletri anneriti sono ancora lì perché, dice l’imprenditrice, «si veda bene cosa fanno». Proprio da lì le fiamme hanno poi raggiunto l’uliveto, facilitate dall’erba alta che non viene tagliata perché si tratta di coltura biologica con norme molto severe. Poco prima delle 10 si è così alzato un denso fumo nero, ben visibile da lontano. Per fortuna sono arrivati rapidamente sia i carabinieri sia i Vigili del fuoco, limitando i danni .
Ma il messaggio è ben chiaro, come sottolinea anche il vescovo, monsignor Giuseppe Alberti, che ha chiamato l’imprenditrice. «Evidentemente vogliono che lei se ne vada, che abbandoni – ha dichiarato il presule –. Vogliono impossessarsi della sua azienda per i propri interessi. Per questo dobbiamo tutti sostenerla, esserle vicino, contribuire al suo impegno. Non è sola e non sarà sola». Profondamente credente, Patrizia Rodi Morabito ha accettato l’invito del vescovo a contribuire alla crescita della Diocesi, come membro del Servizio per la pastorale sociale e del lavoro. Così ha partecipato alla recente Settimana sociale dei cattolici, svoltasi a Trieste, portando la sua esperienza di imprenditrice calabrese. «Ho incontrato una Chiesa in cammino, attiva, piena di iniziative. Sono tornata sentendo la responsabilità di mettermi in gioco», riflette. E per questo, torna a ripetere, «io da qui non me ne vado, questa è la mia terra e qui devo restare. Per difendere il Creato e per dare lavoro vero e giusto ai giovani che purtroppo se ne devono andare». Ma anche, come già ha fatto, facendo della sua azienda un “laboratorio” sulla salvaguardia del Creato, la legalità, la giustizia sociale.
Il suo è un richiamo anche ad altri, al “noi”. «Il cuore della democrazia lo ritroveremo insieme laddove si è persa la via, lo cercheremo nei luoghi dove è in affanno, dove è stato coperto da detriti sociali, non più rimanendo un passo indietro agli eroi solitari, ma in una comunità che nel quotidiano, in un difficile passaggio dall’io al noi, riscopra i gesti semplici di ognuno, restituendo ad ogni momento, ad ogni persona, la sua dignità, la sua forza, riconosciute e sostenute dalle parole che esprimono i principi della nostra Costituzione». C’è molta attenzione degli inquirenti alla sua vicenda. Anche perché i terreni dell’azienda agricola sono in una posizione strategica che domina lo svincolo autostradale per Rosarno, a pochi chilometri sia dalla cittadina sia dal porto di Gioia Tauro. Un’area sicuramente interessante per gli affari della ‘ndrangheta.

14.7.24

San Giovanni Suergiu, assunto e licenziato: non ha la terza mediaPer Stefano Sulas niente stabilizzazione dopo 29 anni di precariato: la scoperta dopo la firma del contratt

La  storia    di   Stefano Sulas ( scusate  se la pubblico  integralmente  , non m'andava  e poi  non   ci  sono riuscito   ,  di riassumerla )  conferma  il paradosso  , datemi pure   del  populista \  qualunquista , tipico    di  un sistema politico  \  culturale    che  discrimina  \  penalizza   le persone    che  non hanno  
    Stefano Sulas (65 anni) mostra il contratto
di lavoro annullato
 dopo le verifiche su  i suoi  documenti 
 avuto  la possibilità    d'istruirsi scolasticamente .  Infatti   non sapevo  che  per  fare  i lavori socialmente utili    ci volesse   la  terza media  . Ma  allora    mi chiedo   come  hanno fatto  a  fargli fare    tutti quei  corsi   .
 Essa  è   il paradosso \  dilemma    della   burocrazia   assurda  ed astrusa   che  non distingue la regola dall'eccezione  . E  permette   che   gli acculturati non scolasticamente   vengano discriminati  , mentre   ignoranti   e  Gaffers    (    vedi un famoso  ministro di questo  governo    che  confonde  Pompei con il   Colosseo   o   dice  che Colombo  era  contemporaneo di Gallileo )   vengono  osannati  dal media  maistream  e   sono al  potere  .  Ingnorano    che  le  vite  come la  sua  sono  più  dignitose  della loro  e che    ha faticato  per  vivere  onestamente   e  ha  sempre  dimostrasto la dignità e  il  suo valore  erchè non è  solo   un pezzo di carta   a  detterminare  una persona  e  il suo impegno ed  passione  che  ci  mette nel  prorio lavoro ed  i sacrifici  fatti per  dare  alla famiglia   una  vita  dignitosa  . E poi il fatto di non aver pouto studiare  ed essere  andato a lavorare  dopo la  terza  elementare    non significa  che   persone  come lui    siano senza  valore  perchè non è un pezzo di carta  che dettermina il valore  e le  competenze   di  una persona  ma  come esso agisce  con quello che ha  imparato ( ed  impara  semre  visto chje nella  vita  non si  finisce  mai     d'imparare  ) con  : umiltà  , sacrifici  , ed  assenza   di giudizio  

Ma  ora  basta parlare      eccovi la  sua      storia  

unione  sarda    14\7\2024

San Giovanni Suergiu
Aveva già firmato il contratto a tempo indeterminato dopo una vita da precario. Ma il sogno è svanito quando dopo i controlli si è scoperto che non aveva mai conseguito la licenza media.
Stefano Sulas, 65enne di San Giovanni Suergiu, si era fermato alla terza elementare e il Comune non ha potuto stabilizzarlo. «Mi è crollato il mondo addosso – racconta l’operaio – eravamo due Lsu in attesa di stabilizzazione. L’altro collega ce l’ha fatta. Io no. Siamo andati insieme al Comune per firmare il contratto. È passato qualche giorno poi è accaduto quello che non avrei mai immaginato». Dopo 29 anni di lavori socialmente utili e un’esperienza nella zona industriale di Portovesme Stefano Sulas sognava di arrivare alla pensione (potrà andarci tra un anno e nove mesi) con il posto fisso. «Nei giorni scorsi – racconta sconfortato – sono andato in Comune per annullare il contratto».
IL DISPIACERE
«Per me è una notizia terribile – racconta l’operaio – speravo di avere tutti documenti in regola. Si sarebbero dovuti informare, invece ho scoperto di non poter avere il contratto dopo la firma. Nessuno mi aveva detto del titolo di studio, ho sempre fatto tutti i corsi per poter lavorare. Se l’avessi saputo avrei preso anche la licenza media. Io in buona fede nell’autocertificazione ho scritto di aver frequentato fino alla terza elementare. Ora sono fermo in attesa di poter riprendere a lavorare come Lsu, ma sono molto deluso e dispiaciuto. Non riesco a darmi pace. Mi sembra di vivere in un incubo. Dopo alcuni anni di lavoro a Portovesme sono stato in cassa integrazione e mobilità. In seguito ho iniziato a con i lavori socialmente utili. Ho sempre lavorato da quando avevo otto anni, portando i buoi in campagna. La mia era una famiglia numerosa e la priorità era portare il pane a casa».
GLI AMICI
Nella frazione di Is Urigus, gli amici di Stefano Sulas sono dispiaciuti. «Nei giorni scorsi era felicissimo di aver finalmente firmato il contratto – dice Giuseppe Steri – siamo addolorati per Stefano. Ha lavorato per tanti anni e proprio adesso che vedeva vicina la pensione ha dovuto subire questo duro colpo». «L'amarezza dell’operaio è la stessa che prova l'amministrazione comunale che ne ha fortemente voluto la stabilizzazione – spiega la sindaca Elvira Usai - ma di fronte alle verifiche di legge, che siamo tenuti ad effettuare, e che hanno attestato la mancanza del requisito, non possiamo che riportare alla situazione lavorativa precedente l'operaio. Infatti, da lunedì riprende regolarmente a lavorare per il Comune, ma con il contratto da Lsu».

                                   Fabio Murru

Il sindaco ingrassa di 40 chili, il paese scende a correre con lui per farlo dimagrire: «Mi hanno dato del panzone»

da www.leggo.it


Perdere peso
 e rimettersi in forma può essere difficile, soprattutto se si è costretti a compiere l'impresa da soli.
Ma a Luciano Fregonesesindaco di Valdobbiadene (Treviso) da ormai dieci anni, il supporto non manca: l'appuntamento fisso è alle 19.30, il giovedì, quando i cittadini si incamminano con lui tra le colline e i vigneti per aiutarlo a non mollare, a fare quel passo in più per rimanere attivo. D'altronde il mestiere del sindaco non è semplice, forse troppo sedentario, e quei 40kg messi su dal primo mandato vanno bruciati, ma è meglio farlo in compagnia. I risultati? Magari non saranno promettenti come quelli delle elezioni, ma ne vale comunque la pena. 

L'iniziativa: camminata col sindaco

La prima uscita risale a qualche settimana fa, ed era sempre un giovedì. Luciano Fregonese si è incamminato, verso le sette e mezza di sera, e pian piano dietro di lui è cresciuta la folla: all'inizio erano meno di 50, ma poi il passaparola ha fatto la differenza e più di 100 cittadini - a volte 150, a volte 130, a seconda della temperatura e degl impegni - hanno percorso le strade sterrate al suo fianco, supportandolo nell'impresa. Come riporta il Corriere del Veneto, l'età è variabile, dai sei ai settant'anni, e gran parte dei partecipanti sono donne, «perché noi siamo meno pigre di voi maschietti», avverte una mamma che ha preso l'impegno di controllare il chilometraggio e il tempo impiegato.
Il sindaco aveva provato ad affrontare da solo a perdere peso, «a mangiare una volta al giorno, ma niente da fare». Ora ha un motivo in più per continuare, per riuscire e per mettere un piede davanti all'altro. Solitamente le camminate si protraggono per circa 5km, a volte un po' di più, e si passa un'ora in compagnia, tra chiacchiere di vario tipo, commenti sull'immondizia scaricata nel posto sbagliato e un lampione che non funziona. Una volta raggiunto il traguardo, sudato magari ma soddisfatto, Luciano sorride ai suoi cittadini, li ringrazia e dà appuntamento al prossimo giovedì. 
La corsa
«Mi hanno dato del panzone tempo fa, scritto su un muro - racconta Fregonese al Corriere - Non mi sono offeso, dopo 20 anni da amministratore, questo è il risultato. Somministrare ingrassa, ingrassano gli obblighi conviviali, le lunghe deliberare con effetti micidiali sui partecipanti». A Valdobbiadene è diventata un'istituzione. E' stato da poco confermato per la terza volta nella carica di primo cittadino. Il problema, insomma, è che all'atto del primo insediamento nel Comune, 10 anni fa, la bilancia segnava 90 kg; oggi 130. Ora tutto il paese tifa per lui, e il suo saluto. Giovedì prossimo, in piazza alle 19.30, c'è un nuovo appuntamento con la corsa di saluto

Storie di migranti e andrangheta : da Roccantica a New York. Una storia di famiglia ., DOVE LO STATO NON ABITA PIÙ: SAN LUCA, ASPROMONTE

 due storie    ua   d'emigrazione  del secolo scorso    un  altra  delle  cause  . che confermano lo studio  de la  società sparente  di  Emiliano morrone  (  wikipedia  e   account  facebook    )

er  approfondire  
emigrati.it - associazione internet degli emigrati italiani


da https://lavocedinewyork.com/people


Storie di migranti: fu così che Vittoria tenne fede al suo nome 1912, da Roccantica a New York. Una storia di famiglia testimonianza dell'esodo

di Luigi Troiani *



Vittoria e il marito Antonio / Per gentile concessione della famiglia Perfetti-Feroli


Nonostante il rarefarsi dei protagonisti dell’esodo dall’Italia nel secolo dell’emigrazione (1861-1970), la memorialistica dedicata al fenomeno continua a godere ottima salute. Se le generazioni che hanno ispirato quelle pagine poco alla volta tendono a scomparire, sono spesso i figli e i nipoti a testimoniare quella che giustamente considerano epopea di famiglia, anche per senso di gratitudine e rispetto.



Nel genere, non tutte le pubblicazioni meritano eguale stima sotto il profilo letterario, ma – quando sincere e documentate – tutte vanno ad arricchire l’elenco dei racconti di vita collettiva e individuale che formano la memoria mai colma, necessaria alle comunità di destinazione e di origine. Solo attraverso quella memoria si possono rinsaldare i legami privati. Ma anche quelli pubblici – istituzionali, culturali ed economici – che tante località italiane hanno costruito con i 



luoghi dove loro ex cittadini sono emigrati.Simone Feroli

Un buon esempio di come questa memoria detta memoria possa essere tramandata, viene da Storia di una emigrata, un lavoro di Simone Feroli che non casualmente porta in premessa una frase di Wang Shu: “Perdere il passato significa perdere il futuro”.

La narrazione si occupa della vicenda della zia dell’autore, “Vittoria, che nel 1912 partì per una nuova vita negli Stati Uniti”, abbandonando Roccantica, comune della provincia di Rieti, a 26 anni. Siamo all’antivigilia della Prima grande guerra, e la giovane donna parte, come altre centinaia di migliaia di italiani, per il mal operare degli allora governanti, che invece di dedicarsi allo sviluppo delle sacche di povertà del paese, andavano per guerre coloniali nel Mediterraneo, combattendo l’impero turco per sottrargli i territori libici.

Viaggia da sola verso Napoli e prende, come milioni di connazionali, il transatlantico della speranza, che al termine della lunga e faticosa traversata approda vicino a Liberty Statue, inaugurata proprio nell’anno di nascita di Vittoria. Benché debba lasciarsi dietro gli affetti che l’hanno accompagnata dalla nascita, ha deciso di lasciare la vita contadina, tra campagna, mulino e forno, botti di vino e di olio, e sfidare la sorte della vita nel paese sconosciuto ma “favoloso”. Se ne sente attratta e spera che lì possa svoltare.

Non va completamente allo sbaraglio: ad attenderla, come capita a un po’ tutti gli italiani che sbarcano al molo di Ellis Island, ci sarà un parente o un amico di famiglia. Vittoria, dopo il lungo viaggio in mare iniziato il 18 aprile è attesa mercoledì 1° maggio dal cugino Attilio che con la moglie Olga vive a Eastchester nel Westchester newyorkese. Al cugino toccherà trovarle un giaciglio e qualche lavoretto, tanto per cominciare. Poi sarà lei a darsi da fare. L’arrivo ad Ellis il giorno della festa dei lavoratori è comunque di buon auspicio.

A poco più di quattro mesi dall’arrivo, Vittoria andava in sposa a tal Antonio Cinquina, vedovo, con il quale sarebbe rimasta tutta la vita. Adesso era “sistemata” come si diceva allora, aveva casa e famiglia a Tuckahoe e ne era la “padrona”. I coniugi Cinquina si sarebbero presto trasferiti nel Bronx e qui avrebbero allevato i figli che nel frattempo, come usava, il buon Dio inviava copiosi.



Per l’autore ricostruire i fatti della quotidianità, all’interno del progressivo inserimento di Vittoria nella società americana, con il contestuale progressivo distacco dal passato italiano, è obiettivamente difficile, a causa della frammentarietà delle testimonianze orali e scritte e della facilità con cui le une possono entrare in conflitto con le altre. Dal quadro complessivo si ha il relato di una vita sufficientemente armoniosa, costellata di qualche sventura e di tante gioie. Vittoria e Antonio mettono al mondo cinque figli che vanno ad aggiungersi a Michelina, dote del primo letto.
Agli atti del censimento del 1925 il nucleo famigliare figura ancora compatto allo stesso domicilio. Il capofamiglia è operaio in una raffineria di zucchero, Vittoria è casalinga. Nel censimento del 1950, riporta Feroli, “risulta che Antonio di 71 anni e Vittoria di 64 a casa erano rimasti da soli. I figli si erano sistemati, chi più e chi meno.” A parte Enrico, chiamato a combattere nel luglio 1943 -e morto col grado di caporale nel marzo 1945 – quattro giorni prima del ventiseiesimo compleanno – da radio-operatore nel 579th 392th Bomb Group. Lo avrebbero insignito della “Purple Hearth”. Aveva gli anni di mamma Vittoria all’arrivo a Ellis Island.
Tante e belle le foto di Roccantica che, in coda, corredano il libro di una fetta d’Italia sparita.

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Insegna Relazioni Internazionali e Storia e Politiche UE all’Angelicum di Roma. Coordino le ricerche e gli studi della Fondazione Bruno Buozzi. Tra i promotori di Aiae, Association of Italian American

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DOVE LO STATO NON ABITA PIÙ: SAN LUCA, ASPROMONTE

Terra di ’ndrangheta Il Comune calabro dove nessuno si è candidato è di nuovo commissariato Tra abbandono e omertà, qui il tempo torna indietro E il futuro non arriva mai

Un vecchio canto della Locride vuole che, da queste parti, in mezzo all’aspromonte, un professore iniziò a sezionare centinaia di banditi morti. Cercava tracce di tanto rancore esploso col brigantaggio dopo l’unità d’italia e poi, più tardi, con l’onorata Società. Molti risultarono ammalati di cuore. I più riportavano invece strani funzionamenti delle ghiandole surrenali: da cui, la ferocia incontenibile. “Li sudditi son tutti immiseriti – suonava il canto – ministri, senatori e deputati fanno communa e vui padre Vittorio (Vittorio Emanuele II, ndr) non guardate. Vui jiti a caccia, fumati e durmiti”.

Ad aver paura di guardare, qui, a San Luca, non è stato solo il re. Alle amministrative, meno di un mese fa, non si sono presentati candidati. Come già nel 2017 e nel 2018. Dopo lo scioglimento per mafia nel 2013, il Comune è stato sempre commissariato. Prima per infiltrazione mafiosa, poi, nel 2015, per il non raggiungimento del quorum dei votanti. E infine perché nessuno si era candidato. “È la nostra protesta contro lo Stato”, dissero i cittadini. Fino al 2019. Quando ad avere il coraggio di presentarsi e a essere eletto fu l’infermiere in pensione Bruno Bartolo, 73enne. Raggiunto oggi da quattro avvisi di garanzia (per ipotesi di reati ordinari, non di mafia), ha deciso di non ricandidarsi. “Nessun condizionamento né pressioni di ’ndrangheta – spiega – le istituzioni non mi hanno aiutato. L’avviso di garanzia è stato un pugno allo stomaco, ma il motivo è la solitudine”. Così il tempo a San Luca è tornato indietro, come solo in Calabria accade. A occuparsi dell’ordinaria amministrazione è tornato un commissario. E, ancora, si è insediata la Commissione d’accesso antimafia, per accertare eventuali condizionamenti nell’amministrazione Bartolo. Ad annunciarla, la presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo. Direttamente da San Luca: “È emersa un’inerzia totale dell’amministrazione. Siamo qui per sostenere la speranza di chi non vuole assoggettarsi al mandamento di questo territorio. E abbiamo il compito di dire alle donne e ai bambini che cambiare si può e si deve”.

Visto dall’alto San Luca – assieme a Platì e ad Africo tra i paesi più isolati della Locride, pur essendo coi suoi 105 km² di area montana il secondo Comune della provincia di Reggio Calabria – è una macchia grigio-gialla. Spunta dalla pancia di un vallone che cinge l’aspra montagna, “montagna bianca” in greco. Una fiumara prosciugata, a un fianco, rocce sospese su voragini, dall’altro. Sospese e abbandonate come le vite dei suoi 3.700 abitanti che paiono fantasmi. Qui sono imparentati tutti con tutti. E hanno il cognome pesante: Nirta, Strangio, Pelle, Vottari, Mammoliti. Gli arrestati per 416bis sono 115, 250 quelli per associazione finalizzata al traffico di droga, 50-60 i residenti raggiunti da altre misure cautelari. “Ma non simo tutt’ d’ndrangheta, chiaro?”, dice Don Tonino Saraco, rettore del Santuario della Madonna di Polsi, il luogo sacro finito su giornali e tv di tutto il mondo per i famosi summit di ’ndrangheta in cui i vertici di tutti i “Crimini” o “Province” erano soliti incontrarsi, per alleanze, strategie, riti di iniziazione. Era il 2010 quando le telecamere dei carabinieri li ripresero riuniti attorno a Domenico Oppedisano, capo-crimine di allora, ma esiste traccia di questi incontri dalla fine dell’800. Don Tonino è il religioso scelto per riportare il santuario “all’immagine di ciò che deve essere: luogo di preghiera e di accoglienza dei pellegrini ma anche spazio di crescita sociale e civile che non si concilia con illegalità e malavita”. E, nonostante le intimidazioni, don Tonino, uno di quei calabresi cocciuti e veraci, sta portando avanti la sua missione: ha spostato l’effigie della Madonna adorata dai boss (non c’è bunker per i latitanti che non ne conservi l’immagine o la statua) per far spazio al busto di don Giuseppe Giovinazzo, parroco decapitato nel 1989 proprio all’ombra di Polsi; ha preso con sé a lavorare alcuni detenuti da reinserire; ha collaborato per ripulire l’area mercatale, lì dove ogni bancarella veniva assegnata seguendo gerarchie mafiose. “Eppure non si esce dalla rappresentazione di San Luca come il ‘Locale-mamma’ di ’ndrangheta. Ci manca il coraggio di ribellarci pubblicamente. Per paura, per autodifesa. Ma stiamo facendo, pur se silenziosamente, cose straordinarie”.

È che in certe situazioni, lo sforzo di evitare il conflitto aperto può diventare omertà. E la Chiesa per molti anni, con l’ex parroco di San Luca e del santuario di Polsi, quel don Pino Strangio condannato in primo grado a 9 anni e 4 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa, è stata connivente se non protagonista. Si deve a monsignor Francesco Oliva, vescovo della Locride, un cambio di passo. Al posto di Strangio, ha nominato parroco dell’unica chiesa di San Luca un 35enne al primo incarico, Don Gianluca, che ha aperto l’oratorio che qui non esisteva. Il vescovo ha scritto una lettera alla cittadinanza: “La mancata presentazione di liste è una resa. Conosco le sofferenze e le ferite di questa comunità, ma il governo della Città è nelle nostre mani e non possiamo arrenderci. Altrimenti abbiamo perso tutti, lo Stato e la Chiesa”. Così è nata l’idea di lanciare una scuola di formazione politica, “perché abbiamo bisogno di una buona politica, cosa difficile ma possibile. Alcuni paesi hanno

perso la fiducia nelle istituzioni, credono che non valga la pena andare a votare... non dobbiamo accettarlo”.

A San Luca alle ultime politiche l’affluenza è stata del 22%. È una vecchia storia quella del paese appestato e dimenticato. Da quando – era il 1592 – i pastori montanari dell’antico villaggio di Potamìa, costretti dalle frane, scesero più a valle a fondare San Luca. Cominciò così, tra miseria e sofferenza, la vita errante di questo popolo, con il miraggio di mutevoli terre promesse. Ieri le ricchezze accumulate negli anni dei sequestri. Oggi quelle del narcotraffico mondiale. È qui che passano la droga e le armi che riforniscono le piazze di tutte le mafie. È qui che sono nati e cresciuti i rampolli delle note famiglie – tutti giovanissimi, anni 2000 – tra i latitanti più pericolosi del Paese. Ed è da qui che 16 carabinieri, comandati dall’ottimo maresciallo maggiore Michele Fiorentino, di stanza a San Luca da 21 anni, instancabilmente danno la caccia alle stesse famiglie, agli stessi cognomi, alle stesse persone. Chi, come il brigadiere Carmine Tripodi, anche a costo della vita. “Sono passate le generazioni, ma siamo tornati indietro. Sa cosa si dice qui? Che se non avete un precedente non vi potete sposare...”, racconta con un riso amaro il comandante. “È un gioco delle parti: noi stiamo da una parte, loro dall’altra”.

La gente ha paura di restare, ha paura di venire, ha paura di lavorare a San Luca. Eppure, a colpire sono le tante macchine di cilindrata pesante – con targa tedesca, come un memento di Duisburg – che si muovono su strade deserte in mezzo alle classiche case “non finite” calabresi, coi piani di mattoni in dote per le figlie femmine e i fiocchi ai cancelli per la Madonna di Polsi. Soldi, tanti, ne circolano (leggendario il ritrovamento da parte dei carabinieri di sei milioni di euro sottoterra). Donne in giro non se ne vedono. Solo uomini, anziani, a cercare ombra sotto gli oleandri o seduti sulle ringhiere. Nonostante l’indice giovanile tra i più alti d’italia – 785 ragazzi su 3.700 abitanti – la vita ha mantenuto molti dei vecchi usi, oltre ai principi dell’onore e del rispetto. Le ragazze, per esempio, vengono “scelte” durante la “vetrina” della processione di Pasqua. Si sposano ancora bambine e fanno di media 4-5 figli. Poi vivono in casa, chiuse. È un’italia, se è Italia, di 80-100 anni fa. C’è chi, come il Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, è convinto che per luoghi “costituzionalmente incompatibili con lo Stato di diritto”, ci sia bisogno di “un progetto che metta in campo strumenti non ordinari, altrimenti il rischio è lo sfiancamento dello Stato”. E lo Stato qui si conosce solo quando viene inaugurata una caserma: allora si vedono ministri e qualche politico locale. Ma quando ha aperto quella ad Africo Nuovo, in un ex villone sottratto ai Morabito, nessun cittadino si è presentato. Anche i bambini con le bandierine tricolori erano scolari di un altro paese. “Queste persone sono rimaste ostaggio di quella agenzia diseducativa che si chiama ’ndrangheta e hanno visto la politica trattare coi propri aguzzini. Facile dire loro ‘ribellatevi’... La strategia qui è da sempre la stessa: siamo al quarto commissariamento. Ma nel frattempo i processi democratici non sono cresciuti né sono stati sgominati i clan, quindi...”. Francesco Mollace è uno di quegli insegnanti che ci crede tanto. Docente di Filosofia e storia e membro del Forum regionale terzo settore e scuola, è il presidente di Civitas Solis, che gestisce, assieme a Save the Children, il “Punto Luce” di San Luca. L’unico spazio di aria – assieme a Libera con la sua referente Deborah Cartisano – per bambini e mamme del luogo. Coi loro progetti, dai corsi di robotica alla musica, dalla ginnastica all’inglese, Francesco e le educatrici dimostrano che, con un’alternativa, è possibile togliere a questi ragazzi lo stigma che suona come una condanna: “Sono di San Luca”. “C’è un enorme potenziale che, se non orientato, prende altre vie. Bisogna che qualcuno ci creda. In Calabria abbiamo, tra gli studenti, il più alto tasso di competenze alfabetiche e numeriche non adeguate e il più basso indice di lettura di libri e quotidiani (4%). Il cancro puoi decidere se curarlo sezionando, tagliando, asportando. Oppure, come sta avvenendo in oncologia, rigenerando i tessuti, con l’immunoterapia”.

Nicola Gratteri, profondo conoscitore di queste terre, ripete in continuazione “meglio una scuola che un carcere”. Ma a San Luca di scuole ce n’è una sola e senza un dirigente fisso da oltre due anni. Il padre di Corrado Alvaro, scrittore che qui è nato, era un maestro. Fece “un patto con l’avvenire. Che quanti figli avrebbe avuti li avrebbe fatti studiare”. Ma l’incitamento continuo era di “abbandonare il paese maledetto”, ricordava il figlio Corrado. Che mai dimentico dei suoi anni a San Luca, scrisse: “L’adolescenza è una riserva per quando la fantasia avrà cessato di parlare”. Ma ci sono luoghi in cui da sempre resta muta. O quasi.

Secondo voi una donna di 46 anni che non si è sposata e non ha avuto figli è incompleta o completa ? io la risposta la ho . ma Vorrei sapere cosa ne pensate.

 colonna  sonora    Bandiera  -  di Giulia  Mei   Secondo alcuni mie utenti di fb che hanno commentato questo mia provocazione ...