3.1.18

R. B di © Daniela Tuscano



E va bene, definirlo apollineo non è originale. Semmai, tautologico. Ma abbiamo alternative? Roberto Bolle è una metempsicosi artistica, la materializzazione dei sogni di Winckelmann. Non la Grecia, ma un'idea di essa. Una bellezza pensata che taluni scambiano per freddezza.
Ma Roberto vive, sublimando le passioni. Chi l'ha visto all'opera, anzi all'impresa, ne percepisce la fisicità possente e travagliata. C'è sofferenza dietro il genio, l'impossibilità di sentirsi normale, la severa armonia. Bolle quando tocca, quando bacia, è un fremito mediterraneo. Sa gestirsi, adesso che ha raggiunto - di slancio - il termine della carriera. Vuol essere popolare senza scadere nel pop. Immancabilmente ecumenico, ineccepibile nelle evoluzioni. Cosicché gli si possono perdonare i peccati. Eventuali, nascosti, occulti. 
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È una gloria italiana, Roberto. Lo è realmente, nato gigante in una provincia nebbiosa, agra e senza fantasia. Niente bassifondi, nessuna tinta forte, solo sbiadite risaie. Però bastava lui. Gli è rimasta, di quei luoghi, una concretezza padana, una generosità vera. 


Sa, o vuol essere, cameratesco. L'opportunità a un talento addolorato come Ahmad Joudeh la dà. E sarebbe davvero bello che un musulmano siro-palestinese ne raccogliesse l'eredità. Per ora basta quell'abbraccio, mitologico e umano. Una sfida di corpi all'intolleranza delle ideologie. 
Con Ahmad non ha bisogno di esibire nudità, è già intimo. Con Paulina, partner storica, propone l'origine della coppia umana, e il corpo ci vuole, supplisce a un coinvolgimento altrimenti troppo cerebrale. E la pioggia sottolinea la tempesta perfetta, le conferisce un respiro canoviano.
È anche televisione, certo. Quella che vorremmo. Giustamente - e modernamente - didascalica. Furba, talora, il giusto. Un eccitante per la curiosità. La sera di Capodanno qualcuno s'è sentito librare in tersi cieli. Cosa desiderare di più?

© Daniela Tuscano

Asolo, dona la vigna alla nipote «Ma guai a te se produci Prosecco» Asolo. Antonia Raselli, ultima dei Bolasco, lascia cinque ettari di terreno sui colli di Asolo. «Te lo affido per produrre vino rosso


Risultati immagini per prosecco and  reportpremetto  che  di vini causa problemi  d stomaco ne bevo poco  e niente  e   non so distinguerne  se non  il bianco dal rosso  le  qualità  . Questa  storia   mi ha incuriosito   . Come  a  dire    l'erede sono io ma chi comanda è mia nonna😂🤔😆🤷‍♀️❤️ . Esso smonta  un luogo  comune    cioè  quello  di  chi lo dice in veneto una terra  ricca   di varietà  di vini  si faccia solo proseccco.
Lo   so che potra sembrare un gesto autoritario , quello  della nonna  (n vedere  sotto la storia )  ,ma  qui  d si vuole  evitare    che   succeda  come inn Friuli  ( vedere le puntate di report in merito a prosecco  del Friuli   venezia  giulia   in cui  i grossi produttori  di  prosecco l'accusano  di  demonizzarli  )   dove   il prosecco è diventato causa globalizzazione neoliberoista ed autoritaria un vino dominate uccidendo la biodivesità di quelle zone . E come se dai noi in Sardegna facessimo , meno male che ancora non ci siamo n, arrivati solo uno dei tre vini tipici ( cannonau , moscato, vermentino ) a scapito degi altri .

Risultati immagini per prosecco and  report

 da 



ASOLO. Una scelta forte, in controtendenza. Che non smentisce la tempra di chi l’ha fatta: donna Antonia Raselli, 95 anni ben portati, ultima discendente dei Bolasco. Ha donato alla nipote Martina Curato cinque ettari di vigneto, appoggiati sulle colline di Asolo davanti a villa Raselli, a una condizione: «Te li affido per il futuro, ma guai a voi se fate prosecco». Niente bollicine dalle sue viti, ma casomai ottimo vino rosso. E così è stato. «Rispettando la volontà della nonna», riferisce Martina, che, mamma felice, ora fa l’imprenditrice del vino con il marito Cristian Piazzetta dell’omonima famiglia dei caminetti, «abbiamo prodotto Merlot». La prima vendemmia si è celebrata lo scorso 8 settembre.



Un giorno non casuale per un vero e proprio rito di famiglia: è il compleanno di donna Antonia e nel 2017 lo ha festeggiato nel vigneto affidato alla nipote. «C’era anche lei con noi a vendemmiare», racconta Martina, «A lei abbiamo dedicato la prima produzione: trecento bottiglie di buon Merlot con una nuova etichetta “La Toni”, appunto». Così è chiamata donna Antonia Raselli per una grinta e un’energia che con il passare degli anni sono maturate e si sono arricchite acquisendo colori e profumi più intensi come un ottimo vino. «Siamo agli inizi della nostra avventura come produttori di vino», confida Martina, «abbiamo deciso di concentrarci sulla valorizzazione del Merlot in purezza».
A fianco di Martina e Cristian l’enologo castellano Enrico Rana. Con la benedizione di Antonia Raselli e la supervisione di Rana è stata così imbottigliata ai primi dello scorso dicembre una parte dell’annata 2017. «Bottiglie», precisa Marina, «per ora destinate agli amici e a chi si è dimostrato sensibile verso questa nostra avventura. Poi, nelle barrique, abbiamo voluto lasciar riposare il resto della produzione. La seguiremo nella sua evoluzione e cercheremo di capire quale sarà la strada migliore».
La produzione di vino rosso è stata avviata in due ettari e mezzo dei cinque donati da donna Antonia, figlia di Giacomo, ultimo podestà di Asolo. Sull’etichetta del Merlot imbottigliato ai primi dicembre i due simboli delle famiglie Raselli e Bolasco. Donna Antonia si gode il suo Merlot, sicura che la nipote non tradirà l’impegno preso. «Questa è terra di vini rossi»,
ha ammonito dal suo metro e quaranta di altezza, «Niente bollicine». Lo stesso tono perentorio di quando lei, nobile, decise di sposare Antonio Tonello, uno del popolo, contro la volontà della famiglia. Combattiva e “capatosta” allora come oggi: niente Prosecco sulle sue terre

Shoah le colpe nascoste degli italiani

Ed  eccovi  come sempre  , non mi va  di mescolarmi alle celebrazioni forzate  ed obbligatorie     ed  ufficiali    , anche  se  spesso non riesco a trattenermi  e mi contraddico  , uno dei miei   consueti ed annuali  ( anche il ricordo   e  tali tematiche  sono e devono essere   sempre  valide    adilà delle date  celebrative ufficiali  )  post  sulla   giornata  del  27 gennaio  .

Inizialmente avevo scelto di ricordare questo 27 gennaio ( giornata sulla shoah , anche se io preferisco parlare anche di olocausto   cioè d'entrambe  ) con queste due versioni  del suono militare   il silenzio

la prima


eseguita da Paolo Fresu esegue il "Silenzio" alla fine del concerto a Forte Dosso delle Somme (Folgaria - Trento) dedicato al centenario 1914-20014 dell'inizio della prima guerra mondiale nell'ambito del Festival "I suoni delle Dolomiti" il 27 luglio 2014
la seconda  


Suonato da Pippo Noviello

perchè il fascismo ed il nazismo ed quindi l'antisemitismo ( già presente in Europa dal medioevo ) elevato a potenza trovarono l'origine  nell'ardore nel calderone della  grande guerra  e  poi nella  frustrazione  e delusione   dei trattati di pace del Ma soprattutto perchè a volte a troppi bla bla , spesso strumentalizzati ed ipocriti è meglio come già diceva Pietro Calamandrei (1889-1956 )  in questa epigrafe


[...] Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.[....] 



meglio il silenzio .
Ma poi cercando in rete ( silenzio and shoah e poi dopo il libro vedere  sotto  5 dicembre 1943 ) fonti d'ispirazione  per il post ho trovato questa news semi ignorata dai media in quanto si preferisce ( e qui mi ricollego al discorso delle righe precedenti ) ricordare gli eroi ed  gli appartenenti italiani fra  i giusti  delle nazioni  che i carnefici ed i collaborazionisti italiani i fatti drammatici coem questo del 5 dicembre 1943 , il secondo più grande  rastrellamento  di ebrei dopo quello del 16 ottobre 1943 noto come Rastrellamento del ghetto di Roma






I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei, 1943-1945

Simon Levis Sullam


Editore: Feltrinelli
Collana: Storie
Anno edizione: 2015
Pagine: 147 p., Brossura
  • EAN: 9788807111334


Un libro che dimnostra che ancora c'è qualcuno\a che ha il coraggio di mettere idiscussione il classico mito italiani brava gente . Ed ha il coraggio di dire che La maggior parte degli ebrei catturati e uccisi durante i due anni della RSI lo furono per colpa di italiani, non solo dei tedeschi. E lo furono per delazione, per invidia, per i motivi più abbietti

Una ricostruzione ---   secondo  il commento   lasciato da   gianni 10/02/2015 15:15:53  su www.ibs.it  da  cui ho preso la  foto --- utile a inquadrare con maggiore equilibrio la Shoah italiana. Vi fu un collaborazionismo a tutti i livelli anche italiano nella deportazione e nello sterminio, con buona pace del mito "italiani brava gente", ormai smontato dalla storiografia, ma rilanciato e amplificato dalla divulgazione di varia natura, specie negli ultimi anni: uno dei tanti sintomi del "paese mancato", in cui regnano l'inconsapevolezza, la retorica, le sublimazioni, le minimizzazioni e la proverbiale, machiavellica ipocrisia.

 e poi  questo articolo  tratto da  

Shoah, le colpe nascoste degli italiani  
di Nicolò Menniti Ippolito



Sabato 5 dicembre 1943 molti veneziani andarono alla Fenice ad ascoltare il concerto di Arturo Benedetti Michelangeli. Domenica 6 dicembre 1943 molti veneziani andarono a vedere a Sant'Elena la partita del Venezia. In mezzo, nella notte tra il 5 e il 6, però, la città aveva vissuto uno dei momenti più drammatici della sua storia con il rastrellamento degli ebrei veneziani che finiranno poi, in gran parte, nei campi di sterminio. È questa l'immagine con cui comincia "I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei 1943-45" (Feltrinelli, pp 160, 15 euro) di Simon Levis Sullam, docente di Storia Contemporanea all'Università di Venezia. Il titolo ricorda quello del saggio di Goldhagen, "I volonterosi carnefici di Hitler", che ha riaperto la questione sulla responsabilità dei tedeschi (e non solo dei nazisti) nella Shoah. E infatti anche Levis Sullam vuole riaprire un dibattito, che è quello della responsabilità degli italiani nella Shoah. Nei campi di sterminio nazisti sono morti circa ottomila ebrei italiani. Possono essere tutti imputati a responsabilità tedesca? Gli italiani sono proprio "brava gente" come amano rappresentarsi? In fondo - si potrebbe dire - nessun italiano è stato condannato per la deportazione degli ebrei, al contrario di quanto per esempio è avvenuto in Francia. E di contro numerosi sono gli italiani a cui è riconosciuto il ruolo di "giusto", nel giardino di Yad Vashem. Eppure la storia.dice Levis Sullam, non è esattamente questa. Anche gli italiani hanno dato il loro contributo alla Shoah. È vero che molti ebrei italiani sono stati arrestati direttamente dai nazisti, ma altrettanti sono stati arrestati e avviati alla deportazione dalla polizia italiana. Non solo, quasi sempre accanto ai tedeschi che arrestavano c'erano italiani che aiutavano, che informavano. Difficile dire che fossero tutti innocenti, anche se i tribunali non li hanno processati. Difficile anche sostenere che tutti gli italiani abbiano protetto gli ebrei, anche se la comunità ebraica ha avvallato per prima questa immagine edulcorata della realtà. La normalità che circonda il rastrellamento ebraico a Venezia (il concerto, la partita) sta a dimostrare che la percezione era diversa. L'antisemitismo non era certamente radicato come in altri paesi, ma esisteva eccome. Levis Sullam ricorda, tra gli altri, il caso del medico veneziano Giocondo Protti, conferenziere ufficiale dell'antisemitismo negli anni Quaranta, che suggellava i suoi interventi con quel tanto di scienza che doveva servire a convincere ed esaltava, siamo nel 1944, "il grandioso, catartico castigo divino" che attendeva gli ebrei. Anche lui innocente, tra l'altro, nel dopoguerra. E poi i delatori, anche ebrei stessi, come quel Mauro Grini che tra Trieste, Venezia, Milano identificò e denunciò un migliaio di ebrei ("anche di più" - si vantava) dietro lauti pagamenti. E ancora chi rubò i beni degli ebrei catturati, chi sequestrò i beni e nel dopoguerra divenne capo del servizio che doveva restituirli (è successo a Venezia). Insomma gli italiani non sono innocenti. L'immagine di un antisemitismo imposto e mal tollerato dagli stessi fascisti è leggenda. Anche gli italiani - dice Levis Sullam - furono carnefici e l'autoassoluzione collettiva del dopoguerra è stato un modo comodo per non fare i conti con le proprie responsabilità

2.1.18

FRANÇOIS-XAVIER NICOLETTI, ALIAS FRANCISCU A VURPA di Emiliano Morrone

Conosco François-Xavier Nicoletti (in foto, ndr), alias A Vurpa«La Volpe», da quasi 30 anni. Ne ho condiviso – e in larga parte condivido – l’inguaribile attaccamento alla Calabria, lo spirito dell’emigrato (di successo) che non accetta lo spopolamento della regione, i disservizi in aumento e il clientelismo che ancora oggi, forse più di sempre, la identificano e caratterizzano.
di Emiliano MORRONE
François è un ex banchiere, brillante, geniale, affabile, di cuore e dalla testa dura come ogni calabrese doc. Per me è una specie di zio: ho avuto il privilegio di discutere a lungo con lui, per telefono e nella sua bellissima casa del rione Fulippa, a San Giovanni in Fiore, paese di cui siamo entrambi figli. Non solo. Ci unisce l’ironia ostinata, il senso della frassia, la leggerezza nel buttarla in commedia e una comicità istrionica che ci ha spesso visto ridere a crepapelle, malgrado il tragico, cioè l’inadeguatezza dei vari governanti, la loro impreparazione e le sofferenze causate alla povera gente da una politica autoreferenziale e falsa, quasi per intero. Dal lontano 2002 abbiamo cercato insieme, non di rado tra nette divergenze, a volte con contrasti perfino aspri a causa dei suoi “pruriti” da accentratore, dicontribuire all’emancipazione della nostra San Giovanni in Fiore, della nostra Calabria, da cui si continua a partire nell’indifferenza generale.
Potrei scrivere la storia di questo personaggio inquieto e scomodo, cui mi lega un affetto speciale, una riconoscenza che non riesco a raccontare bene, vinto dai ricordi. Lo ammetto con candore: François continua a essere, per me, una sorta di istigatore necessario, una specie di alter ego, uno che la canta senza peli sulla lingua e che mi offre spunti per riflessioni, scritti corsari e fame di giustizia sociale.Parto con le somiglianze. Sia lui che io non riusciamo a capacitarci di un fatto, di come sia possibile che l’intelligenza, il talento e la tenacia di tanti calabresi trovi scherno e muri da una massa contenta di subire e patire in locoCome ha osservato, a ragione, l’avvocato Alfonso Luigi Marraoggi la società non sopporta la differenza, non la tollera perché la ritiene pericolosa, destabilizzante, rivoluzionaria. Pensarla diversamente significa, soprattutto in Calabria, attirarsi le antipatie, l’odio di tanti soggetti che campano grazie al sistema e che non avrebbero combinato un bel nulla, se non avessero avuto protettori e appoggi politici. Ne è convinto anche l’amico Mauro Francesco Minervino, antropologo e scrittore che, con coraggio impressionante, ha denunciato in largo logiche e costumi di una terra, la Calabria, in cui la ‘ndrangheta, per quanto capillare e potente, resta un alibiper non ammettere omissioni, corresponsabilità e miopie della classe dirigente, da Roma a Catanzaro e Reggio Calabria.François è un uomo di mondo, che ha vissuto la miseria e la ricchezza estrema; che si è fatto dal nulla partendo da ragazzino col suo parlato sangiovannese crudo; che ha raggiunto traguardi alti con volontà e sacrificio, costruendosi una posizione senza piegarsi e rammollirsi, cosciente che avrebbe potuto contare soltanto sul suo cervello fine e sulla propria capacità di persuadere investitori e padroni della finanza di vertice. Ciononostante, non si è lasciato comprare né ha perduto il suo legame con la terra madre. Anzi, ha impiegato una vita intera a inseguire per missione il riscatto della sua, della mia gente, rimasta a guardare, ad attendere il corso (immutabile) degli eventi.Avevo in animo di scrivere un pezzo di cronaca sull’ultima Consulta degli Emigrati calabresi, tenutasi a inizio dicembre presso la sede della Regione Calabria, a Catanzaro. Poi mi sono detto che sarebbe stato sterile, se non ripetitivo. Vi parlo di François perché, come me, egli non sopporta la finzione né la retorica del potere, che, in occasione della Consulta di fine anno, ha dipinto la Calabria come la California, rinunciando all’equilibrio e al pudore.La Calabria è ancora, purtroppo, l’ultima regione d’Europa: per dati economici, indicatori sociali e qualità della vita. Qui la rassegnazione impera come le vecchie glorie della politica, che assicurano sviluppo e diritti sapendo di mentire, di avere le mani legate e di voler mantenere la situazione attuale, che garantisce proventi e benessere a una ristretta minoranza di palazzo.François vive a Ginevra, ma continua a girare per il globo. Fondatore dell’associazione Heritage Calabria, si impegna per stringere patti di amicizia e gemellaggi con luoghi storici dell’emigrazione o della cultura calabrese; per esempio Clarksburg, in West Virginia, o Paola (Cosenza), la città di san Francesco, caritatevole e miracoloso, con l’omaggio, di Nicoletti, di un meraviglioso arazzo tessuto a mano dal maestro Mimmo Caruso.All’inizio del nuovo millennio, Nicoletti consentì al Comune di San Giovanni in Fiore di beneficiare di fondi europei per il Programma di sviluppo urbano, mettendo sul piatto oltre 100mila euro in contanti per la ristrutturazione di casette, nel centro storico, in cui ospitare residenti all’estero. Un progetto fortunato e poi ampliato, con l’acquisto e la risistemazione di altre dimore abbandonate. Il benefattore non fu compreso, anzi venne deriso da un manipolo di, direbbe Francesco Guccini,«perbenisti interessati», con un’ingratitudine più unica che rara, come gli ripetemmo con l’esemplare direttore di Il CrotoneseDomenico Napolitano, presso il quale mi formai da giornalista.Negli anni altre attività utili, di Nicoletti, di conservazione della memoria e di promozione del rapporto tra concittadini ed emigrati; ad esempio la traduzione in italiano e altre lingue del bellissimo Bread, Wine and Angels, della scrittrice, oriunda sangiovannese, Anna Paletta Zurzolo. Quindi la battaglia politica, nel senso nobile della parola, per l’istituzione della consulta comunale degli emigrati, ad oggi inattiva, nonché un lavoro a tutto campo per creare ponti culturali ed economici tra la Calabria e gli Stati, non solo europei, in cui vivono generazioni di calabresi. E, non da meno, il sostegno diretto dell’ex banchiere alla candidatura di Gianni Vattimo quale sindaco di San Giovanni in Fiore, nel lontano 2005; un diffuso documentario in italiano e in inglese sul pensiero di Gioacchino da Fiore, diretto dal compianto regista Max Cavallo, e lo sforzo di aprire, al posto del locale Istituto Alberghiero, chiuso da un bel pezzo e abbandonato al silenzio del tempo, una scuola internazionale per professionisti della ristorazione e del turismo, di cui né la Regione di centrodestra né quella, attuale, di centrosinistra hanno voluto sapere, preferendo sciupare i fondi (europei) per la formazione professionale.
Infine l’impulso alla nascita del club Unesco di San Giovanni in Fiore e, poiché nemo propheta in patria (sua), la donazione di un’opera di metallo, simbolica e maestosa, al Comune di Soveria Mannelli (Cz): l’albero della pace (in foto appena sopra, ndr), realizzato dal maestro Francesco Talarico e rifiutato alla chetichella dal Comune di San Giovanni in Fiore.Di recente ho avuto il piacere di incontrare ancora François, che non è ancora rincoglionito, nonostante i suoi 80 anni suonati. Tante volte riesco a parlare molto meglio con emigrati come lui – e l’amico Pippo Marra, patron di Adnkronos originario di Castelsilano (Kr) –, che non hanno mai smesso di sognare un futuro migliore per la Calabria, croce e delizia del loro animo da sognatori.

cosa ne pensano le femministe pure delle dichiarazioni della Pellegrini ? in particolare quelle che .....

... mi hanno fatto , vedere archivio blog , il cazziatone quando espressi dei dubbi sul fatto che Asia Argento poteva denunciare subito d'aver subito molestie e violenza dal porco e depravato di Weinstein anziché aspettare 20 anni .


Ora la mia opinione davantri alle dichiarazioni  di  Federica Pellegrini    riportata  dall'unione  sarda online d'ieri  


                                            Federica Pellegrini


Lo scandalo delle molestie sessuali non riguarda solo il mondo dello spettacolo, ma anche quello dello sport.
A dirlo è Federica Pellegrini in un'intervista a SkySport24.
"Non sono casi eclatanti: se succedesse a me verrebbe fuori ovunque, invece accade a povere ragazzine e nessuno lo sa", ha detto la nuotatrice, che ha deciso di lanciare un appello alle vittime degli abusi, chiedendo loro di non rimanere in silenzio.
"Bisogna volere bene a se stesse e bisogna denunciare subito: se deve succedere qualcosa bisogna avere una famiglia presente o qualcuno di fidato che sappia capire", ha detto ancora la campionessa.
Pellegrini ha poi parlato delle giovani che, magari cedendo a un ricatto, inviano scatti hot, che poi finiscono sui social.
Su Internet "girano tante foto di minorenni", ha continuato la nuotatrice.
"Allora posso dire una cosa alle ragazzine del nostro ambiente? Non mandate foto in giro. Non serve veramente a niente mostrare le t***e e il c**o, perché il vero amore lo troverete fra vent’anni e di sicuro non vi sceglierà perché gli manderete una foto un po' più nuda rispetto alle altre. Quindi per favore smettete questo circolo vizioso", ha concluso.



è questa  sia che lo abbia detto ( cosa che non credo visto che a differenza di beatrice vio la vedo poco su media , mi sembra più discreta e poco prezzemolino ) per farsi pubblicità e farsi vedere sia che lo pensa sinceramente ha ragione troppe ragazzine esagerano nel mostrarsi in pose hot nella rete


1.1.18

Una Madre Ripudia Il Figlio Perché Omosessuale. Il Ragazzo Cerca Ospitalità Dal Nonno E Questo Scrive Alla Figlia:

lo so chè   vecchia  ( e mi pare l'avessi , se  memoria  non m'inganna , qui da qualche  parte   nel  blog  ) infatti risale al 2015  , ma come si sa  certe cose   non hanno tempo  ,   sono come  il vino  ipiù  invecchiano  meglio sono  . Una storia   che  sminuisce  luoghi comuni     del   tipo   : i vecchi  sono  tutti  conservatori e rincoglioniti  .

  da  http://www.blogserena.com/
☆PER LA PAGINA FACEBOOK  clicca qua –> Il silenzio dell’anima di Serena Takdeer

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Cara Christine:
Sono molto deluso da te come figlia.
Hai ragione, c’è un “disonore in famiglia”, ma non hai capito quale. Buttare Chad fuori di casa semplicemente perché ti ha detto che era gay è il vero “abominio”.Un genitore che disconosce il proprio figlio, ecco cos’è “contro natura”.L’unica cosa intelligente che ti ho sentito dire in tutta questa faccenda è “non ho allevato mio figlio perché fosse gay”.Certo che no.
E’ nato così e non lo ha scelto, non più di quanto si possa scegliere di essere mancini. Tu, invece, hai scelto. Hai scelto di fare del male, di essere chiusa di mente e retrograda. Perciò, visto che stiamo giocando a disconoscere i figli, colgo l’occasione per dirti addio.
Ora ho un favoloso (come dicono i gay) nipote da crescere, e non ho tempo per una figlia stronza. Quando ritroverai il tuo cuore, facci un fischio.

di nuovo auguri di buon anno . meno male che queste feste stanno finendo non se poteva più di .....



di strumentalizzazioni politiche che usano la tradizione ( alberi di natale , presepi , befana , ecc ) , exenofobe e malpanciste ( alla salvini ) , buonismo stupido ed ignorante , bufale \ fake news ( ne trovate sotto un colollario )n , dio messaggi ,di dirette e video ( alcuni divertenti ed originali ) su wzp e su fb , ecc . e  delle  rispettive  polemicjhe  vedere   questi   miei post  sulla mia bacheca  di facebook  I II Meno Male  che tra poco arriverà l'epifania  \  befana  e    tutte le feste  si porta  via  







19 DIC, 2017

Altre 5 bufale sul Natale 2017, tra alberi, doni e feste
Dalle decorazioni natalizie sfrattate alle truffe sugli acquisti online, fino alle celebrazioni di non-Natale e agli alberi di Roma e Milano, una nuova carrellata di bufale a pochi giorni dall’inizio delle feste
(Foto: Skippyjon/Flickr)

Il conteggio delle fake news sul Natale per il 2017 è già salito a quota 10. Dopo le prime 5 bufale che vi abbiamo raccontato un paio di settimane fa, ecco un’altra rassegna natalizia di false notizie, truffe e mistificazioni. Purtroppo le storie che fanno sorridere e le leggende metropolitane divertenti sono ben poche, perché si tratta perlopiù di distorsioni politiche, truffe commerciali e polemiche amministrative. Evidentemente si sta dimostrando una bufala anche l’idea che a Natale si diventi tutti più buoni.

Se fino a qualche giorno fa i protagonisti indiscussi delle falsità online erano i mercatini natalizi, ora la scena è dominata dagli alberi di Natale. Maltrattati, rubati, trasferiti e villipesi, ormai da simbolo del Natale sono passati a rappresentare l’oggetto della discordia. Qui di seguito una rassegna delle storie (false) più chiacchierate.


1. A Bolzano l’albero di Natale NON è stato sfrattato Prima storia e prima vicenda caricata di polemiche politiche.
La sala comunale Europa di via del Ronco, a Bolzano, lo scorso 14 dicembre ha ospitato una festa dei veterani dello sport in cui è stata premiata come atleta dell’anno la campionessa del mondo junior di ciclismo Elena Pirrone. Al termine della manifestazione la sala è stata rimessa in ordine, ma gli allestitori hanno lasciato nella stanza “una trentina di cartoncini verdi legati tra loro a formare un albero di Natale”. La mattina successiva gli uffici comunali hanno contattato uno degli organizzatori per chiedere di rimuovere, nel giro di poche ore, anche quegli ultimi allestimenti.
Ufficialmente il motivo della richiesta è il rispetto del regolamento di utilizzo della sala che, come ha raccontato anche David Puente sul suo blog, afferma che “all’atto della concessione il presidente del quartiere deve richiedere”, tra le altre cose, “l’uso corretto delle attrezzature e la conservazione dell’ordine esistente”. Tuttavia, secondo gli organizzatori, “l’albero di Natale di cartone rimosso in fretta e furia fa solamente sorridere” poiché, poche ore dopo ,nella stessa sala si sarebbe riunita una comunità musulmana e parrebbe evidente che la vera motivazione della richiesta è stata che “quella decorazione avrebbe potuto offendere la sensibilità dei presenti”.
Al di là delle possibili interpretazioni sul rigore con cui è stato applicato il regolamento (difficile dire se e quanto sia stato sfruttato come pretesto), restano però alcune falsità nel modo in cui questa storia è stata raccontata. Giornali come Secolo d’Italia, Il Giornale, Alto Adige e Voxnews hanno ripreso la notizia con toni forti e polemici, ma ne hanno parlato come se fosse stato “sfrattato” l’albero di Natale “dal comune di Bolzano”, mentre si tratta della rimozione di una sola decorazione installata dagli organizzatori privati di un evento e lasciata in una sala pubblica (oltre il tempo di concessione in affitto della sala) senza alcuna autorizzazione. Una ricostruzione che, peraltro, hanno confermato gli stessi organizzatori. Per essere pignoli sarebbe opinabile anche l’utilizzo dell’espressione albero di Natale, dato che si tratta di una composizione di cartoncini.
Soprattutto, però, il sito Voxnews ha raccontato la storia utilizzando come immagine quella di un’altra bufala che avevamo già raccontato qualche giorno fa relativa al rito del Julgrandsplunding: questa immagine, combinata a un titolo grammaticalmente ambiguo e con un soggetto sottinteso di troppo (Musulmani offesi da albero di Natale in comune, lo rimuovono), può essere facilmente fraintesa e lasciar pensare che siano stati i musulmania rimuove l’albero di Natale.L’immagine utilizzata da Voxnews


2. La bufala nel pacco sotto l’albero

Secondo una ricerca condotta da Vitreous World in 9 Paesi tra Europa e Nord America, rispetto all’anno scorso c’è stato un aumento del 35% dei casi di acquisto inconsapevole di prodotti contraffatti tramite e-commerce, arrivando a toccare quasi un terzo degli acquirenti. Le truffe riguardano soprattutto gli acquisti in negozi online sconosciuti e la scarsa affidabilità di alcuni dei risultati forniti dai motori di ricerca. Come evitare di farsi prendere per i fondelli? Controllare che il nome del sito sia corretto, verificare che non ci siano grossolani errori grammaticali, fare qualche verifica sulla reputazione del portale su cui si intende acquistare e non farsi ingannare da offerte lampo (abbassando la guardia) o da prezzi stracciatirispetto ai veri valori di mercato. Si tratta di consigli utili per tutte le stagioni, ma che vale la pena di ricordare soprattutto nel periodo che precede il Natale in cui, colti dalla frenesia per gli acquisti, capita più spesso di commettere errori.


3. La truffa del buono regalo di Decathlon

Come esempio concreto del fenomeno appena raccontato, una delle principali truffe natalizie in circolazione in questi giorni riguarda l’azienda di articoli sportivi Decathlon. Come racconta Bufale per tutti i gusti e come ha scritto su Facebook la stessa azienda, molte persone si sono viste recapitare sullo smartphone un messaggio di testo (principalmente via WhatsApp) che riporta: “Decatlhon per festeggiare il Natale ricompensa tutti con un buono da 200€. Io l’ho appena preso!! Guarda!”. Il link riportato in coda al messaggio non conduce però al vero sito Decatholon, ma a un clone in cui si può facilmente cadere vittima dell’inganno e fornire i propri dati di pagamento a qualche malvivente. A quanto pare il sito-truffa finge di far partecipare gli ignari acquirenti a un sondaggio, premiando il loro sforzo con 150 (falsi) buoni da 200 euro estratti a sorte, seguendo una dinamica simile a quella che in passato ha riguardato H&M, Zara e Ikea.


4. La grande festa delle buone feste

Altro caso di strumentalizzazione politica è la vicenda che ha interessato l’istituto Italo Calvino di Milano, dove la preside Dorotea Maria Russo ha indotto per domenica 17 dicembre un evento dal nome La grande festa delle buone feste. Fin da subito il nome è stato interpretato come la scelta di rimuovere la parola Natale e quindi di nascondere il valore culturale-religioso delle festività di fine anno, generando una lunga coda di interventi, pareri, articoli e interviste, raccolte con dovizia di particolari da Valigia Blu.
Al di là delle valutazioni politiche e ideologiche, il motivo per cui questa storia merita l’appellativo di bufala è che non si è trattato della cancellazione degli eventi natalizi, ma dell’aggiunta di un ulteriore momento di festeggiamento che potesse essere inclusivo verso tutte le religioni e culture, permettendo la partecipazione di tutti. Come riportatoanche su Repubblica, la preside ha chiarito che la festa delle buone feste anticipa il periodo di vere e proprie celebrazioni natalizie e che “per festeggiare ufficialmente il Natale ci sarà una settimana intera di eventi […] con tanto di recite, canti, tombolate e presepi viventi, dolci tipici e momenti conviviali, come da tradizione”. Nessuno, insomma, nella scuola ha mai parlato di cancellare il Natale e le celebrazioni tradizionali, ma si è pensato di creare un ulteriore momento di festa multi-culturale. Dunque è scorretto, e falso, parlare di “annullamento della festa di Natale della scuola”, anche perché – essendo domenica – si tratta di una manifestazione in orario extrascolastico, a differenza di quelle dedicate al Natale.


5. Rubacchio e Spelacchio

Sugli alberi di natale di Roma e Milano – battezzati quest’anno rispettivamente Spelacchio e Rubacchio – si è già parlato e scrittomoltissimo, sia sui giornali sia sui social. Tra le tante cose vere, come gli oggettivi problemi estetici e le tante foglie perse dall’albero della capitale in piazza Venezia, sono state raccontate anche alcune falsità.Un dettaglio di Spelacchio (Foto: Andrea Ronchini/Getty Images)

Riguardo a Spelacchio, è stato detto (unendo varie fonti) che è un larice che soffre perché ha poche radici, che anziché distruggere la natura sarebbe stato meglio utilizzare un albero di plastica perché più ecologico, e che l’albero sarebbe stato mandato a Roma dalla val di Fiemme per far fare una figuraccia. Tuttavia, come scrive Ansa, si tratta di informazioni sbagliate. Spelacchio è un abete rosso che ha subito il taglio di tutte le radici (come accade per qualunque albero di Natale di quelle dimensioni) ma che soffre per altri motivi. Dal punto di vista ecologico, non è affatto detto che un albero in plastica sia più rispettoso dell’ambiente, sia perché la sua produzione comporta una certa produzione di anidride carbonica (che dipende dalle dimensioni) e soprattutto perché di per sé non comporta alcun danno ambientale se l’abbattimento è adeguatamente gestito piantando nuovi alberi. Infine, Spelacchio non era originariamente brutto o sciupato, ma probabilmente ha sofferto a causa di un trasporto inadeguato e stava già in precedenza soffrendo la siccità. Nelle ultime ore è stato dato sostanzialmente per morto.Il cosiddetto Rubaccio a Milano (Foto: Awakening/Getty Images)

A Milano, invece, Rubacchio si è guadagnato questo nome sulla base della notizia del presunto costo di un milione di euro. Tuttavia la notizia è presto smentita per due motivi: il primo è che l’albero in piazza Duomo è stato offerto da Sky e donato al Comune, il secondo è che – per ammissione degli stessi diffusori della bufala – non è stato reso noto il costo dell’albero. Una versione più recente della bufala, scovata da David Puente, sostiene che il prezzo totale sia in realtà di due milioni e mezzo di euro, e che l’albero sia stato riciclato dall’Expo e ottenuto per soli 400 euro. Si tratta, al contrario, di un albero portato a Milano dal Trentino Alto-Adige, dove era già destinato all’abbattimento perché di altezza superiore ai limiti consentiti per ragioni di sicurezza.

concludo    e rinconfermo quando ho detto  nel  post   : <<  come sopravvivere alle festività natalizie XII il capodanno ed il primo dell'anno >> della  guida    di sopravvivenza  natalizia    di quest'anno   con il  post    di https://www.facebook.com/Ilsilenziodellanima/
  di  Serena Takdeer

Buon anno  ragazzi\e



Perché  come dice ogni anno bello o brutto che sia trascorso, sull'arrivare della fine .. forse proprio per la parola fine .. a me viene tanta tristezza. Non perché dia peso a questa data .. ma perché di anno in anno trovo sempre più immotivate queste feste forzate e persone che sentono il dovere di divertirsi per forza.Senza polemica, vi auguro di divertirvi davvero


31.12.17

chi lo dice che i mussulmani o islamici odino e dia fastidio il presepe ed il natale ragiona con luoghi comuni "A Natale non ci sono pelle, né lingua né cultura che non entrino nell'abbraccio di Dio". il caso Ad Aleppo anche i musulmani vogliono il presepe

ringrazio l'amica   e  utente  di  questo blog  Daniela  Tuscano (   che mi manda  tutti i suoi articoli da pubblicare   e che  pubblico     causa difficolta  con google e  blogspot  )  e della nostra  pagina facebook ( dove  li  pubblica  )    per  avermi segnalato   questo articolo  .



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In un’epoca in cui si parla spesso (troppo spesso) di scontro di civiltà fra islam e cristianesimo, la Siria ha rappresentato da sempre un esempio di convivenza millenaria fra fedi diverse. Il terrorismo di matrice salafita ha cercato di distruggere il mosaico siriano inserendo nel Paese il germe di un odio interreligioso che non esisteva, anche grazie alla politica del clan Assad che ha governato la Siria per decenni e che ha protetto questa costruzione nazionale dalla deriva estremista religiosa. La guerra civile e l’avanzata del terrorismo islamico hanno sicuramente ferito la Siria, così come la pacifica convivenza fra le comunità religiose presenti sul suo territorio. Ma cristiani e musulmani, in molte parti del Paese, ancora convivono: e il Natale di quest’anno ne è stato la dimostrazione.Come già descritto in questa testata, ad Aleppo è il secondo Natale senza guerra, festeggiato fra chiese riaperte, altre mai chiuse, alberi addobbati, processioni festose e presepi. Ma, come ricordato su Italia Oggi da monsignor Georges Abou Khazen, padre francescano della Custodia di Terra Santa e vicario apostolico di Aleppo, la povertà, la mancanza di lavoro e le macerie rendono la situazione ancora estremamente complessa. Ma è proprio nella tragedia che la convivenza fra cristiani e musulmani si è fatto più forte. «Durante il conflitto abbiamo sviluppato nuovi modi di incontro tra cristiani e musulmani. E oggi grazie a questo siamo impegnati insieme in molti progetti per aiutarci a vicenda». Monsignor Khazen, intervistato dalla testata italiana, parla di un Natale di gioia, nonostante tutto, in cui sono gli stessi musulmani a manifestare sentimenti di amicizia verso i cristiani. «I musulmani in questi giorni di Natale vengono da noi e ci dicono: perché non avete ancora fatto il presepe? Girano ogni chiesa per visitarli con le loro famiglie, desiderano profondamente vivere anche loro la gioia del Natale. Che non è una sfida all’altro, ma la festa di tutti gli uomini».La convivenza fra comunità religiose è quello che vuole rimarcare padre Georges Abou Khazen. “È una convivenza e una collaborazione che continua. La guerra, i morti, le tante difficoltà ci hanno messi insieme e ci sono molti progetti d’ aiuto che facciamo insieme a loro”. Fra questi progetti, anche quello di “Una goccia di latte per Aleppo”, progetto benefico di Aiuto alla Chiesa che soffre cui ha aderito anche Il Giornale. La tragedia della guerra non ha fatto distinzioni fra musulmani e cristiani. E non sono fatte distinzioni neanche per la ricostruzione. Cristiani e musulmani devono tornare a convivere, anche se le ferite della guerra e del terrorismo islamico hanno scalfito la bellezza del vivere insieme fra cristiani e musulmani. Molti cristiani sono fuggiti e non torneranno, molti sono morti, e sarà difficile ricostruire la comunità cristiana di Aleppo. Ma il ritorno alla normalità si vede anche in questi piccoli gesti, nel ritorno del Natale. “In alcune parti della città, quelle non distrutte, sono state ornate di luci le case, davanti al municipio è stato messo un grande albero di Natale” dice monsignor Khazen a Italia Oggi, “il Natale non è una sfida ai non credenti. Anche i musulmani lo aspettano, guai se non facciamo i presepi, ci vengono a dire: perché non lo avete fatto? Il Natale è una festa di pace, gioia e speranza per tutti. I musulmani vengono a visitare le nostre chiese, vogliono sentire e toccare la stessa gioia che viviamo noi”. Un miracolo di Natale? No, non è una favola, ma è il miracolo della Siria. Un Paese che ha resistito a una guerra orrenda e che cerca disperatamente di nuovo la pace. Hanno provato a distruggere il suo mosaico di culture, ma non ci sono riusciti. Ed ora Aleppo, da emblema della devastazione, torna a essere simbolo di speranza.
 e  per questo  suo intervento  sui fatti  accaduti  , uno dei tanti sempre  più frequenti purtroppo  in italia ,   stavolta  alla scuola primaria Beato Odorico da Pordenone di Zoppola

Daniela Tuscano A parte il fatto che in Perù sono cristiani, mi domando - da docente e se le vicende si sono svolte davvero come riportato nell'articolo - perché la scuola permetta che in cattedra salgano persone ignoranti e incompetenti. Screditano l'intera categoria. I bimbi stranieri non c'entrano, state attenti a non cadere nel tranello. Sono un pretesto. "Gesù" non dà fastidio a loro. Dà fastidio alla maestra laicista e politicorrOtta. Se conoscesse veramente la storia, saprebbe che i musulmani rispettano moltissimo Gesù e, se non considerano il Natale una festa religiosa, però la ritengono significativa in quanto ricorda la nascita d'un profeta e celebra pure Maria, profetessa anch'essa (e unica donna menzionata nel Corano). La vera laicità aggiunge, non toglie; del resto, i musulmani stessi - perché era questi che voleva ingraziarsi la maestrina, gli altri non fanno testo - non hanno alcun rispetto per chi rinnega il proprio background. Se amasse veramente ciò che insegna, saprebbe che il non credente Pasolini si definiva "figlio delle chiese e delle pale d'altare", perché senza il cristianesimo non si può comprendere né l'arte, né la letteratura, né la filosofia, né la musica né la stessa politica dell'Italia (e dell'Europa). E non solo: poiché il cristianesimo ha pur sempre origini in Medio Oriente e censurare adesso Gesù, quando siamo in presenza di una forte immigrazione copta da Egitto e Corno d'Oro, non è solo suicida ma stupido. La verità è che sono questi nichilisti a voler abolire il Natale in nome d'un indifferentismo idiota, d'un sincretismo plastificato di estrazione nordamericana. È pertanto bene vengano alla luce tali episodi, nella loro miseria morale e intellettuale, e si prendano i dovuti provvedimenti.








ed concludo facendo miei , anche se credenbte ma non più praticante come un tempo , le parole de il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, con la celebrazione della Santa Messa nella Basilica di San Marco  a natale  del 2017   : << A Natale Dio raggiunge ogni uomo e ogni popolo, - ha commentato - anche i più abbandonati e vilipesi. Non si dà, così, più razza o popolo esclusi dal gesto di Dio. Se Dio si rende presente nell'umanità, allora, nessuno più potrà sentirsi escluso e potrà escludere nessuno; non c'è colore della pelle, non c'è lingua, non c'è cultura, non c'è razza, non c'è continente che non entrino nell'abbraccio di Dio e dei suoi discepoli.>>  (  dall'app mobile    aggregatore  di  news http://www.newsrepublic.net/ )