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15.12.25

preoccupazioni e sgomenti culturali comunicato di Giuditta Sireus direttrice artistica presso Il Club di Jane Austen Sardegna- Circolo Letterario Femminile

 Esprimo una preoccupazione sempre più profonda verso quelle comunità che, in modo sistematico o silenzioso, non sostengono i progetti culturali e le iniziative culturali che nascono e crescono nei propri territori, salvo poi vederli riconosciuti, apprezzati e applauditi altrove, fuori dai confini della città o della cittadina di origine.Un paradosso ormai diffuso, una sorta di epidemia che investe — chi più chi meno — molte realtà. Progetti che trovano ascolto, attenzione e valore lontano da casa, ma che restano invisibili, ignorati o ostacolati proprio nei luoghi che dovrebbero esserne il primo nutrimento. In questo scenario esprimo un sentimento profondo di dispiacere, di disappunto e anche di rabbia.Il

Ph credit: Barrosa che legge, AriuCeramiche.
mancato sostegno assume forme diverse: economiche, certo, ma anche morali, istituzionali, di semplice disponibilità e presenza. 𝐄̀ 𝐮𝐧’𝐚𝐬𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐞𝐬𝐚, 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐦𝐚𝐢 𝐧𝐞𝐮𝐭𝐫𝐚. 𝐄̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐬𝐜𝐞𝐥𝐭𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐧𝐜𝐢𝐝𝐞 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐭𝐞𝐫𝐫𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢𝐨 𝐞 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐚 𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐢𝐧𝐮𝐢 𝐚 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐮𝐧 𝐦𝐨𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐜𝐫𝐞𝐬𝐜𝐢𝐭𝐚. 𝐋𝐚 𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐨𝐫𝐧𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨, 𝐧𝐞́ 𝐮𝐧 𝐞𝐬𝐞𝐫𝐜𝐢𝐳𝐢𝐨 𝐚𝐮𝐭𝐨𝐫𝐞𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐢𝐚𝐥𝐞. 𝐄̀ 𝐜𝐫𝐞𝐬𝐜𝐢𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐞𝐭𝐭𝐢𝐯𝐚, 𝐜𝐨𝐧𝐝𝐢𝐯𝐢𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐚𝐩𝐞𝐫𝐭𝐮𝐫𝐚. 𝐄̀ 𝐮𝐧𝐨 𝐬𝐩𝐚𝐳𝐢𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐯𝐢𝐯𝐞 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐬𝐞 𝐯𝐢𝐞𝐧𝐞 𝐚𝐭𝐭𝐫𝐚𝐯𝐞𝐫𝐬𝐚𝐭𝐨, 𝐬𝐨𝐬𝐭𝐞𝐧𝐮𝐭𝐨, 𝐝𝐢𝐟𝐞𝐬𝐨. Ogni progetto culturale dovrebbe essere coltivato con amore e attenzione, al di là delle amicizie personali, dei pregiudizi, delle simpatie o delle prese di posizione individuali. Sostenere la cultura significa riconoscerne il valore anche quando non ci somiglia, anche quando disturba, anche quando mette in discussione. 𝑵𝒐𝒏 𝒔𝒐𝒔𝒕𝒆𝒏𝒆𝒓𝒆 𝒄𝒊𝒐̀ 𝒄𝒉𝒆 𝒏𝒂𝒔𝒄𝒆 𝒔𝒖𝒍 𝒑𝒓𝒐𝒑𝒓𝒊𝒐 𝒕𝒆𝒓𝒓𝒊𝒕𝒐𝒓𝒊𝒐 𝒔𝒊𝒈𝒏𝒊𝒇𝒊𝒄𝒂 𝒓𝒊𝒏𝒖𝒏𝒄𝒊𝒂𝒓𝒆 𝒂 𝒖𝒏𝒂 𝒑𝒂𝒓𝒕𝒆 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝒑𝒓𝒐𝒑𝒓𝒊𝒂 𝒊𝒅𝒆𝒏𝒕𝒊𝒕𝒂̀ 𝒄𝒐𝒍𝒍𝒆𝒕𝒕𝒊𝒗𝒂.

𝐋𝐚 𝐛𝐚𝐫𝐫𝐨𝐬𝐢𝐚: 𝐫𝐞𝐬𝐭𝐚𝐫𝐞
In questa situazione, rivendico ciò che chiamo barrosia: la scelta di non andare via dai luoghi in cui non si è apprezzati o considerati, ma di restare.
𝐑𝐞𝐬𝐭𝐚𝐫𝐞 non per rassegnazione, ma come dichiarazione di esistenza.
𝐑𝐞𝐬𝐭𝐚𝐫𝐞 come atto di volontà e di responsabilità. Restare per continuare a seminare, anche quando il terreno appare ostile o indifferente. Seminare per gli altri, per chi lo desidera, per chi apprezza, per chi riconosce il valore di ciò che viene proposto.
𝐑𝐞𝐬𝐭𝐚𝐫𝐞, e non andare, per alimentare con la propria presenza un disturbo: non nel senso negativo del termine, ma come accensione del dibattito critico, come stimolo al confronto, come possibilità di ricchezza e bellezza. Un disturbo necessario, che rompe l’abitudine, che impedisce l’appiattimento, che tiene viva la comunità.
𝐑𝐞𝐬𝐭𝐚𝐫𝐞 significa credere che la cultura debba essere viva, non comoda. Che debba interrogare, creare frizioni, aprire possibilità.
𝐀𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐬𝐭𝐫𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐢
Questo discorso è rivolto in modo particolare agli amministratori pubblici. Perché sostenere la cultura non è un gesto opzionale, né una concessione. È una responsabilità politica. Ogni scelta di non partecipare, di non sostenere, di voltarsi dall’altra parte — per calcolo, per presa di posizione o per disinteresse — lascia un progetto solo e indebolisce l’intero tessuto culturale di un territorio.
𝑪𝒐𝒏𝒄𝒍𝒖𝒅𝒐 𝒓𝒊𝒏𝒈𝒓𝒂𝒛𝒊𝒂𝒏𝒅𝒐 𝒄𝒉𝒊 𝒄’𝒆̀ 𝒔𝒕𝒂𝒕𝒐 𝒆 𝒄𝒉𝒊 𝒄𝒐𝒏𝒕𝒊𝒏𝒖𝒂 𝒂 𝒆𝒔𝒔𝒆𝒓𝒄𝒊. 𝑴𝒂 𝒂𝒏𝒄𝒉𝒆 𝒄𝒉𝒊 𝒏𝒐𝒏 𝒄’𝒆̀ 𝒔𝒕𝒂𝒕𝒐, 𝒑𝒆𝒓𝒄𝒉𝒆́ 𝒐𝒈𝒏𝒊 𝒂𝒔𝒔𝒆𝒏𝒛𝒂 𝒆̀ 𝒖𝒏 𝒔𝒆𝒈𝒏𝒂𝒍𝒆. 𝑶𝒈𝒏𝒊 𝒎𝒂𝒏𝒄𝒂𝒕𝒂 𝒑𝒂𝒓𝒕𝒆𝒄𝒊𝒑𝒂𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆 𝒆̀ 𝒖𝒏𝒂 𝒔𝒄𝒆𝒍𝒕𝒂 𝒄𝒉𝒆 𝒑𝒓𝒐𝒅𝒖𝒄𝒆 𝒄𝒐𝒏𝒔𝒆𝒈𝒖𝒆𝒏𝒛𝒆. 𝑬 𝒒𝒖𝒂𝒏𝒅𝒐 𝒖𝒏 𝒑𝒓𝒐𝒈𝒆𝒕𝒕𝒐 𝒄𝒖𝒍𝒕𝒖𝒓𝒂𝒍𝒆 𝒗𝒊𝒆𝒏𝒆 𝒍𝒂𝒔𝒄𝒊𝒂𝒕𝒐 𝒔𝒐𝒍𝒐, 𝒏𝒐𝒏 𝒑𝒆𝒓𝒅𝒆 𝒔𝒐𝒍𝒐 𝒄𝒉𝒊 𝒍𝒐 𝒑𝒐𝒓𝒕𝒂 𝒂𝒗𝒂𝒏𝒕𝒊: 𝒑𝒆𝒓𝒅𝒆 𝒕𝒖𝒕𝒕𝒂 𝒍𝒂 𝒄𝒐𝒎𝒖𝒏𝒊𝒕𝒂̀.
Giuditta Sireus

recensioni del filosofo imperinente Riflesso perfettodi mattia surroz. Contro il silenzio imposto: l’amore come atto di verità

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