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17.12.25

MA IN CHE PAESE VIVIAMO? I DELINQUENTI SONO A PIEDE LIBERO E CHI DENUNCIA IL RACKET È COSTRETTO A FALLIRE STORIA DI MAURIZIO DI STEFANO, 59ENNE COSTRETTO A CHIUDERE IL RISTORANTE A BOLOGNA DOPO CHE LO STATO RIVUOLE INDIETRO I 150MILA EURO CHE GLI AVEVA DATO PER RICOMINCIARE FUORI DALLA SICILIA.

 da  dagospia  del  17\12\2025

MA IN CHE PAESE VIVIAMO? I DELINQUENTI SONO A PIEDE LIBERO E CHI DENUNCIA IL RACKET È COSTRETTO A FALLIRE -
 LEGGERETE LA STORIA DI MAURIZIO DI STEFANO, 59ENNE COSTRETTO A CHIUDERE IL RISTORANTE A BOLOGNA DOPO CHE LO STATO RIVUOLE INDIETRO I 150MILA EURO CHE GLI AVEVA DATO PER RICOMINCIARE FUORI DALLA SICILIA. IL MOTIVO? "I MAFIOSI CHE MI IMPONEVANO IL PIZZO A CATANIA SONO STATI CONDANNATI PER USURA AGGRAVATA E NON PER ESTORSIONE. SONO VITTIMA DELLO STATO PER DUE VOLTE: PRIMA MI HA PORTATO A ESEMPIO PER QUANTI NON SI PIEGANO AL RACKET, ORA LO STESSO STATO MI TRATTA COME UN BANDITO…” 

Estratto dell’articolo di Alfio Sciacca per il "Corriere della Sera"

 

maurizio di stefano 3

Dieci giorni fa ha chiuso per sempre il suo ristorante a Bologna.

Si chiamava «Liccu», che sta per goloso ed era un rifugio dove gustare tutte le specialità della rosticceria e della pasticceria siciliana. Ma era anche il segno tangibile di una storia di riscatto. Il titolare, Maurizio Di Stefano, 59 anni, aveva infatti avviato l’attività con i fondi per le vittime di estorsione. 

Circa 150 mila euro che ora lo Stato vuole indietro. «L’Agenzia delle Entrate mi ha notificato una cartella esattoriale per lo stesso importo». Perché? «La motivazione è che i mafiosi che mi imponevano il pizzo sono stati condannati per usura aggravata e non per estorsione ».

 

maurizio di stefano 1

Di Stefano ha provato ad opporsi, ma ha dovuto fare i conti con un’altra faccia dello Stato: la lentezza della giustizia. «La prima udienza del ricorso in sede civile è stata fissata per gennaio 2027 —racconta—. L’opposizione non sospende la cartella e quindi ora devo pagare, poi si vede. Ma io non ho dove prenderli 150 mila euro. Se non pago mi viene pignorato tutto, anche il conto corrente. Non mi resta che chiudere, vendere il ristorare e provare a racimolare i soldi per pagare la cartella». 

Tanta la rabbia. «Prima lo Stato mi ha portato ad esempio per quanti si piegano al racket, ora lo stesso Stato mi tratta come un bandito e ruba il futuro mio e della mia famiglia. In Italia si dicono tante belle parole, ma poi la realtà è questa e te la sbattono in faccia senza tanti scrupoli. Mi sento tradito due volte».

maurizio di stefano 5

 La storia di Maurizio Di Stefano comincia oltre 20 anni.

In Sicilia era la stagione della rivolta dei commercianti contro la mafia del «pizzo». E lui fu uno dei protagonisti. All’epoca viveva a Catania dove gestiva due librerie: una all’interno dell’aeroporto, l’altra in centro città. Attività che, come tante in quegli anni, finirono nel mirino della mafia. In particolare della temuta famiglia Nizza […] Gli imponevano di pagare 800 euro al mese di «pizzo». Più l’obbligo di accettare e scambiare un giro di assegni strani che erano anche una forma di usura. Fino a quando Di Stefano non decise di ribellarsi, denunciando e facendo arrestare alcuni dei suoi aguzzini.

 

maurizio di stefano 2

«[…] Nel 2018 decisi di chiudere con la Sicilia e di ripartire con una nuova attività qui a Bologna». Di Stefano aveva ripreso in mano la sua vita. Tutto sembrava filare liscio. «L’attività in questi anni è andata benissimo —spiega —. Il locale era sempre pieno.

Pensavo di essermi lasciato per sempre il passato alle spalle. E invece all’improvviso lo Stato si è rifatto vivo trattandomi come un lestofante».

 

Oltre alla rabbia c’è anche tanta amarezza. «A suo tempo erano in tanti che mi davano coraggio e mi dicevano che avrei potuto contare sul loro aiuto. Sono spariti tutti. […]».

maurizio di stefano 4

 Di Stefano sostiene che il processo ai suoi estorsori non sarebbe mai cominciato. «Sono andati avanti con il processo per usura — spiega — mentre quello per estorsione non si è mai capito che fine abbia fatto». Non gli resta che fare i conti con la solitudine.

[…]