Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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5.12.25
Destinazioni lontanissime da raggiungere a velocità moderate: viaggiare in scooter è un’esperienza unica, diversa da tutte le altre
Vespa 50 special - Cesare Cremoni note finali
Culture Club - Karma Chameleon
Oltre all'articolo preso dal n della scorsa settimana di topolino che trovate sotto ,vi segnalo , amati delle due ruote , questo progetto di www.lentamente.net . « un progetto nato da un gruppo di amici con in comune la passione per i motorini e per tutti quei veicoli inadeguati che a volte usiamo per i nostri piccoli viaggi e per le nostre avventure.Attraverso questo sito ed attraverso i principali social raccontiamo le nostre avventure , piccole imprese di riders con mezzi assolutamente inadatti per queste fantastiche esperienze. Attraverso il nostro BLOG e tramite i canali social ci scambiamo consigli, stringiamo amicizie e creiamo gruppi di viaggio fantastici »
26.8.25
Moglie e marito a 80 anni in camper da Bassano del Grappa a Shanghai: «In Uzbekistan si è rotto il frigo, la polizia turistica ci ha trovato l'officina e ha voluto pagare le riparazioni»
da https://corrieredelveneto.corriere.it/notizie/vicenza/cronaca/ 25 agosto 20025
In 143 giorni hanno attraversato 20 Paesi e percorso oltre 32.000 chilometri: «L'accoglienza? Ovunque fantastica. Noi europei pensiamo di essere i migliori ma siamo molto indietro»
«Sono innamorato di Marco Polo da quando sono bambino. E ho sempre voluto seguire le sue orme, vedere quello che ha visto lui, anche se ottocento anno dopo». Così Aldo Serraiotto, classe 1946, racconta le origini di un sogno diventato realtà: percorrere la Via della Seta, da Bassano del Grappa fino a Shanghai. Un’idea maturata nel tempo, frenata dalla pandemia, ma mai accantonata.
«Bastava un piccolo errore per finire tutto»
Con lui, sua moglie Anna Vaccaro, 77 anni, che di questa avventura è stata prima scettica, poi protagonista coraggiosa e appassionata. «Ero contraria. Non parliamo le lingue, non siamo tecnologici e, diciamolo, l’età è quella che è. Ma alla fine mi sono lasciata convincere. E dal 2 aprile abbiamo iniziato il nostro viaggio in camper». In 143 giorni hanno attraversato 20 Paesi, percorso oltre 32.000 chilometri e superato montagne, deserti e confini burocratici. Un’impresa che ha poco a che fare con l’età, e molto con lo spirito. Il loro mezzo, un camper Cartago più pesante della media, è diventato casa, confine e rifugio. Ma anche passaporto umano, capace di attirare incontri, aiuti e gesti inaspettati. Come quella volta sul Pamir, la mitica catena montuosa dell’Asia Centrale: salite sterrate a 4.600 metri, strade che diventano sentieri. «Tratti dove bastava un piccolo errore per finire tutto: il viaggio e anche qualcos’altro» racconta Anna «30 centimetri a destra c’era il fiume, a sinistra le rocce. Ma mio marito era tranquillissimo e voleva arrivare in cima. E ci è riuscito».
L'ospite è sacro
Quel tratto di strada tagikista, con il fiume Panj a fare da confine naturale con l’Afghanistan, è stato forse il simbolo più evidente di un viaggio dove ogni confine era insieme ostacolo e soglia. Ma a sostenere i due viaggiatori non sono state solo le gomme del camper, bensì le persone incontrate lungo la strada. «In Uzbekistan, dopo buche e salti, è saltato l’impianto elettrico. Freezer e frigorifero fuori uso, dove c’erano le nostre provviste, anche il pasticcio portato da casa! Sarebbe stato un disastro perdere tutto. Eppure anche in quel frangente siamo stati aiutati. La polizia turistica ci ha portato in un’officina super moderna. Dopo tre ore di lavoro, volevamo pagare, e loro: “No, siete ospiti, grazie a voi che venite qui”». Episodi simili si ripetono, ovunque: «In Iran siamo stati ospiti per quattro giorni a casa di un signore, che aveva anche perso il lavoro. Ma lì l’ospite è sacro: ci ha voluto offrire sempre colazione, pranzo e cena a casa. E la sera arrivavano i parenti, per fare festa. In Italia sarebbe impensabile» riflette Anna, con una lucidità che suona anche come rimprovero dolce a un’Europa che spesso ha dimenticato cosa sia l’accoglienza. «Abbiamo scoperto un’umanità che qui è scomparsa. Noi europei pensiamo di essere i migliori, ma in realtà siamo molto, molto indietro».
Con i figli a Pechino
Le emozioni si rincorrono, chilometro dopo chilometro, fino al culmine d’inizio giugno, nel giorno del loro cinquantesimo anniversario di matrimonio. Sono a Shanghai, fuori dalla chiesa di Sant’Ignazio. Piove. Anna entra: «Vedo mia figlia. Mi abbraccia. Penso: sto impazzendo. Poi vedo mio figlio. In un attimo, mi convinco che è un’allucinazione. E invece erano lì davvero, con noi. Ho dovuto abbracciarli, toccarli con le dita per capire che erano loro, in carne e ossa. Sono rimasti con noi una settimana e, insieme, abbiamo viaggiato da Shanghai a Pechino, per 1300 chilometri. Avevano fatto la patente cinese, abbiamo cambiato la targa del mezzo e passeggiato lungo la muraglia cinese. Questa sorpresa, architettata da loro con mio marito, è stata in assoluto l’emozione più grande della mia vita. Mai e poi mai mi sarei aspettata una cosa così». Anche il ritorno è stato un’avventura. Il momento dell’arrivo, sabato 23 agosto, è andato ben oltre le aspettative: «Siamo stati accolti in modo trionfale, anche troppo. C’erano il vicesindaco, le autorità di Cassola e di Bassano. A Castelfranco Veneto ci ha ricevuto il sindaco Stefano Marcon, che ha fatto un discorso bellissimo. Poi via, direzione Bassano. Arrivati lì, sono ammutolita: c’era un mare di gente. Avevano allestito un gazebo con porchetta, formaggi, vino e prosecco. Ci siamo fermati fino alle 21 a salutare e abbracciare amici». E ora? «Dormire nel mio letto mi è sembrato strano» sorride Anna.
24.7.25
l'italia e piena di angoli nascosti ma i burocrati del ministero per il turismo promuovono ( se pruomovono ) i grandi centri già famosi all'estero
L'Italia è piena di angoli nascosti dove succedono cose magiche. Alcuni di questi luoghi soho piccoli borghi antichi,abbracciati dalla natura, dove l’arte ha trovato casa.Quindi prima di andare all'estero impariamo a conoscere il nosro paese . e a promuoverlo meglio oltre alle classiche mete internazionali . Oltre i classici ed arcinoti murales sardi e adesso la città di Sciola , ecco altri esempi
11.5.25
3.9.24
IL MIO This Wandering Day
24.7.24
Claudio Carastro, lavora a Milano e fa l'università in Sicilia: si sveglia alle 3 del mattino e torna alle 2 di notte. La storia del pendolare estremo
da ilgazzettino tramite https://www.msn.com/it
Lavora a Milano e studia Economia aziendale a Catania: «Aereo alle 5, alle 9 gli esami». È la storia di “pendolarismo estremo” di Claudio Carastro, un ragazzo italiano che ha scelto un percorso "al contrario" e lo ha concluso da poco.
La scelta dello studente
Quella di Claudio Carastro, 24enne di Paternò, è una vicenda da fuori sede “al contrario”: un lavoro al Nord non gli ha impedito di laurearsi a casa sua, in Sicilia. Per sostenere gli esami, partenza all’alba e ritorno in tarda serata. Perché lo ha fatto? per dimostrare che le università del Sud non hanno nulla da invidiare al resto d’Italia. Lo ha spiegato lui stesso al portale Skuola.net.È lui stesso ad aver soprannominato il suo stile di vita con “pendolarismo estremo”: lavora in Lombardia in uno studio di commercialisti, mentre consegue la laurea a Catania, facendo un percorso inverso a quello che tanti suoi compagni scelgono. E la distanza tra le due sedi è di 1.400 chilometri. Per fortuna, Claudio deve recarsi fisicamente nelle aule universitarie soltanto nelle giornate in cui si tengono gli esami.
Claudio è un pendolare estremo
A Skuola.net il ragazzo ha spiegato come è nato il termine "pendolarismo estremo": «Mi è venuto in mente quando, durante la lettura di un bando per le borse di studio, vidi una tabella che riportava varie attribuzioni a seconda della distanza dello studente fuorisede. Si partiva dai “pendolari a stretto giro”, al di sotto dei 15 km di distanza, per poi proseguire a scaglioni. Ovviamente il mio caso era fuori da ogni schema, così pensai che, con una distanza di 1.420 Km non potevo che essere un “pendolare estremo”».
La giornata di viaggio di Claudio
«Per rendere l’idea, la giornata tipo della “trasferta” aveva inizio alle 3 di mattina, dopo una rapida preparazione mi dirigevo in aeroporto, dove parcheggiavo l’auto - racconta Claudio - Il volo tendenzialmente partiva tra le 5.30 e le 6.00 ed era l’unico che mi permetteva, salvo imprevisti, i quali ovviamente si palesavano spesso, di essere presente per l’orario di inizio dell’esame generalmente alle ore 9.00/9.30. Durante il volo, 1 ora e 35 minuti, avevo modo di simulare l’esame nella mia mente, la quale si spegneva in una stanca dormiveglia. Arrivavo a Catania, prendevo il bus che mi lasciava davanti la facoltà, il tempo di un caffè e successivamente entravo in aula. Finito l’esame, se restava ampio margine prima del volo ritorno, che sovente partiva all’ultimo orario disponibile (22.30/23.30), rientravo volentieri al mio paese, a trovare la mia ragazza, gli amici e i parenti. Altrimenti, se avevo meno tempo, passeggiavo per Catania e attendevo l’orario per tornare direttamente in aeroporto. Il rientro avveniva, causa continui ritardi dei voli, verso le 2.00 di notte. L'indomani ricominciava la giornata di lavoro, sicuramente con maggior vigore se l’esame era stato superato».
Che "tabella di marcia" dovevi rispettare per conciliare un lavoro comunque impegnativo con lo studio a distanza?
«Sfruttavo ogni momento libero della giornata: studiavo sul treno durante il tragitto verso lo studio con il quale collaboro ormai da alcuni anni, o mentre rientravo a casa, o durante la pausa pranzo, o ancora appena rientrato a casa, ecc. Sicuramente il weekend era il momento in cui massimizzavo gli sforzi, anche se ciò comportava dover rinunciare a molti aspetti legati alla vita sociale, per non andare eccessivamente oltre con le tempistiche del percorso».
La strategia per andare avanti con gli esami, invece, qual era?
«L’iter base prevedeva il superamento per ciascun appello di due esami, per due materie differenti. La difficoltà principale che ho dovuto affrontare era la sfida costante con la consapevolezza di non poter sbagliare. Avevo un solo tentativo per ogni materia: lo ripetevo sempre a me stesso. Un passaggio a vuoto avrebbe comportato un dispendio ulteriore di energie e di soldi, un carico supplementare di stress, nonché lungaggini dei tempi di completamento. Ogni errore faceva slittare all’appello successivo. Con un approccio del genere sono riuscito a terminare il percorso di studi in poco più di 3 anni e mezzo, arrivando a 4 con la discussione della tesi».
A questo punto la domanda sembra scontata: perché non hai scelto un corso di laurea a Milano? Sarebbe stato più comodo…
«La mia forma mentis, la mia istruzione, la mia crescita derivano tutte dal percorso fatto nella mia terra. Per cui, se da un lato le strade si sono divise per varie ragioni, dall’altro ho nutrito il sentimento di creare un legame indissolubile con essa, concludendo il mio percorso di formazione, per l’appunto, in Sicilia, la quale investe per me, come per tutti gli altri studenti, nella nostra formazione. E poi, in qualche modo, ho voluto dimostrare che le università al Sud sono valide tanto quanto le università del Nord».
Oggi, alla fine del percorso, qual è il tuo bilancio di questa esperienza?
«La mia missione è man mano diventata, anche e non solo, una sfida d’orgoglio. Mi è stato spesso chiesto il motivo della mia scelta e, devo dire, molte volte ho pensato, soprattutto a metà percorso, di trasferirmi in un'università più vicina. Nel momento in cui, però, durante una normale conversazione a riguardo mi risposero: “Fai bene, così concludi velocemente visto che giù gli esami li regalano”, nonostante tu sapessi dentro di te quanto è difficile superare ciascuna prova e quanta ansia dovessi affrontare ogni volta. Allora ho sentito quasi il dovere di portare a termine ciò che avevo cominciato, al fine di poter sottolineare, qualora la vita mi avesse riservato anche semplici soddisfazioni a livello lavorativo, di essere laureato presso l’Università di Catania».
A conti fatti, consiglieresti ad altri giovani una esperienza simile alla tua?
«A chi deve intraprendere un corso di laurea, più che la mia esperienza in senso letterale, consiglio di scegliere non in base al blasone dell’istituto in sé. Anzi, bisogna far sì che ognuno porti avanti il nome degli istituti della propria terra natale, in qualsiasi regione si trovino, anche al Sud, dove molte strutture hanno ben poco da invidiare al resto del Paese».
Intanto, però, i dati sugli immatricolati ci dicono che ogni anno c'è un vero e proprio esodo di universitari dal Sud al Nord. Secondo te perché?
«Ritengo che gran parte degli studenti opti per un’università situata al Centro-Nord più che altro nell’ottica di un inquadramento lavorativo futuro più celere e immediato. Sono indiscutibili i legami e le porte d’accesso che varie facoltà al Nord offrono agli studenti. Mi sento però di evidenziare, per quanto riguarda l’università di Catania, l’organizzazione e la puntualità dei professori, oltreché le competenze in materia».
Ora quali sono i tuoi piani per il futuro, sia a livello professionale che personale? Sceglierai Milano o Catania?
«A livello lavorativo, purtroppo, non è possibile al momento eseguire lo stesso ragionamento proposto a livello di istruzione. Ho provato ad approcciarmi al mondo lavorativo anche in Sicilia ricevendo, però, delle delusioni. Inoltre, per chi come me ha intrapreso un percorso in ambito economico e finanziario, Milano rappresenta il vertice in Italia. Attualmente, a livello professionale e personale, sto bene. In futuro si vedrà».
7.7.24
ritorno per un po' alla mia comfort zone prima di ritornare all'azione
L'isola che non c'è ( con Testo)- Edoardo Bennato
| topolino n 3580 |
* è una locuzione latina attribuita all'Imperatore Augusto dallo storico latino Svetonio. In realtà, nel testo di Svetonio (Vite dei dodici Cesari. Augusto, 25, 4), viene riportata una citazione di Augusto (in greco antico, σπεῦδε βραδέως spèude bradéōs), della quale "festina lente" è la traduzione latina. La locuzione unisce, in un ossimoro, due concetti antitetici, velocità e lentezza, e sta a indicare un modo di agire senza indugi, ma con cautela. ..... https://it.wikipedia.org/wiki/Festina_lente
22.5.24
DIARIO DI BORDO N 52 ANNO II . Ingegnere cambia vita, si licenzia e molla tutto: «Giro il mondo in bicicletta» ., Ferite e vive per miracolo dopo incidente stradale si scattano un selfie sul bordo della strada ., ed altre storie
Nnon è mai troppo tardi per cambiare vita e rimettersi indiscussione
Alex Battiston© Anthology
SAN VITO - Mollare tutto e fare il giro del mondo. Un pensiero che fa capolino nella mente di molte persone, almeno una volta nella vita. Alex Battiston lo sta facendo davvero, in sella alla sua bici. Classe 1985, il viaggiatore è originario di Sesto al Reghena. Dal borgo si era poi trasferito nella vicina San Vito, ma da una decina di anni la sua vita è in Finlandia. A portarlo nel nord Europa, la sua tesi di laurea incentrata sull'automazione. Alex è un ingegnere meccatronico e con i suoi studi si era guadagnato un'ottima posizione lavorativa a Helsinki. Un incarico che negli anni gli ha dato molte soddisfazioni, e che non ha lasciato a cuor leggero. Qualche settimana fa, la scena quasi da film. L'incontro con il capo per comunicare «mi licenzio e mi metto in viaggio». «È stata una scelta difficile racconta Alex -, ma avevo questo sogno da tanti anni e non volevo aspettare ancora. La cosa bella è che sono stato non solo compreso, ma anche appoggiato. Hanno capito tutti il valore che ha per me questa esperienza». 150 mila chilometri da percorrere su quello che da sempre è il suo mezzo preferito, alla scoperta di culture diverse, bellezze naturali, sapori e profumi di ogni parte del globo. Un tour che richiederà più di tre anni. E soprattutto un cambio d'abitudini radicale, dalla quotidianità "tradizionale" del lavoro in azienda, a quella nuova e a volte imprevedibile dell'avventura.
LE TAPPE
Ma da buon ingegnere, Alex è organizzato: tenda, materassino, fornello a gas da campeggio, piccoli attrezzi per la bici, telefono e pc, e lo stretto necessario per spostarsi in sicurezza. Il viaggio è cominciato qualche giorno fa dalla Finlandia, con un traghetto per arrivare a Tallinn, capitale dell'Estonia, e cominciare a pedalare «tra foreste - spiega Alex -, piccole città e gemme quasi sconosciute che meritano di essere viste». In questi giorni continua il tragitto in direzione sud-ovest, che toccherà, oltre ai Paesi baltici, la Polonia, la Slovacchia, l'Austria e la Slovenia. In Italia non mancherà la tappa in Friuli Venezia Giulia, per salutare la famiglia, e poi via per la Francia, l'Andorra e la Spagna. Terminata la parte europea del tour, sarà il turno dell'Africa, un momento molto atteso dall'ingegnere, che pensa al deserto del Sahara, e ai colori e alle ombre delle foreste tropicali. Pedalerà lungo tutta la costa occidentale del continente nero per poi risalire a est e arrivare in Etiopia. Seguiranno i soggiorni in alcuni Paesi del Medio Oriente, in India, Bangladesh, Thailandia, Malesia e Indonesia. E giù, fino all'Australia. «Un "must" - commenta Alex per chi come me ama i deserti». Il ciclista raggiungerà poi il Sud America e si sposterà verso l'emisfero Nord. Argentina, Cile, Bolivia, Perù e Colombia. E ancora Panama, Costa Rica, Nicaragua, Honduras, Guatemala, Messico, per finire con gli Stati Uniti, da percorrere da ovest a est.
SUL SUO SITO
L'itinerario di Alex è pubblico, si possono leggere tutte le tappe sul suo sito, World On Bicycle. Nel portale, così come nei suoi canali social, l'ingegnere condivide foto e video della sua avventura. Scrive e parla in inglese, così da rendere i suoi contenuti fruibili per un pubblico più ampio possibile. Alex non nasconde di avere un ulteriore sogno: trasformare la sua passione in un lavoro, proprio grazie all'ausilio dei social media. Una passione che gli ha trasmesso il nonno Felice, «che mi ispira - spiega - ogni volta che conquisto una salita», e che nel tempo è cresciuta. Il desiderio di affrontare in bici sfide sempre più ardue è stato alimentato anche dal mondo del web, caro all'ingegnere. «Ho fatto i primi viaggi in Irlanda, Scozia, Islanda e Toscana - conclude - spinto da alcuni video visti su YouTube. Ora vorrei anch'io motivare altre persone, ispirarle a inseguire i loro sogni. Tutto si può fare, basta volerlo».
bordo di una strada con lo smartphone in mano, intente a scattarsi un selfie mentre tutto intorno gli altri occupanti della vettura incidentata erano intenti a chiamare polizia e ambulanza. L'auto sulla quale viaggiavano intanto era ribaltata in mezzo alla strada con i finestrini rotti. Il sospetto delle forze dell'ordine è che lo schianto sia avvenuto a causa dell'eccessiva assunzione di alcol da parte della persona al volante.
3.1.24
La bicicletta è comunità e condivisione la storia di Davide Ferrario
Musica per andare in bici: 10 canzoni consigliate da 10 artisti indie
conclusasi da questa storia di Davide Ferrario
3.12.23
Diversamente simili rencensione di Marco Meucci a “Sulle tracce dell’altrove” di Cristian Porcino
@vivielacarta grazie Vivi. Dopo anni di odio sono diventato l’incarnazione vivente della canzone omonima di Michele Bravi 😘😜
la trovate su queste pagine appena mi mettono apposto la linea . Per iul momentoaccontentatevi di questa bella recensione
Incredibili analogie e curiose similitudini che hanno caratterizzato stralci della mia vita sono balzate fuori dalle pagine del breve ma intenso “Sulle tracce dell’altrove”, ennesima fatica letteraria dell’amico Cristian. Un sipario mai completamente chiuso su questa incredibile commedia, a volte dramma, che è la nostra esistenza terrena; passando fra le braccia di personaggi immortali come Franco Battiato, Raffaella Carrà, Manlio Sgalambro e molti altri che attraverso la loro Arte sono riusciti a lenire, se non guarire, le ferite inferte dagli artigli spietati dell’ignoranza e del giudizio.
“L’uomo è la belva più feroce” afferma il Generale Zaroff nel racconto “The Most Dangerous Game” di Richard Connell (1924); da che mondo è mondo gli umani hanno creato spietati giochi al massacro chiamati “guerre” “battaglie” “inquisizione”… la crudeltà è sempre stata il sollazzo del popolo e la strategia del Potere. Guerre più silenziose ma non meno terribili si consumano nelle famiglie, nelle scuole e in quei luoghi che la società e le chiese vorrebbero indicarci come “templi di edificazione” ma che spesso si rivelano fabbriche di etichette terribili, marchiate a fuoco sui singoli individui colpevoli di essere se stessi. Seguiamo dunque le “tracce dell’altrove” per trovare la nostra strada verso la serenità, facendo della “diversità” il nostro vessillo!
4.9.23
cosa è 'l'amore ? risposta del dottor Cristian Porcio autore di Sulle tracce dell'altrove
4.1.23
viaggiare da soli o in compagnia ?
il perché ho scelto di chiamare le mie appendici internet anch'io è per questo che avevo chiamato il mio mio blog cdv.splinder.com poi con il passaggio a blogger www.ulisse-compagnidistrada.blogspot.com e poi la pagina Facebook compagnidistrada sta in questo post del gruppo facebookiano compagnidiviaggio2013
2.11.22
L’impresa trasmessa nei monitor delle sale d’attesa dell’Aou La missione della “Sassari” in Qatar Tre biker fra le dune del Marocco «Grazie per il vostro coraggio»
dalla nuova sardegna del 2\11\2022
Nuova sfida vinta dopo il tumore, la chirurga Nonnis: «Esempio per tutti»
Sassari
“Lacrime libere di donne che non temono l’emozione”. Una breve didascalia che dice tanto. L’ha scritta Rita Nonnis, chirurga senologa dell’Aou di Sassari, sul suo profilo Facebook per accompagnare l’immagine del traguardo finale raggiunto dalle “sue” tre combattenti, innamorate della vita e pronte ad accettarne le sfide. In sella alle loro mountain bike, Paola Zonza, Daniela Tocco e Donatella Mereu
hanno partecipato alla Marocco Expedition Women Challenge. Quasi quattrocento chilometri percorsi in bicicletta tra dune e terreni pietrosi, tra piste e sentieri del profondo Marocco, dalle montagne al deserto, attraversando piccoli villaggi e remoti insediamenti di popolazioni berbere. Senza però mai perdere di vista l’obiettivo: arrivare all’ultima tappa e urlare al mondo “Noi ce l’abbiamo fatta, potete riuscirci anche voi”. Un “voi” che comprende chiunque stia affrontando la propria battaglia personale. Così come è successo a loro tre, che hanno combattuto e vinto la malattia. «Grazie di cuore per il vostro impegno e la vostra grande generosità per aiutare chi come voi ha affrontato periodi difficili – è il messaggio che la dottoressa Nonnis, componente medica della spedizione, ha dedicato a Paola, Daniela e Donatella – Grazie per la grande serietà ma anche per l’allegria con cui avete affrontato senza mai perdervi d’animo i momenti difficili». Un medico è una sicurezza quando si vivono esperienze complesse. Rita Nonnis è una grande e stimata professionista la tenacia con la quale ha portato e continua a portare avanti – cercando di superare innumerevoli difficoltà – vari progetti di crescita per la sanità sassarese (la Breast Unit è un esempio calzante) hanno fatto di lei un punto di riferimento soprattutto per le donne che combattono contro il tumore. «Con voi e da voi ho imparato molto, dal punto di vista umano e professionale – si rivolge ancora alle biker – Come nelle altre sfide della vita vi siete preparate con caparbietà e avete affrontato con consapevolezza tutto il percorso con una forte motivazione. Siete donne sensibili, coraggiose e determinate». E lo specifica, la Nonnis, che far parte delle “women challenge” non significa essere “super women” «ma donne che conoscono i propri limiti, li accettano e sanno cosa fare». Esattamente l’identikit di ciascuna delle protagoniste di questa avventura in Marocco. Che, naturalmente, è stata possibile grazie alla sinergia e all’impegno imprescindibile di altre persone. Il progetto è stato organizzato e realizzato da Acentro per il sociale di Cagliari con il patrocinio di Regione, Comune di Cagliari, Asl di Cagliari, Aou di Sassari, Lilt, Ail Cagliari,Fondazione Taccia, Mai più Sole e Associazione sinergia femminile. Con il supporto di numerose aziende del territorio. L’Aou di Sassari è stata molto presente durante questo viaggio, prima con la consegna di materiale medico alla vigilia della partenza e poi con la trasmissione – nei monitor delle sale di attesa dell’Azienda – delle immagini che raccontavano quotidianamente la piccola grande impresa. A guidare l’avventura il capo carovana, Maurizio Doro, biker d’esperienza e fine conoscitore del Marocco. Con loro anche il coach Antonio Marino e Michele Marongiu, ideatore dell’avventura, oltre al videomaker Pierandrea Maxia che ha documentato ogni singola tappa. Prima del rientro in Italia la comitiva ha donato i presidi medici e i farmaci – che per fortuna non è stato necessario di utilizzare – del kit di pronto soccorso. La dottoressa Nonnis li ha consegnati nelle mani di madame Keltoum Touhami Elwazzani che nel villaggio di Agdz è attiva proprio nella sensibilizzazione contro il cancro alla mammella. Un modo speciale di concludere la sfida
29.7.22
a piedi dalla baviera a barletta stesso percorso del padre ex deportato militare nei lager nazisti ed altre storie
Pasquale Caputo ha 73 anni. E’ partito lo scorso 8 maggio da Monaco di Baviera per rivivere il viaggio che suo padre Francesco e migliaia di soldati italiani fecero al termine della seconda guerra mondiale per tornare nelle loro case. Un viaggio per riflettere e fare memoria. Oggi l’ultima tappa a Barletta, la sua città
«Durante le notti passate in Baviera ci sono stati dei temporali. Mi svegliavo all’improvviso e pensavo ai miei “ragazzi”, li sentivo vicino». Pasquale Caputo non trattiene la commozione. Il suo viaggio sta per terminare, eppure dentro di lui echeggiano ancora i passi che dall’8 maggio lo accompagnano in questo lungo percorso alla scoperta del passato. Ma dentro di sé esplodono anche i passi di coloro che lo hanno preceduto, che hanno compiuto il suo stesso, identico, percorso, molti anni prima. Perché Pasquale, che di anni ne ha 73, ha ripercorso il tragitto che suo padre, Francesco, compì alla fine della seconda guerra mondiale da un campo di concentramento tedesco alla sua casa di Barletta. Come suo padre e le migliaia di soldati italiani che al termine del conflitto tornarono a piedi alle proprie abitazioni, anche il pensionato è partito da Monaco di Baviera per rivivere la loro esperienza percorrendo 1700 km, suddivisi in 68 tappe che lo hanno fatto passare per i luoghi della Resistenza italiana al nazifascismo. In tutte le città ed i presidi in cui è stato, in particolare nelle sedi dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani, ha ricevuto accoglienza e riconoscimento per l’iniziativa che ha intitolato “Sulle orme di mio padre e di tutti gli Internati Militari Italiani”.


«Mio padre ha perso dieci anni della sua vita tra il 1935 ed il 1945, tra il servizio militare, il richiamo, l’entrata in guerra ed i due anni trascorsi nei campi di concentramento» racconta Pasquale Caputo nella tappa che lo ha accolto nella sua Puglia, a Foggia. «Non mi rendevo conto della forza che aveva avuto per tornare a casa in quelle condizioni. I soldati erano stracciati, ammalati, denutriti ed ho compreso in quali condizioni disumane si trovavano ed il coraggio che hanno avuto per fare ritorno dai loro cari». Anche per questo, Pasquale ha documentato con foto e parole sulla pagina facebook del progetto tutto il viaggio. Suo padre Francesco nacque a Barletta il 21 maggio 1917. Da soldato, era in forza al Reggimento di Cavalleria di Ferrara. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, fu catturato a Verona e deportato nei campi di prigionia tedeschi, andando a far parte di quella schiera di IMI (Internati Militari Italiani) ritenuti traditori dall’ex alleato nazista. Dopo la detenzione nei campi di Moosburg, Memmingen e Kaufbeuren nei dintorni di Monaco di Baviera, il padre di Pasquale e gli altri sopravvissuti iniziarono un lungo cammino a piedi per tornare nelle loro città.


Francesco Caputo giunse nella sua casa paterna di Barletta il 27 luglio 1945. Ma non tutti riuscirono a tornare a casa. Molti persero la vita nei campi di concentramento, durante il difficile viaggio per tornare a casa, spesso affrontato in condizioni di salute assai precarie. Per questo, il viaggio di Pasquale, oltre a raccontare attraverso il ritmo dei passi la vicenda di suo padre, vuole essere un’occasione per fare memoria, per riflettere sul tema della guerra, delle discriminazioni razziali, delle persecuzioni e dell’immigrazione. Tutte tematiche ancora tristemente attuali.
«Questo lungo percorso mi ha fatto pensare anche a tutti i popoli che oggi sono in marcia per cercare un futuro migliore, a chi attraversa il Mediterraneo, a chi il deserto africano per finire nei lager libici, al popolo ucraino in fuga dalla guerra. E’ stato un modo per essere vicino a tutta questa gente». Dopo oltre 70 giorni di cammino, Pasquale deve affrontare l’ultima tappa. Gli ultimi metri di un percorso che gli ha provocato un misto di emozioni e sentimenti. Oggi arriverà a Barletta, la sua città, la terra di suo padre da cui tutto ha avuto inizio. Ad accoglierlo ci sarà tutta la sua comunità e, probabilmente, confuso tra la folla, anche il sorriso del padre con le braccia aperte per abbracciarlo.
Superstite di Auschwitz incontra i nipoti del soldato che la salvò

Ottantacinque anni dopo l'esperienza del campo di sterminio di Auschwitz una sopravvissuta incontra i nipoti del militare statunitense che le regalò un biglietto di auguri. Lily Ebert venne prelevata coi suoi dalla loro casa in Ungheria e portata in Polonia. Stessa sorte di centinaia di migliaia di ebrei, rom, omosessuali e oppositori politici, finiti nella mostruosa follia nazista."Quel soldato mi augurò buona fortuna, fu una cosa straordinaria, non me lo aveva detto nessuno". Un messaggio di speranza rimasto scritto su una banconota tedesca, che Lily ancora conserva. "Per la prima volta qualcuno ascoltava la mia storia e non voleva uccidermi, ma solo ascoltare: questo ha fatto una grande differenza".
Alla liberazione di Auschwitz, da parte dei soldati dell'Armata Rossa, Lily aveva 16 anni. Nel campo da cui lei è uscita viva, i nazisti hanno ucciso milioni di persone. "Nessuno pensava che saremmo state liberate, da quel posto si poteva uscire solo attraverso il forno".

A far incontrare la donna e i nipoti del suo salvatore è stato uno dei suoi nipoti, che ha pensato di pubblicare la sua storia su una rete sociale. "Mi ha toccato il cuore quel messaggio, sono solo dieci parole: "Inizia una nuova vita, buona fortuna e felicità". Che emozione scoprire un gesto di gentilezza".
Il soldato statunitense non ha vissuto abbastanza per ricontrarsi con Lily. I suoi familiari lo hanno fatto al suo posto, trasformando un semplice gesto di cordialità in una notizia. Settantacinque anni dopo questa donna ha potuto ringraziare i discendenti del soldato che scrisse il suo nome su una banconota. Un inconro casuale in tempo di guerra, un messaggio che ha viaggiato nel tempo, e due famiglie che ora vogliono rtornare a vedersi.
cosa è la speranza ?
in sottofondo Dio è morto - Francesco Guccini - con testo in scorrimento partendo dall 'horror club di Dyla Dog n 471 Una finestra Sul...
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Come già accenbato dal titolo , inizialmente volevo dire Basta e smettere di parlare di Shoah!, e d'aderire \ c...
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iniziamo dall'ultima news che è quella più allarmante visti i crescenti casi di pedopornografia pornografia...
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Ascoltando questo video messom da un mio utente \ compagno di viaggio di sulla mia bacheca di facebook . ho decso di ...








