L'esclusione, la solitudine e poi la gioia che esplode. Diventare genitori ai tempi del Covid



Messaggi, foto, videochiamate, filmare ogni istante con il neonato in camera non basta, non è confrontabile con l'emozione della realtà. Stavolta la tecnologia non può replicarla. Le voci di neo genitori da Napoli e dalla Campania


di Tiziana Cozzi
12 SETTEMBRE 2021 










Tommaso Oliviero, docente di Economia bancaria alla Federico II, ha visto il suo Lorenzo, esattamente due settimane dopo la nascita. "E' stata un'esperienza traumatica, prima la gravidanza e poi il parto in pandemia - racconta - quando l'ho visto, ho pianto tantissimo, la tensione accumulata in quei giorni è stata tanta. Ho aspettato davanti all'ospedale per ore che nascesse, sul marciapiedi davanti alla Clinica dei Fiori di Acerra. E, mentre aspettavo, pensavo ai racconti gioiosi dei miei amici, la nascita è uno dei momenti più belli della vita. A me tutto questo è stato negato. Un periodo meraviglioso è stato trasformato in un incubo dal Covid. Da ottobre non ho assistito più alle ecografie, non mi consentivano di entrare in stanza. Accompagnavo mia moglie Tania dal ginecologo e aspettavo in macchina". È cominciata così, la storia di Tommaso e Katia, una nascita tanto attesa ma giunta in pandemia, un travaglio prematuro e tutte le ansie da affrontare ciascuno per proprio conto. Il Covid ha separato giovani coppie, ha lasciato mamme da sole in sala parto, ha sottratto non solo abbracci ma gioie.
E l'emblema di questa gioia a metà, sono i racconti di chi quello spaesamento lo ha vissuto sulla propria pelle. "Lorenzo è nato prematuro di due mesi - continua Tommaso - il giorno del parto ho accompagnato Tania in ospedale e non l'ho più vista, ho fatto perfino un tampone ma non mi hanno fatto entrare. Ero in contatto con lei al telefono finché è stato possibile, poi è rimasta due settimane in clinica solo per vedere Lorenzo che era in terapia intensiva. Abbiamo affrontato anche un notevole costo economico, la stanza era a pagamento. Alla fine tutto è andato benissimo, il periodo dello smart working da casa mi ha permesso di vivere al cento per cento mio figlio ma mi è mancato stare accanto a mia moglie". Il momento più bello della vita vissuto da sole. Entrare in sala parto e farsi forza senza lo sguardo e il conforto del compagno. Questo il rimpianto più grande delle giovani mamme. Diventare papà e restare fuori dalla magia del momento della nascita.


Nei due anni di pandemia, le regioni del centro-sud hanno mantenuto l'abituale maggiore proporzione di cesarei rispetto al nord del Paese. Un privilegio, poter avere accanto una persona di propria scelta durante il travaglio o il parto, concesso solo al 51 per cento delle donne meridionali, il 54 per cento dei neonati è potuto restare accanto alla mamma, tra questi il 27 per cento ha praticato il contatto pelle-a-pelle. Durante il ricovero il 69 per cento delle mamme e dei neonati hanno potuto condividere la stessa stanza e il 76 per cento dei piccoli ha ricevuto il latte materno. Nei mesi iniziali alla nascita le mamme sono state più spesso separate dai bambini mentre successivamente, anche grazie a una migliore organizzazione dell'assistenza, negli ultimi tempi i dati descrivono un maggiore rispetto della fisiologia della nascita e una maggiore attenzione nel favorire il contatto madre-bambino, il rooming-in e l'allattamento.E se i papà raccontano il dolore dell'esclusione, le mamme narrano dei parti in solitudine. Veronica Fornello è mamma di Miriam, oggi 11 mesi. "Ho scoperto di essere incinta a fine febbraio 2020 dopo poche settimane mi sono rintanata in casa, non sono più uscita, avevo paura. È stato difficile non vedere le persone care, non ho potuto condividere la gravidanza con mia sorella, mi sono mancati gli affetti". Quando è il momento, Veronica partorisce da sola ma tornata in stanza, trova a sorpresa, sua madre: "E' stata prigioniera in camera, non poteva uscire ma mi ha aiutato, per fortuna. Mi sentivo spaesata, pensavo al mio compagno che non poteva nemmeno prendere in braccio mia figlia. Una sera, mi sono affacciata e l'ho visto in strada, aspettava sotto la mia finestra. È stato terribile, sono scoppiata a piangere". La gioia di partorire, di tenere stretta tra le braccia la sua piccola ma il rammarico di farlo da sola. "Mi è dispiaciuto non aver provato quella gioia condivisa, ho partorito con persone estranee ma se ci penso quella mano amica mi è mancata, mi avrebbe dato più forza una carezza in più, anche se i medici sono stati amorevoli ma le parole di un compagno sono un'altra cosa. Lui mi è mancato molto, l'ho rivisto dopo 4 giorni, quando ci siamo incontrati ci siamo commossi, ci siamo abbracciati, sembrava che non ci vedessimo da una vita". Messaggi, foto, videochiamate, filmare ogni istante con il neonato in camera non basta, non è confrontabile con l'emozione della realtà. Stavolta la tecnologia non può replicarla.
Anche Nicoletta Colella, 35 anni, ha partorito il secondo figlio a novembre 2020 con l'incubo Covid. "I vaccini non c'erano ancora, se ne parlava, mi sono ritrovata in sala parto senza nessuno dei miei cari, è stata durissima, solo dopo un po' ho potuto informarli che era tutto ok. È stato difficile respirare con la mascherina, vedevo girarmi intorno medici e infermieri mentre ero in travaglio, mi è mancata una presenza, è andata bene, non posso lamentarmi, mi sono imposta di concentrarmi sul respiro ma mi è mancato avere una presenza familiare accanto. Il mio compagno mi ha detto che era fiero di me, del coraggio che ho avuto in una situazione così difficile". Il rimpianto più grande per Daniela Russo, 40 anni, mamma di Giuseppe, è aver sottratto la scuola alla primogenita Rosanna, 6 anni, proprio per le ansie legate al Covid. "Ha perso il suo ultimo anno d'asilo, ho preferito non mandarla a scuola, avevo paura del contagio. Durante la gravidanza non ho preso trasporti pubblici non sono uscita molto, mi sono chiusa in una bolla di smart working. Il Covid mi ha toccato proprio su gravidanza e parto, mi ero ripromessa di concentrarmi sulla seconda gravidanza, invece è stato brutto non poter condividere il momento della nascita con mia madre, i miei cari, è stata la cosa di cui ho sofferto maggiormente".Daniela ha partorito a Villa delle Querce, in camera con lei, suo marito Luigi ma le è mancata la condivisione con la famiglia. "Quando è nata Rosanna la stanza era strapiena di parenti, invece per Giuseppe è stato un momento intimo, di maggiore consapevolezza, eravamo soli. Allora ero circondata da tante persone che ti ovattano, ti stanno vicino, invece stavolta ho fatto dal primo giorno la mamma. Sono scesa dal letto e mi sono presa cura di Giuseppe, da subito, è stato bello. Il ritorno a casa invece è stato solitario, la cosa più triste è che mio fratello ha visto mio figlio da poco, quando aveva già 4 mesi". È stata una maternità difficile, carica d'ansie quella di Adriana Schiavo, 35 anni, "ho trascorso l'intera gravidanza in casa, non andavo nei luoghi chiusi, evitavo i supermercati, non entravo in casa di amici, ho lavorato in smart working fino a 8 mesi, disinfettavo tutto ossessivamente, il mio compagno andava a lavoro con 3 mascherine. Quando è nato mio figlio, poi, ho avuto paura di uscire. L'ho portato in un negozio di giocattoli pochi giorni fa, per la prima volta, a 7 mesi. Abbiamo subito limitazioni enormi, mi è mancata una gravidanza normale. Spero di poter provare cosa voglia dire in futuro".

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