23.9.21

“Sciolgo i cani”. Così lo zio dei fratelli Bianchi ha aggredito i giornalisti de La Vita in Diretta “Sciolgo i cani”. È la minaccia dello zio di Marco e Gabriele Bianchi contro la troupe Rai della trasmissione ‘La Vita In Diretta’, che è stata aggredita dalla famiglia dei due tra gli imputati

 di cosa stiamo parlando 


 
premetto che : non ho visto la trasmissione  ed la puntata incriminata  ., non mi piace  il giornalismo di quel tipo .Ma  se usi contro d'essa e i loro.giornalisti a violenza  fisica vuol dire  che  tu abbia qualcosa da nascondere  o  li difendi gli assasini  o presunti     tali  .  







“Sciolgo i cani”. Così lo zio dei fratelli Bianchi ha aggredito i giornalisti de La Vita in Diretta
“Sciolgo i cani”. È la minaccia dello zio di Marco e Gabriele Bianchi contro la troupe Rai della trasmissione ‘La Vita In Diretta’, che è stata aggredita dalla famiglia dei due tra gli imputati a processo per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte. La giornalista ha raccontato a Fanpage.it i momenti dell’aggressione.
           A cura di Alessia Rabbai


La giornalista de ‘La Vita In Diretta' Ilenia Petracalvina ha raccontato a Fanpage.it l'aggressione verbale e fisica subita dalla troupe della trasmissione Rai da parte della famiglia Bianchi, avvenuta durante un servizio nel territorio in cui un anno fa nella notte si è consumato il brutale pestaggio di Willy Monteiro Duarte. La giornalista e il cameraman si sono recati a Colleferro, dove i genitori e i parenti di due dei quattro imputati a processo per omicidio vivono, per chiedere spiegazioni sulla frase pronunciata un anno fa dalla madre dei due ragazzi in carcere riguardo il ventunenne ucciso di botte: "Lo hanno messo in prima pagina manco fosse morta la regina". "Un'aggressione violenta e inaspettata" così la definisce Petracalvina. Il tutto è accaduto in pochi attimi, minacce a seguito dei quali i componenti della troupe non hanno potuto fare altro che andarsene, preoccupati per possibili ripercussioni sulla propria incolumità fisica.
Il racconto dell'aggressione alla troupe Rai de La Vita In Diretta
"Quando siamo arrivati davanti all'abitazione per porre qualche domanda la mamma dei fratelli Bianchi era affacciata alla finestra. Accorgendosi che eravamo giornalisti ci ha aggrediti verbalmente, ripetendomi per due volte che non avrei dovuto fare l'intervista. Subito dopo è comparso suo marito, che ha preso di mira l'operatore intento a riprendere e gli si è avvicinato velocemente, dandogli uno schiaffo, colpendolo tra la guancia e l'orecchio sinistro". Un gesto che ha colto entrambi di sorpresa. La giornalista si è allarmata e ha capito che la situazione non si stava mettendo bene: "Mi sono spaventata quando lo zio di Marco e Gabriele Bianchi ha pronunciato la frase ‘Sciolgo i cani', perché ho subito pensato che ce la saremmo vista brutta, per questo ho detto all'operatore di andarcene. Lui ha ripreso tutto, poi siamo saliti in macchina". A seguito dell'aggressione il cameraman si è recato in ospedale per alcuni accertamenti e refertato in pronto soccorso ha ricevuto tre giorni di prognosi.


Il tutto in mezzo alla strada, fuori dalla sua proprietà e per la sola “colpa” di aver fatto il loro lavoro: domande. Di fronte a una tale brutalità, il pensiero è immediato: la mela non cade mai lontana dall’albero. O, per essere più chiari, come  dice  Lorenzo Tosa ,  dimostra la più incontrovertibile delle verità: che il mostro nasce in famiglia, nell’educazione (o nella sua totale mancanza), nel brodo culturale in cui si cresce. Nell’attesa, pene certe, eque e rapidissime, giustizia per Willy e poi l’oblio. Abbiamo sopportato anche troppo questo orrore.
Ora  sarò   impopolare, suonerà pure urticante, ma la verità è che non riesco a provare il minimo sollievo o se ci riesco e solo temporaneo né a placare alcuna sete di giustizia nel sapere che i fratelli Bianchi, i presunti visto che c'è un processo in corso assassini di Willy Monteiro, in carcere vivono sotto la minaccia di essere accoltellati.Né pietà né soddisfazione. Quello che provo è , lo stesso di Lorenzo Tosa , più simile a un senso di sconfitta nel vedere il punto a cui siamo arrivati: una tale sfiducia nei confronti della giustizia e dello Stato da spingere milioni di persone - in buona fede - a preferire, anzi invocare, la “legge del carcere”, la vendetta sommaria, il contrappasso dantesco.
Nel momento in cui il carcere assume i contorni della piazza di Colleferro in cui è stato massacrato Willy, nell’attimo in cui accettiamo - anzi, addirittura auspichiamo - questo passaggio logico, è come se stessimo accettando le regole imposte dai suoi assassini, l’idea di mondo delle bestie, la violenza come arma di soluzione, e implicitamente rifiutando e umiliando la civiltà che Willy fino all’ultimo respiro della sua vita aveva cercato di salvare.Quando fu arrestato Bernardo Provenzano, uno dei criminali più brutali e feroci di tutti i tempi, la prima cosa che fecero gli agenti fu trovargli rapidamente l’occorrente per un’iniezione per curare la sua malattia.“Gli dimostrammo la differenza tra noi e loro: non ci si abbassa mai al livello dei criminali che si combattono” ricordò anni dopo Pietro Grasso.Ogni volta che deroghiamo a questo principio, stiamo dando ragione a loro.Ogni volta che cediamo alla pancia, alle viscere, stiamo accettando un populismo che a parole pretendiamo di combattere.In cosa, in questo, diversi da un Salvini qualsiasi ?C’è solo un modo per restituire a Willy e alla famiglia giustizia: assicurarci che lo Stato protegga chi ha in custodia, che li processi con le sue regole, non quelle del branco, che sia più forte dei criminali che giudica, non più debole. E lo faccia una volta tanto in modo serio, rigoroso, il più possibile rapido ed equo, il cui verdetto non faccia mai dubitare a nessuno, neanche per un istante, che lo Stato non abbia fatto il suo dovere.Giustizia, non vendetta. Altrimenti abbiamo già perso.

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