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20.9.21

l'autunno non è solo malinconia ed tristezza Tanti falsi miti, altrettante leggende e una soria ricca, quella del frutto più sensuale e versatile dell'estate e dell'autunno




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In genere  oltre  alle   varie  varietà    (   vedi primo url  sopra  )   che  solo in italia  sono 24\25   senza  contare  quelle  estointe   perchè    estranee   alle regole della grand e distribuzione  o  (  dimensioni ,   forma  , no  fuori stagione , ecc  )   si hanno due tipi di fichi: i fioroni, che maturano a inizio estate  cioè maggio\  giugno , e i fichi veri, che giungono a maturazione tra   giugno\  luglio  fino a settembre\  ottobre   . 


FICO

Fico, foto da Digital Library

Arbusto o albero di piccole dimensioni alto fino a 10 metri, con chioma espansa, larga ed irregolare. Fusto spesso tortuoso e contorto, ramificato principalmente dalla base. Corteccia liscia, grigiastra. Foglie grandi di 10-20 cm, semplice, caduca, lobata con 3-5 lobi, color verde scuro, pubescenti e scabre superiormente, verde-grigiastro e tomentose inferiormente. Nervature prominenti, latiginose. Fiori unissessuali piccolissimi racchiusi nella parte interna del ricettacolo (fico) carnosi, piriforme, glabro, di colore vario, ricco di zuccheri con una piccola apertura apicale. Semi minuti.

Corologia:
Specie originaria dell’Asia occidentale, da dove si è diffuso nei paesi mediterranei e caldi in genere. Tipo corologico: Medit.-Turan.
Fenologia:
I minuscoli fiori crescono all'interno di una struttura carnosa, chiamata ricettacolo, da cui in seguito si sviluppa il frutto. Si sviluppano contemporaneamente alle nuove foglie e maturano nel periodo estivo-autunnale quelli della parte basale e nella primavera quelli della parte terminale.
Habitat:
Specie termofila, che allo stato selvatico, si adatta a qualsiasi substrato. Non tollera bene climi molto rigidi e gelate intense e prolungate. Vegeta dal livello del mare fino agli 800 metri di altitudine.
Forma biologica:
Microfanerofita o mesofanerofita.
Curiosità:
E’ una pianta ad accrescimento rapido nei primi anni. Il legno, di colore bianco giallognolo, senza netta distinzione degli anelli annuali, è tenero, poco consistente idoneo solo per piccoli lavori; è di modestissimo valore anche come combustibile. Il cosiddetto frutto del fico è considerato un buon lassativo, delicato e non irritante; è anche un buon emolliente pettorale, lenitivo per le affezioni del cavo orale. Gli enzimi presenti nel fico sono simili, come valore digestivo, al succo pancreatico. In Sardegna veniva distribuito insieme ad altri frutti in occasione delle festività di novembre.
   Nell'articolo   qui sotto     preso da repubblica  del  20\9\2021  ulteriori  dettagli 

Fichi: amati, dolci e poco capiti

Tanti falsi miti, altrettante leggende e una soria ricca, quella del frutto più sensuale e versatile dell'estate






Settembre, tempo di fichi. È il mese in cui questo frutto, che poi botanicamente frutto non è, dà il suo meglio. Certo, a inizio estate ci sono i fioroni, belli grandi, e in autunno i cimaruoli, tipici delle zone molto calde. Ma adesso è il momento dei fòrniti, i fichi propriamente detti, che portano con sé la dolcezza del sole più caldo.
 Diffusa in tutti i paesi caldi, la pianta del fico punteggia soprattutto le nostre regioni meridionali, in particolare Puglia, Calabria e Campania. Si trova un po’ dappertutto: a ridosso delle spiagge, in campagna, in collina, in città. Non è raro vedere un albero crescere in mezzo alle rocce o direttamente dentro un vecchio muro: all’apparato radicale della pianta, infatti, basta poco per trovare acqua.
Per dare frutti, i fichi hanno bisogno di un processo di impollinazione che coinvolge piante maschio e piante femmina oltre all’aiuto di una piccola vespa che porta il polline dalle prime alle seconde; le piante coltivate sono però quasi tutte partenocarpiche e quindi non necessitano di impollinazione. Caratteristica comune è il tipico profumo che fa capire di essere vicino a un fico prima ancora di averlo visto. A quel punto basta alzare gli occhi e cercare i frutti maturi, perché non c’è niente di meglio che mangiarli appena colti, magari all’alba, dopo che la notte li ha naturalmente rinfrescati e la fuoriuscita del lattice, irritante per le mani, è ridotta. 
Il fico ha decine di varietà, alcune diffuse in maniera eterogenea, altre limitate a piccoli areali. Purtroppo è facilmente deperibile, una volta staccato dalla pianta tende a cambiare velocemente consistenza e a inacidirsi; in più la sua delicatezza mal sopporta il trasporto dalla pianta ai banchi del mercato. È anche questa la ragione che ne ha sempre fatto un frutto ideale per l’essicazione, il modo migliore per preservare la sua ricchezza di carboidrati. A tavola non è mai stato relegato al solo ruolo di fine pasto. Basti pensare all’espressione “Mica pizza e fichi!”, che richiama un pasto povero tipico, secondo alcuni, addirittura dell’epoca romana. E che proprio a Roma trova nel vulcanico Stefano Callegari uno straordinario interprete. Da Sbanco proprio in questi giorni si trova in carta la Cilentana, omaggio a un territorio ricchissimo da cui provengono ricotta di bufala, miele di agrumi, soppressata di Gioi e fichi: una pizza in cui il dolce e il salato si sposano in un susseguirsi di morsi golosi, lasciando ad entrambi il ruolo da protagonista, senza che uno prevalga sull’altro.
Altro abbinamento tradizionale, specialmente in Francia, è quello con il foie gras. Anche in questo caso le radici risalgono forse all’impero romano come lascia pensare Apicio, che racconta di animali nutriti con i fichi proprio per renderne più prelibato il fegato. Secondo alcuni linguisti, addirittura, il fegato, inizialmente chiamato in latino iecur, divenne poi iecur ficàtum (fegato riempito di fichi) e infine semplicemente ficàtum. Questioni etimologiche a parte, è certo che i due alimenti si sposano a meraviglia, con il frutto che può essere utilizzato al naturale oppure leggermente caramellato o ridotto in composta. In Italia rispondiamo con la classicità popolare di prosciutto e fichi accompagnato da focaccia o pane casareccio, con varianti di ogni genere (con aggiunta di pecorino più o meno stagionato, capocollo al posto del prosciutto, fico chiaro o scuro, con o senza buccia).


Il fico non si usa in cucina solamente quando è maturo. A Magliano Sabina la chef Laura Marciani, del Ristorante degli Angeli, cucina i ficoccetti, cioè i fichi appena spuntati sulla pianta, ancora totalmente acerbi. Un’antica ricetta delle campagne sabine che può essere realizzata solo per un brevissimo periodo, una ventina di giorni ad Aprile. I ficoccetti vengono spaccati a metà e saltati in padella con aglio e olio, a volte anche con l’aggiunta di asparagi selvatici. Il preparato può essere utilizzato per una squisita frittata oppure per condire gli strozzapreti, che poi sono arricchiti da una grattugiata di pecorino semi stagionato. Anche le foglie del fico sono utilizzate in cucina, ad esempio per gli involtini di riso, di carne o di verdura piuttosto comuni tra Grecia, Turchia e Medio Oriente, oppure impiegate nella stagionatura dei formaggi, specialmente pecorini di produzione umbra e toscana. Ma recentemente è stato Mauro Uliassi, chef tra i più grandi del Paese, a nobilitarle con un utilizzo davvero sorprendente. Dietro al piatto dal nome più semplice, pasta al pomodoro, si nascondono anni di lavoro per cercare di carpire il profumo dei raspi, quello che si sente, inconfondibile, entrando in un orto e che fatalmente svanisce nel momento in cui quei pomodori arrivano a tavola. La soluzione al rebus l’ha finalmente suggerita Hilde Soliani, artista dell’olfatto e del gusto, invitando lo chef a trovare quelle stesse molecole odorose in altre piante. E così Uliassi arriva alle foglie giovanissime di fico che mette in infusione nel burro, in un bagnomaria tenuto a sessanta gradi. Con quel burro condisce la pasta, e poi sopra, senza bisogno di mantecare, ci appoggia i pomodori vesuviani, appassiti in forno a bassa temperatura e poi setacciati per ottenere una polpa setosa e carica di gusto. Al momento dell’assaggio tutto torna, il pomodoro e la sua pianta si ricongiungono in un solo boccone, e ancor prima nell’effluvio che arriva dal piatto.



La stessa idea di mettere tutta una pianta in un solo piatto l’ha avuta Federico Cari, pastry chef del ristorante Luigi Lepore di Lamezia Terme, locale che coniuga al meglio territorio e fine dining dove viene proposta la “scirubetta” con gelato di foglie di fico e mosto cotto di fichi. Quest’ultimo è uno sciroppo molto denso, ottenuto dalla bollitura dei frutti maturi: il liquido che ne risulta viene filtrato e ridotto fino a ottenere una consistenza e una dolcezza che ricorda appunto quella del mosto cotto (di vino). La “scirubetta” è invece la granita dei poveri, che nelle montagne calabresi si prepara utilizzando la neve. Ovviamente Cari, che ad agosto la neve proprio non riesce a trovarla, prepara una classica granita a partire da un infuso di foglie di fico che poi arricchisce con il mosto cotto di fichi. Anche il gelato prevede un’infusione, questa volta in latte e panna (circa dodici ore a sessanta gradi). Il risultato finale racconta di aromi vegetali, note amare, freschezza, dolcezza appena accennata: un pre dessert perfetto per la sua capacità di pulire il palato e predisporlo alla parte finale del pranzo.
Il fico è protagonista anche di sorbetti e granite. In quest’ultimo caso tappa obbligata in Sicilia, al Bambar di Taormina oppure da Alfredo, nella splendida isola di Salina. Per i sorbetti, invece, non deludono né la scuola romana, ad esempio Fata Morgana, né quella milanese, come nel caso dei fichi neri pugliesi di Gnomo Gelato. Nella pasticceria classica, invece, i frutti freschi hanno spazio più come elemento decorativo che come veri e propri protagonisti dei dessert, dove invece troviamo spesso i fichi secchi. In inverno apriremo anche questo capitolo, per il momento godiamoci gli ultimi scampoli d’estate.

concludo riportando un a delle tante leggende riguardanti tali frutti




IL FRUTTO DELLA LONGEVITÀ È IL FICO NERO SARDO

da   http://www.itenovas.com/in-tavola/
Scritto da Effe_Pi




La varietà che si trova nella zona di Chia sarà al centro di un progetto di ricerca sul rapporto tra alimentazione e vecchiaia.











I fichi con le loro proprietà organolettiche aiutano e non poco a tenersi in buona salute, sono dolci, gustosi, ricchi di proteine vegetali, fibre, sali minerali e vitamine. Per questo le caratteristiche della specie endemica del Fico Nero di Chia, nel comune di Domus de Maria, così come i benefici delle acque sorgive, saranno al centro di un ampio progetto di ricerca sulla relazione tra alimentazione, stili di vita e vecchiaia. Lo porterà avanti la Comunità Mondiale della Longevità (CMdL), presieduta da Roberto Pili, grazie ad un accordo sottoscritto con il Comune che fa parte cintura dei Comuni della Longevità coordinata dalla Cmdl.   .....  segue  sul sito 

6.3.20

i metodi alternativi non sempre sono bufale e complottismo Puglia, tra i resilienti della Xylella: "Salviamo gli ulivi curando la terra e senza fare strage elle piante di ulivo "

DI COSA STIANO PARLANDO 




















Infatti  come  già  dicevo  dal  titolo  :  « Non sembra rispecchiare i canoni della corretta divulgazione », ma   contiene  un fondo di verità    « il  recente   docufilm dal titolo Legno Vivo, frutto di un progetto indipendente finanziato anche con libere donazioni. Dopo la presentazione a Roma  » ----secondo   questo  articolo  di Anna Rita Longo  su https://oggiscienza.it/2020/02/03/ ---- « vengono regolarmente organizzate delle proiezioni in Puglia e in altre regioni, animando un intenso dibattito che è di recente stato ripreso dalla stampa nazionale.
Le tesi sostenute  dal documentario  : « non rappresentano una novità nel campo delle cosiddette “teorie alternative” alla “verità ufficiale” sul caso Xylella fastidiosa. Il nucleo di fondo è rappresentato dalla messa in dubbio dei dati scientifici emersi nel corso degli anni attraverso l’attività dei ricercatori che studiano l’epidemia. Secondo gli autori, il disseccamento rapido dell’olivo non sarebbe dovuto principalmente a Xylella fastidiosa, che sarebbe presente solo in una minoranza sparuta delle piante coinvolte. L’epidemia viene indicata con la denominazione, caduta in disuso in ambito scientifico, di CoDiRO (Complesso del disseccamento rapido dell’olivo), che la fa apparire come un problema multifattoriale. La principale causa viene individuata nella gestione dell’agricoltura moderna, che avrebbe impoverito i terreni e messo in pericolo la salute delle persone e la sopravvivenza degli oliveti monumentali, attraverso l’uso massiccio di agrofarmaci potenzialmente molto pericolosi. All’origine di tutto ci sarebbe un torbido intreccio di interessi con motivazioni sostanzialmente economiche, che troverebbe un avallo nelle affermazioni degli scienziati, presentate come poco fondate. [...  continua qui sul  sito  ] »

Infatti   , mentre  ancora    si potrà discutere  ed   indagare   sulla  diffusione    e su modo  di   contagio della malattia   da  Xyiella ,   grazie  alle  vecchie  tecniche   e   a quelle   cosiddette  alternative    alle cure   industriali ,    si  sta     come dice  questo articolo    a  contenerne  la diffusione  



  da  repubblica  04 Marzo 2020

Francesco D’Urso coltiva olivi in Salento. A Grottaglie, in provincia di Taranto, porta avanti un’azienda agricola oramai secolare: «È da cinque generazioni che facciamo questo mestiere. Abbiamo 250 ettari di terreni, 40 mila alberi», racconta. Di una cosa è convinto: «La pianta è come una persona, se sta bene produce di più e meglio». Per questo motivo ha deciso di proteggere le sue piante dal rischio che vengano contagiate da Xylella, il batterio killer degli olivi salentini che imperversa dal 2013. In che modo? Utilizzando un concime fogliare a base di zinco, rame e acido citrico, consentito in agricoltura biologica, e curando il terreno e la pianta, ricorrendo ad arature dolci e regolari e potature frequenti. Il protocollo, suggerito dal ricercatore Marco Scortichini del Centro di Ricerca per l’Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura (CREA) di Roma, sta dando risultati promettenti: «Io lo faccio da tre anni: l’azienda accanto alla mia sta tagliando le piante, le mie rendono bene», racconta D’Urso.



L’olivicoltore di Grottaglie non è solo: in totale sono circa trenta i produttori che, tra le province di Lecce, Taranto e Brindisi (per un totale di circa 400 ettari), si sono opposti all’abbattimento degli olivi, la soluzione decisa dall’Unione europea per bloccare l’epidemia di Xylella fastidiosa. Chiamiamoli pure produttori resilienti: pur consapevoli che finora per non è stata trovata cura al batterio, hanno intrapreso una strada diversa dal taglio: «In questo momento, ciò che si può fare è cercare di far convivere nel modo migliore la pianta e l’ospite indesiderato», spiega Francesco Sottile, agronomo dell’Università di Palermo.


Di metodo non ce n’è uno soltanto, ma tutti condividono la cura di terreno e pianta secondo l’approccio agroecologico, cercando di rendere dura la vita all’insetto che trasmette Xylella, la cicalina sputacchina. Francesco De Giuseppe, che con il padre gestisce un’azienda a Otranto, nel leccese, sta testando diverse tecniche. «Abbiamo circa mille piante, divise su diversi appezzamenti, per un totale di una decina di ettari», spiega. In alcuni campi ha adottato un protocollo a base di biostimolanti, in altri sta usando lo stesso concime fogliare di D’Urso, mentre in altri ancora cerca di lavorare «solo a livello organico, senza irrorare alcuna sostanza ed effettuando solo una buona potatura». Un mix di tecniche, iniziate un anno e mezzo fa, tutte finalizzate a raggiungere lo stesso obiettivo, cioè arginare il disseccamento degli olivi. Gli effetti, assicura De Giuseppe, ci sono: «Tra le campagne dove abbiamo applicato le tecniche e i terreni dove non abbiamo fatto niente la differenza si vede. I disseccamenti, in ogni caso, non si bloccano all’improvviso, ma rallentano».
Niente miracoli, insomma, ma ottimi segnali. Molti produttori hanno infatti ricominciato a raccogliere le olive e a portarle in frantoio, con una resa che oscilla tra i 40 e i 60 quintali a ettaro. Olio buono, di qualità: se fino a una ventina di anni fa dal Salento proveniva soprattutto il lampante, l’olio d’oliva di minor qualità, grazie al lavoro di squadra la produzione è andata affinandosi. Lo testimonia il fatto che, anche nell’edizione di quest’anno delle Guide agli extravergini (in uscita nelle prossime settimane e dove vengono recensiti i migliori oli d’Italia), ci sono sei aziende del leccese, in piena zona rossa da emergenza Xylella. Ostinazione verso un cambio di mentalità che sta dando risultati interessanti anche dal punto di vista del riconoscimento economico dell’olio che può affrontare a testa alta un mercato di qualità. Dal tacco d’Italia, insomma, arriva una speranza, al punto che da questa esperienza potrebbe nascere una Comunità Slow Food di olivicoltori resilienti che producono un olio extravergine.
Un modo per stare al fianco dei produttori che si sono rimboccati le maniche. Un impegno che ha consentito anche di salvare piante secolari e assicurare la biodiversità dell’area, minacciata dal taglio indiscriminato. È anche dalla caparbietà dei produttori che, in futuro, potranno nascere nuovi metodi per combattere il batterio killer: «Magari tra un anno o due troveremo un trattamento ancora più efficace. L’importante è sottolineare la volontà di resistere degli agricoltori che hanno smentito chi, nel 2013, non vedeva altra soluzione oltre al taglio delle piante», chiarisce Gianluigi Cesari, ricercatore dell’Istituto Agronomico Mediterraneo, in passato membro della Task Force della Regione Puglia su Xylella.                                                                       

5.4.19

Esino Lario, il sindaco mette all’asta il Comune: dal lampione al museo fino alla ghiacciaia: “Istituzioni ci lasciano soli”



di Francesco Zecchini |    dal ilfatto  quotidiano  5 Aprile 2019

Esino Lario, il sindaco mette all’asta il Comune: dal lampione al museo fino alla ghiacciaia: “Istituzioni ci lasciano soli”
Il primo cittadino Pietro Pensa ha comprato una pagina di tutti i principali quotidiani italiani per sottolineare che "ogni giorno i piccoli comuni italiani sono soli a lottare contro spopolamento e mancanza di fondi". Il comune era diventato famoso tre anni fa perché ospitò Wikimania 2016, raduno annuale dei volontari di Wikipedia

Esino Lario, il sindaco mette all’asta il Comune: dal lampione al museo fino alla ghiacciaia: “Istituzioni ci lasciano soli”
Un cartello stradale a 1.250 euro, tre panchine “utilizzate da cittadini e turisti durante le loro passeggiate” a 56o euro con l’offerta “prendi tre paghi due”, un lampione a 850 euro, una strada a 2500 euro. Queste le speciali offerte di un’asta online, come fossimo su eBay. Ma in questo caso a vendere è il comune di Esino Lario, piccolo paese di 700 abitanti tra le montagne che si affacciano su “quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti”. Il sindaco Pietro Pensa ha infatti registrato un video e comprato una pagina di tutti i principali quotidiani italiani (tranne che su La Repubblica) per sottolineare che “ogni giorno i piccoli comuni italiani sono lasciati soli a lottare contro lo spopolamento, la mancanza di fondi e la difficoltà delle istituzioni nel fornire supporto”. La soluzione provocatoria? Vendere tutto, municipio e strade compresi, in un’asta che si terrà mercoledì 10 aprile alle 10 sul sito “vendesiesino.it“. Giovedì 11 presso il Palazzo della Regione Lombardia si scoprirà chi si sarà aggiudicato edifici e monumenti.


Tutto in vendita, strada per strada
Esino Lario sembra tutto fuorché un paese senza vita. Nato nel 1927 dalla fusione tra Esino superiore ed Esino inferiore, è soprannominato “La perla delle Grigne” dal nome della catena montuosa che lo avvolge. Perfetto per le vacanze, non mancano neppure i servizi ai cittadini: ospita un asilo, una scuola primaria oltre ad un ecomuseo e un archivio privato. Ma, ad eccezione delle scuole, tutto è messo in vendita. Strada per strada. Già, perché anche le vie sono offerte online con la possibilità di scegliere il nome al modico prezzo di 2.500 euro. Esattamente come il museo delle Grigne (420.000 euro con lo sconto del 15%), la Via Crucis di Michele Vedani (600.000 euro) e l’archivio privato di Pietro Pensa, scrittore parente del sindaco e primo cittadino dal 1956 al 1975. Ma l’offerta più singolare è quella per la ghiacciaia ipogea del Moncodeno che si può acquistare per 450.000 euro.



La vittoria contro Manila
Il comune era diventato famoso circa tre anni fa. Vinse una gara contro Manila, capitale delle Filippine, ed ospitò Wikimania 2016, raduno annuale dei volontari di Wikipedia. Un evento che tra il 21 e il 28 giugno attirò centinaia di volontari nel paese. Un evento che ha lasciato alcune tracce, oltre a quelle nel museo: la regione Lombardia stanziò 500.000 euro e il sindaco chiese di installare la fibra in modo permanente. In questo modo nei punti più importanti del paese è possibile connettersi gratuitamente a Internet.
Insomma, tutto sembrava funzionare al meglio. Tanto che l’allora governatore Roberto Maroni promise di voler investire su Esino anche dopo la manifestazione affinché diventasse “un polo dei nuovi saperi e dell’innovazione”. Ma, a quanto pare, qualcosa non ha funzionato. A meno che non si tratti di una (geniale) trovata pubblicitaria: in quel caso i soldi investiti per comprare le pagine dei quotidiani nazionali varrebbero il ritorno economico del turismo. Senza bisogno di Wikipedia.

25.9.18

nonostante la modernità la nostalgia del passato la fa ancora da padrone . il caso della foto dell'asino davanti alla banca foto scattata a foggia nel 2017 ed ancora virale

questa news mi  fa  ritornare  in mente ed  mi ha  fatto  scegliere  il titolo  del post  d'oggi   ,  è  dispersa   da qualche   parte  a casa ma  appena  la trovo  la metto  , una  fotro scattami  a  3  anni  a cavalo all'asino  a  Cuglieri  paese  di nonna materna  .
Parcheggia l’asinello e va in banca: la foto diventa virale
(credits photo: lavocedimaruggio.it)
 Il mix di tradizione contadina e finanza informatica, immortalato dalla fotografia scattata da un passante nel 2017, ha talmente affascinato il popolo del web che, dopo più di anno, gli utenti continuano imperterriti a ricondividere l’immagine. Voglia di riscoperta delle nostre antiche origini campagnole, celebrazione di una ritrovata mobilità ecologica o semplice sfottò virale sulla persistenza di stili di vita d’altri tempi nella modernità? Il successo della foto potrebbe diventare presto oggetto di una vera e propria indagine sociologica.
Lo scatto in questione è stato pubblicato su Facebook il 28 aprile del 2017


dalla pagina 'Inchiostro di Puglia', ma per qualche strano motivo e per le 'folli' dinamiche dei social, soltanto negli ultimi giorni è stato ripostato da migliaia di utenti, attirando l'attenzione di moltissimi quotidiani online.
“La Puglia è uno stato d'animo”, scrivevano nel commento gli admin della pagina Facebook. Guardando questa foto è difficile dargli torto.

Infatti secondo https://www.105.net/news/tutto-news/ pare proprio che la foto scattata a Cagnano Varano, in provincia di Foggia, sia piaciuta a tanti.Il protagonista dell’immagine è un asinello legato nei pressi della banca del paese.
Il proprietario deve aver pensato di ‘parcheggiare’ lì l'asinello per andare a ritirare i soldi allo sportello. Insomma, assistiamo a un mix perfetto fra ruralità e tradizione, in cui la finanza incontra, forse, un desiderio di tornare alle origini e recuperare l’amore per i ‘bei vecchi mestieri di una volta’.
Qualunque sia il significato dello scatto datato 2017, il popolo del web l’ha davvero apprezzato.

raccontare i femminicidi \ amori criminali di oggi con quelli del passato il caso Beatrice cenci

 Per  il 25  novembre   anzichè raccontare  le  recenti   storie di femminicidio \  d'amore criminale  che   in una società sempre  più ...