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26.7.21

ALPINISMO: La pioniera dell’arrampicata che sostiene i diritti delle donne in Iran. Nasim Eshqi: “Tolgo il velo e arrampico con grinta” L’unica climber iraniana professionista racconta la sua impresa in un Paese che discrimina il mondo femminile

   


Sesto Pusteria, 7 luglio 2021 – Nasim Eshqi è l’ospite d’onore della quinta edizione della Vertical Arena a Sesto Pusteria. Il rinomato forum specialistico sull’alpinismo, organizzato dall’Associazione turistica di Sesto Pusteria e dalla guida alpina Lisi Steurer, si svolgerà sabato 24 luglio a partire dalle ore 20. Dopo la proiezione del documentario “Climbing Iran”, che racconta la vita piena di ostacoli di Nasim Eshqi, l’unica climber professionista iraniana prenderà parte a una tavola rotonda sul tema “pioniere in montagna”I


In Europa e in molte altre parti del mondo è assolutamente naturale che delle giovani donne si aggrappino a una parete roccia e, con movimenti energici e allo stesso tempo eleganti, salgano verso l’alto, arrampicandosi per metri e metri. In Iran, però, le lancette degli orologi girano a un altro ritmo, anche nel XXI secolo. Lo sport femminile, quindi anche l’arrampicata, è malvisto nella società patriarcale. E quando possono, nella Repubblica Islamica – che conta più di 80 milioni di abitanti – a volte le atlete sono autorizzate a praticarlo, ma soltanto indossando rigorosamente il velo.Nasim Eshqi vive il suo sogno. Oltrepassa questi ostacoli. Nasim Eshqi compie un altro passo in avanti e stimola altre giovani donne in Iran ad arrampicare, per diventare forti e indipendenti, perché: “fa lo stesso se sei ricco o povero, nero o bianco, iraniano o italiano, uomo o donna: la forza di gravità riporta tutti per terra allo stesso modo e questo mi dà una sensazione di libertà e di uguaglianza”, è il credo di Nasim Eshqi.Un documentario premiatoLa vita di questa straordinaria persona è al centro dei 53 minuti del documentario “Climbing Iran” della regista Francesca Borghetti, che ha di recente vinto il premio del pubblico al Trento Film Festival. Questo ritratto di Nasim Eshqi sarà anche al centro della quinta Vertical Arena di sabato 24 luglio a Sesto e sarà proiettato alle ore 20. Al termine della proiezione la protagonista parteciperà a una tavola rotonda sul tema “pioniere in montagna”.Quest’anno la Vertical Arena si svolgerà in inglese (il documentario sarà sottotitolato in italiano) e si svolgerà all’aperto, davanti alla palestra d’arrampicata di Sesto. In caso di maltempo la manifestazione si sposterà nella Haus Sexten. I biglietti per il forum specialistico sono disponibili, al prezzo di 10 euro, fino a venerdì 23 luglio presso l’Associazione turistica di Sesto Pusteria (+39 0474 710310 o info@sexten.it). L’iscrizione è obbligatoria e l’accesso sarà consentito soltanto dietro esibizione del Green Pass (presso l’Associazione turistica è possibile informarsi a tal proposito).

Durante una serata del Trento Film Festival,  “Climbing in Iran e libertà. Come la gravità porti all’uguaglianza”, abbiamo potuto conoscere NASIM ESHQI, l’unica climber professionista


iraniana che pratica l’arrampicata all’aperto, un’alpinista capace di aprire vie su roccia con all’attivo già una settantina di ascese.Una pioniera dell’arrampicata sportiva outdoor. Le montagne da scalare però, come sapete, in Iran non sono solo fisiche ma anche barriere sociali culturali e religiose. Nasim, è l’unica donna in Iran a fare dell’arrampicata all’aperto la sua professione: su 80 milioni di abitanti sono solo 300 le donne che praticano l’arrampicata in palestra con orari separati dagli uomini e solo una decine quelle che lo praticano outdoor, ma nessuna è al livello di Nasim.
Nasim ha 36 anni, è cresciuta e nata a Teheran la capitale dell’Iran in un contesto popolare e tradizionalista. Ex atleta di kickboxing, scala da 13 anni, ha all’attivo diverse vie in Armenia, Georgia, Turchia ed è riuscita a raggiungere il livello di scalata 8b in parete.Facendo un passo indietro, già da piccolissima Nasim era una bambina ribelle, iperattiva, maestre e genitori non sapevano più come  fare a contenerla. Lei soffriva perchè la fecevano sentire una bambina “anormale”.  Crescendo non pensava certo al matrimonio, ma a praticare sport, prima il kickboxing, poi è stato amore a prima vosta con l’arrampicata. Uno sport che ha dovuto imparare praticamente da autodidatta, visto che in Iran è proibito per una donna scalare con un uomo, soprattutto se questo  è molto religioso o sposato.Una passione “folle” dicevamo per l’arrampicata. Ha rinunciato, infatti, a tutto: ha lasciato il lavoro, ha iniziato a studiare Scienze Motorie e ha cominciato a viaggiare per migliorarsi. Nessuno ha fatto tutto questo in Iran.La gravità per lei è una “sorta di divinità imparziale”, perchè non fa differenza tra uomini e donne. “Quando arrivi ai piedi di una parete, nessuno ti chiede il passaporto. Davanti alla montagna siamo tutti uguali”.

Nasim Eshqi ospite del Trento Film Festival

Per lei, dicevamo, perseguire questa sua passione in Iran, è pericoloso. Deve sempre stare attenta a quello che dice e alle interviste che rilascia. La società, infatti, la vorrebbe sposata, sempre con il capo coperto e un lavoro normale. I suoi genitori sperano che metta la testa a posto e metta da parte soldi per comprarsi una casa e un’auto.Ma lei va avanti per la sua strada, e lo fa in modo originale. Quando scala, infatti, mette lo smalto rosa shocking, anche se sa benissimo che arrampicando verrà via. “Se alla sera vedo che è rimasto poco smalto, sono contenta: vuol dire che ci ho dato dentro con l’arrampicata” scherza Nasim.Ha tanti sogni nel casetto, oltre che aprire una nuova via a cui dare il proprio nome sul monte Behistum, un enorme promontorio che si erge nel deserto, oggi patrimonio dell’Unesco, poco fuori Teheran, vorrebbe andare in Yosemite, anche se per il momento questo pare un obiettivo lontano.In Iran, in generale,  fare sport è difficile, è considerata una perdita di tempo. In Iran, nonostante il talento, nessuno ti prende sul serio. Soprattutto se sei una donna.La condizioni della donna è cambiata dopo la Rivoluzione islamica del 1979. Ci sono foto che ritraggono atlete negli anni Settanta indossare uniformi simili a quelle Occidentali e con il capo scoperto. Mentre alle Olimpiadi di Rio del 2016, le atlete iraniane avevano testa, braccia e gambe coperte con tessuti tecnici. È proprio notizia di pochi giorni fa, che 5 donne sono state costrette a travestirsi da uomini per poter andare allo stadio eludendo la sicurezza. È quindi per questo che parte del tempo Nasim lo dedichi ad insegnare alle bambine: vuole che diventino scalatrici indipendenti.


da  repubblica   del 25\7\2021




A chiederle cosa si senta, se un’eroina, un simbolo o che altro, Nasim Eshqi sorride: «Eroina suona come una droga, decisamente no. Simbolo non so di che cosa. Diciamo che sono una persona che ha aperto molte vie su roccia, ma non solo su roccia, mi piace aprire diversi modi di pensare». Doverosa precisazione, perché Nasim è una climber, in italiano si potrebbe tradurre arrampicatrice, ma la parola ha uno spiacevole retrogusto di opportunismo e rampantismo. Lei invece si arrampica sulle montagne, scala pareti anche verticali con chiodi, corda e trapano, arriva in cima e scavalca là dove sembrava impossibile. Ed è la più brava che c’è in Iran, anche perché nel suo Paese le alpiniste sono poche, anzi in generale sono pochi gli alpinisti. Tante di queste vie le ha aperte altrove, anche in Europa e in Italia. «Il mio meraviglioso Iran è pieno di montagne, sarebbe un paradiso per la gente come me, ma un paio di scarpe da arrampicata costano come un mese di stipendio, la gente se va in montagna preferisce fare passeggiate e godersi il paesaggio. Bellissimo, ma ci si perde parecchio se non si sale in quota».


Sulle corde
 Nasim Eshqi, 39 anni, durante una scalata.
In Iran sono pochissime le donne impegnate in questa
 disciplina

Lei non si è voluta perdere niente, e da 23 anni dei 39 che ha ora ha seguito le proprie passioni fino a farne un lavoro. Prima il kickboxing, di cui da ragazzina è stata per anni campionessa nazionale: «Questo sport mi ha dato una preparazione mentale importante, la determinazione ad andare avanti senza mollare fino alla fine anche quando tutto sembra perduto. Ma alla fine ho cambiato perché ho capito che il kickboxing è solamente una sfida con un’altra persona, l’arrampicata è una sfida con te stessa, contro i tuoi limiti, qualcosa di molto più difficile e appagante». E poi appunto le montagne, raggiungendo risultati così importanti, sia in assoluto sia per il fatto di essere donna, da meritarsi l’attenzione di Francesca Borghetti, regista italiana, che su di lei ha realizzato il documentario Climbing Iran prodotto da Nanof, premiato al Festival di Trento, stasera in onda a Speciale TG1 sulla Rai e a settembre finalmente in giro nelle sale. «Me l’avevano proposto altri, ma volevano solo fare soldi, mostrare il fenomeno, Francesca ha voluto mostrare la persona». E quando, giovedì, le due l’hanno visto per la prima volta assieme in un cinema, a Sondrio, invitate dalla Fondazione Bombardieri del Cai, hanno chiuso con la pelle d’oca: «Abbiamo ripensato anche alle difficoltà, ci sono voluti quattro anni». Anche per motivi che spiegano molto. I soldi sono stati raccorti col crowdfunding, ma quando la piattaforma — americana — ha visto la parola Iran nel titolo ha bloccato tutto, «e abbiamo dovuto ricominciare da capo». E poi certo, il fatto di essere donna che segue i propri sogni in Iran non è facile: «Certamente ci sono difficoltà sul mio percorso, limitazioni da parte della società e della cultura dominante che riguardano le donne. In città rispetto le regole, ma in montagna dobbiamo ascoltare la natura per vestirci nella maniera corretta».


D’altronde lei stessa, checché ne dica, sa di essere anche un esempio: ora è insegnante e ha pure allieve a cui prova a inculcare la voglia di dare il massimo, superare le paure e le convenzioni. «Ma soprattutto la libertà fisica e mentale. Quando scalo una roccia, mi sento bene, mi diverto, respiro profondamente, assaporo il contatto con la natura. Arrampicare apre la mente E quando poi giro l’Europa e il mondo — assai poco, nel periodo, e non solamente per il Covid: pensi che stavolta l’Italia mi ha dato un visto solamente di 120 ore — i timori sull’Iran svaniscono. Anzi, alla fine tutti sono interessati a conoscere meglio il mio Paese. Tra l’altro, se ha notato, si parla di "catene" montuose. Le vette sono legate tra loro, la natura non conosce confini. Esattamente come dovrebbe essere tra gli uomini. E le donne, ovviamente. Perché poi sa quali sono le lezioni più importanti dell’alpinismo, in fondo? Sono due. Primo, devi superare i tuoi stessi limiti, osare, prenderti qualche rischio, che fa parte dell’avventura, ma senza azzardi sciocchi perché la vita è solamente una. Secondo, che tu sia italiano, inglese, iraniano o tedesco la forza di gravità ci schiaccia tutti a terra nello stesso modo».
E ride felice, coprendosi poi la bocca con le mani dove spicca lo smalto rosa: «Oh certo, lo uso ogni giorno, mattina e sera, anche prima e dopo aver scalato una parete. Ma sono una donna, no?».
Ha toccato cime difficili e ha aperto nuove vie anche in Europa
Una regista italiana racconta la sua storia in un documentario "Rispetto l’Islam è la mia religione ma sulla roccia devi ascoltare la natura"
Facevo kickboxing ma è una sfida con un’altra persona, l’arrampicata è una sfida contro te stessa



13.6.21

[perchè racconto storie di donne ] Addio a Paola Pigni insegnò alle ragazze ad andare di corsa La pioniera dell’atletica italiana è morta d’infarto a 75 anni

ho dovuto modificare il post in questione prima di pubblicarlo  perchè ho ricevuto un email ( una delle tante che generalmente finivano direttamente nella pattumiera ) : << Ma solo di donne sai parlare , perchè non parlai mai di nazi femministe ? >> ma stavolta voglio rispondere
Uno degli scopi per la realizzazione della parità , non si significa eliminazione delle diversità tra i sessi ma che sia garantito un trattamento senza nessuna discriminazione tra
uomo e donna , è dovrebbe essere quello di rimuovere e lottare per esso ) tutti i residui pregiudiziali nei confronti delle donne e viceversa stimolando e favorendo un cambia mento nel modo di pensare , di agire e di esprimersi.
Ora poiché le leggi non bastano ( vedere le grida di manzoniana memoria ) per modifica re la società, quando « abiti» culturali e atteggiamenti continuano a ribadire sfiducia per le

donne ( non solo da noi uomini ) che non rientrano nei ruoli imposti dalla cultura maschile o da una determinata cultura maschile .Infatti


Perché il rapporto di potere tra i se si cambia in senso veramente paritario si deve anzitutto acquistare consapevolezza delle varie forme in cu i la disparità viene mantenuta

è per questo che riporto storie di donne .

P.s a chi mi fa domande del genere , ok ha delle storie , in merito che smenticano quello che dico , benissimo mandamele sarò lieto di pubblicare e confrontarle con le mie



repubblica 12\6\2021

Addio a Paola Pigni insegnò alle ragazze ad andare di corsa
La pioniera dell’atletica italiana è morta d’infarto a 75 anni



di Emanuela Audisio

Era Madre Coraggio, Paola Pigni. Perché si sacrificava, senza paura. Rubava chilometri alla vita e ai pregiudizi. La prendevano per matta quando correva per Milano a fine anni Sessanta. Il jogging a Central Park non era ancora una moda. Non c’entrava il femminismo, ma la voglia di libertà: «Mi dicevo che nessuno doveva impedirmi niente». Pensava di avere abbastanza fiato e volontà per correre le lunghe distanze. Anche se era una donna, anche se sul mezzofondo femminile in tanti avevano dubbi: non idoneo. Cara, riposati: a lei nessuno poteva permettersi di dirlo. Se n’è andata a 75 anni, all’improvviso, per un infarto. Non a letto, perché Paola era difficile stesse ferma, ma mentre partecipava alla festa dell’Educazione alimentare nella residenza presidenziale di Castel Porziano alla presenza di Mattarella.
Paola anche da mamma e da nonna correva e accorreva, lontana da ogni pigrizia, ovunque ci fosse la voglia di fare attività e un’idea di futuro. Diceva: «Esistono solo l’essere umano e le opportunità».
 in gara: stabilì il primato italiano in 4’02”85 
 chiuse a un secondo e 5 centesimi dalla russa Bragina,
 oro col record del mondo
Lo sport femminile italiano le deve moltissimo, senza Paola Pigni oggi le donne non correrebbero né in pista, né sulle strade e nei parchi. Stabilì due record mondiali: nei 1.500 nel ’69 e nel miglio nel ’73. Quando arrivò terza nei 1500 ai Giochi di Monaco nel ’72, migliorando il suo record italiano tre volte nel giro di cinque giorni, dietro a due atlete dell’Est («Un furto, chi era davanti a me era drogato, doping di Stato»), fece la sua rivoluzione, dimostrando che le ragazze italiane non erano fragili, né timorose davanti allo sforzo e alle responsabilità. Le mamme allora non facevano fare sport alle figlie, altrimenti nessuno le avrebbe sposate: troppi muscoli nel corpo e nella mente. Ma Paola era magra da far paura. «A dieta non ci sono mai stata, non ne avevo bisogno, ero uno scricciolo di 55 chili, anzi ricordo la trasgressione di andare a comprare un etto di salame e di nasconderlo sotto il letto durante un ritiro ». Portava i capelli cortissimi come Mariangela Melato, Carla Gravina, Jean Seberg, attrici anticonvenzionali, fuori dagli schemi. Era nata nel ’45, figlia di due cantanti lirici della Scala, padre tenore, madre soprano (di Barcellona), a Milano frequentando la scuola tedesca e abitando davanti all’Arena sentiva dall’altoparlante dello stadio annunciare le gare. Così iniziò a correre davanti a casa, senza fermarsi più. «Per le strade la gente mi prendeva in giro, ma io mi facevo anche 45 chilometri, con la nebbia e con un freddo pazzeschi. O da sola o con gli uomini. Non ho avuto una vita facile, mio padre è morto quando avevo 23 anni, per aiutare mia madre ho iniziato a lavorare, mi alzavo alle cinque, andavo in azienda, non mangiavo, la sera tornavo ad allenarmi. Diventavo sempre più forte e ho trovato chi credeva in me, Bruno Cacchi, che poi è diventato anche mio marito. Sono stata la prima a correre le lunghe distanze, anche la maratona, anche le campestri, mi piaceva il terreno fangoso, quella fatica era un inferno, non era da donne dicevano, a me invece garbava. Ho aperto una strada e questo non me lo toglierà mai nessuno». Vero, pioniera Pigni. Lo riconoscono tutte (e anche tutti). Sara Simeoni, saltatrice in alto: «Quando sono arrivata in Nazionale per me era un mostro sacro. Ha vissuto per lo sport, la sua passione rende il percorso meno difficile alle atlete di oggi». Novella Calligaris, nuotatrice: «È stata
un’apripista, ha mostrato in anni difficili che noi atlete azzurre ci mettevamo impegno e potevamo tenere testa al mondo».
Adesso la scienza dice che si può, ma Paola a diciotto giorni dalla maternità di Chiara tornò in pista. Con le gare aveva smesso nel ’74 dopo 13 operazioni al piede e ancora le dispiaceva. Si teneva in forma, si allenava: «Non penso che anziano significhi inutile. Abbiamo un importante ruolo in questa società, prima di tutto quello storico e di testimonianza, perché senza un passato non ci può essere un futuro».
Ogni sera una camminata sul tapis roulant, addominali e ginnastica. Di correre Paola non ha smesso, lo ha fatto solo il suo cuore, che le aveva mandato segnali. Ma lei era testarda e credeva che davanti alla fatica non bisognasse mai abbassarela testa.
Rubava chilometri ai pregiudizi, in città la prendevano in giro Fu bronzo olimpico sui 1500 a Monaco Sara Simeoni: “Per me era un mostro sacro” Novella Calligaris: “È stata un’apripista per le atlete azzurre” Bronzo a Monaco ’72 
 Paola Pigni con la medaglia sui 1500

raccontare i femminicidi \ amori criminali di oggi con quelli del passato il caso Beatrice cenci

 Per  il 25  novembre   anzichè raccontare  le  recenti   storie di femminicidio \  d'amore criminale  che   in una società sempre  più ...