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25.11.12

Tony Marino ha suonato negli alberghi di lusso “Vida loca”d’un sassofonista d’hotel


Incollato al suo sax  negli hotel extra lusso di mezzo mondo,Tony Marino ha incrociato grandi 

e grandissimi dello spettacolo. Da Buenos Aires a Porto Cervo, dalla Costa d’Avorio a Città del Messico,è stato un collezionista d’avventure e di donne (intese come inevitabile appendice dei recital). Oggi, a ottant’anni compiuti, abita a Olbia e continua a suonare: «Sanno dove sto di casa, io non  vado a bussare». Ricordi  travolgenti dalle serate in Costa Smeralda, compresa la scoperta dei rubinetti d’oro a bordo di uno yacht.
Grandi feste private,mance stratosferiche e mai una storia che sia andata oltre  la fine della notte.

Se li è visti sfilare tutti sotto gli occhi, i  colleghi ricchi e famosi: Gilbert Becaud, Ray Charles,Ella Fitzgerald.E la volta di Zsa Zsa Gabor ? Indimenticabile, quella.
Il direttore d’albergo l’aveva chiamato: vieni a suonare in camera mia.Mai e poi mai si sarebbe aspettato di trovarsela lì,sotto ospitalissime lenzuola.
La vita di cantante d’hotel è una cavalcata infinita, soprattutto se la vivi com’è capitato a lui: vent’anni di Costa Smeralda, Africa, Sudamerica, Roma, Milano e perfino la Scandinavia «dove le ragazze ci assediavano nei camerini».E che soddisfazione nel dire agli amici americani che no, non poteva sostituire Fausto Papetti a New York «perché mi era nata una figlia e dovevo tornare a Olbia».
Ottant’anni compiuti, Tony Marino confessa senza presunzione che il mondo ha ancora bisogno della sua musica.
Difatti mica è andato in pensione.Anche se non è più come una volta: la sua categoria,che conta anche qualche celebre e irresistibile ascesa in politica,è stata più o meno spazzata via dai deejay. Prima
era un’altra cosa: mentre i signori cenavano,Tony e la sua band (ma lui la chiama orchestra) allietavano la serata con brani di blues e musica leggera.Era la fase 1,riscaldamento.Poi toccava alla star della serata, quella per cui la gente aveva pagato un occhio della testa, e finalmente gli sparring partners potevano andare a mangiare un boccone, rilassarsi.«Certo,noi non eravamo musicisti di pri-
ma fila, però ci rispettavano». E se proprio vogliamo dirla tutta, è successo più  di una volta che  quando attaccava Don’t cry for me Argentina tra il pubblico scivolasse una lacrima sul viso.
Quinta elementare conquistata mentre era in Marina, Tony Marino è l’esatto opposto dello spaccone da balera.
Schivo, telegrafico nelle risposte, svelerebbe giusto un bignamino della sua  vita. Fortuna che a fargli da spalla c’è Vittoria, la compagna. Che una sera di  ventun anni fa l’ha invitato a ballare. E
da allora, in un certo senso, non hanno   mai smesso.
Abitano a Olbia in un appartamentino dove il sax continua a farsi sentire e intanto aspettano
che qualcuno venga a proporre una serata.
Piccolo,asciutto come un bronzetto, capelli grigi abbondanti,pettinatissimi salvo qualche ricciolo sulle orecchie,Tony -pantaloni di velluto beige e camicia abbinata - ha un’aria distinta,protosardo di
campagna: fierezza a vista (ma senza ostentazione), sguardo lungo per decodificare ciò che sta pensando chi lo ascolta.Ha al suo attivo due album e un cd ultra personalizzato, venduto in un centi-
naio di copie a Mr Grossman, manager yankee della Coca Cola che era rimasto incantato ad ascoltarlo e glielo aveva commissionato.
Autodidatta, passaggio rapido in una banda cittadina, qualche anno da emigrato a Torino e infine la silenziosa consacrazione di quello che Francesco De Gregori avrebbe definito un pianista di piano bar. Lui ha preferito il sassofono e al piano bar gli alberghi delle grandi catene internazionali, dove il gentile pubblico partecipa, danza, viene a stringerti calorosamente la mano e qualche volta tenta di portarti in camera. Effetti collaterali di un’esistenza divisa tra champagne e prove generali di paradiso in terra.
Quando  ha  esordito?
«A una festa di Carnevale.Avevo quindici anni e mi dividevo fra sax e clarinetto».
Fischi?
«Mai, lo giuro».
Tentazioni?
«Molte. Quarant’anni fa,in Svezia,a fine recital avevamo le ragazze in fila ad  aspettarci».
Com’è  la  vita  di  un  sassofonista  nomade?
«La mia è stata bellissima. Perché ho bisogno di suonare davanti al pubblico.Il sax non è un  antidoto,semmai un compagno. Suono ogni giorno, tre, quattro,cinque ore.Mi è capitato di farlo ininterrottamente dalle 21 alle 6,quando i night erano night».
Che  vuol  dire?
«Quando a Roma o a Milano vedevi attori come Vittorio Gassman,donne famose. O come l’avvocato di Torino».
Quello  con  la  A maiuscola?
« Agnelli no,non l’ho mai incontrato. Un altro, ricchissimo. Veniva ogni sera,scendeva i quattro gradini che portavano nel buio della sala e noi dell’orchestra,per salutarlo, facevamo sempre lo stesso brano. Stava ore e ore circondato da entraineuse che erano le più belle d’Italia.A un certo punto, quando le bottiglie di champagne erano ammonticchiate sotto il tavolo, andava via e tornava all’alba.
Non s’è mai dimenticato di dare la mancia all'orchestra».
Sulle  navi  da  crociera  come  andava?
«Me le hanno proposte ma non ci ho mai messo piede.In giro per il mondo tra gli alberghi guadagnavo di più.Sa quanto prende un musicista in navigazione? Novanta euro a giornata. Eppoi, non sono tenuti in grande considerazione».
In  gioventù  Silvio  Berlusconi  ha  fatto questo  lavoro.
«Lo so, ma sempre e solo sulle navi.Significa che come musicista non valeva granché.Il mercato ha regole precise».
Ha  mai  scritto  musica?
«Giusto una volta una canzoncina che nemmeno ricordo più».
L’errore  che  non  dimentica?
«Non aver studiato, non aver frequentato il Conservatorio. Anche se poi può servire a poco, nel senso che se sei una scamorza non c’è Conservatorio che tenga».
A  proposito:  una  scamorza?
«Adriano Celentano. Per me non vale nulla».
Si  rende  conto?
«Perfettamente ma non vale nulla lo stesso».
Com’è  il  tran  tran  d’albergo?
«Buono, a patto che riesca a farti mettere sul contratto che consumerai i pasti coi dirigenti e non alla mensa del personale. Il pollo m’ha fatto uscire pazzo».
Il  pollo?
«Stavo in Costa d’Avorio, un Intercontinental extralusso: pollo a pranzo, pollo a cena.Ho resistito,resistito e poi non ci ho visto più: ne ho lanciato uno contro il soffitto (ho ritrovato la macchia sei mesi dopo) e ho minacciato lo chef.Alla fine ho risolto tutto con una canzone».
Per  chi?
«Per lo chef. Lo faceva impazzire Finché la barca va di Orietta Berti e io gliela facevo ogni sera.Da quel giorno il mio menu è diventato un altro. Mai più visto pollo».
Non  ci  si  annoia  a  fare  tutti  i  giorni  le stesse  cose?
«In un hotel dove passa solo bella gente? No. A parte il fatto che a me basta suonare per stare bene, il nostro lavoro in fondo era quello di vivere di feste.Questo ci toccava: a me e ai miei quattro orchestrali.Nel senso che io ero il capo e li stipendiavo».
Risse?
«Peggio, il terremoto.A Città del Messico.A un tratto il parquet inizia a cigolare e ad aprirsi.Il pubblico,che c’aveva fatto l’abitudine, continuava a ballare.Siamo fuggiti mentre l’altra orchestra continuava imperterrita a suonare».
Scazzottate?
«In un cinque stelle?, quando mai. Gli alberghi dove stavo io erano molto ben frequentati».
Ubriachi,  magari  molesti?
«Neppure. Se ci sono stati non me nesono accorto. Li portavano via con la massima discrezione, la clientela di certi hotel è sensibile a questi problemi».
Droga?
«Un sacco. Tra gli orchestrali, tra il pubblico. C’era di tutto, ma in prevalenza cocaina».
E  lei?
«Ho provato una volta uno spinello.L’ho fumato tutto: beh,niente.Avrei dovuto sentirmi strano e invece m’ha fatto l’effetto di un bicchier d’acqua».
Donne?
«Moltissime,impossibile contarle.Non facevo differenze: bianche, nere, rosse.Gialle no,cinesi non ne ho mai incontrato. Non faticavo per conquistarle,nessuno faticava: erano facili».
Chi  cominciava?
«Loro, noi mai.Bastava un certo sguardo, poi si avvicinavano e ti mettevano  in mano un bigliettino col numero della loro camera. Niente fidanzamenti,niente storie lunghe: una botta e arrivederci».
Ha  mai  detto  no?
«Mi sarei sentito un cretino. Quando sei giovane te ne freghi. Finire a letto faceva parte della serata.Tutto qui, senza strascichi. Ho  conosciuto donne bellissime».
Uomini?
«Anche.A Milano stavo nella pensione di una sarda e per andare nella mia stanza dovevo attraversare quella di un signore che non conoscevo, buongiorno e buonasera. Una notte, al rientro dal night, mi blocca e mi fa: ma lo sa che certi uomini possono essere meglio di una donna? Ho tirato dritto e sono andato a dormire. Gli uomini, quand’ero militare, li passavo a un mio amico».
Come,  li  passavo?
«Alla Spezia ci aspettavano in porto.Ce n’era una legione. Io li giravo a un amico, che ci andava per soldi».
Le  hanno  mai  proposto  un  doppio  lavoro  clandestino?
«Di che genere?»
Portare  una  valigia  da  un  aeroporto  al l’altro,  per  esempio.
«Non è mai accaduto e comunque avrei rifiutato.Non avevo bisogno di soldi, allora. Guadagnavo bene. A Città del Messico ero ospite fisso in una trasmissione televisiva del sabato sera».
E  allora?
«A presentarla c’era una cantante tipo la nostra Mina. Io eseguivo brani italiani,in sovra impressione il mio nome e,alle spalle, un fondale con la Fontana di Trevi.Ricordo che dopo quindici mesi di
questa vita, ho portato a casa quindici milioni di lire. Parlo degli anni ’70».


Ad integrare la memoria di Tony pensa Vittoria.E mentre lui si assenta un attimo per fare la foto di rito, dice che ormai è troppo tardi.«Ottant’anni sono oggettivamente molti».Altrimenti si sarebbe potuto tentare «il grande salto e andar via da qui». Laureata in psicologia, decisamente più giovane del suo compagno,spiega il ritmo lento della vita in un piccolo centro dopo la lunga e felice sta-
gione del lusso.Non parla di ristrettezze ma si  intuisce che da un po’ di tempo a questa parte la
musica non è più la stessa.

Regali?
«Quelli degli arabi in Costa Smeralda,dove ho fatto serate a partire dal 1972. Pitrizza, Cala di Volpe,Romazzino...posti così.Gli arabi,che vanno matti per Celentano e Toto Cutugno,erano capaci di ringraziarti a fine recital mettendoti in mano tremila dollari in contanti.Come loro ci sono sta-
ti solo i russi».
Gli  altri,  no?
«Taccagni.Tutti,senza distinzioni. Appartenevano a un mondo dove all’orchestra si deve giusto un applauso e niente di più.Mi ricordo quella volta di Kashoggi...».
Una  cascata  di  dollari?
«Certo, ma c’era qualcosa di più. Il signor Kashoggi ci aveva chiamato sulla sua barca. Barca, poi: un panfilo lungo come una motonave. Il mio batterista,che nella vita normale faceva l’idraulico,torna dal bagno e quasi non riusciva a parlare: Tony, va’ a vedere, questo c’ha i rubinetti d’oro. Era vero».
E  voi?
«Rispondo con un dettaglio della mia carriera: per quattro anni ho fatto il piastrellista a  Torino,quand’ero ragazzo.Ha  idea di quale effetto faccia un rubinetto  d’oro?»
Dovesse  fare  un  bilancio?
«Della mia vita, dei miei ottant’anni? Mi è andata extralusso. Forse avrei dovuto essere più previdente,mettere da parte qualcosa. Ma che ci posso fare? Un  sassofonista non è un amministratore
delegato».
Il  risultato  è  che  lei  lavora  ancora. «Ho una pensione di 360 euro al mese.Ancora adesso  esco,vado a sentire se c’è qualcuno che suona. L’ultima serata,per dire, me l’hanno chiesta manco una
settimana fa.Sto a casa,suono il mio sax e aspetto, non busso alla porta di nessuno.Se vogliono Tony Marino sanno dove  abito».




7.8.12

oltre il nuoto , il canottaggio , adesso anche l'atletica ? ma che ..... sto succedendo stanno prevalendo le armi ?

 dovremo ricominciare  da capo  se  vogliamo riprenderci sport  in cui   eravamo  eccelsi  e  (  fncl ai miei dettrattori   via@ ) e non essere  ricordati solo  ,  sport  per altro eccelsi e degni di rispetto  anche se  veicolo ( poi  ovviamente dipende  dalle persone  ) di una cultura  guerriera   e guerrafondaia   , per  sport  d'armi  .
 Leggendo questo articolo   tratto da http://www.repubblica.it/speciali/olimpiadi/londra2012/ che   riporto  qui sotto  

Fidal, fallimento da 15 milioni

Il caso Schwarzer è solo l'ultimo episodio negativo per una federazione che da anni non produce più atleti di valore. Eppure i finanziamenti non mancano


dall'inviato ENRICO SISTI

LONDRA - Giochi sì, ma proibiti, squallidi. Quello che colpisce è lo stupore. Quello che emerge è la disperazione. Che pena tutta questa storia. Il numero uno dell'atletica italiana, l'unica ragionevole speranza che avevamo (se Donato non ci smentisce) di conquistare un'oro nell'atletica a queste Olimpiadi che si sono tinte di un azzurro acido, un giorno decide che non è abbastanza quello che fa, che ha, che è. All'atletica italiana mancava proprio questa ciliegia guasta sulla torta spappolata delle sue colpe. Quando è arrivata la telefonata, il pacco bomba, la buona novella che Schwazer era un appestato qualunque, che era paragonabile a un qualunque atleta della vecchia Ddr, che era caduto vittima dei fraudolenti consigli dei suoi amici russi marciatori, sempre stando al racconto cui dobbiamo credere, i volti del dt Uguagliati, l'amarezza del presidente Arese, lo stato depressivo del team manager Morini facevano venire una stretta al cuore. Era come se l'intero staff dirigenziale si fosse messo sui blocchi di partenza per i 100 metri e allo sparo dello starter i blocchi gli fossero scivolati sulla pista mandandolo faccia a terra. Impotenza. Incredulità. A Helsinki non sapevano cosa dire della costosa e infruttuosa trasferta in Florida avallata per tre atleti che tuttora risultano agonisticamente dispersi (Licciardello, Galvan e Grenot). A Londra non sapevano che il loro numero uno in realtà era il dott. Mortimer e che mentre loro lo aspettavano fiduciosi per la 50 klm di marcia lui, al riparo dagli occhi del mondo, trafficava con gli aghi in una cabina telefonica per diventare Superalex, l'insuperabile. Mentre da un'altra parte del mondo si vivono momenti gioiosi, le lacrime di Sanchez, l'amicizia fra Rupp e Mo Farah dominatori dei 10000, la grandezza di Bolt, la festa, i colori, la passione, l'emozione, la Fidal, come tutto lo sport italiano (le medaglie non contano, sono un'illusione per chi crede che lo sport cominci ad alto livello) vive la sua vita alla rovescia, da vaso di coccio, da azienda che non può prendersi più alcuna responsabilità, non può vigilare, non può contare sui propri dipendenti, non riesce a stipendiare preparatori, non trova nemmeno il tempo di ricostruire il capannone dell'Acquacetosa messo su nel '70 da Carlo Vittori per allenare Mennea nei giorni di pioggia. Insomma non comunica più con quelli che dovrebbero tradurre gli investimenti in risultati e con la base. Sono tutti rapporti saltati. Nel bene come nel male. Il Coni assegna ancora alla Fidal una cifra che ruota attorno ai 15 milioni di euro l'anno (per difetto). Evidentemente son soldi che non servono a niente. Non si capisce dove finiscano. Non riescono a ristrutturare campi d'allenamento, non parlano con le scuole, non organizzano corsi per aggiornamento tecnico (perché non un bel seminario di Clyde Hart, l'ex coach di Michael Johnson?), si sono da tempo liberati dei centri di raccolta dei bambini, aspettano che siano le singole società a mandare avanti la carretta, o che qualche atleta indipendente, allenato da tecnici "esterni" oppure in pensione dal loro vero lavoro, trovino l'occasione per mettersi in mostra, o ancora immaginano che i gruppi militari possano sopperire alle vistose carenze del sistema. Del resto anche l'Eden delle caserme formative è diventato un prataccio incolto, se è vero che è stato proprio un carabiniere, il carabiniere Alex Schwazer, ad aprirsi la strada verso l'illegalità. Verso il precipizio. Alla fine del quale non c'è più atletica. Non c'è più dignità. Non c'è più vita. 



 , per  me  è acqua  calda    avendo  fratello  che ha  praticato (  poi  ha dovuto mollare per  motivi  di salute  )  l'atletica  a livello agonistico .
Mi chiedo  perchè   gettiamo via   sia  nell'atletica  ( ricordo ancora  direttamente   ed  indirettamente  , i mennea  , i cova  , i simeoni ,  gli antibo  , i da Milan o , I bordin  , ecc  )    sia nel canottaggio \  canoa   (  ricordo ancora   anche s'ero bambino  alle  olimpiadi    degli anni  '80  e  90   gli Abbagnale e  company    )   , nel  nuoto , un patrimonio di valori , di medaglie   , record  , sofferenze  , sacrifici  . 
Ora  molti  di  voi   si chiederanno se  mi sto  contraddicendo con quanto   scrissi   su  Valeria Straneo
. No cari . Non mi sto  contraddicendo  , perchè  certo che   le  medaglie   fanno sempre piacere   , ma  non importa   se  non arrivano medaglie   l'importante    è  lottare  con le  proprie  forze  (  vedere   il finale  di  Running 1979  con Michael Douglas , ma  usare  il  doping  e  il lasciarsi andare   ( vedere  la  finale  dei  3 mila siepi maschile
da  http://www.outdoorblog.it/post/13003/

 dove il nostro Floriani,  erano troppo  forti  va bene  , e magari non ce la  faceva ad  arrivare  a medaglie  , ma  ha  rinunciato a lottare   cosa  che invece  ha fatto nella semi finale dove a veva tenuto  resta  ai campioni arrivando  secondo  .