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19.12.25

«Ho curato gli attacchi di panico facendo rally con mia madre. Poi siamo diventate campionesse italiane»: storia di Veronica Verzoletto e Patrizia Perosino

  DA   VANITY  FAIR    19\12\2025 
Una figlia che vive sdraiata sul divano in preda agli attacchi di panico. Una madre preoccupatissima. Poi, l’idea: correre insieme in macchina. Da quel percorso nasce l’inizio della guarigione, e di un sodalizio sportivo che farà la storia dell’automobilismo italiano
Nel 2020 Patrizia Perosino 64 anni e Veronica Verzoletto 28 sono diventate campionesse italiane nella classifica...
Nel 2020, Patrizia Perosino, 64 anni, e Veronica Verzoletto, 28, sono diventate campionesse italiane nella classifica femminile del rally. Nel 2022 hanno riconquistato il titolo (foto Mario Leonelli).

Questo articolo sugli attacchi di panico è pubblicato sul numero 1-2 di Vanity Fair in edicola fino al 6 gennaio 2025.

«Mi ero appena addormentata dopo mesi di notti insonni. Neanche il tempo di chiudere gli occhi e mi sveglio di soprassalto. Trovo mia figlia inginocchiata accanto al letto. Piangeva mentre mi diceva: “Ti sembra normale lasciarmi morire così, senza fare niente?”. Veronica non stava morendo: il tumore al cervello che pensava di avere era frutto di un’ipocondria spinta. E non era nemmeno vero che io non stessi facendo niente: la accudivo come e più di quando era piccola, anche se aveva 20 anni. Ma su una cosa aveva ragione: non avevo ancora trovato la chiave giusta per aiutarla. Quella notte, però, mi venne un’idea».Patrizia Perosino, classe 1961, valdostana trapiantata a Biella, parla con una voce sottile come la sua figura, i ciuffi di capelli corvini le nascondono gli occhi ma non lo sguardo: quello è sempre rivolto verso la figlia, Veronica Verzoletto, che siede accanto a lei, sul divano di casa, e gioca con la maglietta, copre e scopre le spalle a seconda dell’argomento. Insieme formano una celebre coppia del rally amatoriale italiano: l’unica composta da mamma e figlia, l’unica a essersi aggiudicata due volte il titolo nazionale, nel 2020 e nel 2022. L’unica, anche, ad avere con questo sport un debito cospicuo: sono state proprio le gare di rally a far riemergere Veronica dal buio che la inghiottiva.«Ho sempre avuto paura del buio», racconta la 28enne. «Da piccola avevo l’incubo di morire nel sonno. È come se, affievolendosi, la luce si portasse via il controllo che ho sulla mia vita». Il controllo è qualcosa che Veronica non ha mai smesso di cercare, a scuola (è laureata con lode in Giurisprudenza), nello sport (è stata un’agonista del tennis) e nell’unico ambito in cui non si può avere: in amore. «I miei si sono separati che avevo sei anni e mio fratello Federico quattro. Siamo cresciuti con la mamma, che viveva per noi. Ero così preoccupata di perderla e di restare sola che la obbligavo, ogni intervallo, a palesarsi davanti al cancello della scuola: dovevo vederla per sincerarmi che stesse bene. Era il mio unico punto di riferimento».Il padre, Stefano, imprenditore tessile, lo frequentava poco: «Lavorava sempre, spesso all’estero. Dal punto di vista economico, non ci ha mai fatto mancare niente. Ma, tante volte, ai suoi soldi avrei preferito un abbraccio».Nel tempo, il vuoto d’amore è diventato una voragine: «Non sono stata una bambina felice. Ero chiusa, in mezzo alla gente mi sentivo a disagio. Ero quella che, a scuola, camminava a testa bassa sperando di passare inosservata. Da adolescente ho sofferto di disturbi alimentari: non mi sentivo accettata, quindi non mi accettavo. Ne sono uscita grazie al tennis: quando mi rendevo conto di non avere energie sufficienti per giocare, piano piano tornavo a mangiare».A tennis Veronica ha talento, ma non vince: «Durante gli allenamenti andavo forte, mi facevano i complimenti, dicevano che avevo un braccio pazzesco. Poi in partita tremavo, e deludevo tutti. Ho mollato l’anno della maturità, per concentrarmi sullo studio, l’unico ambito che interessava a mio padre. Ci tenevo al suo giudizio».A 19 anni, dopo il diploma, Veronica si iscrive a Legge a Torino: non pratica più sport agonistico ma la spinta alla perfezione non la molla e lei la riversa sui libri, studiando fino a notte fonda. Un giorno comincia a provare un fortissimo mal di testa a cui si sommano altri disturbi: fiato corto, lampi negli occhi, senso di soffocamento. L’autodiagnosi è impietosa: tumore al cervello. A poco servono esami e screening medici di ogni tipo, tutti negativi. Lei è convinta di avere i giorni contati. Torna a casa per le feste di Natale, si stende sul divano e non si rialza per sei mesi. Patrizia ricorda: «Usciva solo per correre al Pronto soccorso. Andavamo una sera sì e una no. Quando i dottori le dicevano che non aveva niente, si calmava per dieci minuti, poi ricominciava da capo». Psicoterapia non la vuole fare, psicofarmaci non vuole prenderne: «Tanto a cosa servono, che sto per morire?».È stato con questa convinzione che una notte ha svegliato sua madre, rimproverandola di non occuparsi abbastanza di lei. È stata quella notte che a Patrizia è venuta in mente l’idea che avrebbe cambiato la vita di Veronica, per sempre: «La porto a correre in macchina con me».

A ogni competizione la coppia PerosinoVerzoletto devolve parte dellinvestimento degli sponsor al Fondo Edo Tempia...

A ogni competizione, la coppia Perosino-Verzoletto devolve parte dell’investimento degli sponsor al Fondo Edo Tempia, un’associazione piemontese che si occupa di lotta contro i tumori (foto Mario Leonelli).

Prima di sposarsi, molto prima di diventare madre, Patrizia era una ragazza indipendente amante del rischio (ha frequentato un corso per croupier) e della velocità. Figlia del giornalista sportivo Luigi Perosino, frequenta gli autodromi dacché ne ha memoria: «A sei anni, al circuito di Le Castellet, mi ero persa nei box a osservare i meccanici. Hanno dovuto chiamare i miei genitori con il megafono perché mi venissero a recuperare! Già allora le auto mi appassionavano. Tempo dopo, prendere la patente per me è stata una passeggiata: ho fatto l’esame da privatista, senza neanche lezioni di guida. Ero portata, come un bravo disegnatore sa usare la matita io sapevo spingere i pedali. Quando nel 1993, grazie a un amico, ho avuto l’occasione di provare una macchina da corsa non me la sono fatta sfuggire: l’adrenalina della velocità mi ha conquistata subito e non ho più smesso, salvo una pausa di qualche anno quando sono nati i bambini».Correre per Patrizia è terapeutico: «Quando salgo in macchina dimentico le paure del quotidiano, incluse “sarò una buona madre?”, “avrò preso la decisione giusta per i miei figli?”. Dimentico i pregiudizi maschili che vedono noi donne guidatori di serie B – sì, è ancora così, posso garantirlo. Mi scordo persino degli acciacchi fisici. Divento sicura di me stessa, cosa che nella vita non sono stata mai».E così, il giorno dopo la notte in bianco di pianti e di paure, Patrizia prende sua figlia per mano e la porta in macchina con sé. Le affida il ruolo di navigatrice, ovvero la persona che sta accanto al pilota per spiegare ogni centimetro della strada e indicare, nel dettaglio, le mosse da compiere. Destinazione: Rallye Sanremo, una delle corse più difficili, con curve strette e passaggi a strapiombo sul mare. Inizialmente riluttante, Veronica si lascia convincere da un pensiero non proprio ottimista: «Tanto io sto per morire, magari oggi io e la mamma ce ne andiamo insieme».Le prime ore, l’esperimento si rivela un disastro: «Continuava a ripetere che si sentiva mancare», ricorda Patrizia. «Infilare il casco, una tragedia: “Soffoco”, gridava. A complicare le cose, una pioggia torrenziale. Io ero in preda a un mix di emozioni: da un lato, temevo di mettere la vita di mia figlia in pericolo, perché quella corsa è davvero ostica. Dall’altro, ero consapevole che non potevo mollare: dovevo far qualcosa per tirarla fuori dalla palude emotiva in cui stava affogando. In tutto questo, la priorità era rimanere vigile per non sbandare».A metà strada, il miracolo: per la prima volta dopo mesi Veronica non sente più male alla testa, non soffoca, non pensa alla morte. «Dovevo stare così concentrata sulle indicazioni da dare a mia madre alla guida che ho distolto la mente da tutto il resto. Lì ho capito che non poteva trattarsi di tumore al cervello o i sintomi non sarebbero spariti così all’improvviso». Patrizia aggiunge: «Quel giorno l’ho rivista sorridere dopo tanto, e quando non mi guardava, io piangevo di gioia. Quel giorno, sono rinata anch’io con lei».Alla prima gara ne è seguita un’altra, poi un’altra ancora, ciascuna delle quali ha allontanato le ombre di qualche chilometro. Nel 2020 mamma e figlia sono diventate campionesse italiane nella categoria femminile. Nel 2022 hanno riconquistato il titolo. Come gesto di riconoscenza verso uno sport che ha ridato loro la voglia di vivere, l’ormai celebre coppia Perosino-Verzoletto devolve a ogni competizione una percentuale dell’investimento degli sponsor all’associazione Fondo Edo Tempia, che si occupa di lotta contro i tumori: «Così aiutiamo chi un tumore ce l’ha davvero».Oggi, gli attacchi di panico per Veronica sono un ricordo lontano. Nemmeno un po’ d’ansia prima delle gare? «No, nemmeno. Forse solo un filo di apprensione appena sveglia la mattina, ma passa subito. Quando il semaforo comincia a lampeggiare sono tranquilla: 5-4-3-2-1, infilo il casco e mi sento invincibile».


«Ho curato gli attacchi di panico facendo rally con mia madre. Poi siamo diventate campionesse italiane»: storia di Veronica Verzoletto e Patrizia Perosino

  DA   VANITY  FAIR    19\12\2025  Una figlia che vive sdraiata sul divano in preda agli attacchi di panico. Una madre preoccupatissima. Poi...