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19.10.25

tesi di laurea su adozione e affido: «Dedicata a chi è nato due volte» Ora dottoressa in Lingue e comunicazione, 23 anni, aveva trovato una nuova famiglia quando ne aveva 13

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 In Un'Altra Vita (Live)Ludovico Einaudi

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Giada Pisanu il giorno della sua laurea (foto Sara Pinna)

Cabras, Giada Pisanu si racconta nella tesi di laurea su adozione e affido: «Dedicata a chi è nato due volte»

Ora dottoressa in Lingue e comunicazione, 23 anni, aveva trovato una nuova famiglia quando ne aveva 13



                               Giada Pisanu il giorno della sua laurea (foto Sara Pinna)


L’ultima frase della sua tesi è un colpo allo stomaco: «La dedico a tutti i bambini che, come me, sono dovuti nascere una seconda volta».
Ma nel lungo testo c’è anche il ringraziamento alla sua famiglia che tredici anni fa le ha aperto la porta di casa. Una storia che si può leggere nella tesi di laurea di Giada Pisanu, una ragazza di Cabras, oggi 23 anni, che pochi giorni fa si è laureata Lingue e comunicazione alla Facoltà degli Studi Umanistici dell'Università di Cagliari. L'affido e l’adozione sono i temi scelti per sensibilizzare a parlare di questi argomenti, quasi un tabù.
Dentro si legge la sua storia che prima o poi diventerà un libro: questo è il suo prossimo obiettivo. Giada Pisanu ha parlato di se stessa per far capire come l'affidamento e l’adozione siano oggi due argomenti poco affrontati. «E questo porta ancora a pensare che un bambino viene dato in affido a una famiglia solo perché questa non ne può avere, invece non è così», spiega, «Una volta che un bambino arriva in una casa, la coppia assume la titolarità per esercitare il ruolo genitoriale a tutti gli effetti».
E poi ci sono i pregiudizi: «Nella credenza comune il figlio deve essere tale e quale ai genitori. Molti ancora oggi pensano addirittura che se una coppia cresce un figlio non biologico questo non sia un “figlio vero”. Ecco perché tante volte mi sono sentita diversa da altri. La famiglia è quella che educa, che dona amore, che insegna come comportarsi nella vita di tutti i giorni. Queste idee comuni possono essere cambiate solo se di questo argomento se ne parlasse di più, magari nelle scuole».
Giada Pisanu ha vissuto con i suoi genitori biologici fino ai 13 anni. Poi un giorno la mamma è stata portata all'ospedale perché stava male, e lei, tredicenne, in quel momento non poteva stare sola a casa. «Al medico che in quel momento era presente in casa, la dottoressa Adriana Muscas, ho chiesto di poter andare da due amici di famiglia, una coppia senza figli, che conoscevo bene. E da quella casa poi non sono mai andata via», racconta Giada con gli occhi lucidi, «Ho trovato una famiglia che mi ha accolto per proteggermi, per donarmi amore, pace, carezze, tranquillità ma anche educazione e regole».
Giada dopo pochissimo tempo ha chiesto al giudice di poter essere affidata a Lucio e Jessica: il sì è arrivato subito e a breve ci sarà l’adozione. Giada: «E sarà un altro giorno che non dimenticherò mai».

22.4.25

diario di bordo n 117 anno III ormai anche i cantautori si vendono alla pubblicità .,Vive in una cella foderata di libri e si laurea da dietro le sbarre: «Una rivincita per me» ., Storia di un ragazzo adottato: «Così ho saputo tutto sulla donna che mi abbandonò»

  Concordo    con   l'intervento  pubblicato il   19\4\2025   dal il  Fatto    quotidiano  ma

Sempre più frequentemente il cantautore, un tempo rigidamente schierato contro la commercializzazione della sua musica, rompe il confine fra tradizione e tradimento e vende i suoi diritti alla pubblicità riducendo brani storici a jingle per aziende.
Niente di nuovo, lo fece anche Modugno con “Nel blu dipinto di blu”, prestandola a Fiat e Alitalia.
Ma quella di De Gregori, Vecchioni, Ligabue, e indirettamente Gaber, è una rivoluzione copernicana non tanto per questioni di opportunità di monetizzazione ma perché toglie alla più nobile canzone d’autore il ruolo di sentinella e testimone del nostro tempo, così come proprio loro l’avevano sempre voluta intendere e trasmettere.
È precipitato improvvisamente il senso critico, quel fare
le pulci alla Storia che connotava nel profondo il loro verbo e la loro azione. L’indignazione e la protesta hanno lasciato il posto a teneri e rassicuranti sguardi sul mondo.
Forse i nostri cantautori si sono distratti, ma i percorsi storici delle aziende con le quali flirtano sembrano per loro improvvisamente essere solo costellati di operai di buona volontà che illuminano case al crepuscolo, di automobili romantiche custodi dei primi amori giovanili e di grandi strade sulle quali sfrecciano famiglie felici verso le vacanze.Tali itinerari invece sono stati anche spesso illuminati dai riflettori della cronaca e della magistratura. L’associazione così leggera di frasi come“la storia siamo noi”, “sogna ragazzo sogna” o “la libertà è partecipazione” a percorsi tanto controversi, sorprende non poco.Gli eredi di quelli che a buona ragione Umberto Eco definiva “cantacronache”, sembrano aver perso la loro stella polare e quel rigore nel procedere in “direzione ostinata e contraria” indifferente all’hit parade.Vasco Rossi tempo fa fece “mea culpa” dopo aver concesso due brani alla pubblicità, ricordando che la canzone non è solo di chi l’ha scritta ma anche di tutti coloro che l’hanno amata e magari impugnata in stagioni complicate per il nostro Paese.Forse questo messaggio nessun grande cantautore che abbia avuto il merito di non allinearsi dovrebbe mai dimenticarlo.

aggiungo     che    bisogna     distinguere     fra     chi    fa  il canta autore   o  cantante   per  mestiere  cioè vive solo  di  quello  e  è  quindi  è costretto a  prestare  il suo  ingegno  per  opere  d'indubbio gusto e   a

 [...] Colleghi cantautori, eletta schiera
che si vende alla sera per un po' di milioni
voi che siete capaci fate bene
a aver le tasche piene e non solo i coglioni
Che cosa posso dirvi? Andate e fate
tanto ci sarà sempre, lo sapete
un musico fallito, un pio, un teorete
un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate!
Guccini  -L'avvelenata  


e   fra    quelli   che    lo  fanno  per hobby  e passione    che posso o  essere   coerenti   o totalemente    cioè  a non vendersi   e imanete indietro o di nicchia oppure   ad  aprirsi al   al mondo circostante   cercando    di.  farlo  in maniera  etica    come  i caso  di  Blowin' in the wind' di Bob Dylan diventa uno spot  :  « [... ] della pubblicità del Co-operative Group; è la prima volta che Dylan concede un suo brano al mercato pubblicitario britannico. Il Co-operative Group gestisce vari servizi, tra i quali viaggi e pompe funebri, ma anche una rete di supermarket simile a quella delle Coop italiane; il rappresentante di Dylan ha riferito che la scelta dell'artista è stata influenzata dalla politica del Co- operative Group, che pone l'accento sul mercato equo e solidale e sull'impatto ambientale. »

Quindi attenzione  ⚠️  a giudicare un opera o un cantante

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Vive in una cella foderata di libri e si laurea da dietro le sbarre: «Una rivincita per me»


La sua è una resurrezione metaforica dall'inferno della galera, grazie allo studio, che ben si inquadra nel clima dei giorni di Pasqua. Accusato di mafia, anche se lui si è sempre dichiarato innocente, condannato a quasi dieci anni di carcere, è riuscito ad ottenere la laurea magistrale in Scienza della Formazione «frequentando» l'università da dietro le sbarre di un penitenziario di massima sicurezza. Lunedì scorso, 14 aprile, la discussione della tesi e la proclamazione del titolo di dottore nel campus di Arezzo dell'università di Siena.
Il titolo della ricerca con la quale il protagonista si è presentato davanti alla commissione è già significativo dell'intento con il quale lui ha affrontato gli ultimi due anni dei corsi accademici: «La formazione e il lavoro rendono l'uomo libero». La sintesi di un lavoro che nella sua seconda parte è in gran parte autobiografico, come spiega il professor Gianluca Navone, responsabile del polo universitario penitenziario senese, cui sono iscritti un centinaio di detenuti, che lo ha seguito da vicino nel suo percorso universitario.
Nome e cognome restano coperti dal segreto per ragioni di privacy e anche di sicurezza. Di lui si sa che è sulla cinquantina, siciliano della parte occidentale dell'isola, rinchiuso nel penitenziario di massima sicurezza di San Gimignano, provincia di Siena, dove sta scontando l'ultimo anno di una pena inflittagli per associazione mafiosa. Non ha mai commesso delitti di sangue ma sarebbe stato nella cerchia di un boss di prima grandezza, circostanza che lui ha sempre negato. In primo grado i giudici gli avevano dato ragione, ma in appello è invece arrivata la condanna, pesante, che gli è costata la reclusione in alcuni dei carceri più duri della penisola.
Molti, nella sua stessa condizione, avrebbero affrontato la pena con protervia o con disperazione, oppure con la cupa depressione dalla quale si fanno distruggere i tanti che non resistono all'esperienza carceraria, specie quella dei penitenziari di massima sicurezza. Non lui che invece ha trovato nell'università un'alternativa di vita capace di restituirgli la speranza.
Diploma di scuola superiore tecnica alla mano, ottenuto quando era ancora un libero cittadino, il detenuto senza nome aveva già conseguito la laurea triennale all'università di Urbino, quando era ancora rinchiuso in un altro istituto di massima sicurezza, quello di Fossombrone, nelle Marche.
Poi il trasferimento a San Gimignano e la decisione di arrivare fino al massimo grado degli studi, quello magistrale: Scienza della formazione, uno dei dipartimenti nati dalla vecchia facoltà di magistero che per l'ateneo di Siena si trova nel campus del Pionta ad Arezzo. Lo hanno seguito il professor Navone, il dottor Gioele Barcellona, che gli ha fatto da relatore di laurea, e alcuni studenti tutor, quelli cioè che hanno curato più da vicino il percorso universitario del neo-dottore facendogli da tramite con l'ateneo e il dipartimento. Anche loro meritano di essere ricordati: Mattia Esposito, Simone Pietrolati e Matteo Burdisso Gatto.Gli esami, spiega Navone, li ha affrontati in parte dentro il carcere, con il professore di turno che entrava nel penitenziario, dove c'è un'ala apposita, e in parte al campus aretino, con dei permessi speciali. «Ma quello che mi ha emozionato di più – racconta il docente – è stato l'impegno che ci ha messo. La sua cella è foderata di libri e anche quando, di recente, si è dovuto ricoverare in ospedale per un intervento piuttosto serio ha continuato a studiare. Siamo andati a trovarlo alla vigilia dell'operazione e lo abbiamo trovato immerso fra gli appunti, le dispense e i volumi. Dico al verità. Al suo posto non ce l'avrei fatta e mi sarei piuttosto preoccupato della malattia».
Poi finalmente, il gran giorno della laurea, nel quale gli si è stretta intorno tutta la famiglia: c'erano la moglie, una delle figlie anche lei in dirittura di arrivo all'università, l'anziano padre, i fratelli e i nipoti. L'altra figlia doveva affrontare l'ultimo esame universitario ed è stato lui a chiederle di rimanere in Sicilia a prepararsi. Davanti alla commissione il laureando si è presentato da solo, senza scorta di agenti penitenziari, con un permesso speciale previsto per occasioni come questa, doveva solo rientrare a San Gimignano entro un determinato orario.
C'è stata anche una festicciola con i parenti, l'hanno incoronato con il lauro come da tradizione per tutti i neo-laureati. «Ce l'ho fatta - tra le sue poche parole – ed è una rivincita pure per ribadire la mia innocenza. Nella tesi ho voluto raccontare la mia esperienza dentro il sistema carcerario, con dati oggettivi e pure con il mio vissuto personale».
Se la storia del detenuto con la laurea finisce qui, il professor Navone ha un altro cruccio: «Di recente – spiega – il Dap (il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria del ministero della giustizia) ha introdotto una stretta sulla base della quale i detenuti nei carceri di massima sicurezza devono rimanere in cella almeno 16 ore al giorno. Il che significa la fine dello studio che prima i detenuti iscritti all'università conducevano in comune. Uno scambio di punti di vista ed esperienze che era utile a tutti, impedito adesso da questa norma inutilmente punitiva. Mi auguro che sia cambiata al più presto».




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Storia di un ragazzo adottato: «Così ho saputo tutto sulla donna che mi abbandonò»



Questa storia inizia a Bologna, anno 2018. Michael Petrolini compie 25 anni. È l’età, secondo la legge n.184/83, in cui ogni figlio adottato riconosciuto alla nascita può richiedere informazioni sui genitori biologici. Michael, quei nomi, li vuole sapere. Ma ci tiene soprattutto a
sapere che cosa abbia spinto sua madre a lasciarlo. Fa richiesta al tribunale per i minorenni di Bologna. Sul sito sono riportati i costi: 27 euro per la marca da bollo più 98 euro contributo unificato per la pratica. Lui paga, compila i moduli e aspetta: giorni, mesi. «Le tempistiche sono bibliche. Dopo quasi un anno, il tribunale finalmente mi contatta per dirmi che ho la possibilità di accedere al fascicolo. Vado e sembra di essere in edicola, ricevo un papiro di fogli con le informazioni sul mio passato e stop… Aiuti psicologici? Zero. Assistenti sociali? Zero. Dovevo cavarmela da solo, ero io e il mio passato».


In quei fogli, Michael rintraccia parte della sua infanzia. Scopre il nome di sua madre e quello di suo padre. Scopre che sua madre è napoletana, suo padre tunisino e non lo ha riconosciuto. Scopre di avere due fratelli e due sorelle. Racconta: «In quel momento ho completato un piccolo pezzo di puzzle, era pura curiosità sapere le mie origini, però si era aperto un altro capitolo. Mi chiedevo: e adesso, che cosa devo fare?». Fino a quel momento Michael-adulto conosce poco di Michael-bambino piccolo: sa che è nato a Torino, che ha vissuto con la madre biologica due anni e poi in una casa di accoglienza. Si interroga sulle sue origini già a scuola quando i compagni gli domandano: «Sei nordafricano? Sei brasiliano?». Lui è consapevole di avere dei lineamenti diversi, ma non risponde altro che «sono di Parma», città dove abita allora con i genitori e una sorella. Spiega agli amici che è stato adottato e ne va fiero.
Iniziare un viaggio dentro (e fuori) sé stesso significa sentire meno quel vuoto, che lui definisce durante l’intervista «buco da colmare». Come lui, sono in tanti e tante a chiedersi il perché dell’adozione. Un’indagine dell’Istituto degli Innocenti di Firenze e Regione Toscana inquadra il fenomeno prima del Covid. I dati risalgono al 2019. Non ci sono studi recenti a livello nazionale, assicurano a 7. Delle 226 persone che si sono rivolte allo sportello Ser.I.O. – il Servizio per le informazioni sulle origini – 140 sono uomini e donne adottate.
Il motivo prevalente: ricerca dell’identità familiare e la comprensione delle ragioni dell’abbandono (153 persone su 226 contatti). Altre ragioni: sapere l’identità della madre biologica (53 persone), conoscenza di eventuali fratelli e sorelle (12 persone), ricerca del luogo/regione di provenienza della famiglia (6 persone). Altre ancora: indicazioni sul padre «che non si è fatto carico del suo ruolo» (2 persone). Oltre a conoscere la famiglia naturale, in molti chiedono l’anamnesi familiare. Domandiamo a Michael perché è stato così importante per lui ricercare le origini. «Ognuno di noi ha il diritto di sapere chi è per costruire la sua identità, non mi sentirei mai completo se non sapessi che cosa è successo nel mio passato, è un buco da colmare che rimarrebbe vuoto, mentre obiettivamente la madre biologica lo sa, conosce le motivazioni per cui ti ha lasciato». Adesso sente di aver chiuso il cerchio? «Non del tutto, ma so che cosa è successo nei primi tre anni della mia vita, non è banale».
Per scoprirlo, appena riceve il fascicolo, Michael va a uno degli indirizzi segnati. Parte da Bologna e arriva a Reggio Emilia. Si ricorda che lì si trova anche la sua casa di accoglienza. La via riportata nel documento però non esiste più. Lui entra in un bar del quartiere e chiede se qualcuno conosce sua madre. Un tizio si ricorda di lei e della sorella. Dice a Michael di aspettare un altro cliente del bar. Questo signore arriva, lo riconosce, gli dice che lo guardava sempre da bambino, che conosce sua zia e sua madre. «Quel signore mi dà il contatto di mia zia, io la chiamo e in 20 minuti lei si precipita al bar». Sua madre è l’ultima persona che Michael incontra. Lei si presenta con il figlio più piccolo. «Non avevo ricordi insieme a lei, non me la ricordavo. Mi ha fatto piacere sapere come fosse fatta fisicamente. I miei parenti biologici per me erano stranieri, degli estranei, mi sono difeso molto a livello emotivo», ammette.
Michael abbassa appena la voce, fa un accenno su suo padre - «uno spacciatore di Reggio Emilia, che entra ed esce di galera» - e si sofferma invece a lungo su sua madre: «Le somiglio molto. Ho gli occhi, il naso e la bocca uguali ai suoi. Lei è una senzatetto, vive in una roulotte abbandonata, è cresciuta a Scampia e ha fatto parte della camorra. Mi hanno prelevato gli assistenti sociali perché vivevamo in mezzo alle macchine. Mia madre ha cinque figli da cinque uomini diversi, solo il minore è rimasto con lei, gli altri sono tutti stati adottati. Vive a Torino. Ora mia madre ce l’ha a morte con gli assistenti sociali, ancora crede che avrebbe potuto tirarmi su da sola. Però lei è una persona buona, cresciuta in un contesto disagiato, e questo aspetto mi ha fatto avvicinare». Vi sentite? «Abbiamo instaurato un rapporto, se la vedo ci abbracciamo, mi sono affezionato. Mi scrive per chiedermi soldi per pagarsi le visite o la ricarica telefonica. Io se posso l’aiuto, altrimenti no. Le ho fatto capire sin da subito che non sono qui per darle supporto economico». Michael spesso va a Torino a trovarla, lui è un regista e sta facendo le riprese per un documentario sulla sua storia.
Cita spesso i suoi genitori «che sono quelli adottivi». «Mi hanno fatto sentire amato, mi hanno lasciato spazio per indagare sul mio passato. Da loro ho preso l’umiltà e l’educazione. Ma ho preso tanto senza volere anche da mia madre biologica: il bisogno di spostarmi, la creatività, l’adattamento in situazioni difficili». Anche sua sorella aspetta di conoscere i nomi dei genitori biologici. Ricorda: «Sono quasi tre anni che è in attesa del fascicolo dal tribunale per i minorenni di Bologna. C’è molto menefreghismo. Si parla tanto dell’accompagnamento alle famiglie, ma dovrebbe esserci anche un percorso per i giovani-adulti alla ricerca delle proprie origini».
Quest’altra storia invece comincia a Bergamo, anno 2021. Sara (nome di fantasia) cerca le sue origini vari anni dopo la morte dei genitori. È per loro che ci chiede di proteggere la sua identità con l’anonimato, «una questione di rispetto». In tutta l’intervista ripete molte volte di essere fortunata. «Ho avuto una storia adottiva felicissima». Lei, il vuoto descritto da Michael, non lo ha mai sentito. «Non mi sono mai sentita abbandonata, i miei genitori mi hanno adottata neonata e mi hanno detto quel poco che sapevano sulla famiglia d’origine». Il suo è stato un parto in anonimato, sua madre biologica non l’ha riconosciuta quando è nata. Varrebbe il comma 7 dell’articolo 28 della legge 184 del 1983 che impedisce a figli e figlie di conoscere il nome della madre biologica che ha deciso di «non voler essere nominata», a meno che la madre non sia deceduta.
Ma quanti sono i bambini abbandonati alla nascita? In Italia se ne contano quasi 300 ogni anno, secondo un vecchio studio della Società italiana di Neonatologia. Contattata da 7, la Sin evidenzia che adesso «non ci sono dati abbastanza aggiornati» e quei numeri non comprendono i neonati lasciati fuori dalle strutture ospedaliere.
Il caso di Sara pone sotto un cono di luce una questione molto discussa: il diritto della madre di non voler essere nominata prevale sul diritto del figlio di conoscere le proprie origini? Nel 2012, la storia di Anita Godelli, che a 69 anni si oppone al divieto della legge 184 di conoscere l’identità della madre, segna un prima e un dopo nella giurisprudenza. In quell’anno, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per aver violato l’articolo 8 della Convenzione, definendo la normativa italiana più a favore della tutela dell’anonimato della madre biologica. L’anno dopo, un’altra sentenza della Corte costituzionale dichiara in parte illegittima la legge perché non consente al figlio di fare interpello.
Nel 2024 l’associazione ItaliaAdozioni (italiaadozioni.it) depone una proposta di legge in Senato per modificare la normativa sulle adozioni. Tra i vari punti c’è anche quello di uniformare gli iter in tutti e 29 tribunali per i minorenni e consentire l’interpello della madre biologica nei casi non riconosciuti alla nascita. «Adesso chi è nato con parto in anonimato e vuole andare alla ricerca della propria storia può recarsi in tribunale e chiedere di interpellare la madre biologica per sapere se è ancora intenzionata a mantenere l’anonimato. Questa però non è una legge, è una soluzione che hanno trovato i tribunali e si applica in modo diverso da Regione a Regione», spiega Ivana Lazzarini, presidente di ItaliaAdozioni. Poi sottolinea: «Adesso in tanti portano avanti ricerche sulle proprie origini in totale autonomia. Vanno sui social e cercano nomi e cognomi dei familiari. Questa pratica è pericolosa, potrebbe diventare un gesto violento nei confronti di chi non vuole essere rintracciato. Online si possono comprare anche i test genetici che fanno scoprire le provenienze. Che cosa si aspetta a cambiare la legge italiana? Ormai è anacronistica».
A 51 anni Sara vuole chiudere il cerchio. Quando avvia la ricerca assicura di non avere nessuna urgenza. Da Bergamo parte per Milano, città dove è nata. «Vado all’archivio storico e chiedo di accedere ai miei dati personali per ragioni sanitarie. Non mi interessavano i dati sensibili di mia madre o di un eventuale padre. L’archivista mi dà il fascicolo sanitario e mi propone di fare la domanda al tribunale per i minorenni. Mi dice: “La vedo così risolta che dovrebbe provarci”». Sara usa più volte le parole «risolta» ed «equilibrata» quando si descrive. «Risolta» ed «equilibrata» glielo dice anche la giudice onoraria con cui fa il colloquio conoscitivo al tribunale per i minorenni di Brescia (il tribunale di riferimento per chi vive nella provincia di Bergamo).
«A quella giudice racconto della mia vita felice di figlia adottiva, le dico che essere adottata non era né un assillo, né un problema. E le preciso anche che vorrei sapere le circostanze per le quali mia madre biologica avesse deciso di lasciarmi», racconta. Sara aspetta due anni prima di avere delle risposte, la sua pratica rimane a lungo nei cassetti del tribunale. Lei chiede aiuto a un avvocato. «Loro ti dicono che non serve un legale, invece io lo consiglio: al tribunale si erano dimenticati del mio caso perché la giudice era stata trasferita. Poi si sono scusati». Nel 2023 ottiene il fascicolo e scopre che sua madre biologica è lombarda ed è morta molti anni prima che lei iniziasse la ricerca. Scopre che lei, Sara, è nata in casa e quando sua mamma è rimasta incinta lavorava fuori dal paese e non era coniugata.
Sara abbassa gli occhi per leggere qualche appunto che tiene sotto il mento. Dal fascicolo scopre di avere un fratello più grande, anche lui deceduto molti anni prima. Le chiediamo quali emozioni le abbia suscitato. Risponde prima «dispiacere», poi «gratitudine»: «Dopo un po’ di tempo sono andata al cimitero del paese di mia madre e le ho portato un fiore sulla tomba, almeno ho visto una sua foto. Un gesto così vuol dire doppia gratitudine, significa grazie per avermi dato la vita potendo decidere diversamente e grazie per avermi permesso di avere i miei genitori».

15.11.23

Diario di bordo n°21 anno I .matrimonio choc Si sposano da soli nella chiesa deserta, senza amici e parenti ., Neonato abbandonato in un sacchetto dalla mamma, dopo tre anni strappato ai genitori affidatari: «Deve tornare da chi l'ha partorito»


Una coppia si è sposata nella Chiesa di San Salvatore in Lauro, nel cuore di Roma, senza nessun invitato. Solo loro due

di Fabrizio Grimaldi per Chronist


È stato un matrimonio semplice, senza amici o parenti, quello celebrato nella Chiesa di San Salvatore in Lauro, nel cuore di Roma. I due sposi erano soli in una chiesa deserta a dirsi il fatidico sì, davanti l’altare. Davanti a loro il prete che ha svolto la funzione e accanto due testimoni. Niente invitati festanti. Nessun parente commosso. Ad immortalare l’intima cerimonia è stata Loredana Pronio, collaboratrice parlamentare del Movimento 5 Stelle ed ex delegata al Benessere animale della sindaca Virginia Raggi. Non appena pubblicata sul suo profilo Facebook, la foto è diventata immediatamente virale.“Credevo di aver visto, non dico tutto, ma abbastanza.” Scrive la Pronio. “E invece questa mattina sono passata nella mia parrocchia. È il mio rito quotidiano. Entro e noto due giovani all’altare. Guardo bene e vedo due sposi! Questi due ragazzi si stavano sposando in una chiesa completamente vuota! Nessun parente, nessun amico. Solo due pseudo fotografi che forse gli avranno fatto anche da testimoni. Mi sono avvicinata all’altare e noto che lei è in dolce attesa. E allora ho pensato che quella coppia di sposi non era sola. I due ragazzi erano in buona compagnia. La migliore in assoluta. Buona vita a tutti tre”.Innumerevoli sono stati i commenti di approvazione da parte della comunità di Facebook. “Bellissima scelta. Lo sfarzo e il lusso non servono a niente”. Scrive un utente. Molti altri commentano con esclamazioni quali “Che meravigli o “Che emozione”. Mentre un altro utente dice chiaramente: La migliore scelta possibile. Sfarzo e lusso non servono”. La stessa collaboratrice parlamentare poi scrive: “Forse questo è un matrimonio vero? Senza clamore. Senza bocche da sfamare al banchetto nuziale, senza regali obbligatori e senza fiori strappati solo per ornare la navata… senza “RISO” all’uscita. Ma , sicuramente, qualcosa che gli strapperà un “sorRISO “ nei prossimi anni!”.

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Neonato abbandonato in un sacchetto dalla mamma, dopo tre anni strappato ai genitori affidatari: «Deve tornare da chi l'ha partorito»

                                             Ilaria Del Prete 

Neonato abbandonato in un sacchetto dalla mamma, dopo tre anni strappato ai genitori affidatari: «Deve tornare da chi l'ha partorito»
                                     © Ansa

Abbandonato alla nascita dai genitori, chiuso in un sacchetto di plastica con il cordone ombelicale ancora attaccato, arrivato in ospedale in grave ipotermia e ipoglicemia ma sopravvissuto dopo aver lottato strenuamente. La storia del piccolo Miele, questo il soprannome che gli hanno dato i genitori affidatari che lo crescono con amore da quando aveva solo 16 giorni, sembrava aver trovato il più felice dei finali. E invece no: il bambino oggi rischia di essere strappato dalle braccia di mamma e papà ed essere riconsegnato alla donna che lo ha partorito e che è ancora sotto processo penale per concorso in abbandono di minore, il tutto a causa di un errore giudiziario. Un provvedimento del Tribunale di Catania, dopo un intervento della Corte di Cassazione, dispone il ritorno del piccolo dalla madre biologica entro il prossimo 28 dicembre. Ma gli unici genitori che il bimbo abbia mai conosciuto, che avevano fatto richiesta di adozione, non ci stanno, e hanno lanciato una petizione affinché Miele resti a casa sua e al momento sono oltre 22mila le firme raccolte dalla petizione online sul portale Change.org "Lasciate Miele con la sua mamma e il suo papà". 

La storia di Miele

Il neonato fu abbandonato a Ragusa nel novembre del 2020. A trovarlo fu il padre naturale, che finse di essersi casualmente ritrovato il piccolo davanti il suo esercizio commerciale. Il bambino era nato da una relazione extraconiugale con una donna che aveva già altri due figli, compresa una ragazzina di cui è lui il padre. L'uomo, col rito abbreviato, è stato condannato a due anni reclusione per abbandono di minorenni. Con la stessa accusa è a processo, con udienza a febbraio del 2024, davanti al Tribunale di Ragusa, la madre che adesso chiede di potere riavere suo figlio. La donna ha sostenuto di non aver mai avuto intenziona di abbandonare il piccolo, ma di averlo affidato al padre naturale per portarlo in un ospedale.

 

L'affido

Nella petizione lanciata dai genitori affidatari di Miele si legge: «Dopo 16 giorni dalla sua nascita, il Tribunale per i minorenni di Catania lo ha affidato a noi, da tempo in lista d'attesa per l'Adozione, dichiarandone - in assenza di segnali di interesse e riconoscimento da parte di nessuno - prima l'adottabilità e poi dopo due mesi l'affidamento pre adottivo, che tutela e avvia la nascita di un nuovo nucleo familiare. Se è in atto l'affido pre adottivo, infatti, non può più avvenire un riconoscimento tardivo da parte della famiglia biologica (articolo 11 L. 184/83), e non si può nemmeno chiedere la revoca dello stato di adottabilità del bambino (articolo 21 L. 184/83). Pensiamo quindi di poter dare a Miele un nuovo futuro, ma invece, per una catena di assurdi errori giudiziari, la corte d'appello di Catania revoca lo stato di adottabilità».

19.9.23

i violenti attacchi retrogradi ed omofobi alla separazione di tiziano ferro e Victor Allen

 premetto  che  1) non sono  fans ed  non ascolto   di tiziano ferro  2)  sono contrario   alla maternità surrogata  \ utero  in affitto   a rescindee   se coppia  e  omossessuale o  etero  ,  3)  sono  per  le  adozioni  omogenitoriali   ed  il matrimonio  omossessuale  in quanto  gesu   ha  detto   solo amatevi non  ha  specificato se  uomo-uomo  o donna-dona  o uomo-donna  . 4)odio ogni  forma  indipendentemente    etero o  omossesuale   esibizionista  .Ma   gli  interventi  che   ho  letto  en passant   in particolare i  commenti   sul  canale  telegram  di   DC NEWS   all'articolo : <<   Adesso il problema di intestargli i bambini comprati non si pone: Tiziano Ferro annuncia la separazione dal ‘marito’  >> sono  qualcosa di così prevedibilmente e ignobilmente stupido  intrinse  d’odio e scherno partorite in queste ore alla notizia del divorzio tra Tiziano Ferro e Victor Allen C’è chi si scandalizza perché “stanno insieme da quattro anni e già si lasciano”, come se le coppie etero fossero indissolubili e per la vita.Chi squallidamente tira fuori a caso l’utero in affitto e i due figli della coppia (“Le vere vittime sono loro”), come se i figli delle “famiglie tradizionali”  che  si lasciano   o  hanno  delle  fasi  di   crisi  soffrissero meno.Omofobi impenitenti  ma   non solo  che, sull’onda della notizia, vorrebbero rimettere in discussione le adozioni di coppie omogenitoriali e addirittura - udite - i matrimoni  (  anche  se  in  realtà  si tratta  di  unioni  civili  ) omosessuali.E decine di altri deliri conditi dal solito mix di analfabetismo funzionale ed emotivo.Ma non è solo omofobia, c’è di più. C’è l’idea stereotipata che le coppie omosessuali siano o debbano essere, per loro stessa natura, assolute, cristallizzate in una presunta immobilità, magicamente immuni alle difficoltà della vita di coppia e personali che, invece, riguardano tutti.Vi do una notizia: le coppie omosessuali crescono, funzionano, vanno in crisi o finiscono come qualunque altra coppia, con le stesse identiche conseguenze di qualsiasi coppia.Ci sono genitori che affrontano in modo intelligente questo passaggio della vita, chi in modo egoista e chi in modo superficiale o tossico, e - tenetevi forte - nessuna di queste variabili dipende dall’orientamento sessuale. La verità è che, di fronte a una notizia come questa, riportata da Tiziano Ferro sui propri canali con grande delicatezza e molta sofferenza personale, come potete    leggere  dal communicato   dello  stesso     Tiziano Ferro 

ci sono solo due cose che si possono fare : empatizzare o, se proprio non siete in grado  o indifferenti  come  di  solito  faccio io  nella maggior  parte   della  news     sui  vip  e  pseudo    vip   TACERE. o  evitarare  commenti  stupidi   tipo    questo      sulla  mia  bacheca  : << Attacchi non ne ho letto.Prese per i fondelli, si >>
ecco la mia replica

  • Autore
    Giuseppe Scano
    ******e queste secono te sarebbero prese per i fondelli ? secondo me sono attacchi \ insulti belli e buoni . commenti presi dal canale telegram di https://www.dcnews.it/
    Mara Balestri, [19/09/2023 12:11]
    Fai schifo🤮🤮🤮
    Gino, [19/09/2023 12:17]
    😂
    Giusy, [19/09/2023 12:21]
    Ma andate affanculo
    Giusy, [19/09/2023 12:21]
    Frocioni.
    Pietro R., [19/09/2023 12:42]
    Invertiti
    Marco Gabrielli, [19/09/2023 12:49]
    Ma fatti un clistere coi vetri tritati
    RobbieS, [19/09/2023 13:20]
    Adesso il marito o moglie (?) nel divorzio lo spennerá come un pollo, lasciandolo in mutande.
    clara, [19/09/2023 13:25]
    Chi dei 2 mantiene chi? E i figli sono di colui che li ha partoriti ? Se si, da dove?
    Rodolfo Rizzotto, [19/09/2023 13:32]
    Imbecille patentato
    Lorenzo, [19/09/2023 13:42]
    I figli? I bambini comperati vuol dire..ecco i risultati dello schifo che vorrebbero diventasse normalità. Una minoranza di disadattati, stranamente tutti benestanti, che vuole dettare le proprie regole alla maggioranza. In democrazia non funziona così...
    Mara Balestri, [19/09/2023 12:11]
    Fai schifo🤮🤮🤮
    Gino, [19/09/2023 12:17]
    😂
    Giusy, [19/09/2023 12:21]
    Ma andate affanculo
    Giusy, [19/09/2023 12:21]
    Frocioni.
    Pietro R., [19/09/2023 12:42]
    Invertiti
    Marco Gabrielli, [19/09/2023 12:49]
    Ma fatti un clistere coi vetri tritati
    RobbieS, [19/09/2023 13:20]
    Adesso il marito o moglie (?) nel divorzio lo spennerá come un pollo, lasciandolo in mutande.
    clara, [19/09/2023 13:25]
    Chi dei 2 mantiene chi? E i figli sono di colui che li ha partoriti ? Se si, da dove?
    Rodolfo Rizzotto, [19/09/2023 13:32]
    Imbecille patentato
    Lorenzo, [19/09/2023 13:42]
    I figli? I bambini comperati vuol dire..ecco i risultati dello schifo che vorrebbero diventasse normalità. Una minoranza di disadattati, stranamente tutti benestanti, che vuole dettare le proprie regole alla maggioranza. In democrazia non funziona così...
    filippo, [19/09/2023 13:51]
    Pervertiti, froci e culattoni con bambini, questi sono pedoli sottili, ma x fortuna DIO vede e provvede x la nuova sodoma e gomorra. Guai, guai, guai a voi malvagi che osate toccare questi miei piccoli xché userò la mia Terribile Giustizia voi che profanate i bimbi.
    Anastasio, [19/09/2023 13:55]
    E ne compra altri due in Italia ma che schifo ma non si vergogna un pochino no niente niente che faccia tosta
    Bruna Bussani, [19/09/2023 14:03]
    Un cog...e 🤮
    Antonio, [19/09/2023 14:08]
    Ma vergognati, coglione! I bambini non merce in mano ai culatoni.
    Patty Xxx, [19/09/2023 14:41]
    Alberto Cognome, [19/09/2023 14:48]
    E a pensare che fanno più cariera loro 😯 questo per realizzare un sogno dovrebbe andare a schiaffeggiare i pomodori a finché non diventino rossi 🤣🤣🤣🤣🤣🤣 che tristezza
    Matteo, [19/09/2023 15:02]
    Ma di che si lamenta? Questa notizia era l'unica cosa che potesse spezzargli il cuore poiché la miocardite non colpisce il cuore di chi ha fatto il placebo.
    Monica Marchini, [19/09/2023 15:40]
    Che paias.....
    Sunmoon, [19/09/2023 15:56]
    Altro stronzo
    85121 Capri, [19/09/2023 16:12]
    Arrogante presuntuoso egoista
    Grazia, [19/09/2023 16:43]
    Anna Maria Ceschia, [19/09/2023 16:48]
    E adesso quei poveri bambini che non hanno nessuna colpa che fine faranno???? VERGOGNATEVI 🤮

  • con questo è tutto alla prossima

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