Leggendo l'articolo di di Elvira Naselli su repubblica m chiedo ma che fine hanno fatto quelli che avevano fatto fallire il quorum sul referendum per del 2004 per paura di schierarsi e ribellarsi ai dettami della chiesa che non ebbe il coraggio di prendere posizione per il No rispetto a me ( vedere archivio blog ) che fui per il Si ?
"Un giorno spiegheremo a Caterina che è nata da un ovocita arrivato dalla Spagna"
Sette anni dall'abolizione del divieto di fecondazione eterologa e quasi seimila bambini nati, fino agli ultimi dati dell’Istituto superiore di Sanità del 2018. Ed è quindi ragionevole pensare che siano molti di più: nel 2018 ne sono venuti al mondo 2002 e se il numero è rimasto uguale nel 2019 e nel 2020 allora sarebbero oltre diecimila nascite. Bambini nati appunto grazie alla fecondazione eterologa, quella tecnica che utilizza ovociti o spermatozoi da donatori, prelevati da una banca. Una tecnica – quella dell’eterologa - vietata in Italia dalla legge 40 del 2004 e riammessa dalla Consulta dieci anni dopo, il 9 aprile del 2014, su ricorso dei tribunali di Firenze, Milano e Catania. Fino ad allora – ma in molti casi capita anche oggi – le coppie erano costrette ad andare all’estero, in Spagna soprattutto, dove l’idea della donazione di ovociti non è un tabù e le donne sono disposte a farlo, come si dona il sangue, ricevendo un compenso che non supera il migliaio di euro. Non è una questione di soldi, ma di mentalità, mentalità che ha reso la Spagna la più grande banca mondiale di ovociti donati. E la destinazione principale del cosiddetto “turismo procreativo”. Dal 2014 però si può ricorrere a donazione di gameti anche in Italia. E ci sono le coppie che – nonostante le difficoltà anche economiche, considerato che solo pochi centri pubblici offrono questa possibilità e quindi tutto si svolge nel privato - decidono di restare in Italia. Come quella di Simona, architetto quarantenne e del suo compagno Mirko, diventati genitori 4 mesi e mezzo fa di Caterina. Cinque anni fa a Simona è stata diagnosticata una endometriosi. Quindi una gravidanza sarebbe stata difficile, ancor più considerata l’età. Poi conosce Mirko e il progetto di avere un figlio è più pressante per entrambi. “Per un anno abbiamo provato naturalmente – racconta – ma poi ci siamo rivolti a un centro convenzionato di procreazione assistita e lì la prima brutta notizia: i miei ovociti erano scarsi e di cattiva qualità”. A questo punto il ricorso a un’amica ginecologa, Cincy Argento, che lavora in un grande centro romano privato di Pma e un nuovo tentativo. “Siamo riusciti a produrre un solo embrione, risultato aneuploide (con anomalia cromosomica, ndr) all’analisi pre-impianto. Abbiamo deciso quindi di ricorrere all’ovodonazione: nel 2019 sono rimasta subito incinta ma purtroppo ho perso i due bambini per una gravidanza gemellare monocoriale monoamniotica (I feti condividono placenta e sacco amniotico, ndr). Un momento difficile per noi. Poi, dopo pochi mesi un secondo tentativo, proprio il giorno del primo Dpcm della pandemia e stavolta è nata Caterina”.Eppure la donazione di gameti potrebbe essere una soluzione per moltissime coppie. “Il successo di questa tecnica – premette Filippo Maria Ubaldi, presidente Sifes-Mr (Società italiana di fertilità e sterilità-Medicina della riproduzione) – sta nel fatto che può risolvere tanti casi di infertilità maschile, menopausa precoce o difficoltà dovute alla tarda età della donna, più di 42-43 anni. Procrastinare la maternità comporta una degenerazione dei gameti femminili e la necessità di ricorrere all’ovodonazione. Ma attenzione: i rischi legati ad una maternità in età avanzata restano. Fino al primo trimestre di gravidanza sono gli stessi a tutte le età ma nel secondo e terzo trimestre entrano in gioco elasticità e vascolarizzazione dei tessuti, condizioni dell’utero e possono aumentare i rischi ostetrici, il pericolo di parto pretermine, ipertensione e diabete gestazionale” .
Sette anni dall'abolizione del divieto di fecondazione eterologa e quasi seimila bambini nati, fino agli ultimi dati dell’Istituto superiore di Sanità del 2018. Ed è quindi ragionevole pensare che siano molti di più: nel 2018 ne sono venuti al mondo 2002 e se il numero è rimasto uguale nel 2019 e nel 2020 allora sarebbero oltre diecimila nascite. Bambini nati appunto grazie alla fecondazione eterologa, quella tecnica che utilizza ovociti o spermatozoi da donatori, prelevati da una banca. Una tecnica – quella dell’eterologa - vietata in Italia dalla legge 40 del 2004 e riammessa dalla Consulta dieci anni dopo, il 9 aprile del 2014, su ricorso dei tribunali di Firenze, Milano e Catania. Fino ad allora – ma in molti casi capita anche oggi – le coppie erano costrette ad andare all’estero, in Spagna soprattutto, dove l’idea della donazione di ovociti non è un tabù e le donne sono disposte a farlo, come si dona il sangue, ricevendo un compenso che non supera il migliaio di euro. Non è una questione di soldi, ma di mentalità, mentalità che ha reso la Spagna la più grande banca mondiale di ovociti donati. E la destinazione principale del cosiddetto “turismo procreativo”.
Dal 2014 però si può ricorrere a donazione di gameti anche in Italia. E ci sono le coppie che – nonostante le difficoltà anche economiche, considerato che solo pochi centri pubblici offrono questa possibilità e quindi tutto si svolge nel privato - decidono di restare in Italia. Come quella di Simona, architetto quarantenne e del suo compagno Mirko, diventati genitori 4 mesi e mezzo fa di Caterina. Cinque anni fa a Simona è stata diagnosticata una endometriosi. Quindi una gravidanza sarebbe stata difficile, ancor più considerata l’età. Poi conosce Mirko e il progetto di avere un figlio è più pressante per entrambi. “Per un anno abbiamo provato naturalmente – racconta – ma poi ci siamo rivolti a un centro convenzionato di procreazione assistita e lì la prima brutta notizia: i miei ovociti erano scarsi e di cattiva qualità”. A questo punto il ricorso a un’amica ginecologa, Cincy Argento, che lavora in un grande centro romano privato di Pma e un nuovo tentativo. “Siamo riusciti a produrre un solo embrione, risultato aneuploide (con anomalia cromosomica, ndr) all’analisi pre-impianto. Abbiamo deciso quindi di ricorrere all’ovodonazione: nel 2019 sono rimasta subito incinta ma purtroppo ho perso i due bambini per una gravidanza gemellare monocoriale monoamniotica (I feti condividono placenta e sacco amniotico, ndr). Un momento difficile per noi. Poi, dopo pochi mesi un secondo tentativo, proprio il giorno de
Dubbi, esitazioni di fronte alla scelta di avere un ovocita da una anonima banca spagnola? “Io e Mirko non abbiamo avuto dubbi di tipo etico né esitazioni – continua Simona – ne abbiamo parlato e abbiamo deciso di accettare la proposta dell'ovodonazione. Se lo abbiamo detto ad amici e parenti? In realtà tutti sanno della procreazione assistita e pochi dell’ovodonazione, ma non per una scelta precisa, piuttosto per le difficoltà d’incontro dovute alla pandemia. Abbiamo però già sentito una psicologa perché vorremmo trovare il modo giusto per dirlo a Caterina quando sarà il momento. Se lo rifaremmo? Cento volte, ed è un peccato che in Italia sia così difficile”.
Eppure la donazione di gameti potrebbe essere una soluzione per moltissime coppie. “Il successo di questa tecnica – premette Filippo Maria Ubaldi, presidente Sifes-Mr (Società italiana di fertilità e sterilità-Medicina della riproduzione) – sta nel fatto che può risolvere tanti casi di infertilità maschile, menopausa precoce o difficoltà dovute alla tarda età della donna, più di 42-43 anni. Procrastinare la maternità comporta una degenerazione dei gameti femminili e la necessità di ricorrere all’ovodonazione. Ma attenzione: i rischi legati ad una maternità in età avanzata restano. Fino al primo trimestre di gravidanza sono gli stessi a tutte le età ma nel secondo e terzo trimestre entrano in gioco elasticità e vascolarizzazione dei tessuti, condizioni dell’utero e possono aumentare i rischi ostetrici, il pericolo di parto pretermine, ipertensione e diabete gestazionale”.
Ma la donazione di gameti – in particolar modo quella di ovociti, la più frequente – non è a portata di tutti nel nostro paese. Tanto che molte coppie – almeno quelle che ne hanno la possibilità economica – vanno all’estero: Spagna, soprattutto, ma non solo. Del resto – sottolinea sconfortata Filomena Gallo, avvocato che ha difeso le coppie alla Consulta per ottenere la fecondazione eterologa, segretario dell’associazione Luca Coscioni e consigliere Sifes-Mr – in Italia non solo questa procedura non viene erogata in tutte le regioni ma non c’è neppure un tariffario delle prestazioni incluse nei Lea con spesa a carico del Ssn, tranne che per la diagnosi pre-impianto. “Chi risiede in Puglia non può effettuare l’eterologa – precisa Gallo – e se va in altre regioni ha limiti strettissimi di rimborso. In Sicilia invece la coppia può fare eterologa solo nel privato o fuori regione, ma solo se si rivolge a strutture pubbliche. Se si rivolge al privato non c’è diritto al rimborso".
Sette anni dall'abolizione del divieto di fecondazione eterologa e quasi seimila bambini nati, fino agli ultimi dati dell’Istituto superiore di Sanità del 2018. Ed è quindi ragionevole pensare che siano molti di più: nel 2018 ne sono venuti al mondo 2002 e se il numero è rimasto uguale nel 2019 e nel 2020 allora sarebbero oltre diecimila nascite. Bambini nati appunto grazie alla fecondazione eterologa, quella tecnica che utilizza ovociti o spermatozoi da donatori, prelevati da una banca. Una tecnica – quella dell’eterologa - vietata in Italia dalla legge 40 del 2004 e riammessa dalla Consulta dieci anni dopo, il 9 aprile del 2014, su ricorso dei tribunali di Firenze, Milano e Catania. Fino ad allora – ma in molti casi capita anche oggi – le coppie erano costrette ad andare all’estero, in Spagna soprattutto, dove l’idea della donazione di ovociti non è un tabù e le donne sono disposte a farlo, come si dona il sangue, ricevendo un compenso che non supera il migliaio di euro. Non è una questione di soldi, ma di mentalità, mentalità che ha reso la Spagna la più grande banca mondiale di ovociti donati. E la destinazione principale del cosiddetto “turismo procreativo”.
Dal 2014 però si può ricorrere a donazione di gameti anche in Italia. E ci sono le coppie che – nonostante le difficoltà anche economiche, considerato che solo pochi centri pubblici offrono questa possibilità e quindi tutto si svolge nel privato - decidono di restare in Italia. Come quella di Simona, architetto quarantenne e del suo compagno Mirko, diventati genitori 4 mesi e mezzo fa di Caterina. Cinque anni fa a Simona è stata diagnosticata una endometriosi. Quindi una gravidanza sarebbe stata difficile, ancor più considerata l’età. Poi conosce Mirko e il progetto di avere un figlio è più pressante per entrambi. “Per un anno abbiamo provato naturalmente – racconta – ma poi ci siamo rivolti a un centro convenzionato di procreazione assistita e lì la prima brutta notizia: i miei ovociti erano scarsi e di cattiva qualità”. A questo punto il ricorso a un’amica ginecologa, Cincy Argento, che lavora in un grande centro romano privato di Pma e un nuovo tentativo. “Siamo riusciti a produrre un solo embrione, risultato aneuploide (con anomalia cromosomica, ndr) all’analisi pre-impianto. Abbiamo deciso quindi di ricorrere all’ovodonazione: nel 2019 sono rimasta subito incinta ma purtroppo ho perso i due bambini per una gravidanza gemellare monocoriale monoamniotica (I feti condividono placenta e sacco amniotico, ndr). Un momento difficile per noi. Poi, dopo pochi mesi un secondo tentativo, proprio il giorno del primo Dpcm della pandemia e stavolta è nata Caterina”.
Dubbi, esitazioni di fronte alla scelta di avere un ovocita da una anonima banca spagnola? “Io e Mirko non abbiamo avuto dubbi di tipo etico né esitazioni – continua Simona – ne abbiamo parlato e abbiamo deciso di accettare la proposta dell'ovodonazione. Se lo abbiamo detto ad amici e parenti? In realtà tutti sanno della procreazione assistita e pochi dell’ovodonazione, ma non per una scelta precisa, piuttosto per le difficoltà d’incontro dovute alla pandemia. Abbiamo però già sentito una psicologa perché vorremmo trovare il modo giusto per dirlo a Caterina quando sarà il momento. Se lo rifaremmo? Cento volte, ed è un peccato che in Italia sia così difficile”.
Eppure la donazione di gameti potrebbe essere una soluzione per moltissime coppie. “Il successo di questa tecnica – premette Filippo Maria Ubaldi, presidente Sifes-Mr (Società italiana di fertilità e sterilità-Medicina della riproduzione) – sta nel fatto che può risolvere tanti casi di infertilità maschile, menopausa precoce o difficoltà dovute alla tarda età della donna, più di 42-43 anni. Procrastinare la maternità comporta una degenerazione dei gameti femminili e la necessità di ricorrere all’ovodonazione. Ma attenzione: i rischi legati ad una maternità in età avanzata restano. Fino al primo trimestre di gravidanza sono gli stessi a tutte le età ma nel secondo e terzo trimestre entrano in gioco elasticità e vascolarizzazione dei tessuti, condizioni dell’utero e possono aumentare i rischi ostetrici, il pericolo di parto pretermine, ipertensione e diabete gestazionale”.
Ma la donazione di gameti – in particolar modo quella di ovociti, la più frequente – non è a portata di tutti nel nostro paese. Tanto che molte coppie – almeno quelle che ne hanno la possibilità economica – vanno all’estero: Spagna, soprattutto, ma non solo. Del resto – sottolinea sconfortata Filomena Gallo, avvocato che ha difeso le coppie alla Consulta per ottenere la fecondazione eterologa, segretario dell’associazione Luca Coscioni e consigliere Sifes-Mr – in Italia non solo questa procedura non viene erogata in tutte le regioni ma non c’è neppure un tariffario delle prestazioni incluse nei Lea con spesa a carico del Ssn, tranne che per la diagnosi pre-impianto. “Chi risiede in Puglia non può effettuare l’eterologa – precisa Gallo – e se va in altre regioni ha limiti strettissimi di rimborso. In Sicilia invece la coppia può fare eterologa solo nel privato o fuori regione, ma solo se si rivolge a strutture pubbliche. Se si rivolge al privato non c’è diritto al rimborso".
E poi c’è il problema pandemia, che ha bloccato l’attività di molti centri, colpendo le coppie in quello che è l’elemento più critico della loro ricerca di genitorialità: il tempo. E nelle regioni dove l’accesso alla Pma in regime pubblico è regolata da limiti d’età, non si è tenuto conto del blocco dovuto al Covid. E solo Toscana, Lazio e Campania hanno prorogato il limite anagrafico. Le coppie delle altre regioni hanno visto allungarsi la lista d’attesa o si sono viste tagliate fuori per sopraggiunti limiti d’età.