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20.7.22

La letteratura è un lungo viaggio fra te e il mondo di nicola la goia fatto quotidiano del 19\7\2022

  canzoni consigliate

  • in quieto - Csi
  • In viaggio  - Csi

 

Vorrei provare a fare un breve elogio della letteratura attraverso la sua capacità di colmare le distanze, cioè di viaggiare. Non un viaggio fisico, ma uno stupefacente viaggio interiore.Solo che il viaggio che la letteratura ci propone (alla sua essenza) non è un viaggio fisico, ma uno stupefacente viaggio interiore. Al tempo stesso si tratta di un viaggio che avviene salendo a bordo di una scialuppa molto particolare: il mezzo di navigazione più sofisticato e veloce fino ad ora a nostra disposizione: il pensiero, la mente umana. Certo, potremmo dire che la letteratura occidentale

nasce nel nome del viaggio e della guerra. Anzi: della guerra e del viaggio, attraverso l’iliade (la guerra) e l’odissea (il viaggio). Attraverso le gesta di chi incarna l’istinto primordiale della guerra (Achille, la forza fisica) e chi incarna l’astuzia e l’intelligenza di cui deve armarsi chi intraprende un viaggio verso l’ignoto (Ulisse). Sarebbe bello poter dire (Iliade vs Odissea) che il viaggio a cui siamo destinati (il nostro vero ritorno a casa) è un viaggio iniziatico attraverso il quale siamo chiamati a mettere da parte tutta la nostra aggressività, la nostra arroganza, la nostra violenza, in modo che il ritorno a Itaca ci trovi molto diversi. Pacificati, liberi dalla violenza. Ma temo che questa sia una prospettiva molto rassicurante. La storia della letteratura è piena di viaggi pericolosi che sembrano non portare a niente. Il Viaggio al termine della notte di Céline, per esempio: un viaggio al cuore del Novecento, dove si trovano fondamentalmente guerra, colonialismo, miseria, ingiustizia. Oppure il viaggio che Conrad ci fa intraprendere in Cuore di Tenebra, lungo il fiume Congo, alla scoperta del lato più oscuro e vergognoso dell’animo umano.

Ma non è questo il cuore del problema. Non è che per far viaggiare il lettore la letteratura deve raccontare per forza di viaggi. Il viaggio, con la letteratura, viene intrapreso per il semplice fatto di aprire un libro e cominciare a leggere. “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura...” ed ecco: stiamo già viaggiando! Ma anche: “Quasi tutti pensavano che l’uomo fossero padre e figlio”. Anche qui: stiamo già in viaggio. Chi sono questi due individui che forse sono padre e figlio, ma forse non lo sono affatto ed è in questo fraintendimento che nasce il dramma? In quest’ultimo caso si tratta dell’incipit de Le notti di Salem di Stephen King.

SE CI PENSIAMO, LA SCRITTURA

è la forma più sofisticata di comunicazione tra mente e mente (o tra spirito e spirito). Prima cioè che la telepatia diventi possibile, se mai sarà possibile (o magari un giorno sarà possibile addentrarsi nella mente di un’altra persona attraverso la tecnologia), abbiamo il linguaggio. E il linguaggio letterario più che ogni altro tipo di linguaggio. Vorrei provare a spiegare com’è possibile questo miracolo: il viaggio tra mente e mente, il viaggio interiore attraverso la lingua letteraria. (...) Quando noi diciamo: “Un’intera nottata / buttato vicino ad un compagno massacrato / con la sua bocca digrignata / volta al plenilunio / con la congestione delle sue mani penetrate nel mio silenzio / ho scritto lettere piene d’amore / non sono mai stato tanto / attaccato alla vita”. (...) Quando noi recitiamo questi versi stiamo ripercorrendo mentalmente la stessa strada, o meglio stiamo doppiando gli stessi circuiti mentali, o meglio ancora stiamo facendo aderire la nostra mente (o il nostro spirito, a seconda di cosa sia la mente) alla mente di Giuseppe Ungaretti quando, l’antivigilia di Natale, nella notte del 23 dicembre del 1915, si ritrovò durante la Prima guerra mondiale sul Monte San Michele, a Cima Quattro, accanto a un compagno d’armi morto in trincea (reale o ricordato non importa), e dunque davanti alla morte, reagì in questo modo meraviglioso. Noi non stiamo semplicemente immaginando Ungaretti che mette in fila queste parole, noi siamo quella parte della sua mente che presiede a quel tipo di organizzazione del linguaggio, che a sua volta è il più fedele portatore di quelle emozioni. Il Monte San Michele è un rilievo del Carso, in Provincia di Gorizia, nel Friuli Venezia Giulia. Ma oltre che linguisticamente, immaginiamolo per un attimo anche biograficamente. Immaginiamo il Giovane Giuseppe Ungaretti, a 27 anni, che l’anti-vigilia di Natale, soldato, forse in seguito alla morte di un commilitone, su frammenti di carta recuperata esercita l’operazione letteraria suprema: dà una forma a ciò che prima non ce l’ha. Quello che è caos, dolore, solitudine, freddo, inquietudine, magari anche panico davanti al mistero insuperabile della morte (e davanti al mistero altrettanto insondabile della stupidità umana nella sua manifestazione suprema: la guerra), tutto questo nella poesia assume una forma (...). Il poeta o lo scrittore mette in una forma chiusa tutto questo informe e lo rende trasmissibile, non come si trasmette una notizia o una statistica, ma come si trasmette un sentimento, un moto dell’animo, un movimento dello spirito la cui complessità e le cui sfumature sono infinite rispetto a quelle di una semplice notizia. O di una semplice comunicazione. Ecco. Il contrario della letteratura è la comunicazione. La letteratura ci fa “viaggiare”, la comunicazione no. E tutto questo Ungaretti lo riesce a fare mettendo delle semplici parole in fila l’una dietro l'altra, tutto qui.

E tuttavia, di cosa ha bisogno, Ungaretti? Di cose molto concrete. Qui stiamo parlando di poesia, non di prosa, ma questo per dire che persino la poesia, che è in apparenza più astratta della prosa, si basa su cose molto concrete, e non restituisce mai un sentimento attraverso l’enunciazione di un altro sentimento. Rileggendo la poesia di Ungaretti c’è una scelta molto precisa delle parole che servono a contestualizzare. C’è un elemento diciamo così, cronologico, ma continuato: non una notte, ma “un’intera nottata”. E poi, “buttato vicino ad un compagno massacrato”. Ecco, in due versi c’è già un'immagine fortissima. Per un’intera notte l’io narrante giace, da vivo, accanto a un morto, che non è il suo nemico ma un suo commilitone (“un compagno”). Poi arriva il capolavoro linguistico che rende questa poesia immortale. “Con la sua bocca digrignata / volta al plenilunio”: quindi c’è lontanissima da una parte la luna piena, e della parte opposta c’è una bocca digrignata di un ragazzo morto (...) e le due cose sono messe in comunicazione tra di loro (...). La bocca digrignata di un ragazzo morto in qualche modo è in comunicazione – lo è per noi che leggiamo – con la luna, cioè con un satellite che sta oltre l’atmosfera, con un astro freddo e luminoso. “Con la congestione delle sue mani penetrate nel mio silenzio”. Quindi le mani gonfie e livide per il ristagno del sangue (una cosa concretissima) sono penetrate in una cosa pure in un certo senso concreta ma intangibile (“il mio silenzio”). E poi, dopo tanta torsione linguistica, c'è la liberazione molto semplice, quasi naif: “ho scritto lettere piene d’amore / non sono mai stato tanto / attaccato alla vita”.

Voi pensate la potenza del linguaggio poetico, che da una fredda notte del 1915, oltre 100 anni fa (tra le dita di un ragazzo che scriveva, in cima a un rilievo, l’antivigilia di Natale), ha fatto un viaggio di 100 anni e di alcune centinaia di chilometri (o di migliaia di chilometri se fossimo in Cina) per ricalcare nelle nostre menti capaci di leggere il linguaggio, e compiere lo stesso percorso che seguì la mente del giovane Giuseppe Ungaretti.

Presto sapremo chi siamo: a questo serve (forse) la letteratura. Molto spesso, nella nostra vita, non ci ritroviamo più. Molto spesso la nostra parte più autentica, il nostro nucleo irriducibile è lontano anni luce da dove siamo noi. La letteratura può forse, certe volte, consentirci di intraprendere questo viaggio, di colmare cioè la distanza (a volte enorme) che ci separa da noi stessi. Ecco: adesso siamo davvero pronti al viaggio.

4.4.16

L'EDICOLA DEL SANTO Milano, la mitica edicola di via Foppa 'prende il volo' per colpa dell'M4: il trasloco è un film

anche  le  edicole  viaggiano . Non ci credete    leggete   e vedete   qua    sotto
Per i milanesi che frequentano la zona di Parco Solari è un punto di riferimento, ma ora l’apertura dei cantieri per la linea M4 della metropolitana le hanno imposto il trasloco: la storica edicola gestita da Stefano Rimoldi si è spostata (anzi è stata spostata) da via Vincenzo Foppa a viale Coni Zugna, sempre lato Parco Solari. L’operazione di trasferimento è documentata nel cortometraggio “L’edicola del Santo”, realizzato dal filmmaker Ricky Farina (nome d’arte di Bernardo Bunuel)



  visdto che   in questi giorni il video sta rimbalzando sui profili Facebook di molti clienti abituali e sui gruppi degli abitanti del quartiere, a cominciare dalla pagina “Sos Parco Solari” mi scuso  che  inj Lombardi  \  milanesi    che  passano    di qui  o sono  fra i mie lettori abituali od  pccasionali  se  lo avessero  già  visto .
Un videoVideo molto bello e commovente: un pezzo   ---  come dice  il  commento   al video  di 
TheSussuria ---di storia milanese, quest'edicola. Un pazzo o un santo? La storia, si sa, è fatta di questo. Non solo di accelerazioni forzate. Se solo gli alberi potessero volare...! E invece no, sono lì, a darci ossigeno.


14.9.15

LA LETTERA DI UN EMIGRATO SARDO TORNA IN ARGENTINA DOPO 50 ANNI

  canzoni   consigliate   stavolta  a sorpresa
http://bit.ly/1I5mZ4r
https://youtu.be/3j8mr-gcgoI
https://youtu.be/Sr-z0PDuR-I

Eccovi una storia di quando la burocrazia non fa danni e non crea ingiustizia ma permette di conservare \ recuperare i ricordi più cari . La curiosa storia di una lettera inviata dall'Argentina da un emigrato sardo e tornata indietro dopo quasi 50 anni.
 Storia  che ha   avuto forte  eco sui  giornali argentini   e non quelli italiani , eccetto   il quotidiano sardo l'unione sarda  


  dall'unione  sarda  del 12\9\2015

San Gregorio è un paese di neanche 5 mila abitanti nella provincia di Santa Fe in Argentina.
Qui vive Pedro Gerardo Cocco figlio  (  per  chi non vedesse  il video  preso  da  videolina    locale  emmittente  sarda    del gruppo dell'unione    e  da quello scaricato da  me  con il mio  downloadhelper  di mozzilla  firex  fox  può    trovare  qui  sotto   a destra  la sua    foto  e  sotto a  sinistra   la  cartolina  "  incriminata  "  )
da  http://radiovenadotuerto.com/
di un emigrato di Bottidda, giornalista e programmatore musicale in emittenti locali che con i suoi video documenta vita e eventi di quella comunità che conta una discreta presenza italiana.

Nei giorni scorsi ha vissuto una emozione forte e inattesa quando la moglie Myrian, direttrice del locale ufficio postale, gli ha consegnato una lettera che il padre Mario Cocco, morto trent’anni fa, aveva inviato nel maggio del 1966 a suoi nipoti residenti in Italia a Verbania. Lettera arrivata dopo cinque gironi nel nostro paese ma rispedita indietro a distanza di quasi 50 anni perchè il destinatario risultava sconosciuto al
da  http://www.ancaloo.com.ar/nota/7365/
mittente.
Una lettera nella quale con un italiano a tratti approssimativo di cui si scusava Mario Cocco raccontava della sua vita e dei figli in Argentina.
Pedro Cocco non ha potuto frenare la commozione e il pianto chissà se per il dolore della perdita di quella persona a lui cosi cara o per la felicità del messaggio che forse si nascondeva in quella lettera scritta dal padre partito dal paesino del Goceano per fare fortuna in sud America.
Che non è andata perduta e che ripercorrendo il viaggio a ritroso oltre oceano ha dato vita a questo davvero insolito miracolo postale.