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Da quel che leggo anzi meglio sfoglio , alla ricerca di sfatti e storie o altri articoli interessanti di dibattito sui media e social su gli ultimi due ( per ora ) femminicidi mi rendo sempre più conto che il discorso ( Ⅰ testo ⅠⅠ video ) della Manocchi fatto qualche giorno fa a Propaganda live su la 7 viene conferma sia la mia elaborazione di un articolo trovato su msn.it che trovaste sotto sia che è il linguaggio o meglio la narrazione di come tali fatti vengano riportati sui : media , soiciale e blog compresi .
Infatti ( e qui inizia la mia riflessione \ rielaborazione ) Dall’inizio dell’anno fino ad ora sono 13 i casi di femminicidio avvenuti in Italia.
Nonostante la loro frequenza e la portata mediatica che hanno alcuni casi più di altri, che arrivano a manipolare l’opinione pubblica e il dibattito collettivo per giorni e giorni, abbiamo ancora difficoltà enormi nella comunicazione che – ricordiamolo – nel caso dei femminicidi e di violenza non solo fisica coincide completamente con la narrazione dei fatti.
Infatti « si fa ancora molta difficoltà secondo quanto riportato in quest articolo di https://www.wired.it/ , a comprendere che sono ben pochi i casi in cui i femminicidi sono il frutto di raptus episodici e molto più di frequente, invece, rappresentano la conseguenza di una serie di fatti concatenati e regolamentati culturalmente. I movimenti femministi [ è questo è uno dei motivi chhe condivido , anche se sono critico verso certi asetti del femminismo come ho detto precedentemente ] e la loro copiosa produzione letteraria insistono da sempre sul fatto che il femminicidio è parte integrante di una struttura culturale che promuove la misoginia e la violenza sulle donne, un problema sistemico reso ancora più pericoloso perché normalizzato al punto da essere diventato invisibile. ».
Infatti « si fa ancora molta difficoltà secondo quanto riportato in quest articolo di https://www.wired.it/ , a comprendere che sono ben pochi i casi in cui i femminicidi sono il frutto di raptus episodici e molto più di frequente, invece, rappresentano la conseguenza di una serie di fatti concatenati e regolamentati culturalmente. I movimenti femministi [ è questo è uno dei motivi chhe condivido , anche se sono critico verso certi asetti del femminismo come ho detto precedentemente ] e la loro copiosa produzione letteraria insistono da sempre sul fatto che il femminicidio è parte integrante di una struttura culturale che promuove la misoginia e la violenza sulle donne, un problema sistemico reso ancora più pericoloso perché normalizzato al punto da essere diventato invisibile. ».
Ma sappiamo anche molto bene che nella nostra società, la voce delle femministe e le loro analisi, seppur storicamente solide e consolidate, non trovano salvo rari casi un posto centrale nella formazione culturale ed è anche per questo motivo se non sono conosciute, lette o considerate. Infatti
Negli ultimi anni, la grande industria culturale del crime ci ha abituate e abituati ad un tipo di narrazione romantica che contribuisce alla confusione della diffusione di un problema. È accaduto anche nel caso solo per fare un esempio recente di Sara Campanella quando nelle prime ore dalla diffusione della notizia, abbiamo assistito a una narrazione profondamente sbagliata, dalle istituzioni alle forze dell’ordine, dai conduttori televisivi ai giornalisti. Fin dal primo giorno di cronaca abbiamo letto e ascoltato frasi come: “ha rifiutato le attenzioni di”, “non ha ricambiato l’amore”, “è stata vittima di un’affermazione di indipendenza che potrebbe essere stata fatale” oppure “il delitto è avvenuto per motivi sentimentali”. È tutto sbagliato.
Non si muore perché si rivendica troppa indipendenza, come ci è capitato e ci capita di leggere sui giornali . Troppa indipendenza per chi? E, soprattutto, dipendenza da chi?
E l’amore non è, e non può mai essere, un movente e quindi anche una giustificazione a meno che non si parli d'amore tossico \ malato ) per commettere un femminicidio. Dobbiamo imparare a riconoscere questo tipo di narrazione e soprattutto contrastarla perché veicola un concetto molto chiaro e pericoloso che ha attraversato l’intera storia delle donne: ovvero quello secondo cui le donne valgono meno, e se valgono meno è perché sono subordinate alla soggettività maschile. Se la violenza agisce, fino alla sua massima manifestazione che è la morte, è perché ci troviamo davanti a un processo di deumanizzazione, secondo cui disporre della vita delle donne significa di fatto negare loro il diritto di esistenza ma significa anche, cosa di cui ci dovremmo occupare urgentemente, pensare di avere il potere per farlo. E questo pensiero è sempre ricorrente nella volontà di un femminicida.
Esiste anche un’altra questione profondamente sbagliata e che ciclicamente si ripropone all’alba successiva di un nuovo femminicidio e consiste nella vittimizzazione secondaria della vittima. Non dovremmo mai cadere nell’errore di giudicare la capacità delle donne di riconoscere i segnali per tempo o la possibilità di denunciare o no, eppure è frequente leggere la domanda retorica: perché non ha denunciato prima?
Se le donne non denunciano o lo fanno solo tardi alcune ormai prossime alla morte ( vedere questa storia da noi riportata in cui una donna ha asettato ben 50 anni prima di denunciare il marito ) è perché sono immerse nella stessa identica cultura che impedisce all’intera società di riconoscere la misoginia e la violenza.
Ci troviamo davanti a un fenomeno incredibile di persone adultee purtroppo non solo basta vedere certi testi rap o Trap o di quelli che con estrema facilità, puntano il dito contro le donne che non denunciano a tragedia avvenuta ma, prima, non sono capaci di interessarsi e prendersi cura delle questioni che riguardano la nostra società. Lo abbiamo visto anche con il dibattito scomposto scaturito da una serie come Adolescence, la cui vicinanza temporale e tematica con questi ultimi fatti di femminicidio è sorprendente.
Perché Adolescence non è solo una storia di femminicidio a tutti gli effetti ma è anche una storia sulla fragilità di una intera generazione di uomini di cui dobbiamo farci carico.
A tal proposito, in questi giorni abbiamo letto che l’assassino di Sara Campanella, è un ragazzo molto giovane di 27 anni. Una precisazione: a 27 anni si dovrebbe avere già un bagaglio educativo importante che include la gestione della sfera emotiva: rabbia, dolore, rifiuto, fallimento, negazione. Imparare a gestire le emozioni negative è incluso o almeno dovrebbe essere in quella educazione sentimentale che oggi manca completamente, soprattutto nella crescita dei giovani maschi. È necessario iniziare da piccoli, dalla pre-adolescenza fino all’adolescenza. Ed è un lavoro che non può essere solitario o lasciuato all'improvvisazione di qualche coraggioso maestro\a , prof o educatore dal momento che dipende completamente dalla struttura culturale in cui siamo immersi. Se , come fanno notare quei pochi siti o media che ne parlano con spirito critico come il sito citato , continuiamo a mantenere una struttura sociale e culturale misogina e violenta che promuove una certa idea di maschilità, e una classe politica ( aggioranza ed oposizione ) che tutta chiacchere e distintivo ( cit ) che non riesce a fare una politica culturale seria se non solo aumentare le pene o strumentalizzare la cosa quando un femmnicidio avviene da stranieri o da nuovi italiani ( vedere il caso Sula ) , non solo condanniamo le donne a morte certa ma condanniamo anche i giovani uomini al soffocamento delle loro identità.
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