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19.2.25

In Italia c'è patriarcato o no ? il caso Il sistema dei rider va in tilt sulle donne i fatti avvenuti a Torino. Ricevevano ore e consegne fisse, poi i messaggi: “Non capisco perché non me la dai...”

 In  Italia    c'è  patriarcato  o no  ?  

 N.b   per    eventuali  analfabeti  funzionali    o   per chi  si basa  solo sul  titolo     .  leggete  l'articolo perchè  il  titolo soprattutto la  prima  parte   è provocatorio  sarcastico 


Nei  giorni scorsi  dopo  il mio   post  :  Non c'è Festival senza polemica e puntuale come ogni anno in cui non vince una donna ecco che il femminismo militante si riprende la scena ho ricevuto diverse  email  del tipo : <<     bravo finalmente  uno  di  sinistra     che  dice una  cosa   giusta   .,   non se  ne  può  più    sentirti  dire   dalle  nazifemministe   che  pratichi  il patriacarto  per  ogni cosa  critica  che dici sulle  donne    ., ecc  >> .
Oppure     si  confondono i termini  preferendo    usare sessismo e  maschilismo   e ritenendo il termine   patriarcato fazioso    è  ideologico      
Ora   tali termini       

  1. Patriarcato: Il patriarcato è un sistema sociale e politico in cui gli uomini detengono il potere primario e predominano nei ruoli di leadership politica, autorità morale, privilegio sociale e controllo della proprietà. Questo sistema implica una gerarchia di genere in cui gli uomini hanno un ruolo dominante sulle donne.

  2. Sessismo: Il sessismo è una discriminazione basata sul sesso o sul genere. Si manifesta attraverso atteggiamenti, pratiche e istituzioni che perpetuano l'ineguaglianza tra i sessi. Il sessismo può colpire sia uomini che donne, ma storicamente e culturalmente colpisce più frequentemente le donne, rafforzando stereotipi di genere e disuguaglianze.

  3. Maschilismo: Il maschilismo è un insieme di atteggiamenti e comportamenti che valorizzano la superiorità e l'autorità degli uomini sulle donne. Si manifesta attraverso una visione del mondo che esalta la virilità, la forza fisica e l'aggressività come caratteristiche maschili, spesso a discapito delle donne. Il maschilismo è strettamente legato al sessismo, ma si concentra più specificamente sulla promozione di ideali e comportamenti tradizionalmente maschili.

In sintesi, il patriarcato è un sistema di potere che favorisce gli uomini, il sessismo è la discriminazione basata sul genere, e il maschilismo promuove la superiorità maschile attraverso atteggiamenti e comportamenti. Questi concetti   \  termini   nonostante    le   differenze  semantiche  sono interconnessi e  contribuiscono alle disuguaglianze di genere nella società.
Quindi    si in Italia      anche   se     non più come  un tempo (fino a  gli  anni 80  quando fu abolito il    delitto  d'onore   )   dove    il patriarcato era   istituzionalizzato  c'è a  mio   avviso    ancora  . Infatti  esso è  come  un  i fenomeni carsici   che    sembrano  fermi ma   in realtà  continuano . Quindi   fin quando  da  una parte    si  sttovaluterà o s'esalterà  \  rimpiangerà e  dall'altra  a  sovravalutalo   \ vedere   dove   non c'è    ,  l'emergenza   :  sociale  , antropologica \  culturale   deiu femminicii  o vilenza di genere   persisterà   e si raffozerà i più    facendo  si che   fatti  come  questi   riportatoi sotto    aumentino .


 da il Fatto quotidiano del 18\2\2025  


Molestie alle “troie” Il sistema dei rider va in tilt sulle donne

I privilegi I fatti avvenuti a Torino. Ricevevano ore e consegne fisse, poi i messaggi: “Non capisco perché non me la dai...”

l confine tra la responsabilità del singolo e quella dell’azienda che crea condizioni di lavoro favorevoli a molestie e offese è molto labile nei casi come quello delle due rider donne di Torino che sono pronte a fare causa alla piattaforma di consegne Glovo, dopo anni incastrate in un meccanismo di avances, sfottò
e molestie verbali. Una modalità viziata dagli algoritmi, dai punteggi necessari per lavorare, dalle corse per non perdere i vantaggi da cui derivava il loro stipendio e anche dalla creazione di una sacca di lavoratori “privilegiati” tutti uomini che distribuivano a loro volta vantaggi ai membri di un gruppo denominato “Veteran”.I FAVORI E LE AVANCES MASCHERATE DA SCHERZI
Chi era nel gruppo – non ammesso nelle policy dell’azienda, ma comunque gestito da un dipendente dell’azienda stessa – godeva di trattamenti di favore: ore e consegne fissate indipendentemente dalle prestazioni e dalle dinamiche dell’algoritmo, una manna dal cielo soprattutto per Erika, madre di due figli, che poteva così garantirsi di lavorare di giorno. Peccato che, per non perdere questo vantaggio, riceveva messaggi e battutine a sfondo sessuale, con riferimenti precisi e fin troppo dettagliati, che evitiamo di riportare per rispetto della lavoratrice. “Guardo il calendario ma non capisco come tu non me l’abbia ancora data” è il più pulito. Parole a cui la donna rispondeva con delle faccine. “Non volevo rischiare di perdere quei vantaggi così importanti per permettermi di avere cura dei miei due figli e di lavorare” ci racconta. “Lo sai che scherzo – le diceva il responsabile che l’aveva inserita da subito nel gruppo di privilegiati – non posso negare che ci sia un fondo di verità, ma sono abbastanza intelligente da scherzarci su”.

UN SISTEMA LUDOPATICO: “SPIA” PER POTERNE USCIRE

“Guido la bici meccanica – ci racconta invece Amelia – lo faccio da decenni, ho iniziato a Londra dove questo lavoro era bellissimo. Speravo di trovare lo stesso in Italia e invece mi sono ritrovata schiava di un algoritmo e di un sistema di punteggi che fa impazzire e che ti rende schiavo quanto la ludopatia, nella speranza di vedere apparire la notifica che ti assegna una consegna per pochi euro”. Amelia entra così nel gruppo dei “Veteran” dopo Erika. “Io lavoravo già per Foodora – ci spiega – e stavo per fare causa all’azienda. Poi Foodora è stata acquisita da Glovo, con cui avevo iniziato a e ho lasciato stare la causa”. Da allora, come una sorta di “premio”, Amelia è stata fatta accedere al gruppo privilegiato e anche esplicitamente le venivano chieste informazioni sulla causa, sui sindacati, sulle piattaforme concorrenti (ma questo avveniva con tutti i veterani) e sulla loro stessa avvocata attuale, Giulia Druetta, che si occupa di diritto del lavoro e che da anni si batte per i rider. “È come se mi avessero chiesto di fare praticamente l’infiltrata”. Era il suo prezzo da pagare per poter uscire da quella folle dinamica che la teneva sveglia di notte a scrollare in cerca degli ordini liberi. Amelia, oggi, dopo anni trascorsi a pedalare a più non posso ha dovuto lasciare quella sella che pure le piaceva dopo una diagnosi di aritmia cardiaca. “Penso ai miei colleghi, mi deridevano perché avevo una bici meccanica invece che i loro scooter o le loro bici con la pedalata assistita: dovevo star loro dietro, avevano un vantaggio competitivo che io non avevo e dovevo pedalare sempre più forte”.

I CRITERI DISCRIMINATORI SU DONNE E STATO DI SALUTE

Un aspetto, quello della salute, che potrebbe trovare spazio ampio nella causa oltre al riconoscimento del lavoro subordinato a tutti gli effetti (le piattaforme ritengono quasi sempre che i loro rider non siano dipendenti a tutti gli effetti), e il fatto che gli algoritmi non abbiano criteri neutri, o meglio che applichino criteri che di fatto non tengono in consilavorare derazione le caratteristiche personali dei rider, dal genere ai carichi di cura alle condizioni fisiche. Al punto che, per garantire dignità di lavoro, nascono sacche di “privilegi” illeciti come il gruppo dei veterani torinesi. E gli stessi veterani, raccontano le due donne, devono tenere ritmi da lavoro dipendente con una media di tre ordini l’ora per almeno otto ore. Una organizzazione, insomma, nei fatti reiterata e strutturata. “Siamo stati nel gruppo per un paio d’anni”, raccontano. Agli altri rider, quelli non privilegiati e ignari, andavano gli ordini che avanzavano dai nostri, contesi sulla base di efficienza e punteggi. Anche in questo caso, le donne sono le più discriminate. Gli ordini maggiori arrivano infatti di sera, racconta Erika, e chi ha figli a carico spesso ha difficoltà ad accettarli. “I primi tempi – dice – quando ho iniziato per arrotondare in cioccolateria, portavo spesso con me i miei figli che si addormentavano in auto”. Ha vissuto anche situazioni pericolose: “Da uomini che mi chiedevano di entrare in casa loro anche insistentemente a consegne in situazioni difficili, al buio e in luoghi poco sicuri”. Da questo punto di vista, avere dei vantaggi le è sembrata una manna dal cielo.

TUTTI CONTRO TUTTI “PERCHÉ DENUNCI COME QUELLA TROIA?”

Questo complesso sistema, però, crea volente o nolente il contesto ideale per il proliferare di comportamenti sessisti e molesti. E nutre anche l’omertà di chi per anni, all’ombra di un’azienda che non è chiaro quanto fosse inconsapevole di questi privilegi, ha gestito a piacimento dei lavoratori nei fatti privi di diritti e tutele. Abbiamo scritto un messaggio nel pomeriggio di ieri a un portavoce di Glovo per l’italia, ma al momento in cui andiamo in stampa non abbiamo ancora ricevuto risposta. Certo è che i riferimenti del gruppo “Veteran” sono stati sostituiti con altri più giovani, che hanno azzerato questi privilegi.

Intanto, i messaggi indirizzati in queste ore a Erika sono un esempio del clima generale, come le offese ad Amelia. Dopo il primo articolo pubblicato sull’edizione locale di Repubblica, le due donne hanno ricevuto dai colleghi del gruppo improperi e richieste di spiegazioni sul perché non abbiano tenuto un comportamento omertoso nei confronti di chi non ha fatto altro che “aiutarle” per così tanto tempo. Proprio lei che è “una madre” avrebbe “dovuto capire”: è uno dei concetti dei messaggi. Avrebbe dovuto evitare di parlare delle avances per non mettere in difficoltà chi le ha fatte. Proprio lei, che non sarebbe come “quella troia” di Amelia.



28.1.25

violenza di genere e femminicidi spiegati nelle scuole d'infanzia . favola dello scoiattolo e la rondine di Sarah Cogni

 






























dal gruppo  fb  miti , leggende e racconti.

Benedetto Calandra 25 gennaio alle ore 20:53 


una spiegazione ben fatta su temi comlplessi grazie a #sarahcogni per quello che fa per i bambini che saranno gli uomini di domani .

Ecco la storia in questione

Un giorno, una rondine diretta verso i Paesi caldi, sentendosi molto stanca decise di fare una sosta e si posso sul ramo di un grosso albero. Alla finestrella del tronco si affacciò uno scoiattolo che, con gentilezza, la invitò a entrare nella sua tana, le offrì una tazza di te' caldo e un posto in cui riposare. La rondinella gli raccontò dei luoghi meravigliosi che visitava durante i suoi lunghi viaggi e Scoiattolo in poco tempo si affeziono' moltissimo alla rondine che lo faceva sentire bene. Quando venne il giorno della partenza della rondine, Scoiattolo non voleva che lo lasciasse solo, così la legò con una corda al suo ramo. "Resteremo sempre insieme" le disse. La rondinella provo' a chiedergli gentilmente di lasciarla andare, a spiegare che lei non avrebbe potuto resistere al gelido inverno, che i suoi amici e la sua famiglia si sarebbero preoccupati non vedendola arrivare ma nulla, lo scoiattolo era irremovibile. Passò qualche giorno, la rondinella piangeva e iniziava ad avere freddo. Scoiattolo la rassicurava dicendole che lui le sarebbe stato vicino, le avrebbe dato un posto caldo e del cibo e lei sarebbe stata con lui per tutto il letargo. Per sempre. Ma la rondinella era triste, non parlava e non aveva più la forza per provare a spezzare quella corda che la legava al tronco... Finché un giorno la vecchia Tartaruga passo' sotto l'albero di Scoiattolo. "Ma cosa ci fa una rondinella ancora qui, a fine autunno e legata per giunta?" Scoiattolo spiegò la storia e Tartaruga lo rimproverò: "Tu credi di poter obbligare qualcuno a stare vicino a te quando non vuole farlo? Credi che sia giusto obbligare un essere vivente a starti vicino se vuole andare via?" "Ma io le voglio bene!" si giustifico' Scoiattolo. "Non è voler bene a qualcuno legarlo contro la sua volontà. Voler bene è avere a cuore la felicità di chi hai vicino e lasciarlo libero ". Scoiattolo ci penso' su e capi' che Tartaruga aveva ragione. "Scusa" disse a Rondinella, "ho pensato a me stesso, sono stato egoista e cattivo". Così dicendo sciolse la corda. "Grazie Scoiattolo" disse Rondinella che ritrovò le forze e la gioia. "Tornerò a primavera e passeremo altro tempo insieme". Scoiattolo e Tartaruga rimasero a fissare il cielo finché Rondinella scomparve. "Tornerà?"domandò Scoiattolo. "Tornerà ", rispose Tartaruga "E ricorda, la tua felicità non può causare dolore o infelicità a un altro essere vivente. Rispettare gli altri è l'unico modo per avere amici ed essere amato". Lentamente Tartaruga se ne andò. Scoiattolo ripenso' alle parole della vecchia amica, guardò ancora una volta il cielo e, col cuor sereno, andò nella sua tana. L'ora del letargo era vicina.


(Piccola storia contro la violenza sulle donne spiegata ai bambini della Scuola dell'infanzia, scritta dalla maestra Sarah Cogni)


7.9.24

quando è femminicidio e quando violenza di genere . risposta al post<< Rebecca, medaglia crocifissa >> di Daniela Tuscano per Dols

L'ottimo articolo : << Rebecca, medaglia crocifissa >> dell'utente Daniela Tuscano per   Dols magazione \ dols.it mi ha portato a chiedermi quando è femminicidio e quando è violenza di genere ? Non avevo tempo , sono impegnatofra lavoro e come classe di nascita per il comitato per una delle due feste cittadine di settembre dell'anno prossimo ho cerca con copilot ( la IA di Bing.it ) La differenza tra femminicidio e violenza di genere . Ecco la risposta 

è importante da comprendere:
Femminicidio: Si riferisce all’uccisione intenzionale di una donna a causa del suo genere. Esso è la forma più estrema di violenza di genere e spesso avviene in contesti di relazioni affettive, sessuali o familiari. Le motivazioni dietro il femminicidio includono dinamiche di dominio e possesso, dove l’omicida non tollera l’autonomia o l’indipendenza della vittima.
In sintesi, mentre il femminicidio non è un reato autonomo, le leggi italiane riconoscono la gravità della violenza di genere e prevedono misure specifiche per affrontarla.


Ora  su Sharon   Verdeni   io   ci vedo  di  più    ( ovviamentre  senza  sminuire    e  giustificare perchè     sempre  crimine  abbietto   e  turpe    si tratta   )   come  violenza  di genere  .
Ma  soprattutto   (  ovviamente  senza giustificazione  e sminuirlo ) il delitto  è   come evidenziato   da  quello fin qui  emerso   ,  dovuto  al  disagio   psichico  del carnefice  . Infatti   secondo quanto  riporta  l'ultimo  n  del settimanale  Giallo  



<< [.... ] da quello che sta emergendo dalle indagini è il profilo di un uomo che potrebbe aver già fa!o del male ad altre persone e che poteva uccidere ancora. È molto più di una suggestione: le parole della sorella sono una drammatica conferma a questa ipotesi. E allora cominciamo proprio dalla sorella Awa, studentessa di Ingegneria gestionale. La ragazza, in lacrime, ha rivelato come lei e la mamma Kadiatou Diallo, 53 anni, avesero fatto di tutto per fermare Moussa. Avevano presentato tre denunce ai carabinieri, inutilmente. In un verbale datato novembre 2023 si legge: «lo e mia madre ci siamo interessate al !ne di condurlo in una stru"ura di recupero, che ha sempre ri!utato. I controlli ci sono stati, ma solo per una questione di agibilità della casa, dopo l’incendio che c’è stato a luglio di un anno fa. Per mio fratello, invece, nessuno si è mosso. Abbiamo fatto di tutto per liberarlo dalla dipendenza, per a$darlo a chi potesse aiutarlo, ma lui ha sempre ri!utato. A noi, dopo aver verbalizzato le denunce, hanno dato i volantini dei centri antiviolenza. Per un eventuale ricovero di mio fratello, invece, ci hanno risposto che doveva essere lui a presentarsi in modo volontario». La ragazza è distru"a. Così come la sua mamma, già provata nel fisico da un ictus.
AVEVA DATO IN ESCANDESCENZE
Le denunce delle due donne risalgono a luglio e novembre del 2023 e a maggio del 2024. La prima dopo l’incendio appiccato in casa. La seconda per un episodio di violenza domestica: Moussa aveva dato in escandescenze rompendo un televisore, ribaltando la scrivania della sorella e mettendo a soqquadro la casa. Era stato chiamato il 118, ma lui si era barricato in camera e la cosa era !nita lì. Nel verbale dell’ultima denuncia, in!ne, spunta il coltello. Awa è tornata indietro con la memoria per ricordare questo terribile episodio: «Mi ha raggiunta alle spalle mentre stavo ascoltando la musica in sala e mi ha minacciato con la lama. Io non mi ero accorta di niente, ma mia mamma, che dopo l’ictus non riesce più a parlare, cercava di farmi capire che ero in pericolo. Allora io mi sono girata e Moussa si è fermato. Se ne è andato, ridendo». L’avvocato Stefano Comi, che assiste le due donne, ha aggiunto: «Moussa andava fermato, era fuori controllo. Picchiava e minacciava. Il sindaco e gli assistenti sociali lo sapevano, almeno un accertamento sanitario andava fa"o». Una vicina, allarmata dall’indole violenta di Moussa, era andata dal sindaco e in un’altra occasione aveva chiamato le forze dell’ordine. Ma niente di concreto era stato fa"o. Moussa non era nemmeno in cura. Com’è possibile che i servizi sociali non siano intervenuti ? >>

quindi   chiedo  a  lei  come  a  tutte le  femministe  di Dols   perchè  per  voi  è tutto   femminicidio   e patriacarto  anche quando  non  lo è ?

  

28.7.24

per allungare il brodo la stampa pubblica un coloquio fra turetta e il padre in cui il padre sminuisce le responsabilità del figlio

IL settimanale  giallo e   il corriere  dela sera  pubblicano  le dichiarazioni del padre di filippo turretta La conversazione, intercettata dagli investigatori e all'interno del fascicolo processuale. Lo so  che    nei post recedenti  m0ero promesso di non riportare  più nessuna news  sulla  vicenda    in quanto   non s'aggiuge  niente   di nuovo  che  non si  sapia  già   . Ma    riporto quest'ultima  novità  , rischgiando di  di predicare bene  ma   razzolare male . Ma  non lo  faccio   per youverismo mediatico   in quanto non aggiunge niente se non che la cultura patriarcale e misogena anticamera dei femminicidi \ violenza di genere è diura a morire talmente è radicata  , ma per dovere di cronaca .

Turetta,il padre:"Momento di debolezza"
"Hai fatto qualcosa, però non sei un  mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza. Non sei un terrorista.Devi farti  forza.Non sei l'unico. Ci sono stati  parecchi altri. Però ti devi laureare". 


ma è ancora più grave l'ipocrisia e l'indignazione censoria delle autorità . Infatti oltre a criticare i giornali ed invitarli al rispetto delle parti coinvolte perchè in questo caso la vicenda è un dramma per le due famiglie si dovrebbe fare autocritica , non rendere pubblicabili imponendo il segreto istruttorio o
processurale o se non attinenti alle indagini distruggerle , Ma soprattutto sorvegliare meglio : avocati , cancellieri , segretari delle procure e dei tribuali che passano con o senza € ai giornalisti o loro amici l carte evitrando o riducendo fughe di notizie . E' notizia di ieri che il il segretario dell'Unione Camere Penali, Rinaldo Romanelli, ha commentato

"Grave diffusione parole padre Turetta.La pubblicazione delle intercettazionidei genitori di Turetta è un fatto grave. Non aggiunge nulla alle indagini né alla cronaca,si tratta solo di voyeurismo fuori luogo che rischia peraltro dimettere a repentaglio la stessa incoluumità di due persone che, non solo non hanno commesso alcun reato, ma si trovano a vivere un'atroce sofferenza".

la pubblicazione delle intercettazioni tra il padre e Filippo Turetta durante un colloquio in carcere. Scusate ma come ci si può stupire di quello che ha detto il padre di Turetta? Ciò che ha fatto il figlio è il risultato di quel tipo di genititorialitá in cui si mette il figlio al centro del mondo come essere perfetto e speciale, non gli si insegna ad accettare e metabolizzare un NO e un rifiuto, si trova sempre una scusante a determinati atteggiamenti senza responsabilizzare e se qualcosa non va, non è mai colpa del figlio ma degli altri che sono brutti e cattivi.

24.6.24

DIARIO DI BORDO n 57 ANNO II La prepotenza normalizzata alla base dei femminicidi non solo patriarcato e Perché ci interessa l’opinione del carnefice?



per la rubrica diario settimanale proviamo ad analizzare con due articoli le radici culturali \ antropologiche dellla violenza di genere \ femmnicidio .
Il  primo    è   un articolo   Viviana Daloiso su il quotidiano www.avvenire.it   di quasi  un anno  fa  ma    sempre  valido ,   opposto  certamente   alla  miia  formazione  culturale  ,  ma    con molti  punti  in comune ecco  la risposta  a chi  ancora mi  chiede   del nome  dei  due  blog    compagnidiviaggio e    compagnidistrada   )  in quanto   le radici    \  origini  del  fenomeno femminicidio  non è  solo  (è  vero  , ma   è tropo riduttivo per definire  un  fenomeno cosi  radicato  e  variegato  )  patriarcato  .  Il secondo     della newsletters    Heavy Meta di Lorenzo Fantonik    ed  analizza  e  qui  mi ricollego agli  articoli  sull'orribile   morte   ennessima  vittima  del  caporalato ,    Satnam Singh  condivisi  sia   sul mio  fb   sia questo   : <<   Fragole  ( e non solo )  rosso sangue, l’Italia è fondata sull’ipocrisia da  https://www.thesocialpost.it/  >>   sul blog e  questi miei  ultimi due   post sul  femminicidio     : <<   a  che  punto  è la  morbosità  sui  femminicidi . basta  parlare  di filippo  turretta  e  giulia  cecchetin  .   lasciamo in pace la  famiglia   e  Cagliari ennesima donna morta di prepotenza maschile e domestica) 
>> per rimanere in tema femminicidio


                              La prepotenza normalizzata  

  Il bimbo – ha 8 anni appena compiuti, è di buona famiglia – torna dai tappeti elastici sulla spiaggia della Romagna felice di aver giocato coi grandi di 10 o 11. Ripete di aver imparato che bitch[*] vuol dire donna in inglese e si arrabbia quando la mamma scuote la testa, «sono stupidate. Non dirla mai più». Ma la parola resta, gira nelle canzoni, torna nei discorsi davanti al cellulare, nelle chat, nei nomignoli delle prime piccole compagnie, bro e bitch, “fratello” per i maschietti e “prostituta” per le femminucce. Dove comincia, e come si forma, l’idea che gli uomini hanno delle donne oggi ? 
Lo sappiamo? Ce lo siamo davvero mai chiesti, in anni di femminicidi, e di stupri, violenze, abusi? Dei danni gravissimi che la disparità di genere – diminuita certo, ma mai annullata – stava compiendo nel nostro Paese, esperti e associazioni e operatori impegnati sul campo a curarne le ferite (per lo più donne, ovviamente) parlano da anni. Inascoltati. Più spesso, trattati come pasdaran, talebani del femminismo, esagitati accecati dall’ideologia anti-patriarcale. Vengono in mente certe accuse di esagerazione e certi dibattiti surreali innescati dalle “palpate” andate in onda persino in diretta tv, per poi essere sminuite nei tribunali: « Non c’è niente di male, suvvia». Perché tra la palpata e lo stupro, s’è sentito dire, c’è differenza. La cruda verità invece è che quel che accaduto a Palermo quest’estate non è un fatto nuovo, non dovrebbe sconvolgerci. Così come non dovrebbe sconvolgerci che in queste ore, sui social, dove è scattata l’indegna caccia al video delle sevizie subite da una ragazzina di 19 anni da parte di un branco di coetanei, compaiano i messaggi insopportabili degli stessi autori di quella violenza: «Quando tutta Italia ti incolpa per un fatto privato, ma nessuno sa che sei stato trascinato dai tuoi amici» (faccina che ride di contorno).
Roba mia, lo stupro. Roba mia, una donna. E «non ho fatto nulla di male», «sono stati i miei amici a dirmi che lei ci stava». I miei fratelli, appunto, e là fuori le prostitute, o le donne, che è lo stesso. Oggetti inanimati da manipolare e usare, palpare, abusare, calpestare. Quando non vanno bene o si ribellano, da minacciare, picchiare, uccidere. Anche questo, è lo stesso.
Se il dato drammatico con cui dobbiamo fare i conti è la “normalizzazione” della violenza sulle donne – questa concezione maschile generalizzata e ancora diffusa tra le nuove generazioni che le riduce a cose e come cose le usa e getta – si deve tornare alla domanda iniziale: sappiamo quando Angelo, Gabriele, Cristian, Elio (sono i nomi di alcuni fra questi stupratori, valgono per tutti gli altri, da Primavalle in giù) hanno iniziato a pensare che una ragazza, una donna, se la fai bere, te la puoi portare nel pertugio d’un cantiere e seviziarla in ogni modo, per ore, senza pensare di far nulla di male? Sappiamo come è cresciuta in loro quest’idea? Cosa l’ha nutrita? La sensazione è che no, non lo sappiamo. Perché per troppo tempo non ce lo siamo domandati. Abbiamo lasciato correre, sull’educazione alla parità di genere, pensando che sia un fatto di statistiche se le donne non ricoprono incarichi di potere, se sono escluse da certi percorsi di studio o di lavoro, se si fanno carico quasi del tutto degli oneri familiari e di quelli di cura parentale, se sono pagate sistematicamente meno dei loro colleghi uomini. Abbiamo chiuso un occhio sulle pubblicità, e l’immagine del sesso femminile veicolata dai media e dalla tv, per non essere tacciati di moralismo negli anni della rivoluzione dei costumi. Ci siamo ripetuti che non c’è niente di male, se nei testi della musica trap che i nostri figli divorano si parla di droga, di stupri, di violenze, perché sono solo canzoni, e in fondo anche noi le ascoltavamo quando avevamo la loro età.
Da cosa è nata cosa. In seno alla disparità nel corso degli anni è cresciuto prima il senso di superiorità, poi il disprezzo, infine la violenza e l’odio, col senso di impunità. Le statistiche sono diventate carne, figlie e madri e sorelle stuprate, picchiate, uccise. Volti e vite spente per sempre, come quella di questa ragazza di Palermo, che con la vergogna di una violenza indicibile dovrà convivere per sempre. Ora – giustamente – invochiamo in ogni dove percorsi di formazione nelle scuole per invertire la tendenza e rimettere nei nostri figli la luce del rispetto delle donne, come se ad ogni angolo di strada ci fossero educatori e docenti pronti con la bacchetta magica a scambiare due ore di geografia con due di educazione alla parità dei diritti. E come se due ore, o quattro, bastassero.Nell’Italia in cui cresceranno, però, quella parità, pur con tanti progressi, non è ancora raggiunta. Il cambiamento culturale che faticosamente cerchiamo e che è pur cominciato deve essere costruito prima (prima che nelle scuole e prima degli stupri e dei femminicidi) e altrove. Non deve essere più, mai più – da adesso, a ogni livello, in ogni casa, ufficio, tribunale, circolo, palestra – normale che una donna valga di meno. Se provassimo, ciascuno per la sua parte e per il suo ruolo nella società, a ricominciare da qui?




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Ogni atto violento o gesto aberrante porta con sé la voglia di far parlare chi lo ha commesso, a volte è informazione, a volte è solo intrattenimento.

In queste ore è stato pubblicato il Digital News Report di Reuters, uno strumento importante per capire come cambia il mondo dell’informazione in tutto il mondo, perché fornisce dati sulle tendenze globali e indicazioni su quelle nazionali. E se in tutto il mondo è evidente lo spostamento dell’informazione verso piattaforme sempre più disintermediate dove la possibilità di mostrare ciò che non viene visto in televisione o sui giornali convive con la paura delle fake news e delle IA che intorbidiscono le acque, in Italia si nota un crollo abbastanza netto dell’importanza del medium televisivo. La TV era la principale fonte d’informazione per l’85% del campione nel 2017 mentre oggi lo è per il 65%, con la maggior parte dei più giovani che oggi preferiscono informarsi su YouTube, TikTok e addirittura social chiusi come i gruppi di Whatsapp e Telegram.E interessante anche notare che la TV ha una raccolta pubblicitaria che è il 29% del totale, mentre il 58% spetta alla pubblicità online, e che di questa cifra l’85% finisce in tasca a Google e Meta e solo il resto va a gli editori. Quindi si spende tanto in pubblicità online, ma quei soldi poi non alimentano il sistema dell’informazione, ma solo chi col tempo ci ha costretto al ricatto della SEO e degli algoritmi.Che poi è il principale motivo per cui nel passaggio dal giornalismo tradizionale a quello online il settore è colato a picco e oggi è praticamente impossibile campare con la professione: il sistema economico che prima garantiva sussistenza è oggi completamente in mano alle piattaforme.Ed è anche lo stesso motivo per cui magari chi vuole fare informazione a qualsiasi livello, che si parli di attualità, giornalismo tech, notizie di cinema o analisi di moto, forse preferisce farlo cercando di diventare un content creator in quella nicchia (con tutti i pro e contro del caso nei rapporti con le aziende), scartando fin da subito l’idea di provare a entrare in una redazione.Se le percentuali di riuscita sono altrettanto basse, forse meglio provare a diventare Breaking Italy e non l’ennesimo tizio che può essere sostituito o fare la fine della redazione di Hollywood Reporter Roma, che è al terzo sciopero.Ah e se pensate che gli abbonamenti siano la soluzione… beh non è detto. Forse, se il progetto è piccolo e può contare su uno zoccolo duro di appassionati, forse.

Le passioni del caporale

La morte di Satnam Singh nell’Agro Pontino è il classico caso che scoperchia temporaneamente una situazione che la maggior parte delle persone che non vivono la realtà locale ignora, fa finta di ignorare o ritiene accettabile. Moltissime sono le analisi che in queste ore ci mostrano quella è che a tutti gli effetti una realtà di schiavismo, sfruttamento, totale mancanza di rispetto per la vita umana, razzismo e il risultato del capitalismo a ribasso di cui, ci piaccia o meno, siamo in qualche modo complici.A me interessa invece capire alcune scelte fatte nel raccontare questa storia, che sono scelte che hanno molto in comune con un altro momento in cui c’è spesso disparità di trattamento tra vittima e carnefice, una disparità che è culturale ma anche narrativa. Anche perché il problema delle vittime è che non parlano più, debbono farlo gli altri. E spesso a farlo è chi le ha uccise.La ricostruzione della morte di Singh mi ha ricordato il consueto teatrino dei femminicidi, in cui una delle prime cose che si fanno è cercare di ricostruire le ragioni dell’assassino, il contesto in cui si è mosso il gesto violento, che è quasi sempre trattato con eccezionalità e non come il frutto di una realtà sistemica, reiterata, protetta, nascosta e giustificata.Una “leggerezza” come l’ha definita il padre del padrone dell’azienda in una intervista ormai diventata parte del terribile quadro in cui si muove il processo mentale di prendere un tizio col braccio mozzato, togliere i telefoni a chiunque fosse presente, scaricarlo a casa, lasciare il braccio vicino a un cassonetto e scappare.E in tutto questo mi cade l’occhio su un articolo di Repubblica Roma che titola “Le due passioni di Antonello Lovato, il proprietario della ditta per cui lavorava il bracciante morto” Ma sul serio?Abbiamo nome e cognome del padrone della ditta e poi “il bracciante morto”?Mi secca ripetermi ma per l’ennesima volta questo è perfetto caso di framing, ovvero di come la notizia viene incorniciata, con nomi e cognomi da una parte e generici braccianti morti dall’altra. Morto, come se l’omissione di soccorso fosse un dettaglio.

Framing, come ti incornicio la notizia

L’articolo adesso non si trova più, o meglio, se ne trovano i resti, ma poi dev’essere stato modificato con una impostazione più generica per dare un profilo del personaggio. Quello su cui mi interessava riflettere era il perché si arrivi sempre a questo punto: lo storytelling dei carnefici o presunti tali, la profilazione che si fa narrazione, il dettaglio delle loro passioni, dei loro interessi, delle loro vite apparentemente comuni e poi magari del fatto che hanno pianto in tribunale, che si disperano, che mangiano.Da una parte potrebbe anche essere utile e necessario per mostrarci che l’abiezione spesso non ha il volto del cattivo del cinema, non c’è un tizio che ride sguaiatamente vestito come il joker, ma uomini normali, banali, semplici, ritenuti magari amici tranquilli e padri amorevoli, ma capaci di applicare logiche schiaviste o accoltellare l’ex moglie. Purtroppo, però questo scatto non arriva mai. C’è sempre il raptus di follia, il momento eccezionale, quandi invece è tutto molo banale.Sicuramente c’è l’antico gusto di sbattere il mostro in prima pagine, il nostro bisogno di vedere in faccia questa gente e sperare che non sia come noi, per assolverci, confortarci o per cercare i motivi eccezionali di una tragedia. Un po’ di gogna pubblica ci sta, ci piace e nel giornalismo contemporaneo abbiamo gli strumenti seo che ci indicano quanto il colpevole sia cercato su Google. Il che rendo un articolo su suo profilo un gesto economicamente sensato.In fondo è giornalismo no? Se qualcuno vuole saperlo io glielo devo dire (peccato che non sia vero e che in alcuni casi le identità delle persone indagate vadano protette, ma qua pare fantascienza).Ma perché il taglio dev’essere quello in cui mi racconti “le sue passioni”? Io non lo so, vi giuro, non lo capisco, non capisco mai se dietro queste scelte c’è un tentativo di normalizzare il tutto, se il nostro disprezzo per minoranze e diversi sia tale per cui ci interessa solo la persona coinvolta che più ci somiglia o cosa, se è leggerezza, calcolo, fretta.

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