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14.8.24

All'isola Elba una strada per Olimpia Mibelli Ferrini, la lavandaia che nel '44 si offrì ai soldatiper salvare le altre donne dalle marocchinate

Molti   appena  leggeranno  la  storia         di Olimpia Mibelli Ferrini,  da me  sotto riportata     mi chiederano  ma  perchè parli   male  degli alleati  ci hanno  liberato .  Sono cose  che succedono  è  la  guerra  ,  non devi generalizzare  , ecc   Riporto quanto riportato  mi pare  sul   settimale  7  del corriere  della sera    , quanto dichiarato     dall'ex  sindaco Frantini 

«Perché vuoi rivangare queste storie?»

Certo, non tutti si comportarono da predatori: « La mia famiglia, sfollata nelle campagne fuori Portoferraio, nascose le figlie adolescenti in fondo alle cantine – racconta l’ex sindaco Fratini – e a fare da scudo, davanti alla porta, si misero uomini anziani e mia madre con me infante in braccio. Arrivò un gruppo di soldati, uno di loro mi fece una carezza e dette a mia madre del cioccolato. Vide la diffidenza di mia madre e per rassicurarla ne mangiò lui un pezzetto».
Comunque, lo choc della popolazione elbana fu enorme. Lasciando nelle donne, oltre al trauma, un senso di vergogna che si è sedimentato negli anni. «Quando ho iniziato le mie ricerche sulla storia di Olimpia e sono andata a parlare con gli anziani e le anziane che avevano visto, e qualcuna anche subito, le violenze ho incontrato subito una sorta di fastidio - racconta oggi Paola Cereda - “Perché vuoi rivangare queste storie”? Mi sono sentita dire. Ma poi, invece, è successo un piccolo miracolo: quelle stesse anziane hanno iniziato a raccontare, hanno tirato fuori storie e dolori che non avevano mai rivelato prima neppure alle loro figlie. Ed è stato come fare pace con una sofferenza mai elaborata davvero, e non doversene più vergognare».

Ma soprattutto perchè ho una visione della storia a 360 gradi . Ma soprattutto perchè , scusate la citazione classica Timeo Danaos et dona ferentes ("temo i Danai anche quando recano doni") da Eneide (Libro II, 49) di Publio Virgilio Marone. .... per ulteriori notizie ed aneddoti sematici \ antropologici su d'essa : << Timeo Danaos et dona ferentes ( Wikipedia )
Ma ora bado alle ciance e veniamo alla storia in questione con Tanto rispetto per questa donna le cui gesta , ma sopratutto le vicende che fanno da contorno sono state fatte passare in sordina cosi come il parlarne poco se non sui siti specializzati o negazionisti o peggio usate in maniera strumentale ed ieologica sia per salvaguardare la narrazione ufficiale degli "alleati" buoni e liberatori da accogliere a braccia aperte, sia come barbari che hanno imbastardito l'italia.  Comunque   la  si  veda   un grazie al sindaco per questa iniziativa ! storia. Interessantissima e da valorizzare  per  raccontare  un periodo  storico  cosi  complesso  a  360 gradi  .

                                             dal   corrierefiorentino.corriere.it  14\8\2024

All'Elba una strada per Olimpia Mibelli Ferrini, la lavandaia che si offrì ai soldati per salvare le altre donne
                             Elisa Messina



Il 17 giugno del 44 lo sbarco delle truppe coloniali francesi. Olimpia Mibelli Ferrini si offrì ai soldati per salvare dallo stupro delle ragazzine: un orrore dimenticato per 80 anni
Portoferraio, Isola d'Elba. C'è un nome di donna di cui in questa calda estate 2024 si è tornato a parlare, è quello di Olimpia Mibelli Ferrini, donna del popolo, lavandaia da giovane, ambulante da adulta. Tra non molto, burocrazia permettendo, quel nome lo vedremo inciso sulla targa di una via del centro storico, tra strade, scalinate e vicoli intitolate a parenti di Napoleone Bonaparte, santi e duchi rinascimentali.
Olimpia è una donna la cui storia di incredibile eroismo in 80 anni è stata travisata e deformata. Ma si
potrebbe dire anche rimossa e sepolta. Perché si porta dietro una pagina di fattacci risalenti al 1944 che una parte degli elbani ha voluto sotterrare.
L'eroismo di Olimpia
Che fece Olimpia? Si offrì, più precisamente offrì il suo corpo, a una banda di soldati delle colonie francesi appena sbarcati che stavano per stuprare alcune ragazzine, giovinette si sarebbe detto un tempo. I soldati mollarono le ragazzine e presero lei. E ne fecero quello che avviene negli stupri di guerra: una brutale violenza di gruppo.
Anche Olimpia era giovinetta: aveva solo 21 anni, ma si manteneva già con il suo duro lavoro e aveva uno stile di vita molto più libero di quanto consentiva la morale del tempo: di giorno sgobbava con i panni da lavare, di sera usciva vestita di tutto punto con gli abiti che si cuciva da sola. Come si legge nella prima (e unica) biografia ufficiale curata da Raimonda Lobina per il sito Enciclopedia delle donne, Olimpia era generosa, solare - «sorrideva sempre» dice chi la ricorda - e si faceva in quattro per aiutare chi aveva bisogno. E soprattutto faceva l'amore con chi le pareva e le piaceva.
Oggi la considereremmo semplicemente una donna libera, allora era una «ragazza chiacchierata» e, per le comari del paesino, una-poco-di-buono. Forse è per questo che, dopo quel maledetto '44, nella storie passate di bocca in bocca e poi finite anche sui rotocalchi, Olimpia viene definita «prostituta», una delle ragazze del bordello. Non lo era. Anche se lo fosse stata, il valore del suo gesto sarebbe lo stesso.
La vicenda di Olimpia è stata definita «eroismo senza celebrazioni e senza medaglie» sulle pagine del Corriere Elbano, nel 1985, pochi giorni dopo la sua morte.


Il riconoscimento
Ci voleva l'80esimo anniversario dello sbarco, quel maledetto sbarco alleato del 17 giugno 1944, un articolo uscito sulle pagine di Sette-Corriere della Sera e un sindaco appena eletto per riaprire questa pagina, smuovere acque rimaste ferme troppo a lungo e dire finalmente quello che andava detto: Olimpia Mibelli va celebrata. Magari proprio dedicandole la via dove ha vissuto.
Il sindaco di Portoferraio Tiziano Nocentini, durante un evento culturale a San Piero in Campo, dedicato proprio a Olimpia e ai fattacci del '44, si è impegnato a farlo davvero e sul caso è intervenuta anche l’associazione Toponomastica femminile con una richiesta formale alla giunta.
Lo sbarco dei francesi



Ma, tornando ai fattacci del '44, chi erano i soldati predatori e come è potuta avvenire questa rimozione collettiva?
Il 17 giugno 1944 i francesi guidarono uno sbarco di truppe coloniali africane sulle coste dell’Elba: l’unico (e inutile) sbarco francese in Italia. Inutile perché strategicamente non serviva a nulla, se non a far morire centinaia di soldati sulla spiaggia minata di Marina di Campo: gli alleati avevano già preso Roma ed erano nel sud della Toscana, i tedeschi ancora presenti sull’Isola se ne sarebbero andati di lì a poco.
Ma il comando francese doveva dimostrare agli alleati di saper condurre un’operazione in vista dello sbarco nel sud della Francia e poi aveva evidenti mire di conquista sull’Elba, il gioiellino di Napoleone, così vicino alla Corsica.
Le truppe scelte per lo sbarco erano carne da cannone, migliaia di ragazzi reclutati e addestrati in fretta nelle colonie africane francesi a cui furono fatte promesse poi mai mantenute: la cittadinanza francese e una dignitosa pensione. Ma soprattutto questi soldati erano stati stati istruiti a vedere in ogni persona che avrebbero incontrato un «fascist» o un «allemand», un tedesco. Senza distinzione tra civili e militari.
48 ore di orrori e violenze
A chi sarebbe sopravvissuto allo sbarco fu promesso un «diritto di preda» un lasciapassare per ruberie e disordini che in molti presero alla lettera.
Non si spiegano diversamente le 48 ore di orrore e violenze a cui soldati si lasciano andare mentre sottufficiali e ufficiali si giravano dall’altra parte. Con l’adrenalina e un mix di pasticche e alcol in corpo, i «fucilieri senegalesi» entravano nelle case dei contadini, sfondavano porte, rovistavano, picchiavano con il calcio del fucile, sparavano e chiedevano vino, cibo e donne. Soprattutto donne. I documenti ufficiali del tempo parlano di 200 casi di stupri accertati. Ma non servono i documenti, perché non c’è famiglia di Marina di Campo, di Procchio o di Portoferraio che non abbia memoria di una violenza subita.
Le violenze dell’Elba nel '44 fanno parte delle tante, tantissime violenze commesse da soldati delle truppe alleate durante la campagna d’Italia. Gli stupri in Ciociaria, resi celebri dal romanzo La Ciociara e poi dal film omonimo, furono migliaia.
Un dramma taciuto per 80 anni
Ma se gli stupri dell’Italia Centrale restarono sotto traccia in nome della regola «non si parla delle malefatte dei liberatori» fino al disvelamento operato dal film di De Sica, quelli dell’Elba sono rimasti nell'ombra.
Non si è voluto dimenticare solo Olimpia, ma anche le altre 200 donne sopravvissute alle violenze. O meglio, si è finito con il dimenticare Olimpia perché si è voluto rimuovere tutte le violenze.
Ci sono pubblicazioni di storia locale che spiegano i dettagli dell’Operazione Brassard (questo il nome tecnico dello sbarco), ci sono analisi, ricostruzioni. Ma alla voce "stupri" si resta sul vago: è un «argomento delicato». Mai finora lo si è affrontato dalla giusta prospettiva, ovvero ricordarli mettendosi dalla parte di chi li ha subiti. C’è riuscito solo un romanzo storico, uscito nel 2022, La figlia del Ferro, di Paola Cereda, ispirato alla storia di Olimpia e frutto di tre anni di studi e raccolta di testimonianze tra le anziane dell’Isola.
«All’Elba non c’è stata liberazione, ma sbarco», è un modo di dire diffuso da queste parti per rimarcare che non c'è niente da celebrare. Che sono orrori di cui «non si può parlare». Ma il risentimento – legittimo – ha portato alla rimozione anziché al rispetto della memoria. Il moralismo ha prevalso sui diritti. E poco è stato fatto fino ad oggi per restituire dignità alle sopravvissute.
Ma del resto lo stupro è reato contro la persona e non più contro la morale solo dal 1996 e lo stupro di guerra è considerato un crimine contro l’umanità solo dal 2002.



I figli dello sbarco
Nessuna sopravvissuta del '44 è ancora in vita. Ma «i figli dello sbarco» sì. Gravidanze indesiderate, fidanzate ripudiate, aborti clandestini finiti in tragedia, figli nati e dati in adozione lontano. Queste violenze hanno lasciato uno strascico pesante di vita, dolore e morte. E qui Olimpia Mibelli fu eroina due volte, perché come lei anche sua sorella Andreina fu violentata. Restò incinta, decise di crescere il suo bimbo nero da sola.
Lo chiamò Luciano perché era la sua luce.
Furono le sorelle Olimpia e Andreina a sfidare i pregiudizi anche dentro la loro famiglia e a decidere che sì, si poteva amare un figlio non desiderato e crescerlo anche da sole, contro tutti. Oggi, la figlia di Luciano, Sara Fabiani, è diventata la testimone sull’Isola di questa sorellanza speciale.
«Ho appreso da adulta la vera storia della mia prozia e di mia nonna, sempre per quella coltre di pudore che sovrasta i fatti del 44, però fin da piccola ho percepito nella mia famiglia un collante d’amore particolare. Perché alla fine, è l’amore che ha vinto su tutto» dice Sara che oggi porta avanti la battaglia perché Olimpia Mibelli abbia il riconoscimento che merita e perché la sua storia sia di insegnamento per le generazioni a venire.
Una via a lei dedicata, certo, sarebbe un bel passo avanti. Ma un centro antiviolenza con il nome della prozia Olimpia, si augura Sara, sarebbe forse la testimonianza più concreta che quella “giovinetta” nata in un giorno di tempesta da genitori analfabeti non è vissuta invano

13.3.21

I nostri governanti maestri di ignoranza

leggendo i  giornali    con   https://www.medialibrary.it/home/index.aspx con  ho   letto  su    Libero  ogni  tanto    è  utile   --- anche    se   si conosce  già  ---    leggere  quello  che dicono  i  giornali (  anzi  gli pseudo  giornali ) ,  i  due   articoli che    trovate  sotto  . 

Il  primo   

Ora   Crepet    non ha  tutti   i  torti   perchè Dad  o  non Dad   se uno\a  non fa  un  ....  nemmeno   il minimo      dev'essere  bocciato  . Ma la    ver a  ignoranza   è dovuta  alla  nostra  classe politica      cioè a quelli   che dovrebbero  curare  l'istruzione    della  popolazione  .  

Infatti    a  confermare  ciò  è i secondo  articolo  

Ora   premetto   che  detesto non  la  persona in se  ,  in quanto è  un caso umano  ,  ma  la  sua ideologia  ed modo  fazioso   che questo  giornalista  (   per  essere buoni   ed non infierire  troppo )   ha   di  esporre    i  fatti   e di     e vedere      solo la  pagliuzza   del suo avversario  ed  non la trave   che    esso  ( ed  il  suo padrone   \  referente  politico   ha )  per  ulteriori dettagli vedere  la sua    biografia  qui  su  wikipedia     .
Ma   non riesco a  biasimarlo completamente  in quanto anche la  merda    ed  i  qualunquismo    contiene      un po'  di verità 

 

I nostri governanti maestri di ignoranza

L’attuale classe dirigente è composta da incompetenti che sproloquiano su tutto. La zucca vuota, ma di successo, è il modello proposto alla gioventù

L’umanità ha riconosciuto dai primordi di avere un nemico: l’ignoranza. Ha sempre cercato di emanciparsi da essa per non consentire alla natura e ai prepotenti di sottomettere la brava gente. È sempre stato così. Fino all’arrivo di Di Maio e dei grillini al Potere. Dopo di che l’ignoranza è diventata un titolo di merito, una conquista agognata sul divano, la prova di una purezza adamantina. (...)

Personalmente ho sempre ritenuta diabolica la pretesa della scienza di impadronirsi del mistero dell’essere. Diabolica e persino ridicola. Non c’era bisogno del Covid e delle baruffe gallinacee tra virologi per scoprirlo. Gli scienziati sono in corsa per darci l’immortalità, ma non sono ancora riusciti a curare la calvizie e il raffreddore. Ma non è un buon motivo per l’instaurazione della dittatura dell’ignoranza, come forma di governo vigente in Italia. Non bisogna confonderla con la confessione di Socrate: «So di non sapere», perché quella era lealtà dinanzi all’infinità dei mondi. Esprimeva la consapevolezza del limite e subito la voglia di andare oltre l’orizzonte, aprendosi all’avventura mai appagata di «virtute e canoscenza», per la quale nacque Ulisse e noi con lui.

Qui siamo invece alla prevalenza del “buon selvaggio” e alla affermazione della superiorità morale e intellettuale del vuoto mentale conclamato come passaporto per essere classe dirigente. Guai a rovinare con lo studio la foresta vergine e riccioluta come le chiome di Toninelli e della Taverna. I social ma anche i talk show sono dominati dalla filosofia dell’uno vale uno. L’opinione sulle origini del virus dell’analfabeta, ma deputato, dunque portavoce del popolo, vale più del giudizio del professor Giuseppe Remuzzi, in odore di Nobel della medicina. Uno uguale uno vuol dire dittatura dell’ignoranza. Il primo teorico della faccenda fu Jean Jacques Rousseau che, inconsapevole di poter essere due secoli dopo trasformato in piattaforma da Casaleggio, era un filosofo e persino un educatore, anche se siamo certi si sarebbe sparato se avesse intuito che cosa avrebbero fatto dell’Italia le sue idee in mano a Grillo. Sosteneva che la “volontà generale” esprimesse la verità. Essa è stata tradotta come volontà della Rete. Risultato: la tabula rasa. Non è additata quale modello la competenza esito della fatica e premiata per questo; è la zucca vuota ma di successo ad essere proposta come esempio alla nostra gioventù.

IL CERTIFICATO DI BATTESIMO

Come ha scritto Antonio D’Anna su Italia Oggi l’unico titolo di studio che non è biasimato è il certificato di battesimo, anche perché nessuno ti può incolpare di aver sgobbato e passato notti insonni per ottenerlo. Siamo portati - e la mia modesta prosa lo dimostra - a scherzarci su. Ma è una tragedia della civiltà. E questo stato di cose è insieme esito e causa dello stato di crisi se non di coma delle agenzie educative. La famiglia, la scuola, la Chiesa, lo Stato, l’esercito sono stati, e dovrebbero tuttora essere, le forme con cui gli individui associandosi consegnano l’eredità di valori e conoscenze alla generazione successiva. I giovani per salire sulle spalle di chi li ha preceduti devono arrampicarsi, giocando la loro libertà: per sviluppare o negare la proposta dei padri e delle madri, dei maestri e dei preti. Si annega tutti nel mar nero dell’uno vale uno, cioè zero, che è il nome della cultura prevalente: il nichilismo. Che non è colpa dei ragazzi ignoranti, ma degli adulti che non hanno saputo accendere la fiaccola affascinante di una bellezza e di una conoscenza da attingere come acqua nel deserto. È uscito un libro illuminante: Sotto il segno dell’ignoranza ( Ed. Egea, pagg. 184, € 22) di Paolo Iacci, che non è un filosofo teoretico ma uno che sta in trincea, grande esperto in gestione delle risorse umane. La prima riga del volume è lapidaria: «In Italia vige la dittatura dell’ignoranza». Quel che segue è una fotografia tremenda. «Questa è la nuova questione morale del Paese. La classe dirigente ha da tempo abdicato a favore di una orda di incompetenti che stanno occupando i posti di potere e che si approfittano della volontà di cambiamento diffusa nel Paese per occupare indegnamente i principali posti di responsabilità».

Dopo di che è arrivato Mario Draghi, che è tutto meno che incompetente e negazionista dei congiuntivi. Esaudendo l’invocazione disperata di Berlusconi a Mattarella e al buon Dio si sarebbe cambiato paradigma. Speranza assai tenue. Il catrame della divina ignoranza ha inzuppato i gangli vitali della società e i meccanismi di selezione della classe politica. La dittatura dell’analfabetismo intellettuale e morale allunga ancora i suoi tentacoli abbrancando poltrone e leve di comando. Tant’è che Draghi e Mattarella hanno “dovuto” stendere il tappeto del governo perché sia calpestato dagli zoccoli di alcuni campioni dell’asineria. Non verrà dai vertici la riparazione del modello (dis)educativo regnante. Si deve ripartire dal basso, dalle famiglie, dalla scuola, dagli oratori. Dal popolo insomma. Campa cavallo.



  concludo    con    gli   ultimi  versi  


Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali \che possa contemplare il cielo e i fiori\che non si parli più di dittature \se avremo ancora un po' da vivere... \ La primavera intanto tarda ad arrivare.
  di     questa  canzone  




  alla  prossima

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