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10.6.21

Maria Grazia Carta, sopravvivendo al dolore che conosce solo una madre alla quale muore un figlio in un OMICIDIO STRADALE , è riuscita a rendere questa terribile esperienza sorgente di nuova vita. educando i bambini delle scuole all'educazione stradale

N.b
Per  chi leggesse   di questa  storia    può  o  andare  in archivio   visto    che ne   abbiamo  parlato  precedentemente  ma se   non avete  voglia  o tempo  trovate il racconto (  e non solo )   qui sotto in questo video   



oppure         qui     dalla  nuova Sardegna del  10\6\2021


N.b 2
le  foto   salvo la  1  centrale  presa dall'articolo sotto  citato   , aono prese dalla pagina  fb  di Maria Grazia 


Ora la madre Maria Grazia Carta, sopravvivendo al dolore che conosce solo un  familiare   alla quale muore un figlio, è riuscita a rendere questa terribile esperienza sorgente di nuova vita. Ed ha  incanalato il suo dolore  non nell'odio e nella vendetta (  e sta ancora lottando  visto che attende  la sentenza  , ormai  vicina    della cassazione  ,  vedere   secondo articolo sotto  )  ma in programmi  di prevenzione   nellle  scuole  .Infatti dopo la morte del figlio ha deciso di portare la sua esperienza nelle scuole. Parla ai ragazzi Maria Grazia, ai loro genitori, agli insegnanti e alle istituzioni che lei stessa giudica 
locandina  della  sua iniziativa  

giustamente   assenti.
E proprio nelle scuole, ai bambini e ai ragazzi che chiama “semi”, la signora Carta parla di sicurezza stradale, di rispetto della legge, di amore per la vita; lo fa per ricordare Davide e per evitare che ci siano altre famiglie colpite da tragedie come la sua .
 << [...]Sono sarda e come tale tenace e sin dall’inizio, dal momento in cui ho saputo che mio figlio è stato ammazzato, ho giurato che avrei fatto prima la battaglia giudiziaria e poi ho voluto fare qualcosa di buono per il futuro, per le giovani vite ma anche per chi è sordo e non vuole ascoltare.
Sto portando un messaggio all’interno delle scuole perché serva a scuotere le coscienze di tutte quelle istituzioni che non si fanno carico di quella che è la sicurezza stradale.
Oggi più che mai si muore sulle strade tra l’incuria istituzionale, ma io ho fatto un giuramento a Davide  perché quello che gli è successo non capitasse più.La vita è bella, è una sola e rivolgo un appello: non ammazzatevi e non ammazzate: salite in macchina consapevoli che anche un solo bicchiere di birra o di vino vi può togliere la lucidità >> ( da https://www.castedduonline.it/automobilista-educazione-stradale/ 


«Davide travolto da un ubriaco
ora insegno le regole ai bimbi»

di Silvia Sanna

SASSARI
In fila tra i percorsi tracciati nel cortile, attenti a rispettare la segnaletica e le distanze con le loro macchinine di cartone. Poi alla domanda "cosa si indossa appena si entra in auto?" rispondono in coro "il cervello", perché è la testa l'elemento più importante, ancora più della cintura di sicurezza. Hanno dai 3 ai 13 anni, sono gli scolari di un istituto comprensivo di Roma, quartiere Tor Bella Monaca:





 tutti gli alunni, dall'infanzia alla secondaria di primo grado, conoscono l'insegnante Maria Grazia Carta, maestra quest'anno della prima elementare. Nuorese di 59 anni, da 26 vive a Roma: è la mamma di Davide Marasco, investito e ucciso due anni fa - il 27 maggio del 2019 - da un automobilista ubriaco mentre in sella al suo scooter, di notte, andava a lavorare nel panificio. Da quando Davide non c'è più la mamma Maria Grazia non si è fermata nel portare avanti la sua duplice battaglia: ottenere giustizia per la morte del figlio

ed evitare altre croci come la sua. «Educare i bambini e gli adolescenti è fondamentale: imparano presto le regole e le insegnano ai genitori, agli adulti che usano l'auto ogni giorno - spiega Maria Grazia - e troppo spesso si dimenticano che al volante bisogna essere lucidi: niente distrazioni, come il telefono cellulare, e niente alcol. Se la persona che ha travolto Davide avesse usato la testa, mio figlio sarebbe ancora qui con noi, con la sua famiglia, con il suo bambino». E proprio ai bambini, "i semi" come li chiama Maria Grazia Carta, si rivolge la campagna di educazione stradale che tante scuole, sull'esempio di quella in cui lei insegna, vogliono inserire nel Ptof, il Piano triennale dell'offerta formativa. «Io ci sono, l'ho promesso il giorno in cui è morto mio figlio: voglio impegnarmi perché altre madri non debbano piangere come me».Lezione speciale. Il progetto si chiama "Una scuola sulla buona strada" e punta a diffondere «la cultura del rispetto e della legalità tra i bambini e i ragazzi - spiega Maria Grazia Carta - per veicolare il messaggio anche gli adulti. I piccoli sono gli automobilisti di domani e devono crescere con la consapevolezza che un'auto può trasformarsi in un'arma potenzialmente pericolosissima per se stessi e per gli altri. Abbiamo insegnato ai bambini che non ci si può mettere al volante dopo avere bevuto alcolici o assunto droghe, e che è vietato telefonare o mandare messaggi. Loro hanno capito e lo ricorderanno a qualche genitore distratto». L'iniziativa ideata da Maria
Grazia, presidente dell'associazione sportiva e culturale Davide Marasco, è stata accolta con entusiasmo dalla scuola in cui lei insegna, l'Istituto comprensivo Via Acquaroni, e tutti gli alunni hanno partecipato con elaborati e prove pratiche «sulla base delle diverse fasce d'età». Il 27 maggio, giorno del secondo anniversario dell'incidente in cui Davide perse la vita, i piccolini hanno letto i temi e i pensieri dedicati a lui e a tutte le vittime della strada, hanno piantato alberi, illustrato le regole imparate alla perfezione. «Sono stati bravissimi, alunni, colleghi e dirigenti hanno dimostrato da subito una sensibilità straordinaria. Avere loro accanto mi ha aiutato ad affrontare il momento più doloroso della mia vita, in cui mi sono sentita abbandonata dalle istituzioni. Invece la scuola è presente e dimostra ancora una volta di essere capace di grandi cose, arrivando a sensibilizzare su temi cruciali come la sicurezza stradale sui quali lo Stato invece è assente. Non c'è infatti alcuna campagna di educazione, non si fa abbastanza per fare capire che chi guida deve essere lucido, perché bere anche un solo bicchiere di birra può rivelarsi fatale».I testimonial. Accanto a Maria Grazia, in alcune iniziative nelle scuole, c'è Omar Bortolacelli: è anche lui una vittima della strada, sopravvissuto a un incidente che gli ha lasciato una infermità gravissima. Operatore del 118, aveva 27 anni quando l'ambulanza su cui viaggiava si schiantò: un colpo di sonno del collega alla guida e l'esistenza di Omar cambiò per sempre. «Gli avevano dato poche ore di vita - dice Maria Grazia - invece è sopravvissuto. Ha perso l'uso delle gambe ma nonostante questo non si è mai arreso: è diventato un campione di motociclismo, fa immersione subacque ed equitazione. E continua ad aiutare gli altri, come operatore del
118, sempre con il sorriso. Dice che lo sport lo ha salvato e per i ragazzi è un ottimo esempio di coraggio e determinazione. Sono fiera che mi accompagni in questo viaggio, perché so che Davide ne sarebbe felice».Il futuro. Maria Grazia Carta ha lasciato la Sardegna molti anni fa «ma l'isola resta casa mia, sono sarda e tenace come tutte le donne sarde. Non ci pieghiamo mai e andiamo avanti a testa alta, come diceva Grazia Deledda. Nuoro è la mia città, il luogo del cuore. Lì ho le amicizie più care e i ricordi più belli. Anche Davide, che era nato a Sassari, amava tanto Nuoro: era tifoso della Nuorese, la squadra gli ha dedicato gol e striscioni bellissimi. Saremmo tornati insieme d'estate. Invece ci andrò da sola o con gli altri miei figli. E mi piacerebbe ricordare Davide anche lì, portare la testimonianza di una madre che ha perso un figlio per colpa del comportamento insensato di un'altra persona: solo così riesco a dare un senso alla mia vita e ad aiutare altri a salvare la propria».

15.3.15

Il caso di David, ucciso da un immigrato. L’appello del padre contro il razzismo . << giustizia non vendetta >>



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"La nostra vicenda non venga strumentalizzata", chiede Diego Raggi. "Non voglio che David diventi il simbolo della lotta all'immigrato. Lui non lo avrebbe mai permesso"




12:04
Chiede giustizia per la morte di David, ma allo stesso tempo non vuole che la sua morte non diventi un simbolo dell'odio razzista. Diego Raggi, fratello del 27enne ucciso da un immigrato ubriaco a Terni, già espulso dall'Italia nel 2007, non cerca la vendetta. "Voglio che la morte di mio fratello serva a qualcosa. Voglio che la mia famiglia sia l'ultima a soffrire per una cosa del genere", dice.Intervistato dal quotidiano "La Repubblica", Diego aggiunge: "Dovevano impedire che l'assassino di David tornasse in Italia. Quell'uomo non avrebbe dovuto stare qui. Già era stato cacciato, perché gli hanno permesso di rientrare? Non avrebbe dovuto essere in piazza due giorni fa per uccidere mio fratello".
"Non voglio però che la vicenda venga strumentalizzata. Non voglio che David diventi il simbolo della lotta all'immigrato. Lui non lo avrebbe mai permesso, non accetterebbe che la sua morte servisse a far partire una campagna di odio contro gli stranieri".
Dello stesso avviso di Diego è il padre Valter Raggi, 59 anni, ex operaio delle acciaierie. In un'intervista al quotidiano "Corriere della Sera" afferma: "Aggiungere violenza ad altra violenza ora sarebbe completamente inutile e sbagliato. Mio figlio stesso, David, non lo vorrebbe. Adesso sono preoccupato per il mio amico Mohamed, l'ambulante all'angolo, e per tutti gli altri marocchini a Terni: sono appena venuti da me in delegazione col loro rappresentante a farmi le condoglianze. Sono spaventati, temono vendette, ma io li ho già invitati tutti al funerale di David".
Nonostante il dolore per la perdita, il genitore di David prova a smorzare le polemiche di questi giorni: "So che la rabbia sta montando su Facebook, girano parole di fuoco, io dico invece che adesso non dobbiamo chiuderci nell'odio, ma piuttosto tornare fuori e imparare a stare bene insieme agli altri. Noi non vogliamo vendetta, ma giustizia".


Infatti


Il caso di David, ucciso da un immigrato. L’appello del padre contro il razzismo
L’omicidio di Terni e le polemiche politiche. I parenti: vogliamo giustizia, non vendetta La vittima studiava biotecnologie e faceva il volontario al 118: ha capito subito che sarebbe morto

                              di Fabrizio Caccia


TERNI - Per ritrovare un po’ d’umanità, dopo quanto è successo giovedì notte, bisogna salire questa rampa di scale, in via Irma Bandiera 24, Villaggio Matteotti, primo piano, suonare alla porta di Valter Raggi, 59 anni, il padre di David, e fermarsi semplicemente ad ascoltare le sue parole, mentre in casa la tv è accesa e già risuonano fortissime le polemiche politiche intorno alla tragedia assurda di suo figlio: «Il morto di Terni è figlio di Mare Nostrum - annuncia il leader della Lega, Matteo Salvini -. Noi raccoglieremo le firme dei cittadini per una class action contro Renzi e Alfano, li denunceremo per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina...».
Amine Assaoul
Amine Assaoul
«Mio figlio non vorrebbe altra violenza»
Valter Raggi scuote la testa e spegne il televisore. Parla col figlio Diego, il suo primogenito, l’unico figlio che gli è rimasto: «Aggiungere violenza ad altra violenza ora sarebbe completamente inutile e sbagliato. Mio figlio stesso, David, non lo vorrebbe - dice il signor Raggi, ex operaio delle acciaierie oggi in pensione, uomo religiosissimo -. Adesso sono preoccupato per il mio amico Mohamed, l’ambulante all’angolo, e per tutti gli altri marocchini di Terni: sono appena venuti da me in delegazione col loro rappresentante (Abderrahim Maarouf, ndr ) a farmi le condoglianze, sono spaventati, temono vendette, ma io li ho già invitati tutti al funerale di David (fissato per martedì in Duomo alle ore 15, ndr ). So che la rabbia sta montando su Facebook, girano parole di fuoco, io dico invece che adesso non dobbiamo chiuderci nell’odio, ma piuttosto tornare fuori e imparare a stare bene insieme agli altri. Noi non vogliamo vendetta, ma giustizia».
Al posto sbagliato nel momento sbagliato
David Raggi avrebbe compiuto 27 anni il 4 luglio. Giovedì sera, mentre si godeva con i suoi amici il primo annuncio di primavera, in piazzetta dell’Olmo, il destino gli ha teso l’agguato più feroce, per mano di Amine Assaoul, 29 anni, giovane marocchino ubriaco e probabilmente anche drogato, che dopo una furiosa colluttazione con due poliziotti fuori servizio ha avuto uno scatto verso di lui («Tu che cosa hai da guardare?») e con un collo di bottiglia gli ha reciso la carotide, fuori dal pub «People». Amine Assaoul era sbarcato a ottobre scorso a Lampedusa, dopo che era stato già espulso a maggio dall’Italia per i suoi tanti reati tra Fermo - dove aveva picchiato e rapinato un sacerdote - e Terni, dove vive ancora sua madre, Fatiha, che lavora come badante. Ma Assaoul non era un clandestino. Quando l’hanno arrestato, aveva in tasca un permesso temporaneo di soggiorno: era in attesa, infatti, della decisione finale dello Stato italiano sul ricorso da lui presentato contro il rigetto della domanda per ottenere lo status di «rifugiato politico».
Comportamenti violenti
Smaltita la sbornia, sabato l’uomo ha subito nominato il suo avvocato di fiducia, Giorgio Panebianco, che lo è andato a trovare in carcere. Nelle ultime settimane aveva già seminato il terrore nella discoteca «Stardust» e nella pizzeria «Lo Strabacco» e aveva cacciato di casa («Un giorno di questi t’ammazzo») pure il secondo marito di sua madre, Omar. David Raggi, invece, studiava Biotecnologie farmaceutiche e faceva l’infermiere volontario sulle ambulanze del 118. Giovedì sera ha capito lui stesso che non c’era scampo e così è morto tra le braccia dei suoi amici, raccomandandosi solo di portare un saluto ai genitori e a suo fratello («Dite loro che gli voglio bene»).
Il fratello: «Non siamo razzisti»
Anche Diego lavora per la grande acciaieria, ma in passato ha fatto pure il buttafuori e il pugile: «Io non sono mai stato troppo bravo a porgere l’altra guancia - confessa -. E infatti ora dico che chi ha ucciso mio fratello non dovrà più uscire dal carcere. Perché se esce, allora sì che m’arrabbio. Noi non siamo razzisti, l’assassino poteva essere italiano, olandese, americano. L’importante è che ci sia giustizia».
Anche la mamma di Diego e David, la signora Bruna, si dà da fare come volontaria, all’Actil, una cooperativa che aiuta disabili fisici e psichici. È una famiglia così, la loro. Una famiglia che ha ancora dei valori. Ai funerali, martedì, metteranno una cassetta per le offerte fuori dalla chiesa. Il ricavato andrà in beneficenza.
come badante. Ma Assaoul non era un clandestino. Quando l’hanno arrestato, aveva in tasca un permesso temporaneo di soggiorno: era in attesa, infatti, della decisione finale dello Stato italiano sul ricorso da lui presentato contro il rigetto della domanda per ottenere lo status di «rifugiato politico».

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Fu uccisa, uomo condannato ma per lo Stato è ancora viva. L'assurdo caso del giallo di Guerrina

è vero ed comprensibile che se un corpodi una persona , uccisa inquesto caso , non viene trovato , bisogna aspettare un tot di tempo per sb...