Immaginate di correre per quasi 12 ore, spingendo il vostro corpo oltre ogni limite, e di tagliare il traguardo per primi in una gara massacrante come le 100 miglia degli Stati Uniti, una corsa di 166 chilometri disputata a Henderson, Nevada, il 14 febbraio 2025.
È quello che ha fatto
Rajpaul Pannu, ( foto sotto al centro ) ultracorridore californiano sponsorizzato da Hoka, fermando il cronometro a
11 ore, 52 minuti e 46 secondi. Ma la sua vittoria è
durata meno di un giorno: Pannu è stato infatti squalificato per aver indossato scarpe non conformi al regolamento, le
Hoka Skyward X, dando il via a una controversia che ha diviso il mondo del running.
Pannu, 33 anni, insegnante di matematica a Denver e non professionista a tempo pieno, ha dominato la gara organizzata da Aravaipa Running e dalla USATF (la federazione statunitense di atletica leggera), finendo con oltre un’ora e mezza di vantaggio sul secondo classificato, Cody Poskin. Il suo tempo non solo ha rappresentato il record personale, ma lo ha collocato come la seconda miglior prestazione statunitense di sempre sulla distanza delle 100 miglia, a poco più di 33 minuti dal primato di Zach Bitter (11:19:13).
Tuttavia, il giorno successivo, un’email della USATF lo ha informato della squalifica: le sue Hoka Skyward X, con un’altezza della suola di 48 millimetri al tallone e 43 millimetri nell’avampiede, superavano il limite massimo fissato a 40 millimetri imposto da World Athletics nel 2020 per le gare su strada.
La vittoria è stata così assegnata a Poskin, che ha chiuso in 13:26:03, mentre il risultato di Pannu è stato “declassato” nella categoria “open race”, privandolo del titolo nazionale e del premio di 1.200 dollari. Gli organizzatori hanno giustificato la decisione su Instagram: “Riconosciamo la prestazione incredibile di Rajpaul, ma come Campionato Nazionale siamo tenuti a rispettare le regole per garantire equità a tutti i partecipanti.”
Pannu non ha cercato scuse, ma ha voluto spiegare l’accaduto. Sul suo profilo Instagram, ha dichiarato: “Non avevo intenzione di infrangere le regole. Pensavo che le Skyward X fossero scarpe da allenamento, troppo pesanti per essere considerate ‘superscarpe’ da gara.” L’atleta aveva testato le scarpe solo il giorno prima della corsa, durante una breve run di 1,5 miglia documentata su Strava, dopo aver sviluppato vesciche e intorpidimento alle dita usando le sue abituali Hoka Rocket X2 (conformi al regolamento) in un allenamento di 50 km a fine gennaio. “Ho scelto il comfort rispetto alla velocità,” ha detto a Runner’s World, notando anche un recupero fisico più rapido post-gara grazie all’ammortizzazione extra.
Curiosamente, nessuno sul posto – né i giudici né i concorrenti – ha sollevato obiezioni durante la gara. La protesta è arrivata da uno spettatore che seguiva la diretta streaming, un dettaglio che ha alimentato il dibattito sulla crescente influenza della tecnologia e del pubblico virtuale nel controllo delle competizioni. Secondo Pannu, l’unico riferimento alle sue scarpe durante la corsa è stato quando un ufficiale USATF ha chiesto al suo team se fossero in commercio (un altro requisito delle regole), ricevendo risposta affermativa.
Le Hoka Skyward X, descritte da GearJunkie come “scarpe da allenamento con un’imponente suola da 48 millimetri che cattura l’attenzione degli amanti delle calzature ammortizzate,” non sono progettate per la pura velocità come le “super shoes” da gara. Pesano 320 grammi contro i 236 delle Rocket X2, e Hoka le promuove come ideali per “chilometri facili” e comfort quotidiano. Pannu ha sostenuto che non offrano un vantaggio prestazionale significativo, ma che l’ammortizzazione extra abbia ridotto la fatica percepita, un aspetto cruciale in una gara di endurance.
Le norme di World Athletics, introdotte per bilanciare tecnologia e talento, hanno però un limite chiaro: 40 millimetri. E le Skyward X, con i loro 8 millimetri di troppo al tallone, sono finite nel mirino. Esperti come Theo Kahler di Runner’s World sottolineano che anche piccole differenze nell’altezza della suola possono influire sull’assorbimento degli impatti e sulla propulsione, offrendo un vantaggio teorico su distanze così lunghe.
La squalifica ha suscitato ovviamente reazioni contrastanti. Alcuni, come riportato da Canadian Running Magazine, apprezzano la rigidità delle regole per garantire parità; altri, tra i fan sui social, la considerano eccessiva per un errore non intenzionale. Pannu, che si allena da solo senza un allenatore, ha scelto di non fare appello, pur avendone avuto l’opportunità. “Non seguo da vicino gli sviluppi tecnologici delle scarpe,” ha ammesso, suggerendo che un controllo pre-gara, come avviene nelle migliori maratone o nelle competizioni universitarie, potrebbe evitare simili situazioni.
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Ansa
Da 50 anni è in trattamento emodialitico sostitutivo, nel Centro dialisi dell'ospedale di Prato.L'uomo, oggi 66 anni, pensionato, originario di Firenze e residente a Prato, "ha iniziato questo difficile percorso terapeutico, perché affetto da una malattia renale che lo ha condotto alla terapia sostitutiva dialitica in pochi anni", spiega la Asl Toscana centro rendendo noto il suo caso.
Un esempio di tenacia e un modello di assistenza di cui siamo orgogliosi. 50 anni di emodialisi: un traguardo straordinario di cura e determinazione", afferma Gesualdo Campolo, direttore della struttura di nefrologia e dialisi dell'ospedale pratese: il paziente ha dimostrato "una forza straordinaria e una grande

capacità di adattamento".
In questi giorni i sanitari e 'gli Amici della Dialisi' hanno festeggiato il "notevole traguardo" raggiunto dal 66enne con grande affetto e con una targa con la frase, voluta dal paziente stesso: 'La vita è stata dura con me...ma Io lo sono stato di più con Lei'.
"Il paziente - spiega Campolo -, dopo due tentativi di trapianto renale, non andati a buon fine diversi anni fa, ha scelto di continuare a sottoporsi alla dialisi, affrontando con determinazione tre sedute settimanali per quattro ore ciascuna.
Un percorso che evidenzia non solo la sua eccezionale resilienza, ma anche l'elevato livello di assistenza e cura multidisciplinare garantito dal nostro team di nefrologi, infermieri, operatori sanitari e altri professionisti". Un risultato, evidenzia poi la Asl, che "sottolinea l'importanza di un approccio globale alla cura del paziente cronico, con risposte efficaci ai bisogni di salute, sia renali che extra-renali".
Il Centro di dialisi di Prato gestisce circa 180 pazienti sottoposti a trattamento emodialitico sostitutivo, con due turni giornalieri (mattino e pomeriggio) dal lunedì al sabato.
A tutt'oggi venti pazienti sono sottoposti a trattamento dialitico peritoneale domiciliare, seguiti da un team medico-infermieristico dedicato.
In fase di attivazione poi un progetto di 'dialisi peritoneale assistita': prevede l'impiego a domicilio di personale infermieristico per la gestione/trattamento di questi pazienti a casa.
Il progetto è già esecutivo e partirà tra qualche settimana, con l'addestramento alla dialisi peritoneale degli infermieri di famiglia presso il Centro dialisi pratese.Un'attività dialitica domiciliare, si spiega ancora, che "permetterà un incremento del numero di pazienti che si sottoporranno a tale terapia sostitutiva, rafforzando ancor più la nostra mission della 'domiciliarità delle cure'.
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Corriere Adriatico