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28.2.25

diario di bordo n 106 anno III - Vince una gara di 166 km… e viene squalificato per le scarpe ! ., Cronaca Naviga In dialisi da 50 anni, il caso a Prato L'ospedale: 'Esempio di tenacia e modello di assistenza., Lea uccisa a 10 anni da un Suv guidato da un ubriaco, i suoi organi salvano 5 bambini. Il guidatore indagato per omicidio stradale

  tra  una  pausa   e  l'altra      fra   le  attivitù  del  comitato   classe76   per  la  festa     cittadina  i  sant  isidoro che   si  tiene  a  settembre    e  la  sei  giorni  di carnevale (  foto a  destra   la  locandina del nostro  evento   per  questo  carnevale )   ecco  a  voi     questo numero   de diario  di  bordo. Le stotrie     sono tratte  dal il  portale msn.it  

Atletica Live

Vince una gara di 166 km… e viene squalificato per le scarpe!

Immaginate di correre per quasi 12 ore, spingendo il vostro corpo oltre ogni limite, e di tagliare il traguardo per primi in una gara massacrante come le 100 miglia degli Stati Uniti, una corsa di 166 chilometri disputata a Henderson, Nevada, il 14 febbraio 2025.
È quello che ha fatto Rajpaul Pannu, (  foto  sotto al  centro  )  ultracorridore californiano sponsorizzato da Hoka, fermando il cronometro a 11 ore, 52 minuti e 46 secondi. Ma la sua vittoria è

durata meno di un giorno: Pannu è stato infatti squalificato per aver indossato scarpe non conformi al regolamento, le Hoka Skyward X, dando il via a una controversia che ha diviso il mondo del running.
Pannu, 33 anni, insegnante di matematica a Denver e non professionista a tempo pieno, ha dominato la gara organizzata da Aravaipa Running e dalla USATF (la federazione statunitense di atletica leggera), finendo con oltre un’ora e mezza di vantaggio sul secondo classificato, Cody Poskin. Il suo tempo non solo ha rappresentato il record personale, ma lo ha collocato come la seconda miglior prestazione statunitense di sempre sulla distanza delle 100 miglia, a poco più di 33 minuti dal primato di Zach Bitter (11:19:13).
Tuttavia, il giorno successivo, un’email della USATF lo ha informato della squalifica: le sue Hoka Skyward X, con un’altezza della suola di 48 millimetri al tallone e 43 millimetri nell’avampiede, superavano il limite massimo fissato a 40 millimetri imposto da World Athletics nel 2020 per le gare su strada.
La vittoria è stata così assegnata a Poskin, che ha chiuso in 13:26:03, mentre il risultato di Pannu è stato “declassato” nella categoria “open race”, privandolo del titolo nazionale e del premio di 1.200 dollari. Gli organizzatori hanno giustificato la decisione su Instagram: “Riconosciamo la prestazione incredibile di Rajpaul, ma come Campionato Nazionale siamo tenuti a rispettare le regole per garantire equità a tutti i partecipanti.”
Pannu non ha cercato scuse, ma ha voluto spiegare l’accaduto. Sul suo profilo Instagram, ha dichiarato: “Non avevo intenzione di infrangere le regole. Pensavo che le Skyward X fossero scarpe da allenamento, troppo pesanti per essere considerate ‘superscarpe’ da gara.” L’atleta aveva testato le scarpe solo il giorno prima della corsa, durante una breve run di 1,5 miglia documentata su Strava, dopo aver sviluppato vesciche e intorpidimento alle dita usando le sue abituali Hoka Rocket X2 (conformi al regolamento) in un allenamento di 50 km a fine gennaio. “Ho scelto il comfort rispetto alla velocità,” ha detto a Runner’s World, notando anche un recupero fisico più rapido post-gara grazie all’ammortizzazione extra.
Curiosamente, nessuno sul posto – né i giudici né i concorrenti – ha sollevato obiezioni durante la gara. La protesta è arrivata da uno spettatore che seguiva la diretta streaming, un dettaglio che ha alimentato il dibattito sulla crescente influenza della tecnologia e del pubblico virtuale nel controllo delle competizioni. Secondo Pannu, l’unico riferimento alle sue scarpe durante la corsa è stato quando un ufficiale USATF ha chiesto al suo team se fossero in commercio (un altro requisito delle regole), ricevendo risposta affermativa.
Le Hoka Skyward X, descritte da GearJunkie come “scarpe da allenamento con un’imponente suola da 48 millimetri che cattura l’attenzione degli amanti delle calzature ammortizzate,” non sono progettate per la pura velocità come le “super shoes” da gara. Pesano 320 grammi contro i 236 delle Rocket X2, e Hoka le promuove come ideali per “chilometri facili” e comfort quotidiano. Pannu ha sostenuto che non offrano un vantaggio prestazionale significativo, ma che l’ammortizzazione extra abbia ridotto la fatica percepita, un aspetto cruciale in una gara di endurance.
Le norme di World Athletics, introdotte per bilanciare tecnologia e talento, hanno però un limite chiaro: 40 millimetri. E le Skyward X, con i loro 8 millimetri di troppo al tallone, sono finite nel mirino. Esperti come Theo Kahler di Runner’s World sottolineano che anche piccole differenze nell’altezza della suola possono influire sull’assorbimento degli impatti e sulla propulsione, offrendo un vantaggio teorico su distanze così lunghe.
La squalifica ha suscitato ovviamente reazioni contrastanti. Alcuni, come riportato da Canadian Running Magazine, apprezzano la rigidità delle regole per garantire parità; altri, tra i fan sui social, la considerano eccessiva per un errore non intenzionale. Pannu, che si allena da solo senza un allenatore, ha scelto di non fare appello, pur avendone avuto l’opportunità. “Non seguo da vicino gli sviluppi tecnologici delle scarpe,” ha ammesso, suggerendo che un controllo pre-gara, come avviene nelle migliori maratone o nelle competizioni universitarie, potrebbe evitare simili situazioni.

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Ansa


Da 50 anni è in trattamento emodialitico sostitutivo, nel Centro dialisi dell'ospedale di Prato.L'uomo, oggi 66 anni, pensionato, originario di Firenze e residente a Prato, "ha iniziato questo difficile percorso terapeutico, perché affetto da una malattia renale che lo ha condotto alla terapia sostitutiva dialitica in pochi anni", spiega la Asl Toscana centro rendendo noto il suo caso.
Un esempio di tenacia e un modello di assistenza di cui siamo orgogliosi. 50 anni di emodialisi: un traguardo straordinario di cura e determinazione", afferma Gesualdo Campolo, direttore della struttura di nefrologia e dialisi dell'ospedale pratese: il paziente ha dimostrato "una forza straordinaria e una grande
capacità di adattamento".
In questi giorni i sanitari e 'gli Amici della Dialisi' hanno festeggiato il "notevole traguardo" raggiunto dal 66enne con grande affetto e con una targa con la frase, voluta dal paziente stesso: 'La vita è stata dura con me...ma Io lo sono stato di più con Lei'.
"Il paziente - spiega Campolo -, dopo due tentativi di trapianto renale, non andati a buon fine diversi anni fa, ha scelto di continuare a sottoporsi alla dialisi, affrontando con determinazione tre sedute settimanali per quattro ore ciascuna.
Un percorso che evidenzia non solo la sua eccezionale resilienza, ma anche l'elevato livello di assistenza e cura multidisciplinare garantito dal nostro team di nefrologi, infermieri, operatori sanitari e altri professionisti". Un risultato, evidenzia poi la Asl, che "sottolinea l'importanza di un approccio globale alla cura del paziente cronico, con risposte efficaci ai bisogni di salute, sia renali che extra-renali".
Il Centro di dialisi di Prato gestisce circa 180 pazienti sottoposti a trattamento emodialitico sostitutivo, con due turni giornalieri (mattino e pomeriggio) dal lunedì al sabato.
A tutt'oggi venti pazienti sono sottoposti a trattamento dialitico peritoneale domiciliare, seguiti da un team medico-infermieristico dedicato.
In fase di attivazione poi un progetto di 'dialisi peritoneale assistita': prevede l'impiego a domicilio di personale infermieristico per la gestione/trattamento di questi pazienti a casa.
Il progetto è già esecutivo e partirà tra qualche settimana, con l'addestramento alla dialisi peritoneale degli infermieri di famiglia presso il Centro dialisi pratese.Un'attività dialitica domiciliare, si spiega ancora, che "permetterà un incremento del numero di pazienti che si sottoporranno a tale terapia sostitutiva, rafforzando ancor più la nostra mission della 'domiciliarità delle cure'.


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Corriere Adriatico

Lea uccisa a 10 anni da un Suv guidato da un ubriaco, i suoi organi salvano 5 bambini. Il guidatore indagato per omicidio stradale

Il suo sorriso è stato spento a soli 10 anni, ma Lea Stevanovic continuerà a vivere attraverso i cinque bambini ai quali i suoi organi hanno permesso di continuare a sperare per un domani migliore. La decisione è stata presa dai genitori della piccola travolta e uccisa in un parcheggio da un Suv guidato da un uomo risultato ubriaco domenica 16 febbraio a Creazzo (Vicenza). Il funerale della piccola Lea si terrà sabato 1 marzo in Serbia, paese d'origine della famiglia che viveva ad Altavilla Vicentina. Per quel giorno però nel comune di residenza sarà lutto cittadino.
Omicidio stradale
Lea Stevanovic, che frequentava la quarta elementare, dopo l'incidente è rimasta ricoverata per tre giorni nel reparto di terapia intensiva pediatrica dell'ospedale San Bortolo di Vicenza. Poi il decesso a seguito dei traumi riportati. La tragedia ha scosso l'intera comunità, tanto che per giorni si sono susseguite veglie e preghiere per mostrare la vicinanza alla famiglia. Nel frattempo la Procura di Vicenza ha iscritto sul registro degli indagati per omicidio stradale aggravato l'automobilista 50enne vicentino che ha provocato l'incidente, risultato positivo all'alcoltest con un tasso alcolemico superiore a 1.5.

28.7.24

Olimpiadi 2024, Elisa Mondelli: «A Parigi per realizzare il sogno di mio fratello canoista morto di tumore prima di Tokyo 2020»

 avrei potuto aggiungerla  al post precedente   , ma   questa merita   un post  speciale  e  solo    per la  sua  vicenda   .Infatti  a volte le motivazioni riescono a spingere le persone oltre i limiti.

Elisa Mondelli (  foto a  sinistra  )  ne   ha  una decisamente forte.  Ha promesso e  ci  è  riuscita ad  andare  a queste  Olimpiadi di Parigi 2024per onorare il fratello Filippo, che avrebbe dovuto partecipare nel 2020.
IL canoista ha perso l'appuntamento per colpa del Covid e un anno dopo è morto per un tumore, un osteosarcoma che l'ha colpito alla gamba sinistra. Aveva solo 26 anni. Lei, parlando con la voce rotta dall'emozione al Tg3,(  vedere   sotto  )   ha spiegato le sue emozioni: «Mio fratello sognava le Olimpiadi, si era qualificato nel 2019. Nell’aprile del 2021 – a poche settimane da quelle di Tokyo rinviate nel 2020 a causa della pandemia – è venuto a mancare, gli ho fatto la promessa che sarei andata ai Giochi Olimpici». E ci è riuscita. 

La promessa al fratello Filippo, morto di tumore nel 2021

«In certi momenti forse lui ci credeva più di me perché è sempre stato il mio primo tifoso e lo sarà sempre. Secondo me lui lo sapeva che ce l’avrei fatta ad arrivare qua», ha detto ancora la canoista italiana. «Questa promessa gliel’ho fatta nel momento in cui lui ha scoperto la malattia, nel gennaio del 2020. Mi aveva mandato un messaggio dicendomi di stare tranquilla e di andare a guadagnare quello che ha dovuto lasciare per sconfiggere la malattia». Tre anni dopo la morte del fratello, Elisa ce l'ha fatta. «Essere qua è una vittoria immensa, non solo per me ma per tutta la famiglia e per il canottaggio. Tutti volevano bene a mio fratello».


Ora  si a  che  arrivi  a conquistare  o meno  una medaglia     ha  già  vinto  per la  sua detterminazione  e  forza  di volontà  , oltre  ad   aver   lottato per mantenere   una   promessa   fatta  

25.7.22

La storia di Tyler Cohen, analista di DoorDash che dall’estate del 2019 ha inoltrato fino a quattro candidature al mese a Big G:alla fine ottiene il posto dei suoi sogni. E incanta LinkedIn



Google lo scarta 39 volte ma lui insiste: alla fine ottiene il posto dei suoi sogni. E incanta LinkedIn

La storia di Tyler Cohen, analista di DoorDash che dall’estate del 2019 ha inoltrato fino a quattro candidature al mese a Big G: la sua ostinazione è di ispirazione per molti di quelli che sognano un lavoro in un colosso techGoogle lo scarta 39 volte ma lui insiste: alla fine ottiene il posto dei suoi sogni. E incanta LinkedIn

 di Simone Cosimi

Lui si chiama Tyler Cohen, si occupa - anzi, si occupava fino a qualche giorno fa - di strategia e gestione delle operazioni a DoorDash, una piattaforma statunitense di consegna di cibo a domicilio. Ma il sogno di questo senior analyst con un trascorso nel colosso della consulenza EY e molte altre esperienze nel marketing era un solo: lavorare in Google. Solo che Big G, a quanto sembrava, proprio non lo voleva: l’esperto, laureato alla Northeastern University e con un curriculum di tutto rispetto compresa una limitata conoscenza del cinese mandarino, è stato infatti scartato ben 39 volte. La quarantesima, però, è stata quella giusta.

Una storia che insegna il valore della perseveranza, quella di Cohen, esplosa su LinkedIn, il social network professionale per eccellenza controllato da Microsoft. “C’è una linea sottile fra perseveranza e malattia - ha scritto l’uomo in un post di grande successo, condividendo una schermata significativa della sua posta elettronica - sto ancora cercando di capire quale mi appartenga”. In quello screenshot è racchiuso il lungo corteggiamento a Mountain View: si tratta dell’elenco di tutte le e-mail ricevute da Google in cui, con saluti e ringraziamenti, gli è stato detto che non era stato selezionato per le varie posizioni per le quali di volta in volta, a partire dal 25 agosto 2019, si era candidato. Fino all’ultima, datata 19 luglio 2022 ed emblematicamente intitolata “Welcome to Google!”. Obiettivo raggiunto.

Un risultato se possibile ancora più paradossale visto che arriva proprio in un momento in cui tutti i colossi del tech, Google e Apple inclusi, stanno rallentando il ritmo delle assunzioni programmate per i prossimi mesi (e presentando agli investitori conti non esattamente scintillanti) sull’onda delle incertezze geopolitiche, della crisi delle supply chain internazionali e dell’inflazione. E in certi casi procedendo a una serie di licenziamenti. Big G, parte della holding Alphabet, ha in particolare sospeso i nuovi ingressi per due settimane stabilendo oltre tutto un rallentamento per il resto dell’anno.

In un'email inviata pochi giorni fa ai dipendenti e visionata da The InformationPrabhakar Raghavan, vicepresidente senior di Google, spiegava tuttavia che la pausa delle assunzioni non avrebbe avuto ripercussioni sulle offerte già estese ai candidati (fra i quali, per il rotto della cuffia, dev’essere evidentemente rientrato anche il nostro Tyler Cohen), ma che Google non avrebbe formulato nuove offerte fino al termine della pausa. "Utilizzeremo questo tempo per rivedere le nostre esigenze di organico e allinearci su una nuova serie di richieste di personale prioritarie per i prossimi tre mesi” aveva scritto Raghavan. Per avere un’idea delle dimensioni del recruiting in questo genere di pachidermi, basti pensare che lo stesso Ceo Sundar Pichai all’inizio di luglio aveva certificato come nel solo secondo trimestre dell’anno fossero state assunte altre 10mila persone. Allo scorso marzo l’organico era di oltre 163mila dipendenti, che al momento saranno dunque sopra quota 170mila.

Cohen è dunque fra quelli che non si sono fatti scoraggiare dal vento che stava cambiando già da un qualche mese: d’altronde ha tentato consecutivamente di farsi assumere da Google per tre anni di fila anche con tre o quattro candidature al mese, puntualmente rigettate, per arrivare appunto al totale di 39 tentativi. Il suo era un desiderio che si lanciava oltre gli ostacoli macroeconomici o la situazione internazionale.

Su LinkedIn la storia del suo successo (o meglio, della sua ostinazione, il successo dovrà ora guadagnarselo sul campo) ha coinvolto qualcosa come 22mila persone e raccolto centinaia di commenti. Il più significativo dei quali proprio da parte dell’account ufficiale di Google: “Che viaggio è stato, Tyler! Era proprio ora”.

22.6.22

Maltrattata perché lesbica, il giudice condanna a tre mesi il caporeparto della Lidl Insultata e umiliata sul posto di lavoro perché omosessuale, Sara Silvestrini, 40enne di Lugo, ha vinto la battaglia in tribunale contro coloro che l’hanno derisa e contro il sindacatoi che faceva filone con il padrone

Non è la prima volta che vengono registrati insulti omofobi sul luogo di lavoro: questa volta è toccato a Sara

  Sara Silvestrini . La  sua  è una storia di ordinaria vergogna, omofobia e grande 
Da sinistra, Federica Chiarentini e Sara Silvestrini
 con l’avvocato Alfonso Gaudenzi da 
https://www.ilrestodelcarlino.it/ravenna

coraggio.Per anni Sara, magazziniera della Lidl di Massa Lombarda (Ravenna) di 42 anni, ha subìto ogni genere di angheria, vessazione, mobbing puro da parte dei suoi superiori. La sua “colpa”, tra le altre: essere lesbica.
Il supermercato Lidl al centro del ciclone
Una donna che ha avuto la forza di reagire. Non tutti\e ce la fanno purtroppo. Ultimo il caso dell'insegnante che si è data fuoco nel suo camper. E tutto questo a causa dell'odio della gente. Ma come si fa a calpestare i diritti delle persone in questo modo? me lo chiedo ogni santo giorno…come si fa?! Per fortuna lei non era sola ma aveva accanto una compagna che l’ha sostenuta… se penso  a Cloe povera insegnante  transgender  morta  suicida    mi sale una tristezza infinita in quanto siamo un paese con forti sacchè di omofobia , di razzismo clericofascismo , bigottismo.Un paese che sta rientrando al medioevo. Un paese che non progredira' mai o se lo farà sara alla Gattopardo . Un paese senza( salvo eccezioni ) memoria, senza cultura pur avendo la maggior parte del patrimonio artistico ed storico a livello mondiale , ed grandi poet , artisti ed letterati .
foto simbolo 


Ha dovuto subire battute all’ordine del giorno sul suo orientamento sessuale, turni di notte tra camionisti molesti, uno l'aveva anche palpeggiata , verso i quali le era stato pure detto di essere “gentile”. E poi telefonate fuori orario, turni massacranti, straordinari selvaggi, provocazioni e umiliazioni continue davanti ai colleghi. Condizioni di lavoro estreme che le hanno provocato anche disturbi da panico. Tutto per spingerla al licenziamento.Quando l’hanno, infine, licenziata, la donna ha fatto l’unica cosa che le era rimasta: ha impugnato il licenziamento. E, di fronte alla proposta dell’azienda (con il tramite del sindacato) di 15.000 euro in cambio di una liberatoria tombale sulla vicenda, lei, invece di accettare, ha abbandonato il sindacato e ha deciso di fare causa. Oggi, a distanza di anni, ha vinto la sua battaglia. Il giudice ha riconosciuto il mobbing nei suoi confronti e ha condannato a tre mesi il suo capo reparto, ha comminato sanzioni a vari dirigenti e condannato l’azienda a un risarcimento di 30mila euro per lei e la sua compagna, come vittima collaterale.<< È una vittoria personale >> come dice Lorenzo Tosa << che non la ripaga certo di dieci anni di vessazioni, ma le restituisce una seppur tardiva giustizia. Per lei e per le tante Sara che non si piegano alle discriminazioni, umane e lavorative. >>Che sia un esempio per tante che si trovano nella sua situazone . La vittoria resta però a metà. Sara adesso, con l'aiuto del Centro per l’impiego, cercherà di rimuovere quel "licenziata per giusta causa" dal libretto di lavoro perché potrebbe causarle non pochi problemi nella ricerca di una nuova occupazione ma pur sempre testimonianza di regire ai sopprusi e ai papocchi dei sidacati che fanno  alleanza  con il padrone .

31.12.15

chi lo dice che con le cose fatte con i piedi sono negative . Il caso di Enrica Scotti, È senza le braccia menomata dalla nascita a causa di un farma e qguida cocon i piedi Ora dopo tre anni arriva l'ok dala motorizzazione per la patente

La storia di oggi riportata dal quotidiano locale del gruppo geolocal  (    gruppo editoriale  la    repubblica  \  espresso  )  http://laprovinciapavese.gelocal.it/pavia/ tramite la  pagina facebook   https://www.facebook.com/gelocalcronacaitaliana/

È senza braccia, ma guida. Usando solo i piedi, anche per girare il volante. È fresca di patente Enrica Scotti. Un traguardo raggiunto a Milano, perché dalla motorizzazione di Pavia aveva incassato una bocciatura all’auto utilizzata per la guida. Non sarebbe stata tecnologicamente adeguata, le avevano obiettato. 


Così si è vista costretta  a    rivolgersi  ad un ’altra motorizzazione per ottenere l’agognata patente, coronamento di un sogno per il quale si è battuta per ben tre anni. Un sogno di indipendenza, condizione a cui ha sempre aspirato. Adesso è alla guida della sua Cinquecento rosa pallido, decorata con fiori stilizzati, segno di quella speranza e di quella allegria che non la vogliono abbandonare, nonostante le mille difficoltà di ogni giorno. Il suo corpo mostra infatti evidenti i segni lasciati dalla talidomide, il farmaco assunto a partire dal dopoguerra dalle donne in gravidanza per combattere le nausee. Enrica Scotti ha 53 anni ed è una degli oltre dodicimila bambini, cinquecento in Italia, focomelici. Significa che hanno avuto uno sviluppo degli arti, superiori e inferiori, parziale oppure del tutto incompleto. Lei è nata senza braccia. Una menomazione che Enrica supera quotidianamente con tenacia. Abitava a Milano, ma il padre ha voluto tornare a Genzone, suo paese d’origine, piccolo centro che «ha saputo accoglierla con affetto», sostiene il sindaco Giovanni Arioli. «È stata dura, ma alla fine ci sono riuscita», dice Enrica. Il suo viaggio nella burocrazia inizia nel 2012. «Ricevo un primo «no» dall’Asl di Pavia - racconta -. Ma a Milano mi danno l’ok». Superato il primo scoglio, si prepara per l’orale e inizia ad esercitarsi nella guida. È dura. Ma lei, con estrema abilità, ha imparato ad utilizzare i piedi per lavorare al computer, all’uncinetto, a punto croce. «Sono riuscita a passare lo scritto - precisa la donna -. Ma la motorizzazione mi ha impedito di affrontare l’esame di guida, sostenendo che l’auto non era munita di un joystick collegato elettronicamente al volante». Mezzo idoneo invece per Milano che le rilascia la patente. «Il cambio è automatico, con un piede comando volante, frecce e luci, con l’altro premo freno e acceleratore. Sono felice, ringrazio  le scuole guida di Belgioioso, Villanterio e Locate Triulzi e l’installatore che ha adeguato l’auto». «Il suo è un esempio di grande forza di volontà - aggiunge -. Riesce a condurre una vita quasi normale e il più possibile indipendente, aiutata dalla mamma Franca e dal fratello Luca».

6.8.14

Dopo più di 35 anni di ricerche Argentina, la leader delle Nonne di Plaza de Mayo ritrova il nipote

 musica  in sottofondo  

Amazing AC/DC Cover!



Quando  mi   viene  il magone   o  la  voglia  di arrendermi ripenso ancora  , e poi ( nella maggior parte dei casi  )  mi passa  ,  a storie  come  questa   A volte anche queste storie di dolore e di morte finiscono bene. Anzi benissimo!


 per  approfondire  



Dopo più di 35 anni di ricerche

Argentina, la leader delle Nonne di Plaza de Mayo ritrova il nipote
Estela de Carlotto è la presidente dell'organizzazione che si occupa di rintracciare i figli prelevati ai genitori "desaparecidos" durante la dittatura militare argentina che durò dal 1976 al 1983. E' riuscita a rintracciare suo nipote Guido che si sarebbe 'presentato volontariamente'. Il giovane, ora 36enne, era nato in un centro clandestino di detenzione


Buenos Aires (Argentina)
da http://www.today.it/
06 agosto 2014Sono passati più di 35 anni. Trentacinque anni di ricerche estenuanti. Ma alla fine la tenacia di Estela de Carlotto è stata ripagata. La signora, presidente delle Nonne di Plaza de Mayo, l'organizzazione che si occupa di rintracciare i bambini prelevati ai genitori "desaparecidos" durante la dittatura militare argentina, è riuscita a rintracciare suo nipote Guido.


Secondo l'agenzia di stampa ufficiale Telam, il nipote di Estela Carlotto ha 36 anni, è sposato e vive a Olavarria, nella provincia di Buenos Aires, dove lavora come musicista. Il figlio minore di Carlotto - che si chiama anche lui Guido, come il padre - ha detto che suo nipote "si è presentato volontariamente". Gli esami del Dna confermano: è lui il nipote che Estela stava cercando. La Carlotto
ha confermato la notizia: "E' una emozione grandissima per me, ma è così forte che abbiamo bisogno di tempo per costruire, per stare insieme. E' una battaglia che abbiamo vinto tutti".Guido è nato il 26 giugno 1978 in un centro clandestino di detenzione di La Plata, capitale della provincia di Buenos Aires, dove la madre Laura - militante della gioventù peronista - era stata rinchiusa dopo il suo sequestro. La ragazza era incinta di tre mesi, ed è riuscita a far sapere alla madre che era viva e che se suo figlio fosse stato maschio lo avrebbe chiamato Guido, come il padre. E' a causa della vicenda di sua figlia Laura che Estela de Carlotto, che fino ad allora era una maestra elementare senza alcun impegno politico, ha dedicato la sua vita alla militanza per i diritti umani, concentrandosi sulla ricerca dei bambini dei desaparecidos. Due mesi dopo la nascita del nipotino, nell'agosto del 1978, i militari l'hanno convocata per consegnarle il cadavere della figlia - "quasi un privilegio", ha raccontato lei anni dopo - uccisa con una raffica di mitra sparata alle spalle. Da allora la nonna addolorata è 
diventata una nonna militante.
Una storia, quella di Estela Carlotto e delle nonne di Piazza di Maggio, raccontata nel libro "Le irregolari" di Massimo Carlotto, lo scrittore veneto che nel romanzo-saggio raccontò anche il legame familiare con la presidente delle Abuelas. Carlotto ha salutato la notizia con un post su facebook:

La dittatura militare instaurata in Argentina il 24 marzo 1976 e che durò fino al 1983 prevedeva l'eliminazione di massa degli oppositori. Durante quel tristissimo periodo della storia argentina furono imprigionate migliaia di persone in centri clandestini di detenzione. Qui si procedeva alla loro tortura, al loro assassinio e alla sparizione dei corpi. In quel contesto i figli dei detenuti-desparecidos era considerati una sorta di “bottino di guerra”, per il quale si pianificò dettagliatamente persino per iscritto, un sistema di detenzione per le donne in stato interessante, parti clandestini, falsificazioni d’identità e simulazione di adozioni con lo scopo di appropriarsi dei bambini. In questa maniera circa 500 bambini vennero privati della loro identità, e in molti casi portati a vivere con persone che credevano loro genitori e che in realtà furono autori partecipi o complici dell’assassinio dei loro veri genitori.
Questa “riorganizzazione”, considerata necessaria dai militari per “salvare” la società argentina, esigeva che i figli dei “sovversivi” fossero separati dai genitori per essere consegnati a “buone famiglie”, come quelle di militari o di classe elevata.

18.5.14

i Dottori le Dicevano che non Avrebbe Mai Camminato ma Lei Diventa CAMPIONESSA OLIMPICA Grazie alla Madre!

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<< che  io possa  vincere   ma se  non ci  riuscissi   , che  io possa  tentare  con tutte  le mie forze  . >>Giuramento   dell'atleta   Special olympics.


mai perdere la speranza  . Non esiste  la  previsione assoluta .  e  questo caso lo dimostra.




Tutti le dicevano che non avrebbe mai camminato né parlato eppure la Madre ha sempre creduto in sua figlia fino a portarla alla partecipazione delle olimpiadi come atleta! Una storia bellissima e commovente che ci insegna quanto sia forte l'amore di una madre verso i propri figli.

4.8.12

Olimpiadi Londra 2012: Jessica Rossi, elogio della perfezione. Oro nella Fossa


Jessica Rossi
Alle Royal Artillery Barracks si è riscritta oggi la storia della Fossa Olimpica femminile, una gara che rimarrà a lungo negli annali non solo olimpici ma della specialità. A 20 anni, l'azzurraJessica Rossi ha battuto tutti i record possibili immaginabili e ha conquistato la medaglia d'Oro                                                                                                                                      Dopo la qualificazione perfetta con 75/75 che ha definito primati mondiali e olimpici che non potranno essere superati in futuro ma solo eguagliati, la ventenne (una età inusuale nel Tiro a Volo dove l'esperienza conta forse più che in altre discipline) di Crevalcore ha mancato un solo piattello nella finale a singola canna (un solo colpo per piattello al contrario del doppio colpo delle qualificazioni) chiudendo con 99/100, imponendosi per dispersione con 4 colpi di vantaggio sulle altre, e stracciando il record olimpico e il record mondiale sulla gara completa.Entrata in finale con due piattelli di vantaggio sulla slovacca Stefecekova, Jessica non ha dato spazio alle speranze delle avversarie allungando il passo sugli errori delle avversarie e costruendo colpo dopo colpo il suo trionfo che fa storia.La lotta è rimasta accesa per le altre due medaglie con Stefecekova, la francese Reau e la sanmarinese Alessandra Perilli allo spareggio dopo un 93/100 finale. La prima a cedere mancando l'occasione di entrare nella storia come la prima sanmarinese sul podio è la Perilli che sbaglia il secondo piattello di spareggio. L'Argento, dopo tre piattelli va alla Stefecekova, Bronzo alla Reau.Esempio di precocità, Jessica Rossi dopo aver vinto i Campionati del Mondo del 2009, le finali di Coppa del Mondo del 2011, i Campionati d'Europa del 2009 si regala, e sicuramente dedicherà ai terremotati della sua regione, il gradino più alto del podio delle Olimpiadi. A 20 anni ha vinto tutto quanto si poteva vincere.

Ora  speriamo  , non per  essere  disfattista o anti italiano  ( come  mi potrebbero definire  molti dopo questi commenti  )  , che arrivino medaglie anche dagli altri sport in particolare : nel volley e nel beach volley e nel'atletica , e nell'ultima del nuoto . altrimenti facciamo  "la figura "d'essere ricordati solo come un paese guerriero ( infatti le medaglie eccetto quella dello judo ) sono arrivate da sport d'armi , nonostante l'articolo 11 della costituzione italiana che dice : << L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.>> Non  basta  come  lo si  è  violato direttamente  o indirettamente  nella storia  della nostra repubblica  

iil caso d Suor Genevieve piange davanti alla salma di Papa Francesco piange davanti alla salma di Papa Francesco . amicizia o violazione del protocollo ? seconmdo me la prima .

Suor Genevieve infrange il protocollo e piange davanti alla salma di Papa Francesco: chi è l'amica di Bergoglio? Ah, perché piangere inf...