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6.4.25

mi abbevero al femminismo , ma .... il caso Yasmina Pani Censurata dalle femministe perché ho osato criticarledaaa

  per  i miei post     sui  femminicidi mi hanno  accusato    d'essere  effeminato  e  a  favore  della  nazi  femministe  , ecc . Forse  perchè  nella strada  fin qui  percorsa  ,   ho  fatto miei  alcuni caratteri del femminismo  e  mi batto  per  loro   e  sono contro  i  femminicidi e  la  cultura   che c'è  alla  base  . 
Ma  penso che  la  lotta  contro  tali cose  dev'essere  non  a senso unico . Credevo che fosse  chiaro   dal mio  post  su fb   (  che  trovate     sotto    )  È incredibile come dopo anni ed anni di sensibilizzazione su qualunque tema la gente non abbia capito che le regole della sensibilizzazione dovrebbero valere per ogni singolo essere umano, non solo per la categoria sociale che   va di moda al momento. Ovviamente il contesto mediatico/comunicativo non aiuta (visto che vive e si sostenta grazie alla polarizzazione), ma dovremmo iniziare ad affrontare i temi in maniera un pochino più strutturata, proprio per evitare di cadere nella banalizzazione che fa molti più danni di quello che crediamo.



Ma il caso Yasmina Pani  [  foto  in alto a   sinistra   ] lo dimostra .  

Infatti essa ha detto






da IL GIORNALE



Chi è Yasmina Pani? È una giovane donna, è una docente di linguistica e letteratura che si occupa anche di divulgazione online, ed è un'intellettuale critica verso i connotati sempre più tossici del movimento femminista. Yasmina Pani è inoltre la creator che nelle scorse settimane ha prodotto un video per la Fondazione Feltrinelli, in cui contestualizzava alcuni dei punti meno convincenti del femminismo odierno: un contributo apprezzato dalla stessa Fondazione, che lo ha approvato e caricato sui propri social, provvedendo tuttavia a rimuoverlo qualche giorno fa, a causa dei ferocissimi toni raggiunti: insulti, rimproveri, appelli alla vergogna, naturalmente tutti a firma di quanti, anzi quante, hanno una visione opposta a quella di Yasmina, una visione che diventa sempre imposizione, diventa puntualmente condanna e censura, là dove è incapace di considerare altre sensibilità.
L'inquisizione femminista ha dunque condannato in via definitiva Yasmina Pani, ha emanato un verdetto di stigmatizzazione e ha bollato questo essere umano come ignobile traditrice della causa, rendendola indegna dei più basilari diritti: in primis quello sacrosanto che invoca la libertà di espressione.
Come se non bastasse, Yasmina Pani ha anche subito una memorabile deplorazione per il suo appoggio all'associazione «Perseo», che sostiene gli uomini vittime di violenza, i medesimi uomini che nell'ottica femminista non dovrebbero essere meritevoli di nulla, meno che mai del soccorso.

Yasmina, perché così tanta violenza di fronte a chi la pensa diversamente?

«Credo che negli ultimi anni ciò che dovrebbe essere interpretato come un punto di vista, un sistema di valori o un'opinione, sia diventato una verità inopinabile o, al contrario, la più orrenda bugia. Il dialogo, lo possiamo osservare tutti, è ora solo guerra, senza alcun desiderio di sintesi».

Quant'è pericoloso da parte delle istituzioni, pubbliche o private che siano, sottostare a dei diktat tanto ideologizzati?

«Il rischio concreto è di annullare la pluralità dei pareri, dissuadendo le persone dall'esprimerli. Si stabilisce così che un'unica lettura degli eventi è accettabile, e non può essere contestata. Alla luce di ciò, soprattutto dagli enti culturali mi aspetto qualcosa di diverso: dovrebbero agire in piena autonomia, andando oltre ogni possibile pressione esterna».

Qual è il limite più grande del movimento femminista?

«Ostacolare le lotte per i diritti maschili. Così facendo si pone come un movimento di chiusura e non di apertura, non progressista, e certamente non egualitario. Questo di conseguenza crea un limite ulteriore, cioè l'estrema intransigenza, che porta perfino alla pretesa che chi non è femminista venga tacitato».


Sei stata criticata anche per la tua vicinanza al centro antiviolenza maschile «Perseo»: aiutare gli uomini in difficoltà quindi è un demerito? Solo le donne hanno diritto al soccorso?

«È proprio questo l'assurdo: come può un movimento per la parità suggerire qualcosa del genere? Non abbiamo sempre detto che i diritti non sono una coperta corta?»

Yasmina Pani tocca il punto più spinoso, ovvero il cuore della battaglia femminista, al momento sempre più distante da un'idea di parità. A essere rincorsa è infatti la supremazia, è la sottomissione dell'altro, è la volontà di incolpare all'infinito e di subordinare in qualsiasi modo, è la possibilità di dire: ora tocca a me, donna, comandare; ora finalmente posso fare quello che tu hai fatto a me per millenni; ora posso schiacciarti

 Ora  si può  anche   non essere  d'accordo ma la  censura     non va  bene  

18.7.24

chi lo dice che giocare con le bambole sia solo per femmine




 da 

Persona più attiva
 8 h 
Giovanni ha 6 anni e sta giocando con il suo Cicciobello. Passa un signore anziano lo guarda e gli dice:
"Ma giochi con le bambole? Sei un maschio, dovresti giocare con i soldatini."
Me lo immagino già uno degli uomini della vecchia generazione cresciuto con l'idea che commuoversi, lavare i piatti, prendersi cura della casa ma soprattutto prendersi cura dei propri figli, cambiargli i pannolini renda l'uomo meno virile e meno uomo.Giovanni lo guarda negli occhi e non si scompone e regala una risposta da Oscar: "Sono il papà, mica la mamma!" Il bambolotto è suo figlio e si chiama Mario. Giovanni non lo sa che con una semplice risposta sta rendendo il mondo un posto più bello. La sua saggezza ha tanto da insegnare a chi probabilmente si crede più saggio solo per divario anagrafico.Pertanto non è sbagliato quello che fa, ma quello che gli viene chiesto. Avanti Giovanni, sarai un grande papà e un grande uomo. E sicuramente grazie anche a dei grandi genitori.
Daniele Marzano

4.7.21

dobbiamo accettare il fatto che le donne a volte ed in certe situazioni sono meglio degli uomini . il caso del'agente Sara che convince un assasinio barricato in casa a consegnarsi ed evitare il peggio



di cosa stiamo parlando

repubblica   4\7\2021

"Quei 13 minuti al telefono con l'uomo che ha sparato al padre". Il racconto dell'agente Sara: "Così l'ho convinto a consegnarsi" Venerdì pomeriggio, un tentato omicidio nel quartiere Cep dopo l'ennesimo litigio. Il genitore voleva indietro la casa. Dopo il colpo di pistola, l'uomo si è barricato in casa

                                           di Salvo Palazzolo

«Al telefono urlava: “Ho sparato a mio padre. Ho ancora la pistola in mano”. E in sottofondo sentivo i pianti di una donna e di un bambino. In una manciata di secondi, ho dovuto trovare il modo per entrare in relazione con quell'uomo. Intanto, facendolo calmare». Sara è abituata a conoscere le persone dalla loro voce, è una delle poliziotte della centrale operativa della questura. Venerdì pomeriggio, è stata lei a rispondere a Emanuele Presti, il ventinovenne che ha telefonato al 112 subito dopo avere sparato al padre dal balcone, al termine dell’ennesima lite.



«Era parecchio agitato — racconta la poliziotta — mentre i miei colleghi e l’ambulanza correvano verso via Barisano da Trani, al Cep, io dovevo cercare di fargli posare quell’arma».Questa è la storia di un uomo disperato. E della donna che l’ha tirato fuori dal baratro in cui era finito. Una storia racchiusa in una telefonata durata 13 minuti. «Interminabili», dice Sara. E il finale non era affatto scontato. «Perché l’uomo continuava a tenere in mano quella pistola, mentre dalla finestra guardava il padre riverso in una pozza di sangue, gravemente ferito». Emanuele Presti, disoccupato con precedenti penali per porto abusivo d’arma e resistenza a pubblico ufficiale, ha sparato al padre Giuseppe che continuava a insistere per riavere indietro l’appartamento del Cep. «Al telefono urlava ancora: “Vuole buttare fuori di casa me e la mia famiglia. E io cosa farò?”».
Sara ha iniziato a dare del “tu” ad Emanuele. «A quel punto era necessario stabilire un rapporto di fiducia con questa persona esasperata — spiega — gli ho detto: “Ascoltami, seguimi, io sono qui per aiutarti. Innanzitutto, pensa a un posto sicuro dove puoi conservare la pistola, in modo che nessuno si faccia male”. Per un attimo non ha detto più nulla, poi mi ha risposto: “L’ho messa in un cassetto”. E ha rilanciato: “Ora, cosa faccio?”».Sara, assistente capo dell’Ufficio prevenzione generale della questura, racconta che le parole degli uomini che si sono persi nelle strade di Palermo sono un filo sottilissimo, può rompersi da un momento all’altro. «Durante i giorni del lockdown, arrivò al 112 la telefonata di un uomo che annunciava il suicidio. Ma non voleva dire dove si trovava. Poco a poco, ho conquistato la sua fiducia». Come ha fatto? «Ascoltando la sua storia». E poi le ha detto dove si trovava? «Sì, ma per fermare il gesto estremo voleva che andassi io incontro a lui. Gli ho spiegato che stava arrivando una mia collega bravissima. E si è convinto».Cosa è accaduto, invece, ad Emanuele Presti? «Continuava ad essere barricato in casa. Anche lui voleva che andassi io. Perché avevo ascoltato con pazienza la sua storia e si fidava di me».
Intanto, mentre Sara è al telefono, in via Barisano da Trani, la polizia si prepara al peggio. Una decina di volanti schierate, agenti con i giubbotti antiproiettili e pistole a tiro. Ma anche una telefonata dietro l’altra al 112: le voci del Cep, tutto schierato con il padre. «Quello è un uomo violento — dicevano — quello ammazza qualcun altro». La centrale decide di mandare altri rinforzi. Ma, al momento, nessuno si deve muovere. Tutto è nelle mani di Sara. «Ho continuato a rasserenare Emanuele — racconta lei — ma insisteva: “Non voglio scendere”. Gli ho detto: “Adesso, dobbiamo pensare a tua moglie e ai bambini. Sono spaventati. Io e i miei colleghi ci prenderemo cura di loro”». Ed è stata la frase determinante. Ascoltando il racconto di Sara si capisce perché. La donna che dal 2011 raccoglie le voci di Palermo non è solo una poliziotta di 42 anni che ha lavorato a lungo nelle strade di questa città, è anche la mamma di un bambino. «Io cerco sempre di ascoltare le persone che incontro — sussurra lei — per il resto, faccio parte di una squadra che lavora per la propria comunità».Emanuele ha aperto la porta di casa. «Aveva sempre il telefono in mano e continuava a dirmi di avere paura di uscire. Ma passo dopo passo si è convinto». Forse, temeva una reazione del quartiere. Poco fuori l’androne, i poliziotti l’hanno fermato e velocemente sono andati via.Ora, Presti è accusato di tentato omicidio. Suo padre è ricoverato in gravissime condizioni a Villa Sofia. I poliziotti delle Volanti e i colleghi della sezione Omicidi della squadra mobile hanno trovato non solo la pistola che il giovane aveva sistemato nel cassetto, ma anche un altro revolver, risultato rubato nel 2011. Sara, invece, si sta preparando per un altro turno in centrale, alla caserma Lungaro. Con i suoi colleghi della Prima squadra delle Volanti.

2.7.21

Contro i femminicidi l'inno in sardo di una generazione in un videoclip dalla scuole medie di ozieri ,CHENA TIMIRE adattamento in Sardo del brano Cancion sin miedo della cantautrice messicana Vivir Quintana

E’ una piaga sociale quella dei femmicidi difficile da estirpare per le sue radici profonde nella violenza a sua volta ben radicata nella cultura maschilista di cui è ancora permeata la nostra società.I giovani sono la speranza del cambiamento. E il cambiamento può 

3^ F G. Deledda di Ozieri

arrivare solo cominciando dal basso, cioè dalla scuola. Un mondo migliore è possibile; costruire una società dove le donne possano vivere libere, è necessario .  E  norizia     dei giorni  scorsi  (  trovate  a lato  prese  dalla loro  pagina fb   trovate  sotto  l'url     gli articoli della  nuova  e  dell'unione    sarda    )    di  una   terza media  di Ozieri     che    ha       creato  Il brano Chena Timire  






una  versione sarda dell'originale     Canciòn sin miedo”   della cantautrice messicana Vivir Quintana.

 
 

La canzone di Vivir Quintana parla della violenza che subiscono le donne, è diventata un inno nelle proteste femministe non solo  in Messico  . Essa 
 

da  https://es.wikipedia.org/wiki/Canci%C3%B3n_sin_miedo  tradotto in automatico  con google  

 è stata presentata per la prima volta al concerto del Festival Tiempo de Mujeres 2020 eseguita da Mon Laferte, Vivir Quintana e il Coro Palomar . , più di 70 cantanti e musiciste.La canzone è stata eseguita in diverse parti del mondo, come: Argentina, Cile, Colombia, Ecuador, Spagna, Honduras, Perù, Francia, tra gli altri, per sradicare la violenza di genere.  A marzo 2021, il video sul canale del compositore aveva 8 milioni di visualizzazioni. Nel 2021 esce la versione mariachi eseguita con gli studenti della Ollin Yoliztli Mariachi School. Così come un adattamento al contesto dello Yucatan, con una traduzione e frammenti in Maya.  La canzone descrive la realtà messicana della violenza contro le donne che include sparizioni e femminicidi e parla anche della lotta che le donne danno contro la violenza "Oggi le donne ci tolgono la calma, hanno seminato paura, hanno messo le ali":

Ogni minuto, ogni settimana
Rubano i nostri amici, ci uccidono sorelle
Distruggono i loro corpi, li fanno sparire
Non dimenticare i loro nomi, per favore, signor Presidente
Cantiamo senza paura, chiediamo giustizia
Gridiamo per ogni scomparso
Lascia che risuoni ad alta voce "ci vogliamo vivi!"
Lascia che il femminicidio cada forte

—Estratto dalla canzone


La canzone descrive la realtà messicana  (  ed  ora    non solo  )    della violenza contro le donne che include sparizioni e femminicidi e parla anche della lotta che le donne danno contro la violenza "Oggi le donne ci tolgono la calma, hanno seminato paura, hanno messo le ali"
È un oggetto di studio su come il dolore ci unisca davvero tanto, ci leghi molto alle donne non solo del Messico, ma dell'America Latina e del mondo. È come un ossimoro di dolce gioia ma anche di dolcezza amara. 


Tale  lavoro   ha come obiettivo di contribuire al dibattito sull’argomento e per ricordare alcune delle donne vittime di femminicidio in Sardegna. Che cosa possiamo fare contro la violenza sulle donne, per combattere ogni forma di discriminazione e sensibilizzare l’opinione pubblica? È probabilmente questa la domanda che si sono posti i 18 “Caddhos Rujos”, il collettivo scolastico composto dalle ragazze e i ragazzi della III F della scuola media G. Deledda di Ozieri. I quali hanno ideato un videoclip dal titolo Chena Timire, traducendo in lingua sarda la canzone “Canciòn sin miedo” della cantautrice messicana Vivir Quintana, diventata un inno internazionale contro la piaga dei femminicidi. Il brano, riadattato alla nostra realtà, si rivolge alle donne e agli uomini della Sardegna per contribuire al dibattito sull’argomento e per ricordare alcune delle donne vittime di femminicidio nell’Isola.
Il progetto, ideato nel contesto della materia Arte e Immagine, è stato coordinato dai professori Alessandro Carta e Maria Paola Maieli. «Per buona parte del secondo quadrimestre si è lavorato a questo progetto – spiegano i docenti – sia dal punto di vista artistico-comunicativo, studiando un logo, traducendo il brano di Quintana, realizzando la sceneggiatura, l’arrangiamento musicale e un ufficio stampa per proiettarne la comunicazione all’esterno. Ma anche da quello storico sociale, ricostruendo i casi di femminicidio e di violenza di genere che hanno coinvolto il territorio sardo. Analizzando inoltre la condizione femminile in Italia dal Ventennio fascista fino ai giorni nostri».


«Osservando l’evoluzione dei diritti delle donne ci siamo domandati – spiegano gli studenti   a  https://www.logudorolive.it/ da  cui  ho tratto  le foto  – in quale modo questi debbano essere tutelati e difesi, e perché ancora oggi molte altre fondamentali conquiste civili non siano state ancora raggiunte. Partendo dal tema del femminicidio in Sardegna, abbiamo osservato come questo fenomeno sia diffuso a macchia d’olio in tutte le culture moderne».Il testo grida i nomi di Romina Meloni (49 anni di Ozieri), Zdenka Krejcikova (41 anni uccisa a Sorso), Speranza
Ponti
 (50 anni di Uri), Susanna Mallus (55 anni di Quartu Sant’Elena), Michela Fiori (40 anni di Alghero), e ricorda anche i movimenti di lotta femminile che hanno combattuto   ed  ancora  combattono  in Sardegna per la libertà, per i propri diritti e per la salute dei loro cari. Il messaggio centrale, cantato e urlato chiaramente dalle ragazze, è «vogliamo giustizia, che le istituzioni e le strade devono tremare perché non abbiamo più paura e perché le donne le vogliamo vive».

Gli interpreti del videoclip: Irene Monni (voce), Alessandro Carta (chitarra), Angelo Sotgiu (fisarmonica), Giuseppe Bulla (guitalele e charango), Simona Gioia, Miriam Lutzu, Clara Mura, Anna Puddu, Laura Saba, Melania Soro, Alessia Tanda e Francesca Tanda (Coro).  Un grazie di cuore alle ragazze, ai ragazzi ed ai professori che







hanno pensato e lavorato al progetto, prezioso per 
aumentare la sensibilizzazione ed accrescere la consapevolezza della popolazione su questo grave problema sociale. Ci auguriamo, questa volta con forza, che questo video diventi ancora  più“virale” e ci piace unirci al coro delle ragazze: “Manc’una de Mancu”  ma    soprattutto   con  Nos ponent tramentu, nos creschent sas alas  ! (  Più ci mettono paura, più ci crescono le ali  !  ) 

  dall  'introduzuone     del loro  video  
 
Questo il senso del brano che inneggia al coraggio e alla sorellanza femminile nella lotta al femminicidio e alla violenza di genere. Nel contesto della materia Arte e Immagine si è costituito un informale collettivo scolastico, 18 CADDHOS RUJOS, che fa capo alla classe III F della scuola media G.Deledda di Ozieri, coordinata dai professori Alessandro Carta e Maria Paola Maieli. Per buona parte del secondo quadrimestre si è lavorato a questo progetto sia dal punto di vista artistico-comunicativo, costituendo una sorta di troupe con lo studio di un logo, costruendo una traduzione in Sardo, una sceneggiatura condivisa, un arrangiamento musicale e un ufficio stampa per proiettarne la comunicazione all'esterno; sia dal punto di vista storico sociale, ricostruendo i casi di femminicidio e di violenza di genere che hanno coinvolto il territorio sardo e analizzando la condizione femminile in Italia dal ventennio fascista fino ai giorni nostri. Osservando l’evoluzione dei diritti delle donne ci siamo domandati in quale modo questi debbano essere tutelati e difesi, e perchè ancora oggi molte altre fondamentali conquiste civili non siano state ancora raggiunte. Partendo dal tema del femminicidio in Sardegna, si è osservato come questo fenomeno sia diffuso a macchia d’olio in tutte le culture moderne. In Messico la cantautrice Vivir Quintana ha realizzato una canzone contro la violenza che opprime le donne del suo paese. Questo brano, “Canciòn sin miedo”, è diventato un inno contro la piaga dei femminicidi e viene cantato in tutto il mondo durante le manifestazioni di protesta e di sensibilizzazione. Abbiamo tradotto in Sardo la canzone di Vivir Quintana e l’abbiamo riadattata alla realtà sarda realizzando il videoclip di CHENA TIMIRE, canzone in limba che si rivolge alle donne e agli uomini della Sardegna per contribuire al dibattito sull’argomento e per ricordare alcune delle donne vittime di femminicidio in Sardegna. Il testo grida i nomi di Romina Meloni (nostra compianta compaesana), Zdenka Krejcikova, Speranza Ponti, Susanna Mallus, Michela Fiori, e ricorda anche i movimenti di lotta femminile che hanno combattuto in Sardegna per la libertà, per i propri diritti e per la salute dei loro cari. Questo lavoro non è stato concepito per rimanere all’interno di un’aula scolastica, bensì per proiettare il suo messaggio sul territorio e per denunciare le continue e infami violenze che ci circondano e che non hanno fine. Con la forza della nostra giovinezza, e con Vivir Quintana, cantiamo e urliamo chiaramente che vogliamo giustizia, che le istituzioni e le strade devono tremare perché non abbiamo più paura e perché le donne le vogliamo vive.


  che altro aggiungere a questa bellissima   iniziativa    se   non i  loro colleggamenti  








Il coraggio di Anna Giordano, una vita passata a proteggere gli uccelli selvatici dai bracconieri in Sicilia

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