Visualizzazione post con etichetta invalidi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta invalidi. Mostra tutti i post

6.5.24

DIARIO DI BORDO N 49 ANNO II La classe va in gita ma senza studenti fragili, la scuola. «Scelti solo allievi che avevano la media dell'8» ., "Stampa di regime", poi candidano giornalisti ., conto Conto separato, cameriera in lacrime: «Tavolo da 40 persone e hanno voluto pagare uno alla volta quello che hanno mangiato»

 fonti   Il Gazzettino eTgcom24 del 4\5\2024

 Una gita come tante, nella vicina Milano. Ma non tutti gli alunni hanno potuto partecipare. Solo i più meritevoli e chi non aveva la media dell'8 è rimasto a scuola. È


quanto accaduto a una classe, una terza, della secondaria Italo Calvino, facente parte dell'Istituto comprensorio Niccolò Tommaseo, del centro di Torino. Gli studenti di 14 e 15 anni avevano partecipato, creando dei podcast, al progetto 'Riconnessioni'.
Gita senza fragili, cosa è successo
Come obiettivo anche quello di essere ospiti nella redazione di Radio24. Ma c'era un limite stabilito di 15 ragazzi, visto che la radio, sponsor dell'iniziativa, aveva chiesto un massimo di 45 studenti per tre scuole. Quelli della 'Calvino' sarebbero stati scelti secondo il criterio del merito, per decisione del consiglio di classe. Qualche studente non è partito, tra cui chi ha dei disturbi nell'apprendimento e disabilità, rimanendo in classe, portando avanti attività del progetto.
La denuncia dei genitori
Alcuni genitori hanno così deciso di raccontare la storia a un quotidiano torinese mentre altri, ora, solidarizzano con i docenti e hanno chiesto un'assemblea per parlare di questa vicenda, visto che non condividono l'iniziativa di rivolgersi ai media. Nell'occhio del ciclone intanto è finita, non solo la docente di lettere che coordina il progetto, ma anche la preside della Tommaseo, Lorenza Patriarca, molto conosciuta in città in quanto consigliera comunale del Partito Democratico e presidente della commissione Istruzione a Palazzo Civico. La sua scuola ha un motto: «Tutti diversi, tutti speciali, tutti insieme». L'istituto comprensorio, elementare e medie, è considerato fiore all'occhiello tra quelli cittadini.
La preside
«Da noi sono presenti 48 alunni con disabilità certificata - spiega Lorenza Patriarca - il numero degli alunni con Bes di diversa natura iscritti nelle nostre classi è di 4 volte superiore a quello degli altri istituti comprensivi a livello nazionale come risulta dalle statistiche del ministero». «La docente di lettere coinvolge i ragazzi in un'infinità di iniziative e uscite didattiche lavorando per progetti, anche in soggiorni con pernottamenti plurimi fuori città. Il consiglio di classe, nella sua autonomia, senza coinvolgere la dirigenza - sottolinea Patriarca - ha ritenuto di scegliere sulla base del merito riferito a risultati scolastici di almeno 7 e 8 e assenza di note disciplinari, impegno e interesse inclusi perché in una classe che lavora per progetti la valutazione tiene necessariamente conto della partecipazione attiva dei ragazzi». Per quanto riguarda lo studente con disabilità, Patriarca afferma che «la docente di sostegno ha valutato con il consiglio di classe che la 'gita' per lui non fosse utile e che gli avrebbe creato solo dello stress. Ma è l'unica uscita in cui lui non è stato coinvolto».




Gli esclusi Fra gli esclusi ve ne sono alcuni disgrafici e un ipovedente. Dalla scuola, sempre come riportato da "La Stampa", rispondono che il criterio scelto è stato quello del merito: in particolare sono stati scelti gli allievi che avevano la media dell'8 nel primo quadrimestre.
Il verbale del consiglio di classe "Il criterio scelto per la selezione dei 15 è quello del merito - si legge nel verbale del consiglio di classe -. I selezionati verranno comunicati direttamente dai professori". Una decisione trasmessa ai genitori tramite il diario scolastico: "Gli allievi partecipanti sono stati selezionati in base agli esiti del primo quadrimestre e alle necessità di recupero".
Il commento di Valditara: "Scelta non condivisibile" Per il ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, "la scelta di non coinvolgere alunni con disabilià nella gita didattica organizzata dall'Istituto Tommaseo di Torino non è condivisibile". Valditara ha infatti ribadito che  "il merito a cui noi puntiamo non ha come riferimento la media aritmetica in pagella, ma l'impegno e la costanza nel realizzare i propri personali talenti. Se poi la scelta di ridurre a soli 15 studenti gli ammessi alla visita è stata fatta dalla struttura ospitante, credo che si potesse chiedere ed ottenere una eccezione facendo proprio riferimento alla necessità di una didattica inclusiva".
Finisce nella bufera una scuola superiore di Torino per aver selezionato gli studenti per una gita a Milano escludendo ragazzi con disturbi dell'apprendimento. Il caso riguarda l'Istituto comprensivo statale Niccolò Tommaseo, che aveva dato agli allievi 14-15enni la possibilità di partecipare al progetto "Riconnessioni", in cui gli studenti sono stati coinvolti in un podcast della redazione di Radio24. All'attività potevano però essere ammessi solo 15 studenti: ne sono stati esclusi 8 con difficoltà certificate e il criterio scelto per selezionarli è stato quello del merito. Il ministro Valditara non condivide la decisione: "Per noi il merito non è la media dei voti, ma realizzare un talento".


-------

  dicono che   c'è   stampa  di  regime  e  poi candidano giornalisti.  il   giornale (  qui l'articolo   ) . ovviamente    parla  solo di quelli di sinistra   ma   tace  di quelli  di destra  .   e  dicono   che   Giorgia meloni  usi la  tecnica    di   usare  il   suo  diminutivo    quando   ( vedere  articolo sotto  ) non c'è  sololei  ,  ma  questo  non  fa  , SIC  ,  notizia   Infatti  ecco  l'elenco   dei  nomignoli  e  del   giornalisti 

fonte https://www.ansa.it/sito/notizie/politica    2 maggio  2024

Elezioni europee: Nelle liste tanti soprannomi e oltre 20 giornalisti
Anche "Ultimo e Pavone". Con FdI la pronipote di Giolitti . Non c'è solo "Giorgia".

Nelle liste per le europee i soprannomi o "detti" sono una valanga: si va da Letizia Maria Brichetto Arnaboldi, detta "Letizia Moratti" (FI) a Domenico Lucano detto "Mimmo" (Avs), da Alessandro Cecchi Paone detto "Cecchi" o "Pavone" (Stati Uniti d'Europa), a Sergio De Caprio detto "Capitano Ultimo" detto "Capitano" e "Ultimo" (Libertà), fino allo scrittore Nicolai Verjbitkii conosciuto come Nicolai Lilin e così segnato nelle liste Pace, Terra, Dignità. Nelle liste dei papabili per l'Europarlamento compaiono una ventina di giornalisti, in particolare nel centrosinistra.    
FdI oltre a Giorgia Meloni detta "Giorgia", schiera anche Piergiacomo Sibiano detto "Piga" e Salvatore Deidda detto "Sasso". Forza Italia e Noi Moderati candidano, tra gli altri, Antonio Cenini detto "Cenno", Francesca Salatiello detta "Fra" e - dulcis in fundo - Edmondo Tamajo, detto "Tamaio", ma anche "Di Maio", "Edy", "Edi" o ancora "Eddy". Talvolta i soprannomi privilegiano la brevità, come nel caso di Suad Omar Sheikh Esahaq, candidata da Avs e detta "Su".

Altre volte prevengono possibili errori di scrittura, come per  Giuliana Fiertler, detta "Firtler", sempre in lista con Alleanza Verdi Sinistra. Tra i candidati di Stati Uniti d'Europa, ci sono: la senatrice Raffaella Paita detta "Lella", Muharem Saljihu detto "Marco", Gerardo Stefanelli, detto "Stefano", e Alessandrina Lonardo Mastella detta "Sandra Mastella" (la moglie di Clemente). Azione di Carlo Calenda schiera, tra gli altri, Gianni Palazzolo detto "Giangiacomo", il M5s Giusy Esposito che diventa "Giusi" e Daniela Gobbo che si trasforma in "Daniela Varedo".
Nel Pd la prima a segnarsi anche con un altro nome - quello con cui è conosciuta ai più - è la segretaria, Elena Ethel Schlein detta "Elly". Oltre a lei, anche Brando Maria Benifei, "Brando" o "Bonifei", Marco Pacciotti detto "Paciotti" o "Marco" e Giuseppina Picierno detta "Pina". La Lega presenta Susanna Ceccardi detta "Susanna" o "Susi" e Claudio Borghi detto "Borghi Aquilini". 
Gran parte dei giornalisti che competono per l'Europarlamento sta nelle liste del centrosinistra. In Pace, Terra, Dignità, oltre al promotore Michele Santoro, compare il vignettista Vauro Senesi detto "Vauro", Raniero La Valle, che negli anni Sessanta fu direttore dell'Avvenire d'Italia e Fiammetta Cucurnia (ex Repubblica). Il Pd schiera la nota giornalista Lucia Annunziata, l'ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, Sandro Ruotolo, Donatella Alfonso, Teresa Bartoli e Lidia Tilotta. Nelle liste Stati Uniti d'Europa compaiono: Eric Jozsef, corrispondente di Libération, Alessandro Cecchi Paone e Marco Taradash. Con Avs ci sono diversi freelance, con Azione di Carlo Calenda la giornalista ucraina Nataliya Kudryk. Il M5s presenta Gaetano Pedullà, che per la corsa a Bruxelles ha lasciato la direzione de La Notizia. Tra i candidati di Forza Italia-Noi Moderati, compare la freelance Laura D'Incalci, in quelle della Lega il giornalista campano Luigi Barone. Anche in Fratelli d'Italia alcuni candidati hanno avuto esperienze giornalistiche, ma mai come attività primaria.    

Sfogliando le liste ci si imbatte anche in strane omonimie e  cognomi illustri. Il primo è il caso Roberto Mancini, che non è l'ex allenatore della nazionale ma un candidato di Pace, Terra, Dignità. Il secondo è quello di Giovanna Giolitti, pronipote dello statista Giovanni Giolitti, che corre con FdI. Il partito di Meloni presenta anche Vincenzo Sofo, europarlamentare passato dalla Lega a Fratelli d'Italia e sposato con Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen.









 leggendo   tale  news    mi   chiedo ma che  .....  ha  fatto  il  buon senso   e di roispetto  . Il tuo desiderio    di non pagare  in più  o   non pagare    anche cose  che  non ha  preso   non giustifica la tendenza a trattare i dipendenti con sufficienza o a rendere i loro compiti più complicati senza un valido motivo.Infatti   bastava  farsi portare un conto  dettagliato  con le singole  voci e  poi    ogni  uno mettere  i  i mpropri soldi nel  conto totale  .  semplice  no  ?  invece  



Il Mattino  5\5\2024

Conto separato, cameriera in lacrime: «Tavolo da 40 persone e hanno voluto pagare uno alla volta quello che hanno mangiato»



Le professioni che richiedono uno stretto e frequente contatto con il pubblico, in generale, generano moltissime lamentele, e lo staff dei ristoranti non fa di certo eccezione. Il rapporto con i clienti, infatti, presenta una serie di difficoltà, molte delle quali sono spesso legate a richieste particolari o alla totale mancanza di rispetto nei confronti di una persona che sta cercando di svolgere il suo lavoro.

Il fatto che il personale sia lì per rendere l'esperienza del cliente il più positiva possibile non giustifica la tendenza a trattare i dipendenti con sufficienza o a rendere i loro compiti più complicati senza un valido motivo. Proprio di questo si è lamentata Lizeth, una cameriera in un ristorante messicano: tavolo da 40 persone, e al momento di pagare il conto ognuno di loro ha voluto uno scontrino separato.
Gli scontrini separati al ristorante
Lizeth ha pubblicato un video sul suo account TikTok in cui lamenta una richiesta da parte di alcuni clienti durante il suo turno di lavoro come cameriera al ristorante e lo fa tramite una clip di appena 21 secondi in cui vediamo uscir fuori una serie di scontrini dalla macchinetta, uno dopo l'altro. Il testo chiarisce quale sia il problema: «Gruppo di 40 persone, vogliamo conti separati per favore».Poi, nella didascalia c'è uno spaccato del suo stato d'animo: «Emoji dell'occhio che trema». Il problema di questo tipo di situazioni, come spiega Lizeth, è relativo al fatto che si «spreca un sacco di tempo, tempo che si dovrebbe dedicare al servizio agli altri tavolo, che finiscono per arrabbiarsi. Poi ci sarà sempre qualcuno che fa i capricci e dice che non ha ordinato quell'antipasto o quella bibita» Gli utenti hanno commentato ed espresso il proprio supporto e comprensione: «Posso capire 5 o 10, ma 40? Mi sarei messa a piangere», scrive qualcuno, e lei risponde «Infatti ho pianto, un pochino». Poi, c'è chi fa presente che si tratta di un atteggiamento irrispettoso perché avrebbero potuto pagare in gruppi o tutti insieme e poi passarsi i soldi tramite Venmo o altre app. Diversi utenti, anche loro camerieri, hanno raccontato esperienze simili: «Odio sempre quando vogliono i conti separati, ma è ancora peggio quando mi succede e i bambini sono seduti a un altro tavolo quindi devo capire anche chi è chi ».

30.4.23

abuso del termine eroe i caso di Masi Nayyem Avvocato e militare, n Donbass ha perso un occhio e la voglia di vivere.

 

Avvocato e militare, Masi Nayyem in Donbass ha perso un occhio e la voglia di vivere. Oggi, a Kiev, ha fondato un’associazione per aiutare i veterani ucraini. «Tutti ci esaltano. Ma quando poi torniamo a casa - monchi, orbi, spaventati a morte - non siamo

In battaglia si uccide, l’ho fatto anch’io. Non ho provato nulla, se segui le emozioni sei già morto — Masi Nayyem

Sul tavolo del soggiorno di Masi Nayyem, a Kiev, c’è una pistola. La CZ P-10 9mm semiautomatica striker da 15 colpi, di fabbricazione ceca, riposa in una valigetta di plastica nera. «Me l’hanno restituita dopo l’incidente, è una specie di portafortuna».

Nayyem, avvocato penalista di origini afghane, militare esperto in cybersecurity, una medaglia al valore dell’esercito ucraino e una dell’intelligence, un cane con un nome da romanzo russo - Barmaley - e una passione per i testi buddisti, ha un appartamento vista parco al 7° piano di Pechersk, quartiere bon chic bon genre della capitale, e mezza faccia che gli manca.

Il 5 giugno dell’anno scorso, mentre era in missione di perlustrazione in Donbass, l’auto su cui viaggiava è saltata in aria su una mina, un suo compagno è morto. Masi, il cranio aperto a metà, è stato trasportato e operato in Germania per dieci ore. Ha perso un occhio, il destro, ma che sia sopravvissuto, dicono i medici, è già un mezzo miracolo. «Faccio fatica a prendere la mira quando mi verso l’acqua nel bicchiere, ma per il resto sono tutto intero». A dicembre, Nayyem ha ripreso a lavorare nel suo studio legale, tra i più noti di Kiev. Va in ufficio con la mimetica, «perché finché si combatterà io resto un militare».

La guerra, Masi, l’ha sempre avuta addosso. Nato a Kabul nel 1985, ha perso la madre quando aveva solo dieci giorni. È cresciuto nelle strade invase dai tank sovietici, coi mujaheddin che appendevano agli alberi chi collaborava. Quando aveva sei anni suo padre Muhammad Naim, un ex ministro afghano che si era rifiutato di lavorare per l’Urss, è fuggito a Kiev con lui e gli altri due figli, Mustafà e Mariam. Qui Masi è cresciuto, ha studiato, è diventato avvocato. Finché, nel 2015, si è arruolato nell’esercito per difendere il Donbass e i fantasmi di quando era bambino lo hanno guardato negli occhi. «Sembrava che la guerra mi inseguisse». Quando ha

ucciso un uomo per la prima volta, dice con una voce spenta, non ha provato nulla. «È come mangiare carne: non ti fa piacere, ma devi».

La sera del 23 febbraio di un anno fa, Masi stava fumando pensoso una sigaretta sul divano di casa,

la   sua   auto esplosa 
prima   dell'esplosione 
dopo una giornata di lavoro. Da un po’ usciva con una donna, stavano bene assieme. Sapeva che la Russia era pronta ad attaccare, che in caso di conflitto i riservisti sarebbero stati richiamati per primi, ma avrebbe preferito non dover partire, era stanco di morte. Eppure, all’alba dell’indomani ha chiamato il comando: «Ci sono, ditemi solo dove posso prendere un’arma». Quattro mesi dopo, in ricognizione d’intelligence vicino al confine russo, l’auto su cui viaggiava è esplosa. Lui e i suoi compagni sapevano di percorrere un territorio a rischio, ma dal comando li avevano rassicurati: “Vi diamo un blindato anti-mina”. «Macché blindato, sarà stata la vecchia auto di un politico: aveva solo i finestrini anti-proiettile, la bomba ha squarciato il pianale come fosse di burro». Quando si è risvegliato dopo l’intervento, con la testa fasciata e i medici che bisbigliavano, ha capito subito di aver perso un occhio. La prima cosa che si è chiesto, ammette con un sorriso amaro, è se le ragazze lo avrebbero guardato comunque. La seconda, se sarebbe ancora riuscito a leggere tutti i faldoni di un processo in una notte.

Ma il peggio, se un peggio c’è, doveva ancora arrivare.

Al suo ritorno a casa, Masi si è reso conto che era cambiato tutto. Non aveva più voglia di amici, di aperitivi, di cinema. Non aveva - non ha - voglia di nulla. È uscito con una ragazza, non ha funzionato. «Sto bene solo con Barmaley, il mio cane». Masi l’ha incontrato in Donbass, durante la sua prima spedizione. Il randagio viveva nell’accampamento, ci giocava tutti i giorni. Quando Nayyem è ripartito, il cane ha preso a correre dietro alla sua auto. Cinque chilometri ostinati, a perdifiato. Finché lui non ha frenato e l’ha fatto salire. «È il mio migliore amico».



Neanche casa è più casa. Nell’appartamento di design, un tempo il rifugio di un single benestante, si accumulano i cartoni della pizza. La notte tornano gli incubi: il sangue, il boato che fracassa i timpani. La psicoterapia? «Ci ho provato, con me non funziona». Masi cerca di rimediare col lavoro, fa meditazione, molto sport. Per l’anniversario dell’incidente, a giugno, punta a rimanere nella posizione della panca - sollevato da terra, poggiato solo a mani e piedi - per 100 minuti tondi, una follia. «Lo stress post traumatico è duro da guarire».

Quello che lo angoscia di più, però, è sapere che

Il mio cane è il mio migliore amico, l’unico che sa starmi accanto

— Masi Nayyem

dopo un anno di guerra gli ex combattenti nelle sue condizioni sono già centinaia. Uomini persi, che faticano a ottenere aiuto, «perché l’Ucraina non è pronta». E perché mostrarsi fragili, quando il Paese sta ancora combattendo, è un tabù. Il problema, per Masi, sta anche qui. «Smettetela di chiamarci eroi. Basta. Siamo eroi finché ci battiamo al fronte, poi torniamo, monchi, orbi, spaventati a morte, e non siamo più nessuno».

Se in Ucraina l’alcol è sempre stato un problema, oggi lo è ancora di più. E nell’ultimo anno, spiega l’avvocato, i reati sono raddoppiati. In gran parte dei casi a delinquere sono ex militari che tornano a casa e si ritrovano senza lavoro, senza amici, senza più una famiglia. «Le cicatrici della guerra non sono solo quelle che ti ricuciono in faccia».

Poche settimane fa Nayyem ha fondato Principle, un’associazione che si batte per i diritti umani dei veterani. Attraverso il suo studio legale, aiuta i militari che non riescono a farsi riconoscere l’invalidità dalla farraginosa burocrazia ucraina. In futuro vorrebbe fare molto di più: mettere insieme medici, psicologi, fisioterapisti. Lo Stato, però, deve intervenire. La settimana scorsa il suo appello è arrivato direttamente al presidente Zelensky: «Ha istituito una commissione, ci stanno lavorando».

Masi prende in mano la sua pistola, la osserva come fosse quasi un appiglio. «Siamo stati aggrediti con ferocia, ci stiamo difendendo con tutte le nostre forze. È già abbastanza, gli ucraini non meritano una disfatta della società».

6.11.22

[ AGGIORNAMENTO ] Ha la sclerosi multipla maestra Manu resta a casa Il caso di una docente di Nuraminis ritenuta non idonea all’insegnamento «Dicono che con me i bambini non sono al sicuro. È falso, io non mollo»


 ne  avevo già parlato nel  recedente  post   : <<  Via dall'insegnamento, ha la sclerosi multipla: “Non è giusto". Gli scolari: “Maestra Manu quando torni?” >>

da la  nuova  sardegna  

Alla commissione è bastata mezzora per emettere il verdetto: maestra Manu non è più idonea per fare l’insegnante, perché i suoi alunni con lei potrebbero non essere al sicuro. Maestra Manu ha 54 anni e la sclerosi multipla da quando ne aveva 27 e già lavorava nella scuola. Precaria a lungo, entrata di ruolo da alcuni anni con le categorie protette, sino a metà ottobre era in servizio nella Primaria di Nuraminis, che fa parte dell’istituto comprensivo di Villasor. Emanuela Cappai, maestra di scienze, matematica storia e geografia, è stata messa in malattia d’ufficio, perché non ha accettato il cambiamento di
mansione che le è stato proposto: non più insegnante ma bibliotecaria, perché secondo la commissione non può più gestire i bambini perché ha difficoltà a camminare. Quegli stessi bambini di quinta
elementare che vanno in processione a casa sua, spesso accompagnati dai genitori, per chiederle quando tornerà da loro. E che un paio di settimane fa, insieme ad altri scolari, si sono dati appuntamento al parco armati di striscioni e cartelloni: ridateci la nostra maestra. «Mi fanno commuovere – dice Emanuela –. I miei bambini, perché io li chiamo così, più di molti adulti hanno capito di trovarsi di fronte a una ingiustizia, a una discriminazione. E io non mi arrendo, per me e per loro». Non idonea L’anno scolastico era già iniziato quando il dirigente scolastico ha comunicato a maestra Manu che una commissione di verifica, composta da medici e da un rappresentante del Ministero dell’istruzione, avrebbe accertato la sua idoneità all’insegnamento. È una visita inattesa, che comunque Emanuela Cappai affronta serenamente. «Non mi aspettavo che andasse a finire in questo modo. Ho scoperto che avere una disabilità, oltre che una sfortuna, è anche una colpa. Quando sono uscita da quella stanza conoscevo già il responso, due giorni dopo mi è stato comunicato ufficialmente dalla scuola. Il dirigente mi ha proposto un altro incarico che prevede anche un cambio di contratto. Dovrei mettere nero su bianco che rinuncio alla docenza. Ho detto no e da allora sono a casa in attesa, è iniziata un’altra battaglia che non pensavo di dover combattere». Il ricorso Venerdì mattina maestra Manu ha depositato il ricorso contro la decisione della commissione. «Mi sono rivolta all’Aism, l’Associazione sclerosi multipla. Mi assistono due avvocate. Nel ricorso chiedo di essere vista in seconda istanza da un’altra commissione, composta da medici, a Roma. Punto a essere reintegrata nel mio ruolo. Io sono un’insegnante, questo è il mio lavoro e lo faccio con passione da anni. E sono certa di poterlo fare ancora, perché la mia malattia non rappresenta un ostacolo. È inaccettabile e fa molto male sentirsi dire che con me i bambini potrebbero essere in pericolo, perché non è mai stato così. È vero, sono lenta nei movimenti, utilizzo il bastone e da un paio di anni mi sposto con il deambulatore. Ma la mia voce è forte e chiara e soprattutto non sono sola: un insegnante non è mai da solo, ci sono i colleghi, ci sono i bidelli, siamo una comunità educante che collabora. Un insegnante non vive dentro una bolla, all’interno della sua aula. È triste che qualcuno ragioni così ed è profondamente ingiusto che questo accada nel mondo della scuola, che dovrebbe essere il tempio dell’inclusione. Gli alunni con disabilità hanno l’insegnante di sostegno, il diritto allo studio viene garantito. Invece per via della malattia io vengo demansionata e privata della mia identità, dopo avere dedicato la vita alla scuola. In questi giorni ho scoperto che tanti altri prima di me sono stati discriminati, esistono gruppi, coordinamenti di docenti “non idonei” che lottano per affermare i propri diritti. Mi sembra di vivere in un mondo alla rovescia». La solidarietà Maestra Manu non è rimasta in silenzio. Chi la conosce e sa con quale piglio ha affrontato la malattia, non si è stupito. Ha scritto un post su Facebook per spiegare agli alunni le ragioni della sua momentanea assenza e in un attimo la storia ha avuto centinaia di condivisioni. I bambini e le famiglie hanno iniziato la loro protesta e sono intenzionati ad andare avanti sino a quando Emanuela Cappai non tornerà in aula: la vicenda viaggia sui social, qualche giorno fa è approdata anche in tv alle Iene, tante associazioni hanno preso posizione, chi come Emanuela convive con la sclerosi multipla – patologia che in Sardegna ha un’incidenza doppia rispetto alla media nazionale – urla allo scandalo. Come Stefania Calvisi, nuorese di 46 anni, che ha scoperto di avere la sclerosi a 18. Lei ha un blog dal titolo “Non sclero... sorrido e vivo” dove racconta come si fa a convivere con una malattia neurodegenerativa «che si impadronisce del tuo corpo come se fosse il suo», senza mai mollare. Anzi alzando la voce per affermare i diritti dei malati, alle cure ma anche al rispetto. Stefania ed Emanuela sono diventate amiche, la battaglia di una è diventata anche dell’altra: «E la vinceremo, perché i bambini aspettano e non è giusto deluderli». Ha la sclerosi multipla maestra Manu resta a casa Il caso di una docente di Nuraminis ritenuta non idonea all’insegnamento «Dicono che con me i bambini non sono al sicuro. È falso, io non mollo»





La scuola dovrebbe includere non escludere e discriminare. Una legge quella sull' Inidoneità fisica al servizio secondo l’art. 55 octies del d.lgs. n. 165/2001. chi avendo una patologia importante è in grado di assolvere il proprio lavoro egregiamente seppur limitato nei movimenti . È molto grave un atteggiamento del genere da parte di una scuola che si mostra completamente ignorante e pericolosa oltre che discriminatoria . Oggi è un insegnante con sm,domani potrà essere un insegnante diabetico e via dicendo.  << Non avrei mai pensato che avere una disabilità potesse essere una colpa Alla faccia di tutti i bei discorsi sull’inclusione >>( la stessa protagonista  della vicenda ) 
Decisione assurda...sono basito, e pensare che siamo nel nostro terzo millennio esistenziale.
La caccia alle streghe del medioevo, quando bastava un niente, e la Santa Inquisizione era pronta mettere al rogo chiunque ... o  a  emarginare    e mettere  ai margini gli invalidi  o chi ha  un  handicap . Puyr  non esendo avvocato    posso dire  che  sicuramente, per quanto ne so io non ci può essere un demansionamento di livello o retributivo. Dal punto di vista della civiltà, l'ennesimo fallimento  ed  l'ennessima storia  di  emarginazione  e discriminazione    di chi soffre  di  una gravissima   malattia    che 




25.6.22

Dopo il questionario della vergogna, un altro schiaffo ai disabili: tagliati i contributi ai caregiver e resistenza di una madre con la figlia che ha Encefalopatia ipossico ischemica



Di cosa stiamo parlando
Questionario del Comune di Roma: “Quanto ti vergogni di tuo figlio disabile?". Risposta: “Tranquilli, non intende candidarsi con voi” da La cattiveria Il Fatto Quotidiano25 Jun 2022 e WWW.FORUM.SPINOZA.IT
per chi volesse saperne di più i link sotto

  1. https://roma.repubblica.it/cronaca/2022/06/24/news/questionario_campidoglio_ti_vergogni_di_tuo_figlio_disabile_roma-355213512/
  2. https://roma.repubblica.it/cronaca/2022/06/25/news/contributi_cargiver_tagliati_regione_lazio-355318016/?ref=RHTP-BH-I354284481-P3-S5-T1
non so come trovi la forza d'andare avanti una madre con tali problematiche ( vedere inizio post  e  fine post    ) 



da https://luce.lanazione.it/lifestyle/    20 Giugno 2022 


  di   Caterina Ceccuti

 N.B le  foto    sono state  gentilmente   concesse  dalla famiglia 

La forza di mamma Benedetta e il sorriso di Viola: “Mia figlia non può né parlare né camminare, ma non compiangetela”
Colpita da Encefalopatia ipossico ischemica, la piccola ha subito danni permanenti durante il parto. La madre racconta a Luce! i momenti più belli e i più difficili della loro vita: "Una volta le dissi 'ti amo più delle stelle', lei alzò gli occhi al cielo"






Questo avrebbe dovuto essere il racconto di Benedetta, una madre molto coraggiosa che dodici anni fa, per un errore umano, ha accolto nella propria vita una figlia colpita da Encefalopatia ipossico ischemica. Invece, mano mano che l’intervista andava avanti, ad ergersi a protagonista della storia è stata proprio Viola, questa bella ragazzina dai colori chiari, orgogliosa e tenace, che non teme la propria disabilità ma detesta piuttosto essere commiserata. Viola ha subito un danno da parto, che la costringe su una sedia a rotelle e che le impedisce di esprimersi attraverso le parole. Ed è questo a farla soffrire sopra ogni cosa: l’impossibilità di parlare, più ancora che di camminare, e soprattutto la difficoltà di farsi intendere dagli altri come vorrebbe. Eppure, nessuno potrebbe dubitare che Viola sia capace di farsi capire, dopo aver letto le parole con cui Benedetta ha saputo mettere in chiaro la forza di sua figlia. E grazie alla dedizione di due genitori speciali, la personalità straordinaria di Viola emerge chiara e forte nella costellazione di conquiste in cui ha saputo trasformare la sua vita.



Benedetta, com’è Viola di carattere?

“Sicuramente solare, simpatica e allegra. Sa essere spiritosa, ma anche polemica. Di lei amo l’autoironia e la determinazione, ma devo ammettere che ha il suo caratterino, e questo in più di un’occasione è stata la sua forza. Spesso infatti mi sono resa conto che a soffrire per le cose che non vanno sono più di lei. Se andiamo al parco, per esempio, Viola vede gli altri correre ed è felice, è serena se vede i suoi coetanei giocare. Certo, io e suo padre abbiamo sempre cercato di farle fare tutto il possibile: equitazione, concerti di musica, piscina, viaggi ecc. Ma penso che il merito della sua serenità sia principalmente suo. Comunque Viola è anche una ragazzina molto permalosa, se la lega al dito, ed anche se è buona come il pane conviene sempre non pestarle i piedi: se decide che non vuole più andare da un terapista, stai pur certa che non ci metterà più piede. In questo periodo poi ci facciamo delle litigate! Soprattutto per colpa degli sbalzi di umore forti che, come tutti gli adolescenti, sta avendo in questo periodo. Come se non bastasse quest’anno si è invaghita di un compagno di classe e ha avuto la sua prima delusione d’amore. Purtroppo è solo la prima…”.

Cosa successe al momento del parto, dodici anni fa?

“Sono andate storte tante cose che invece avrebbero dovuto andare dritte. Ho partorito a 39 settimane più 6 giorni, perfettamente nella norma, ed ero stata seguita lungo tutto l’iter pre parto dal Primario dell’Ospedale ‘Fate bene fratelli’ di Roma. Non avevo badato a spese, all’epoca avevo 37 anni e ci tenevo che venissero fatti tutti i controlli del caso. Avevo anche desiderato di partorire con un cesareo, per evitare rischi, ma il mio medico non aveva voluto. I prodromi del parto furono lunghissimi e i dolori molto forti, ma il parto non voleva aprirsi. Così mi ruppero le acque manualmente e da lì iniziò il calvario. Dolori sempre più forti, poi l’elettrocardiogramma che iniziò a segnare un battito irregolare, segno di sofferenza nella bambina. Ancora il cambio turno del personale, la sfortuna, il parto che continuava a non aprirsi e i dolori che diventavano ancora più forti. Alla fine fui portata in sala parto e mi vennero applicate sei ventose, di cui una manuale, le ultime parole che ho sentito sono state “abbiamo perso il battito”, poi la corsa in sala operatoria e il cesareo di urgenza. Viola era morta, ma l’hanno rianimata. Solo che dopo è mancato un intervento immediato, prima di condurre mia figlia in terapia intensiva è passato troppo tempo, durante il quale non è stata applicato il protocollo per l’ipotermia terapeutica – o baby cooling – che serve per limitare i danni dell’asfissia intrapartum. Si tratta di una sorta di trattamento neuro protettivo, tant’è che dopo 24 ore Viola ha avuto le prime crisi epilettiche”.

Quali sono state le conseguenze?

“Una diagnosi conclamata di Encefalopatia ipossico ischemica, con conseguente compromissione dei nuclei della base, che sono responsabili dell’equilibrio e della sfera del linguaggio. Mia figlia è rimasta quasi 35 minuti senza ossigeno, per ciò non camminerà mai autonomamente e non potrà mai parlare”.

Quale è stato il suo stato d’animo?

“Avrei potuto abbandonarmi alla rabbia, ne avrei avuto tutto il diritto. Ma ho scelto di non farlo, per Viola, per me stessa e per la mia famiglia. Non vado mai a riguardare la cartella clinica né leggo le sentenze del tribunale, anche se mi hanno dato ragione. Ho scelto di allontanare la negatività e di tirarmi su le maniche, di impegnarmi con ogni mezzo perché mia figlia abbia la migliore vita possibile, la maggior autonomia possibile e, soprattutto, perché possa essere felice, anzi perché si possa essere felici tutti e tre insieme. E dopo 12 anni, grazie al lavoro fatto, Viola è più che presente, comunica con gli occhi attraverso un puntatore oculare”.Entrambi i genitori di Viola provengono da precedenti matrimoni. “I primi anni sono stati molto duri per tutti”, racconta la mamma (Foto gentilmente concessa dai genitori)

Suo marito ha avuto da subito la sua stessa forza d’animo?

“I primi anni sono stati molto duri per tutti, specialmente per lui. Entrambi venivamo da precedenti matrimoni, ma mentre io non avevo avuto figli, mio marito ne aveva avuto uno, dunque vedendo crescere Viola aveva inevitabilmente fatto paragoni con quello che avrebbe potuto essere, o potuto fare, e soffriva molto. Io, semplicemente, mi limitavo a guardare Viola e a credere in lei. Non sono mai riuscita a considerarla gravissima, come invece prontamente i medici hanno sempre sottolineato che fosse nel corso degli anni. Io non ho mai voluto etichettarla, neanche quando la neuro psichiatra lesse la prima risonanza che le avevamo fatto e mi disse “Il danno è gravissimo”. Non si è mai pronti a sentire parole come queste. La cosa più difficile è non lasciarsi sopraffare dalla rabbia. Purtroppo ho amiche completamente dilaniate dalla rabbia e dal dolore, inferocite contro il mondo, che neanche riescono ad occuparsi del proprio figlio, né a godere delle piccole cose”.


Qual è stato il piano d’azione, una volta portata a casa la vostra neonata dall’ospedale?

“Ci siamo subito attivati. Abbiamo portato la piccola a fare visite specialistiche e già dall’età di quattro mesi ha iniziato a fare psico motricità tre volte a settimana. Ma era poco rispetto a quel che si poteva fare, poco rispetto a quello di cui aveva bisogno per poter sfruttare le proprie capacità residue. Purtroppo la presa in carico del territorio si è rivelata insufficiente, perché ci hanno insegnato solo ad accettare la disabilità di nostra figlia, non a concentrarci sulle possibilità di miglioramento e riabilitazione. Abbiamo iniziato a frequentare centri specializzati nell’assistenza alle Paralisi cerebrali, sia in Italia che all’estero. Viola negli anni ha seguito programmi speciali di nuoto e di fisioterapia che hanno lo scopo di ripristinare i riflessi primitivi, un impegno notevole sia per mia figlia che per tutta la famiglia, costretta ad allontanarsi da casa per intere settimane. Ma è stato in quelle occasioni che ho conosciuto altre mamme fantastiche e ho visto migliorare tanti bambini. A casa, fin da piccolissima, l’ho bombardata dal punto di vista cognitivo: organizzavo giochi di sensibilizzazione del tatto e della propriocettività, le parlavo in tre lingue diverse ecc”.Una

Qual è stata la sfida più dura?

“La masticazione: la sua è una Paralisi Cerebrale con quadro di tetraparesi ipertonica distonica, il che significa che mia figlia è preda di forti movimenti involontari. Se cerca di prendere un bicchiere con la mano, compie cento movimenti con tutti e quattro gli arti che non sono funzionali. Nel tempo abbiamo eseguito un lavoro di raffinamento. Certo, non mangia con il cucchiaio ed è un po’ sotto peso, ma la masticazione l’abbiamo raggiunta, grazie alla tenacia sia mia che sua, e non devo frullare il cibo per poterla nutrire”.

Avete pagato privatamente tutte le terapie per Viola?

“Certo, e stiamo parlando di terapie costose, che comportano spesso anche trasferte all’estero per me e per un accompagnatore, visto che mia figlia è cresciuta e non riesco più a portarla da sola. Lo Stato non prevede rimborsi, anzi spesso faccio fatica a svincolare i soldi dell’accompagno dal giudice tutelare. Io e mio marito lavoriamo entrambi, abbiamo potuto contare sui nonni, dunque siamo stati fortunati. Ma conosco famiglie che non possono permettersi cure simili, benché paesi come la Slovacchia e la Polonia siano dotati di centri di altissimo livello per il potenziamento delle persone con Paralisi Cerebrale, che sono sicuramente meno costosi dei centri italiani”.
Quale programma segue Viola quando vi recate nei centri specializzati?

“Programmi molto intensi. Fa cinque ore al giorno di allenamento, massaggi, fisioterapia, ippoterapia, nuoto ecc. Le giornate iniziano alle 8 e non finiscono prima delle 16. È molto impegnativo per tutti, ma devo dire che alla fine di ogni esperienza Viola si porta a casa qualcosa”.

Oggigiorno Viola cosa può fare?

“Dal punto di vista motorio è come se avesse meno di un anno. Non sta seduta da sola per più di qualche minuto, ma cammina con l’aiuto di un deambulatore. Le mancano l’equilibrio e la parola. Riesce a comunicare con gli occhi, ce ne siamo accorti fin da piccola, una volta che le dissi “Mamma ti ama più delle stelle” e lei alzò gli occhi al cielo. Ma abbiamo dovuto faticare moltissimo, anni e anni di frustrazione prima che, finalmente, quattro anni fa ottenessimo il puntatore oculare, grazie al quale lei usa gli occhi come fossero un mouse sullo schermo del computer. Può mandare messaggi, giocare, comunicare con più soddisfazione. Questo per lei è essenziale, perché non sopporta che le si mettano in bocca parole non sue. Purtroppo il luogo comune del “Sei sulla sedia a rotelle e non parli, per cui non capisci niente”, la fa spesso da padrone. A scuola quest’anno ho dovuto litigare con la professoressa di italiano perché si rifiutava di parlare direttamente con Viola, ma si rivolgeva solo al suo insegnante di sostegno 




Qual è il suo incubo di madre?

“Sicuramente il “dopo di noi”. Non posso contare su nessuno di più giovane di me o di mio marito che possa prendersi cura di Viola. Per questo stiamo lavorando con tutte le forze per renderla il più possibile indipendente. A volte vorrei essere immortale per poterla accudire per sempre”.

Ha mai chiesto a Viola quale fosse il suo desiderio più grande?

“Sì, e la risposta non è stata quello di camminare, come invece mi sarei aspettata. Mi ha detto che vorrebbe poter parlare, le dà fastidio il fatto che tutti pensino che sia stupida solo perché non parla. E la fa soffrire il fatto di dover sempre dimostrare che invece non lo è”.


Mentre  finivo  di  riportare   quest  articolo      sempre  sulla stessa  pagina leggo   questa   triste  notizia  

Anche questa estate, Ledha o la Lega per i diritti delle persone con disabilità si mobilita per garantire il Diritto al centro estivo e il Dovere della sua accessibilità.

Nel mese di giugno, il centro antidiscriminazione Franco Bomprezzi ha infatti ricevuto il 20% di segnalazioni in più da parte di famiglie che si sono viste rifiutare l’iscrizione al centro estivo per i propri figli. Tra le denunce raccolte, anche la prassi – diffusissima – di chiedere ai genitori un contributo aggiuntivo rispetto alla retta per poter usufruire di un assistente durante lo svolgimento del centro. “Chi vieta, oppure limita, la partecipazione dei bambini disabili al centro estivo non ha la consapevolezza di quanto male faccia sentirsi dire no, per te non c’è posto”, dice il direttore di Ledha Giovanni Merlo. Oltretutto, “si tratta di una violazione dei diritti umani“.

IL PROBLEMA DOPO LA PANDEMIA È ESPLOSO 

Che siano comunali, organizzati dalle parrocchie o sportivi, in Italia i centri estivi si fanno spesso trovare impreparati in tema di accessibilità. E così, di anno in anno, chiudono la porta in faccia a tanti bambini che avrebbe diritto come gli altri ai loro servizi. Un problema storico che il direttore Merlo con la sua Ledha segnala “da diversi anni, anche prima della pandemia, ma che quest’anno è esploso”. Non attrezzarsi per accogliere nei centri estivi i bambini con disabilità è “una palese discriminazione in violazione della legge 67 del 2006 sulle pari opportunità”, continua Merlo. Inoltre, “la prassi diffusissima di delegare il contributo per la partecipazione dei loro figli alle famiglie, da parte degli enti gestori, è illegittima”.

COSA FARE E A CHI SEGNALARE: NUMERI UTILI

Le famiglie che si vedono rifiutare il diritto al centro estivo dei loro figli possono segnalare questi episodi al Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi all’email antidiscriminazione@ledha.it. La Lega ha inoltre pubblicato sul suo sito una scheda legale rivolta alle famiglie e il fac simile di lettera che i genitori possono direttamente scrivere agli enti gestori dei servizi ricreativi pubblici o privati che siano. Le risposte delle amministrazioni potrebbero non essere tempestive, per questo Ledha offre anche consulenza legale gratuita.


  che  rafforza  la mia elucubrazione mentale espressa  all'inizio  del post 

raccontare i femminicidi \ amori criminali di oggi con quelli del passato il caso Beatrice cenci

 Per  il 25  novembre   anzichè raccontare  le  recenti   storie di femminicidio \  d'amore criminale  che   in una società sempre  più ...