https://sintony.it/news 27\3\2023
A Tempio nasce l'acquavite di ghiande, si chiama Làndhe
Poteva sembrare una bestemmia per i cultori del fil’e ferru, e infatti l’idea di produrlo con le ghiande ha fatto storcere il naso a molti. Ma Fabio Depperu, agronomo e titolare dell’Azienda Agricola “Frutti di Bosco” di Tempio Pausania, ci ha creduto e l’ha fatta. Del resto la ghianda è sempre stato un alimento, in tempi di carestia, come canta Peppino Mereu nella sua lettera a Nanni Sulis: “Famidos, nois semus pappande pan'e castanza, terra cun lande”. Dunque perché non provare a produrre l’acquavite di lande?Eccola . Dal cuore selvaggio di una terra unica nasce una pianta, la quercia, albero simbolo della Sardegna. Nata senza l’aiuto dell’uomo, lotta continuamente con la natura per avere uno spazio di vita. Da secoli cresce con maestosità e differenza, con forme disegnate dal vento, e di vento e di luce si nu tre. Il frutto della quercia è la ghianda, Làndhe, in lingua sarda.
Fabio l’ha pensato e creato. E' un prodotto sardissimo e identitario e ha subito conquistato appassionati e sommelier. Il progetto, che all'inizio poteva apparire visionario, ha presto conquistato i ricercatori delle università di Sassari e di Udine che hanno collaborato al progetto e ha goduto del sostegno convinto di altri esperti, in particolare dell'agronomo Walter Carta. Certo, sulla carta il progetto era plausibile, dal momento che la ghianda è un frutto amidaceo. E dalla trasformazione degli amidi in alcol è possibile ottenere un mosto che, distillato, può portare a un’abbardente. Ci sono voluti anni di sperimentazioni e ricerche prima di arrivare a un risultato soddisfacente. Ma alla fine i sacrifici di Fabio sono stati premiati.
Il suo percorso inizia nel 2009 con i piccoli frutti che coltiva e serve nei migliori resort della Costa Smeralda. Coltiva in campo aperto dall’uva spina alla mora, dal ribes al mirtillo. Questa produzione stagionale, però, non gli basta più: vuole arrivare all’essenza, conservarla, immobilizzarla nel tempo. Ecco perché pensa alla distillazione: presenta un progetto europeo in collaborazione con la facoltà di Scienze Agroalimentari per l’Università di Udine, allestisce una microdistilleria e crea i primi distillati monofrutta.
Poi arriva l’ispirazione con la ghianda. Ma l’idea di farne un distillato sembra una follia. Non ci sono precedenti, non sarebbe teoricamente neppure possibile metterla in commercio perché mancano testimonianze sulla sua edibilità. Fabio inizia un lungo percorso di ricerca in tutta Europa, di studio della storia, contemporaneamente alle analisi effettuate nei laboratori dell’Università. L’obiettivo è ottenere il via dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e dall’Ispettorato centrale repressione frodi al commercio di questo prodotto.
Fabio vince la sua (prima) battaglia e così può continuare ad accendere il suo microalambicco da 140 litri a fiamma diretta e distillare quel raccolto tanto faticoso da ottenere. "Le ghiande - spiega - non ci sono tutti gli anni. Ad esempio la sughereta sperimentale Cusseddu Miali Parapinta di Nuchis nel 2019 era così piena di ghiande da non poterci camminare, nel 2020 e nel 2021 al contrario era completamente sgombra per colpa del Maestrale che l'ha colpita in fioritura bloccando del tutto la produzione”. Questo però non è l’unico ostacolo: “Le ghiande possono essere raccolte solo da terra, perché solo queste sono sicuramente mature, ma sono anche più appetibili per gli insetti che ne apprezzano l’amido e per i cinghiali. Devono essere cernite una a una durante la raccolta e prima dell’utilizzo”. Risultato? Quattro persone non riescono a raccogliere più di due quintali di prodotto in una giornata che poi devono essere essiccati per almeno 35 ore. Una volta terminata questa fase, inizia la macinatura per trasformare le ghiande in uno sfarinato molto fine che viene inserito nel bollitore dove inizia la fermentazione. Il fiore del mosto subisce tre cicli di distillazione. La resa è infinitesimale: meno di un litro di distillato da un quintale di ghiande verdi. La produzione non supera le 2000 bottiglie l’anno, racchiuse in cofanetti di legno realizzati a mano e con le scritte in Braille.
Landhè nasce dal bosco, da piante secolari. “Nessuno può pensare di piantare delle querce e raccoglierne i frutti - continua - noi abbiamo scelto di prendere in affitto una foresta certificata FSC, poco o nulla antropizzata”. Quelle ghiande si legano alla Sardegna di secoli fa e l’acquavite che se ne ricava è un ponte con quei boschi dell’Alto Medioevo, ne conserva il profumo. Un mix di castagna e nocciola, di falò spenti e di terra appena prima che cada la pioggia.