da repubblica del 27\10\2021
“Sono Agnese e sono trans, nella mia tesi di laurea racconto i diritti negati”
di Salvo Palazzolo
Agnese Vittoria
CATANIA - "Quando arrivai in città per frequentare l'università nessuno voleva affittarmi una stanza", racconta. "Al telefono, mi dicevano che il posto era disponibile. Poi, quando mi vedevano, sostenevano l'opposto". Agnese Vittoria ne ha fatte tante di battaglie contro le discriminazioni. All'anagrafe ha ancora un nome maschile, ma rivendica quello che chiama il suo "diritto a una vita normale".
Dopo l'iscrizione alla facoltà di Scienze della comunicazione, ha chiesto al senato accademico un libretto col suo nome. L'ha ottenuto?
"Certo. Un gesto di grande attenzione da parte dell'istituzione universitaria. Direi, un caso raro. Perché spesso le istituzioni sono indifferenti rispetto a certi temi. O, peggio, non comprendono. Questa volta no, è stato colto il mio disagio davanti a quel libretto col nome maschile: a ogni esame provavo un grande imbarazzo a essere chiamata davanti a tutti".
Martedì si è laureata con una tesi in sociologia. Ha passato in rassegna le discriminazioni che troppo spesso vengono lanciate da uomini delle istituzioni, politici e operatori dell'informazione. Ci fa qualche esempio?
"Ho voluto trasformare la mia tesi in un momento di impegno, per far comprendere a tutti cosa accade nell'indifferenza generale. Sono grata al professore Davide Bennato, che mi ha sostenuto nella ricerca sulle violenze omofobe in Europa e negli Stati Uniti, violenze che continuano a esserci nonostante leggi e diritti approvati. Un esempio ad alto livello? L'ex presidente Donald Trump, disse: "Farò tutto ciò che è in mio potere per proteggere i nostri cittadini Lgbt dalla violenza e dall'oppressione di un'odiosa ideologia straniera". Come se la comunità Lgbt+ fosse vittima solo dell'integralismo islamico".
Mi dica un caso italiano che cita nella sua tesi?
"Giorgia Meloni. Nel programma televisivo Pomeriggio Cinque, condotto da Barbara D'Urso, ha dichiarato che lo "Stato non fa le leggi sull'amore. Lo Stato incentiva la famiglia naturale fondata sul matrimonio perché gli serve in quanto finalizzata alla procreazione". Una frase che, oltre a mimetizzare un sentimento razzista e sessista, rappresenta anche una forma di discriminazione delle donne non fertili".
Nella sua ricerca critica anche il modo di fare informazione sul tema. Quali stereotipi vengono ripetuti?
"Si tratta di omotransfobia senza focalizzare l'attenzione sulle cause scatenanti del fenomeno. E si parla di soggettività Lgbt+ solo in funzione di qualcos'altro di carattere negativo: casi di cronaca che hanno come protagoniste persone aggredite, giri di droga e prostituzione, ovvero rivendicazione di diritti che vengono ritenuti lesivi dei valori della famiglia tradizionale e degli unici due generi possibili, femminile e maschile. Per il resto non esiste una rappresentazione sociale delle soggettività Lgbt+".
Com'è la vita di una giovane transgender a Catania?
"Da ragazza mi sono trovata a vivere in un ambiente inclusivo, nonostante vivessi in un piccolo paese della provincia catanese. Il liceo l'ho frequentato dalle suore di Caltagirone, lì ho avuto sempre la massima accoglienza. I problemi sono iniziati quando sono arrivata a Catania: anni fa, avevo paura di tornare a casa la sera. Diverse volte fui molestata e spesso le forze dell'ordine consideravano pretestuose le mie segnalazioni. Oggi, per fortuna, tante cose sono cambiate. Ma resta ancora tanto da fare".
Dopo la laurea quali sono i suoi progetti?
"Mi iscriverò alla magistrale in filosofia. E continuo a coltivare la mia passione per il mondo del cinema, mi piacerebbe fare l'attrice o la regista. Chissà, magari scriverò un libro per ripercorrere la mia storia. Intanto, con la tesi ho scritto di tante persone discriminate".
Cos'è l'omofobia oggi in Italia?
"È soprattutto un problema culturale che non riguarda solamente una determinata fascia della popolazione, magari meno istruita, come si vuole far credere. Riguarda anche persone che ricoprono cariche istituzionali"
CATANIA - "Quando arrivai in città per frequentare l'università nessuno voleva affittarmi una stanza", racconta. "Al telefono, mi dicevano che il posto era disponibile. Poi, quando mi vedevano, sostenevano l'opposto". Agnese Vittoria ne ha fatte tante di battaglie contro le discriminazioni. All'anagrafe ha ancora un nome maschile, ma rivendica quello che chiama il suo "diritto a una vita normale".
Dopo l'iscrizione alla facoltà di Scienze della comunicazione, ha chiesto al senato accademico un libretto col suo nome. L'ha ottenuto?
"Certo. Un gesto di grande attenzione da parte dell'istituzione universitaria. Direi, un caso raro. Perché spesso le istituzioni sono indifferenti rispetto a certi temi. O, peggio, non comprendono. Questa volta no, è stato colto il mio disagio davanti a quel libretto col nome maschile: a ogni esame provavo un grande imbarazzo a essere chiamata davanti a tutti".
Martedì si è laureata con una tesi in sociologia. Ha passato in rassegna le discriminazioni che troppo spesso vengono lanciate da uomini delle istituzioni, politici e operatori dell'informazione. Ci fa qualche esempio?
"Ho voluto trasformare la mia tesi in un momento di impegno, per far comprendere a tutti cosa accade nell'indifferenza generale. Sono grata al professore Davide Bennato, che mi ha sostenuto nella ricerca sulle violenze omofobe in Europa e negli Stati Uniti, violenze che continuano a esserci nonostante leggi e diritti approvati. Un esempio ad alto livello? L'ex presidente Donald Trump, disse: "Farò tutto ciò che è in mio potere per proteggere i nostri cittadini Lgbt dalla violenza e dall'oppressione di un'odiosa ideologia straniera". Come se la comunità Lgbt+ fosse vittima solo dell'integralismo islamico".
Mi dica un caso italiano che cita nella sua tesi?
"Giorgia Meloni. Nel programma televisivo Pomeriggio Cinque, condotto da Barbara D'Urso, ha dichiarato che lo "Stato non fa le leggi sull'amore. Lo Stato incentiva la famiglia naturale fondata sul matrimonio perché gli serve in quanto finalizzata alla procreazione". Una frase che, oltre a mimetizzare un sentimento razzista e sessista, rappresenta anche una forma di discriminazione delle donne non fertili".
Nella sua ricerca critica anche il modo di fare informazione sul tema. Quali stereotipi vengono ripetuti?
"Si tratta di omotransfobia senza focalizzare l'attenzione sulle cause scatenanti del fenomeno. E si parla di soggettività Lgbt+ solo in funzione di qualcos'altro di carattere negativo: casi di cronaca che hanno come protagoniste persone aggredite, giri di droga e prostituzione, ovvero rivendicazione di diritti che vengono ritenuti lesivi dei valori della famiglia tradizionale e degli unici due generi possibili, femminile e maschile. Per il resto non esiste una rappresentazione sociale delle soggettività Lgbt+".
Com'è la vita di una giovane transgender a Catania?
"Da ragazza mi sono trovata a vivere in un ambiente inclusivo, nonostante vivessi in un piccolo paese della provincia catanese. Il liceo l'ho frequentato dalle suore di Caltagirone, lì ho avuto sempre la massima accoglienza. I problemi sono iniziati quando sono arrivata a Catania: anni fa, avevo paura di tornare a casa la sera. Diverse volte fui molestata e spesso le forze dell'ordine consideravano pretestuose le mie segnalazioni. Oggi, per fortuna, tante cose sono cambiate. Ma resta ancora tanto da fare".
Dopo la laurea quali sono i suoi progetti?
"Mi iscriverò alla magistrale in filosofia. E continuo a coltivare la mia passione per il mondo del cinema, mi piacerebbe fare l'attrice o la regista. Chissà, magari scriverò un libro per ripercorrere la mia storia. Intanto, con la tesi ho scritto di tante persone discriminate".
Cos'è l'omofobia oggi in Italia?
"È soprattutto un problema culturale che non riguarda solamente una determinata fascia della popolazione, magari meno istruita, come si vuole far credere. Riguarda anche persone che ricoprono cariche istituzionali"
Leggere Lolita a Kabul: la resistenza delle ragazze afghane che sfidano i talebani con i libri
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Inizialmente in una libereria della capitale afghana, poi nella case private: la storia di come un gruppo di donne cerca di non soccombere al nuovo regime studiando e scambiandosi testi
Le ragazze arrivano alla spicciolata, non vogliono dare nell'occhio. All'interno della libreria si respira un cauto ottimismo. Non sembrano esserci problemi di sicurezza. Non si vedono talebani o guardie armate, sempre presenti per spegnere sul nascere ogni manifestazione pubblica, anche piccola. Il "movimento spontaneo delle donne afgane" si è dato appuntamento in un luogo sicuro per ragionare sul libro La strada: protesta e potere di Ramin Kamangar e Shahir Sirat. Questo è il primo di una serie d' incontri che il movimento promuoverà come programma di formazione.
"Siamo rimaste senza lavoro o educazione, queste riunioni sono fondamentali per ritrovarci e approfondire tematiche legate al nostro futuro", spiega Zainab, una laurea interrotta all'università di Kabul. Le donne si dispongono in cerchio. È un vero e proprio laboratorio d'opinioni. La programmazione delle presentazioni spazia da Leggere lolita a Teheran alla biografia di Malala Yousafzai fino a quella di Michelle Obama.
Alcune settimane fa, le ragazze, sono state circondate dalle forze speciali talebane che - senza toccarle - hanno impedito alla stampa locale e internazionale di raccontare la loro storia. "La prossima volta sarà diverso", promettono. Alcune di queste donne appartengono alla minoranza sciita hazara, una comunità particolarmente istruita. Le donne hazara sono emancipate e sono attive anche per la difesa della comunità a cui appartengono perseguitata dai talebani e presa di mira dai terroristi dell'Isis.
Sono tra le leader di questo movimento spontaneo che si è creato a settembre. Tutte le ragazze sono state schedate nel corso delle manifestazioni dai servizi segreti talebani. Alcune hanno ricevuto minacce dai soldati e ad altre è stata fatta pressione perché si fidanzassero con gli studenti coranici. Il rischio che corrono a scendere in piazza o riunirsi è enorme. Per ora, l'iniziativa del circolo letterario sembra essere stata tollerata dal governo dei mullah ma le ragazze, dopo l'ennesimo attentato di pochi giorni fa contro la comunità hazara, hanno deciso di riunirsi in una casa privata per "leggere Lolita a Teheran".