26.1.17

altro olcausto puntata extra donne e bambini nei lager

 “La verità è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo si è taciuta” (Anna Frank).
 fonti dell'articolo
aggiunta  mia
Ringrazio l'amica  e  utente  daniela tuscano per  aver messso sulla nostra pagina facebook   questo articolo  8nnon si  finisce mai  d'imparare  e d'apprendere dalla  storia e  dalle storie  ) questo articolo   di  https://donneviola.wordpress.com/


Milioni di donne furono perseguitate e uccise durante l’ Olocausto.



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Non furono prese di mira solo le donne ebree ma anche le donne Rom e tutte coloro che avevano difetti fisici o mentali.Il più grande campo di concentramento femminile fu quello di Ravensbrük.
In questo campo tra il 1938 e il 1945 furono incarcerate 100.000 donne.10.000 donne vennero uccise con il gas: donne ritenute pazze, donne malate e anziane.Il campo di Ravensbrük fu conosciuto come “l’inferno delle donne“. In questo inferno morirono 92.000 persone.Nel 1942 venne costituito un campo femminile ad Auschwitz.Le donne in stato di gravidanza e le madri dei bambini piccoli venivano catalogate come inabili al lavoro e venivano mandate a morire subito nelle camere a gas.
Ad Auschwitz i nazisti effettuarono stermini di massa di donne rom. Nell’ operazione denominata Eutanasia uccisero donne disabili.E tra il 1943 e il 1944 la loro furia omicidia si abbattè in villaggi dell’ Unione Sovietica nei confronti di donne che facevano parte di unità partigiane.I medici e i ricercatori nazisti usarono spesso donne ebree e Rom per esperimenti sulla sterilizzazione e per effettuare altri tipi di ricerca.La prima serie di esperimenti riguardò farmaci per la cura delle infezioni dei soldati al fronte.Le donne internate nei campi venivano ferite e infettate.Nelle ferite venivano spesso introdotti pezzi di legno o di vetro per arrivare alla cancrena.A questo punto venivano curate con i farmaci e in questo modo se ne testava l’ efficacia.Altre donne subirono amputazioni per ricerche sulla possibilità di trapiantare ossa e nervi.Ad altre, sempre per questo tipo di esperimenti, venivano spezzati gli arti.
Le sterilizzazioni vennero effettuate su donne zingare per testare nuovi metodi basati sulla chirurgia e i raggi x.
Ad Auschwitz il professor Clauberg inventò un nuovo metodo per sterilizzare le donne che consisteva nel praticare una spruzzatina di un liquido sterilizzante sul collo dell’utero.
Questo metodo provocava dolori intensissimi ed emorragie diffuse ai genitali. Lo scopo finale di questi esperimenti disumani era la sterilizzazione di milioni di persone considerate indesiderabili per il nuovo ordine mondiale prospettato da queste menti malate.Spesso sia nei campi che nei ghetti le donne venivano stuprate.
Per non essere costrette ad abortire le donne cercavano in tutti i modi di nascondere lo stato di gravidanza. Altrettanto spesso le donne venivano forzate a prestazioni sessuali in cambio di cibo.
In queste situazioni disumane nacquero gruppi di mutua assistenza.
Le donne incarcerate si scambiavano informazioni, cibo e indumenti e questo permetteva a volte la sopravvivenza.
Molte di queste donne secondo le testimonianze si strinsero insieme attraversate da un forte sentimento di solidarietà e questo fu un input importantissimo che aiutò molte a non lasciarsi andare.
Altre donne si salvarono perchè furono destinate nei reparti di sartoria, nelle cucine o nelle lavanderie.
Riportiamo uno stralcio della testimonianza di Ida Desandrè riguardo a quanto avveniva nel campo di Ravensbrück
“Nel campo di Ravensbrück eravamo tutte donne: giovani, vecchie… Insomma, c’era un po’ di tutto, ma solo donne.
In questo campo sono stati fatti anche degli esperimenti sulle prigioniere. Esperimenti anche molto terribili. Quello che è stato fatto a me, come a tante altre – c’è qualcuno che lo ricorda con più precisione, c’è qualcun altro che lo ricorda un po’ meno – comunque ci veniva tolto il ciclo mestruale, e allora… A chi mettevano qualcosa nel mangiare… A qualcuna qualcosa nel mangiare… Invece a tante altre veniva… Ti mettevano su un tavolo e ti veniva iniettato, direttamente… Un liquido molto irritante: questo liquido ci ha tolto le mestruazioni. Da quel momento sino a quando non sono tornata a casa, anzi un periodo di tempo dopo che sono rientrata a casa, non ho più avuto le mestruazioni.
Togliendoci, appunto, il ciclo mestruale – questo era un problema molto grave per la donna – ma i nazisti sapevano benissimo le conseguenze di tutto questo perché loro dicevano che noi eravamo come degli schiavi, e che gli schiavi si riproducono troppo in fretta, come i topi, perciò certamente anche in questo senso cercavano in un modo di eliminare il più possibile le persone. Anche nei nostri riguardi, che non avremmo potuto magari più procreare, più avere figli.
Questo penso che sia stato lo scopo di questo esperimento, e anche soprattutto, per vedere l’effetto sulla donna, togliendo il ciclo mestruale… L’effetto che poteva fare. L’effetto è stato quello che poi i nostri corpi si sono riempiti anche di grossi foruncoli: foruncoli sempre pieni di pus… E poi anche i pidocchi… I pidocchi si accompagnavano benissimo coi foruncoli.
Oltre agli esperimenti, poi, le selezioni… Ci sceglievano per portarci fuori del campo di Ravensbrück. Perché il campo aveva i campi satelliti, diciamo i campi di lavoro, sono intervenuti degli industriali tedeschi e ci hanno scelte.”  È stato emotivamente difficile raccogliere queste informazioni.
E crediamo sia stato difficile anche per voi arrivare alla fine di questo post.Ma come sempre tra sapere e non sapere vogliamo sapere.Anche se tutto questo ci lacera dentro.Nella speranza che attraverso la conoscenza e la memoria storica il mondo non debba più rivivere queste atrocità.

DonneViola

io non mi sento italiano dopo i casi di Mantova ( pestata a colpi di sedia: «Nessun cliente del bar mi ha difesa» ) e il caso di venezia dove un extracomunitario affoga e oltre ad insultarlo e filmarlo nessuno lo salva o choama soccorsi

Mantova, pestata a colpi di sedia: «Nessun cliente del bar mi ha difesa»

Parla la donna ferita in un locale di Borgochiesanuova dal compagno dell’ex amica. «Continuava a picchiarmi anche a terra, ma i dieci presenti non hanno fatto nulla»

MANTOVA. Oltre alle botte, tante botte, a farle ancora male è l’indifferenza degli uomini che hanno assistito al pestaggio senza muovere un dito per fermare la furia dell’aggressore, o anche solo per chiamare i soccorsi. «Lo scriva, mi raccomando, l’omertà dei dieci clienti che erano nel bar e anche del titolare. Sì, fa tanto male...». Giulia (nome di fantasia a tutela della donna) è stata aggredita sabato mattina, in un bar del quartiere Borgochiesanuova.
«Ero con un’amica, siamo entrate per comprare le sigarette – racconta Giulia, trentadue anni – seduta a un tavolino abbiamo visto un’amica comune, insieme al suo compagno. Un uomo violento che ci ha allontanato da lei facendoci perdere l’amicizia. Ecco, io mi sono avvicinata per chiederle di uscire qualche minuto fuori, giusto il tempo di parlare un po’, di chiarirci. Ma lui è scattato come una furia, in un lampo, le ha impedito di alzarsi e mi è saltato addosso».
A questo punto il racconto della donna accelera per sgranarsi come il fotogramma di un incubo. «Mi ha preso a sediate, sedie di ferro. Con la prima sedia mi ha buttato a terra, colpendomi alle braccia, alla schiena, al collo – ricorda Giulia con voce spezzata – cadendo ho sbattuto contro il bancone e lui ha continuato a colpirmi anche quando ero a terra, con un’altra sedia. La terza sediata l’ho ricevuta quando mi sono rimessa in piedi, poi, non contento, ha rotto un bicchiere e con i cocci mi ha ferito all’inguine. E intanto nessuno è intervenuto».
Il referto del pronto soccorso parla di una prognosi di guarigione di ventitré giorni, sufficienti per innescare l’indagine d’iniziativa da parte delle forze dell’ordine, senza che sia necessaria la querela della donna. Ma Giulia l’avrebbe denunciato di sua iniziativa, anche per un pugno scarso di giorni.
E poi, a bruciare, ci sono anche le altre ferite. L’indifferenza di chi non è intervenuto a difenderla, l’omertà degli stessi – della serie «un’aggressione? noi non abbiamo visto niente» – e poi la reazione dell’amica, ormai ex.
«Quando mi sono trascinata fuori, insieme alla mia amica, quella vera, per chiamare i carabinieri e il 118, lui e lei mi hanno seguito urlandomi addosso delle minacce irripetibili. Sì, anche lei. E poi c’è un’altra cosa che non mi va giù». Quale? «Io continuo a passarci davanti a quel bar, e lui è sempre dentro, tranquillo, come se non fosse successo nulla. Meno male che le telecamere del locale hanno registrato tutto, le immagini non mentono».
Ora il film dell’aggressione è compresso nella chiavetta usb dei carabinieri.
 Sta nel palmo di una mano, ma per Giulia pesa più di un macigno. (ig.cip)

la  seconda     successa a Venezia  qui  maggiori  news    che si può riassumer e cosi 
L'immagine può contenere: sMS

25.1.17

Dio, dove sei? Quella domanda antica davanti alle tragedie

in sottofondo   R.E.M. - Losing My Religion


Dio, dove sei? Quella domanda antica davanti alle tragedie

di Alberto Maggi | 25.01.2017


Puntuale a ogni tragedia, credenti e non, si chiedono dove fosse Dio nel momento della disgrazia, quando questa piomba inaspettata e repentina seminando lutti e mietendo vittime - Su ilLibraio.it una nuova riflessione del biblista frate Alberto Maggi
Puntuale a ogni tragedia, credenti e non, si chiedono dove fosse Dio nel momento della disgrazia, quando questa piomba inaspettata e repentina seminando lutti e mietendo vittime.
“Dio, dove sei?” È una domanda antica, che risale ai primordi dell’umanità e della religione, una domanda che non attende risposta, perché non è volta a conoscere, ma solo a rimproverare Dio per la sua assenza, per il suo silenzio. Come fece Marta con Gesù, che pur sapendo della gravità della malattia di suo fratello Lazzaro, non si era mosso: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” (Gv 11,21).


“Se tu fossi stato qui…” invece il Signore non c’era. Dio è sempre lontano e assente nel momento della necessità, e bisogna invocarlo, supplicarlo, implorarlo perché si degni di guardare su questa terra e la salvi dal male: “Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me” (Sal 22,2).
“Dove sei?” Chiede l’uomo a Dio. Ma, nella Bibbia, la prima volta che Dio parla all’uomo, è lui che gli chiede: “Dove sei?” (Gen 3,9). Non è l’uomo che deve chiedere a Dio dove è, ma egli che deve interrogarsi dove è, a che cosa è stato chiamato. Il Creatore lo aveva destinato a coltivare e custodire il giardino di Eden (Gen 2,15). Ma gli uomini lo devastano e distruggono, per poi rimproverare a Dio quello che è soltanto opera dell’insensatezza e dell’insaziabile ingordigia umana, radice di ogni ingiustizia e di ogni male.


Si rimprovera a Dio anche il suo silenzio. Eppure Dio ha parlato e parla, il guaio è che non trova chi lo ascolti. Tutta la Scrittura è attraversata dal rimprovero del Signore a quanti “hanno orecchi per udire e non odono” (Ez 12,2; Ger 5,21; Mc 8,18), ma gli uomini imperterriti, continuano a disapprovare il Signore per il suo silenzio. La Bibbia insegna che per saper ascoltare questo Dio occorre avere coscienza di chi è il Signore, altrimenti lui parla e le persone non se ne accorgono. Chi crede in un Dio potente lo cerca nella potenza, e non riesce a scorgerlo nell’amore, unica espressione di questo Dio.

Nel Primo Libro dei Re, si descrive a questo proposito l’esperienza fondamentale del profeta Elia che, in un momento drammatico della sua vita e del popolo, che ha abbandonato l’alleanza e ucciso i profeti, attende un segno della presenza divina, che crede di percepire nelle manifestazioni di forza, di violenza, quali un vento tempestoso, un terremoto, e nel fuoco. Ma, scrive l’autore sacro, “Il Signore non era nel vento, non era nel terremoto, non era nel fuoco”. Poi, “dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera…” (1 Re 19, 9-13).
E questo tenue sussurro, sottile, come una brezza leggera, era la presenza del Signore (“Sentì una voce che gli diceva: Che fai qui Elia?”,1 Re 19,13). Similmente nel vangelo di Giovanni quando “venne una voce dal cielo”(Gv 12,28), i presenti pensarono fosse stato un tuono, o un angelo, e comunque ritenevano che fosse solo Gesù il destinatario e non loro (“Questa voce non è venuta per me, ma per voi”, Gv 12,30). Quanti pensano a un Dio potente (Tuono, Es 19,16), o distante (Angelo) non riusciranno mai a scoprire la presenza del Dio Amore che dimora tra gli uomini, la sua Parola fatta carne.
“Dio dove sei?”Dio si manifesta nell’amore e non nella potenza. Quando l’uomo entra in questa dimensione, innalzando la soglia della propria capacità d’amare e la mette in sintonia con l’Amore, che è Dio, si accorge stupefatto della sua presenza, come lo sbalordito Giacobbe che esclama: “Certo il Signore è in questo luogo ed io non lo sapevo!”(Gen 28,16).
L’AUTORE – Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ in libreria con Garzanti Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita.

intervista a vincenzo susca e claudia attimonelli autori di Pornocultura - viaggio in fondo alla carne












Ho finto di leggere il libro Pornocultura - viaggio in fondo alla carne di Claudia Attimonelli e  Vincenzo Susca [  foto  sotto a  sinistra   ] devo dire che da quasi ex pornodipendente è uno dei libri , almeno fin ora , più interessanti che ho letto su tali argomenti . Esso mette in evidenza come : il porno ha cambiato la concezione del sesso, Ma  soprattutto   di come  Internet ha cambiato il modo di concepire il porno, ora è il turno dei social network.  Infatti  gli scienziati cominciano a studiare le dinamiche con cui si propaga il materiale su queste piattaforme . Esso  è un tentativo  di studio   riuscito   rispetto  a questo   .  Tale  fenomeno ormai sempre  più sdoganato   andrebbe  ,  come sostiene  l'utente  di youtube   contra  tufo   in  questi suoi sei video , insegnato  nelle  scuole  .

Io non sono  tanto d'accordo   perchè  prima d'insegnarlo bisognerebbe  : 1)insegnare  un educazione sentimentale ,2) poi una  sessuale  ., 3)  il rispetto verso le diversità sessuali   .  Ma  soprattutto    l'etica  quindi   usare  il libro  di Vicenzo e  Claudia  . .Oltre   a  confermare  quello  che  ho detto nei post precedenti (  vedere  sopra  )   , incuriosito   ecco  come promesso l'intervista ai due autori

  1) avete già scritto altri libri insieme ?
Pornocultura è il nostro primo libro insieme. Tuttavia, collaboriamo da tanti anni e abbiamo realizzato, insieme, varie pubblicazioni, eventi, conferenze, seminari, mostre. A proposito di questo tema nel 2014 abbiamo curato insieme un panel dal titolo omonimo, Pornoculture elettroniche, al Festival di Internet (Pisa). Insomma, alle spalle di questa pubblicazione c’è un libro intriso di una materia ben più solida – e allo stesso tempo più eterea – della carta. Le nostre attività in comune sono il frutto di affinità, sensibilità e desideri condivisi. Non le abbiamo direttamente cercate, ci sono state in qualche modo imposte dal destino. Amor fati. Amour fou.
2) come mai la scelta del termine pornocultura ?
Pornocultura è un neologismo da noi proposto per prendere atto da un lato del cambiamento di statuto del porno nei nostri tempi, laddove quest’ultimo si emancipa dallo statuto di fenomeno sottoculturale e marginale in cui versava fino a qualche anno fa, diventando invece un paradigma estetico, una sensibilità condivisa e una matrice del nostro immaginario. In secondo luogo, la parola intende sfumare l’attenzione precedentemente rivolta alla questione della “grafia”, della “pornografia”, con l’obiettivo di testimoniare il venire meno della scrittura nell’ambito di questa condizione. Detto altrimenti, oggi il porno è sempre meno “scrittura” e sempre più corpi, sensi, immagini…Il paesaggio culturale derivato dall’abbandono sempre più evidente dei tradizionali sistemi di fruizione e accesso a contenuti porno, a favore di un’accessibilità transgenere e transgenerazionale nonché di una produzione di contenuti porno da parte di chiunque (User generated Content) ci permette di poter parlare di pornocultura piuttosto che della tradizionale pornografia. Le pieghe viscose del web vedono quindi invertirsi in modo perentorio e gravido di conseguenze l’equilibrio tra verbo e carne su cui la cultura occidentale si è fondata almeno, appunto, dall’Antico Testamento:
“In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. (...) Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. (...) E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv, 1,14).
Il braciere sacrilego del porno, specie nella versione pagana e selvaggia del web 2.0, nel bruciare corpi, sostanzia una sensibilità in cui invece è la “carne a farsi verbo. La carne di-viene il significato primigenio dell’immaginario contemporaneo. La liturgia orgiastica che la vede coinvolta è pertanto una sorta di rito sacrificale con tanto di lacerazioni, totem e feticci, in cui si celebrano e riattualizzano culti del corpo e mistiche dal richiamo dionisiaco, dove la sacralità più profonda e l’erotismo sono cinti in un abbraccio intimo.
 3) condivite o è da integrare la definizione che da di pornocultura l'enciclopedia treccani http://www.treccani.it/enciclopedia/pornocultura_(Lessico-del-XXI-Secolo)  ?
Non possiamo non condividerla, è stata scritta da Claudia Attimonelli! In precedenza, il neologismo è stato invece proposto, per la prima volta, da Vincenzo Susca nel libro Gioia Tragica (Lupetti, Milano, 2010). In qualche modo, il nostro libro è contemporaneamente un’integrazione, un approfondimento e un superamento di queste basi.
 4) con lo sdoganamento della pornografia s'è arrivati a quanto affermava <> (Papa Paolo VI) oppure ancora a quanto dice : << La pornografia oggi viene usata spesso per colmare un vuoto, una mancanza di rapporti sessuali, ma in realtà sarebbe molto meglio se la si guardasse come mezzo per fare nuove esperienze. Io voglio lo sdoganamento della pornografia. Voglio che venga liberata dai pregiudizi. Voglio una società in cui ci sia parità dei sessi e quindi pari opportunità sessuali. >> (Valentina Nappi) ?
L’aurora del porno, in effetti, è esattamente lo scalpitare della carne nel limbo tra la morte e la vita. Il porno è il carnevale dell’esistenza. A tal proposito è importante ricordare l’etimologia del termine “carnevale: sollevamento della carne”. Il porno, perciò, non è più tanto e solo una delle strutture soggiacenti alla produzione, al consumo e allo spettacolo, ma affiora in quanto paradigma esistenziale negli interstizi delle nostre giornate. Effrazione del corpo tra edonismo e crudeltà, mostra delle atrocità e rito orgiastico, arte palpitante e macelleria, esso è abitato da eccessi che tendono, tramite un rilancio vertiginoso del desiderio, a scorticare e ad ardere la carne, a soddisfare il soggetto nel mentre esso viene meno, a condensare emozioni al di là e al di qua del socialmente e del politicamente corretto e istituito. Non a caso, la messa in scena permanente e integrale del pornoerotismo – genitivo soggettivo e oggettivo – sfocia nel disgusto e procede al ritmo di continue e irritanti provocazioni. Disgusto dopo disgusto, shock dopo shock, essa chiude il sipario svelando il suo contenuto più profondo, quello più scandaloso per noi altri, figli della modernità e dell’umanesimo: l’osceno è il vero e il vero è osceno.
5) che ne pensate di questa affermazione : << Io sono una fan della pornografia, non di certo dell'erotismo. Lo trovo subdolo, falso, pudico. La pornografia è invece l'arte vera e sincera per eccellenza, che mostra tutto senza vergogna, senza sovrastrutture. [...] La pornografia non contempla l'etica, solo l'estetica. E mi piace per questo: il sesso è un fatto di corpo, non di mente. La mente viene prima, con la conoscenza della persona, con lo scambio degli sguardi. Ma a letto si è pelle e sudore, non sinapsi e neuroni >>; di Melissa Panarello.?
 Volendo proporre un parere ben meno critico nei confronti dell’erotismo del quale accogliamo la lezione di George Bataille nell’omomino libro, teniamo a sottolineare la fine della separazione “inventata” dagli occidentali almeno a partire da Cartesio tra il corpo e lo spirito, considerando che a letto siamo pelle, carne e sudore, ma anche sinapsi e neuroni.
Più in generale, la potenza del pensiero imperniato sulla logica astratta, scintilla nonché paradigma dell’homo faber artefice della propria fortuna, tende, come è evidente nei comportamenti diffusi dai palazzi alle piazze, ad essere relativizzata da un orientamento per cui non è più la ragione a dirigere i sensi ma la sensibilità ad estendere il proprio dominio sulla mente. È qui in azione un sentire pensante che funge da principio organizzatore dell’emozione pubblica, Stimmung emergente dagli schermi elettronici ai più commossi scenari urbani, la quale, grondante di lacrime, di umori e di altre secrezioni societali, soppianta l’opinione pubblica su cui si erano elaborati, con l’ausilio del discorso razionale e scientifico, la cultura borghese, l’ordine della produzione e, più in generale, la marcia del progresso. A ben vedere, le emoticons, il marketing emozionale, Snapchat, gli emoji, i flash mob, i selfie, i like, i love, i follow, le good vibe e tutte le altre variopinte forme elementari della cultura elettronica, di cui le emozioni, pur con tutte le differenze di volta in volta in campo, sono la base e l’altezza, mostrano in modo rutilante, se non ossessivo, la rinnovata centralità del corpo nelle dinamiche della vita collettiva, di un corpo innamorato, eccitato, famelico, ebbro, agitato... di un corpo eccessivo che allude alla carne, che si fa carne.
 6) esiste ancora una diofferenza tra erotismo e pornografia  ?
Sì, certo, ma la troviamo poco interessante. In tal senso, il termine “pornoerotismo” da noi impiegato nel libro risponde a una scelta interpretativa e agisce da leva semantica con cui intendiamo sfumare la differenza tra il porno e l’erotico in nome di ciò che tali dimensioni condividono, considerandole due poli di una stessa tensione. In questo spazio si agita, infatti, lo slancio batailliano tra Eros e Thanatos: esso erotizza l’universo porno, inducendo una familiarizzazione con le sue più radicali rappresentazioni, e contemporaneamente irrora di libido e di visioni sexy le dinamiche amorose ordinarie.
È esattamente nella fessura proficua dell’apparente ossimoro “pornoerotismo” che si cela il senso della pornocultura. In relazione a una siffatta opzione, poco conta il grado di visibilità mediatica degli organi sessuali nell’ambito di un amplesso, così come è relativamente irrilevante quanto una scena libidinosa oltraggi o meno il senso del pudore: quello che ci interessa è piuttosto, al di là della trasparenza o dell’opacità dell’immagine, la sua propensione a innescare una macchina del desiderio, la capacità che ha di avviare un dispositivo voluttuoso, la misura in cui assecondi un istinto carnale grazie ad una inedita accessibilità agli strumenti del piacere, alla tecnologia e all’interattività. Il fatto, cioè, che su questo palcoscenico scalpiti o che in esso si origini una tensione pornoerotica, appunto.
 7) sentendo questa vostra intervista  la pornocultura è solo negativa ? oppure ha anche un lato positivo ?
 Per quanto ci riguarda, la pornocultura non è né negativa, né positiva. È il nostro ambiente comunicativo ormai assodato da decenni, a partire da luoghi e linguaggi che lo hanno preparato (pubbliciatà, videoclip, moda…), è la nostra scena estetica, è la nostra atmosfera. Si tratta di una condizione in cui, al di là del bene e nel male, un soggetto si sta consumando appannaggio di qualcos’altro, di una nuova carne di cui l’essere umano non è più il centro …




24.1.17

L'altro olocausto \ shoah puntata IV [ fine ] gli asociali , i politici , i malati psichici e con handicap , i militari , gli emigrati

Prima  delle  notizier  vediamo  come  venivano  "  classificati  "  atteraverso simboli \  triangoi d'identificazioni 

Un triangolo di colore rosso, rot [1][7]identificava i prigionieri politici, politischer Vorbeugungshäftling[8], arrestati per "fermo protettivo", Schutzhaft[9], un pretesto per internare gli oppositori al nazionalsocialismo[10]. Erano denominati Roter secondo la lingua del lager di Mauthausen[2]. Identificava, fra gli altri, i sacerdoti antifascisti o considerati tali[11][12][13]un triangolo giallo[14], o una Stella di David, Judenstern[1][15][16], costituita da due triangoli di colore giallo appositamente sovrapposti, identificava i prigionieri ebrei;
un triangolo di colore marrone identificava i prigionieri zingari[1][17]. Erano denominati Brauner secondo la lingua del lager di Mauthausen[2];
un triangolo di colore nero identificava gli asociali, Asoziale[18]. Erano denominati Aso secondo la lingua del lager di Mauthausen[2]. I nazisti ritenevano che fossero da considerare quali asociali, fra gli altri, i vagabondi, gli etilisti, i malati di mente, le prostitute, le lesbiche, gli zingari[17][19][20]. Alcuni prigionieri contrassegnati dal triangolo nero svolsero il ruolo di Kapo[21];
un triangolo di colore viola identificava i testimoni di Geova, i "ricercatori della Bibbia", Bibelforscher[1][22][23][24], detti anche "i viola", die Violetten[25];
un triangolo di colore rosa identificava i prigionieri omosessuali[19][26], internati sulla base del Paragrafo 175. Erano denominati Rosaroter, secondo la lingua del lager di Mauthausen[2];
un triangolo di colore azzurro identificava gli emigrati, Emigranten[1]. Si trattava di fuoriusciti dalla Germania in quanto oppositori antinazisti, rientrati perché richiamati con la frode, o per la minaccia di ritorsioni nei confronti dei loro familiari[4][27]. Nel lager di Mauthausen i triangoli azzurri erano attribuiti ai prigionieri politici spagnoli[6][28];
un triangolo di colore verde identificava i delinquenti comuni[29], che generalmente svolgevano il ruolo di Kapo[29].

in questa  puntata     si parlerà  del  :  triangolo nero   , rosso  verde  azzuro  (  degli altri si veda  puntate precedenti  )

   Al  primo triangolo (  IL   triangolo nero )  
appartengono anche  i malti   di ente  ,  gli  handicappati  , essi     " seguirono   un programma particolare  "  riospetto a  quello  degli altri deportati nei lager  .  Infatti il  loro olocausto si chiama Aktion T4 è, il nome convenzionale con cui viene designato il Programma nazista di eutanasia che sotto responsabilità medica prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili e da portatori di handicap mentali (ma non fisici, se non per casi gravi), cioè delle cosiddette "vite indegne di essere vissute".   Quindi  si può dire  che  Hitler  , senza  per  questo sminuirne  le colpe ,  porto  avanti  e   realizzo   con lo sterminio  ,  sempre  secondo  i siti  citati sotto   , le  torie   anzi pseudo teorie    di fine  XIX e  inizio  del XX secolo i.  Infatti  in molte nazioni - tra le quali spiccavano Stati UnitiGermania e Regno Unito - si discuteva di eugenetica, una disciplina strettamente correlata al darwinismo sociale, volta a migliorare la specie umana attraverso la selezione dei caratteri genetici ritenuti positivi (eugenetica positiva) e l'eliminazione di quelli negativi (eugenetica negativa). In Germania la discussione si appoggiava su concetti di «razzismo scientifico» ed «igiene razziale» secondo i quali il Volk (traducibile in «comunità popolare» ed inteso come insieme degli individui legati da caratteristiche razziali e culturali) avrebbe dovuto sopravvivere e migliorarsi come collettività anche a discapito, se il caso, dei diritti dell'individuo  . Scusate ,  se  non continuo ma non ho  uno " stomaco  forte " pe  regge  e riuscire  a leggere   le  aberrazioni  pseudo mediche  e   e pseudo scientifiche   che  essi e non solo    dovettero subire  . Quindi  vi rimando ai siti sotto 

Oltre  ad essi    c'erano  gli  asociali Nel corso degli anni Trenta, secondo questo articolo del sito http://www.assemblea.emr.it/ la popolazione internata nei lager nazisti subì notevoli mutamenti. A poco a poco, i politici divennero una minoranza, mentre il numero prevalente di prigionieri apparteneva alla categoria dei cosiddetti elementi antisociali, termine generico che comprendeva i delinquenti abituali, le prostitute, gli alcolizzati, i vagabondi senza fissa dimora e i renitenti al lavoro.
Secondo l’ideologia nazista, la laboriosità era uno degli atteggiamenti che distinguevano nettamente gli ariani dai popoli inferiori, pigri e parassiti. Chiunque fosse un vero tedesco doveva prendere il proprio posto con entusiasmo all'interno della comunità nazionale e dare il proprio contributo all'economia del Reich; viceversa, chiunque non rispettasse la legge dello Stato o, nel proprio comportamento, non si conformasse alla norma, doveva essere rieducato o punito.
Inoltre va ricordato che :  - secondo la concezione nazista - il comportamento deviante era ereditario; sulla base della Legge per la prevenzione di progenie affetta da malattie ereditarie (emanata il 14 luglio 1933), gli asociali vennero catalogati fra coloro che dovevano essere soggetti a sterilizzazione coatta: bisognava impedir loro di procreare, in modo che la razza fosse purificata dei propri elementi più scadenti ed elevasse il livello della propria purezza e della propria perfezione.
Inoltre  La persecuzione dei rom e dei sinti sotto il regime nazista è stata parte di quella più generale contro gli asociali. Ma ha avuto anche caratteristiche specifiche, che è bene conoscere. Perché anche oggi...  : <<   Il tiranno parla il linguaggio della legge, non ha altro linguaggio.Egli ha bisogno dell'«ombra» delle leggi.(G. Deleuze) >> ( fonte http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/376/128.htm   con un ottima bibliografia   per  chi volesse  approfondire  l'argomento  ) 

il  triangolo rosso 

Risultati immagini per triangolo rossso and  lagere
Con esso s'identificavano secondo i prigionieri politici, politischer Vorbeugungshäftling[, arrestati per "fermo protettivo", Schutzhaft[ , un pretesto per internare gli oppositori al nazionalsocialismo Erano denominati Roter secondo la lingua del lager di Mauthausen
Identificava, fra gli altri, i sacerdoti antifascisti o considerati tali . Fra essi vengono anche inseriti Gli IMI / Internati Militari italiani cioè Il tema sono gli italiani nei lager nazisti. Quindi parleremo del destino di circa 900.000 persone, tanti sono stati gli italiani che sono stati deportati in Germania o nei territori del Reich durante la Seconda guerra mondiale.come schiavi per  lavoro , er   aver  rifiutato  di arruolarsi per  la Rsi  stato  fantoccio del governo nazista  in Italia  , ecc  ulteriori news    le  si trova  in   questo dettagliato articolo  del  sito  http://restellistoria.altervista.org/
Quel   che  è certo   Si tratta di una deportazione poco conosciuta perché quando arriva il 27 gennaio i giornali e la televisione parlano quasi esclusivamente della Shoah ebraica e all’interno di questa solo o quasi di Auschwitz.


Il triangolo  Azzurro 

Non ho trovato altre  news  se  non questa    breve descrizione  ( a cui  ho  fatto riferimento  anche  se triangoli precedenti  )  tratta  da  wikipedia  più precisamente la  voce   :  Simboli dei campi di concentramento nazisti   .
Con tale   triangolo  identificava gli emigrati, Emigranten. Si trattava di fuoriusciti dalla Germania in quanto oppositori antinazisti, rientrati perché richiamati con la frode, o per la minaccia di ritorsioni nei confronti dei loro familiari. Nel lager di Mauthausen i triangoli azzurri erano attribuiti ai prigionieri politici spagnoli




anche gli Islamici salvarono ebrei dalla deportazione dei nazisti . la storia postuma di Abdelkader Mesli imam delmoschea di parigi che salvò gli ebrei e Francesco Lotoro è il Maestro di musica che trascorre la vita impegnato nella ricerca delle musiche create nei campi di concentramento.

non riuscendo    come  ho detto   nel post  precedente  a  trovare news  dettagliate e  specifiche sui religiosi  cattolici e  protestanti   nei campi di concentramento   e lager  nazisti     che non siano oltre i  testimoni di geova  e  la  vicenda  di padre Massimiliano kolbe  (  su   tutti  ) per la  quale  fu  


San Massimiliano Maria Kolbe
Fr.Maximilian Kolbe 1939.jpg
Presbitero e martire
Nascita8 gennaio 1894
Morte14 agosto 1941
Venerato daChiesa cattolica
Beatificazione17 ottobre 1971, da Papa Paolo VI
Canonizzazione10 ottobre 1982, da Papa Giovanni Paolo II
Ricorrenza14 agosto
Attributipalma
Patrono diradioamatori
 ho  trovato  La storia dell’imam Abdelkader Mesli  finita per lunghi anni nell’oblio  dovuto  ai tabù  e pregiudizi  verso  gli islam e  i  suoi  fedeli   e  alla  visione  al sensio  unico   del tipo  : <<  gli islamici   odiano  gli ebrei  ed  i cristiani  >>  Poi nel 2011 --- secondo l'articolo del http://ilmanifesto.info  del  21\1\2017 che  trovate  sotto --- alla morte della madre, il figlio Mohammed, che oggi ha 65 anni, scoprì nel vecchio appartamento di famiglia uno scaffale zeppo di documenti, lettere, fotografie ingiallite. Oggetti impolverati che raccontavano il passato di un uomo molto riservato e restì a rievocare il periodo della Guerra e la sua esperienza sotto l’Occupazione tedesca.




Nato ad Orano, orfano dei genitori, Abdelkader Mesli

 aveva appena 17 anni quando sbarcò a Marsiglia dall’Algeria. Trovò prima lavoro come portuale e poi come muratore. Dopo un breve soggiorno in Belgio, dove fece il commesso viaggiatore e l’impiegato in un sito minerario, approdò a Parigi. La città era stretta in una cappa di paura e tensione. Per le strade e negli uffici a dettare legge erano gli occupanti nazisti e i loro collaboratori. Mesli iniziò a frequentare la Grande Moschea di Parigi eretta nel 1926 nel Quinto arrondissement in omaggio ai 70 mila caduti musulmani della Grande Guerra. Il Direttore e fondatore dell’edificio religioso Kaddur Benghabrit lo nominò imam. I due fecero il possibile per intralciare i piani dei tedeschi e venire in soccorso degli ebrei perseguitati. Mesli cominciò a stampare decine di certificati falsi che attestavano la fede musulmana delle famiglie ebree (molte delle quali erano di origine sefardita e provenienti dai paesi del Maghreb) a cui i nazisti davano la caccia. In alcuni casi, in accordo con Benghabrit, aprì loro le porte dell’edificio religioso allestendo rifugi nelle cantine che erano direttamente collegate con il dedalo dei sottorreanei della capitale. Nel documentario «La Mosquée de Paris: une résistance oubliée» realizzato da Dni Berkani l’ebreo sopravvissuto Albert Assouline racconta: «arrivai alla Grande Moschea assieme a un arabo algerino. Eravamo appena evasi da un campo di prigionia. La nostra idea era quella di fuggire in un paese del Maghreb. Pensammo di rifugiarci in un edificio religioso ma come potete immaginare non era il caso di scegliere una sinagoga. Scegliemmo la Moschea». Secondo Assouline, tra il 1940 e il 1944 più di 1700 persone passarono nei locali del grande luogo di culto musulmano.
Le voci e le dicerie cominciarono presto a circolare nel quartiere. La Grande Moschea finì sotto osservazione e Mesli venne mandato in tutta fretta a Bordeaux dove, in veste di imam, cominciò a prendersi cura dei prigionieri nordafricani rinchiusi nella prigione del Fort du Hȃ. Un lavoro rischioso che lo portò ad entrare in contatto con la Resistenza.
Dopo una soffiata, il suo nome finì nelle liste della Gestapo. Il 5 febbraio 1944 venne arrestato. Nonostante le torture Mesli non rivelò mai i nomi della rete di oppositori con cui aveva cominciato a collaborare e per questo venne costretto a salire su uno degli ultimi convogli piombati diretti verso i campi di concentramento tedeschi. Arrivo’ a Dachau, poi venne trasferito a Mathausen. Dopo la prigionia, segnato profondamente dall’esperienza concentrazionaria, Mesli ritornerà a Parigi, si sposerà e metterà al mondo due figli. La sua vita marchiata dall’orrore dei campi avrà anche un risvolto glamour: nel maggio del 1949 Mesli celebrerà il matrimonio tra Rita Hayworth e il principe Ali Khan in Costa Azzurra tra nugoli di paparazzi e invitati dal sangue blu. Una parentesi dorata prima del ritorno nella ben più modesta Bobigny, banlieue nord di Parigi dove, fino all’ultimo fu imam della locale moschea e dove morirà nel 1961.
Il figlio Mohamed, che oggi ha riannodato i fili di una memoria rimasta sepolta per decenni, racconta: «mio padre era un musulmano di osservanza sufi, una corrente dell’Islam basata su un precetto importante secondo il quale il peggior nemico dell’uomo è l’ignoranza». Il nome di Mesli l’«imam che salvava gli ebrei» non figura nelle liste dei «Giusti tra le nazioni» che hanno messo in pericolo la propria vita per salvare degli ebrei dallo sterminio e chissà se in futuro vi figurerà. «Questa onorificienza non è mai stata attribuita a nessun musulmano francese o maghrebino nonostante i diversi casi recensiti – racconta lo scrittore e giornalista Mohammed Aissaoui che sull’aiuto fornito agli ebrei perseguitati da persone di fede musulmana ha condotto accurate ricerche poi raccolte nel libro «L’Etoile jaune et le croissant» – sollevare il velo sui legami tra ebrei e musulmani purtroppo oggi è un tabù. Eppure la frase Chi salva una vita salva l’umanità intera è contenuta sia nel Talmud che nel Corano. Sarebbe ora che qualcuno si decidesse a riaprire questa pagina dimenticata di Storia dando il giusto riconoscimento all’ex Direttore della Grande Moschea di Parigi e all’imam Mesli.

la  seconda storia   è    quella , ora  diventata  un film ,   di  Francesco Lotoro è il Maestro di musica che trascorre la vita impegnato nella ricerca delle musiche create nei campi di concentramento.
da  http://www.cinemaitaliano.info/news/  del 18/01/2017, 15:36 

 MAESTRO - Trovo e suono la musica dei Campi

MAESTRO - Trovo e suono la musica dei Campi
                    Francesco Lotoro il "Maestro" in uno dei suoi viaggi a caccia di spartiti
















































Una ricerca che diventa ragione di vita. Per Francesco Lotoro, musicista di Barletta, l’incontro con la musica pensata e scritta nei campi di concentramento è diventato un’attività quotidiana; dalla ricerca al ritrovamento di autori e spartiti, dai viaggi per recuperare i materiali fino alla cura di questi brani, circa 8.000, raccolti per essere trasformati in musica.
sempre  Francesco Lotoro
cattura  schermata  da  raiplay  del 27\1\2016
Maestro, diretto dal regista argentino Alexander Valenti, racconta il percorso di Lotoro, musicale, umano e religioso. La scoperta di questa grande quantità di musica creata durante l’internamento e la prigionia nei campi di tutto il mondo dal 1933 fino alla fine della guerra (e poi fino al 1953 con i campi staliniani), ha riacceso in lui l’interesse verso la religione ebraica che ha poi abbracciato tornando sulla strada del suo bisnonno.
Decine e decine di autori ebrei o delle minoranze perseguitate dal nazismo, come i rom, ma anche appartenenti a quei tedeschi scappati dalla Germania nazista e trattati nei paesi di arrivo, come Francia e Gran Bretagna, come possibili minacce nemiche.
Lotoro li cerca da oltre 20 anni e, grazie alla sua passione per la musica, apprezza e percepisce le motivazioni di questa ricerca, utile in primis per non dimenticare e poi per rendere concreto un messaggio rimasto sulla carta pentagrammata di fortuna troppo a lungo.

Valenti segue il "Maestro" in alcuni suoi viaggi senza riuscire a cambiare troppo il registro del suo racconto che, grazie alle immagini di repertorio, agli incontri con i pochi testimoni ancora in vita e alle note delle tante composizioni riesce comunque a coinvolgere e a trasformare lo spettatore in un alleato in questa ricerca affascinante ed esemplare per tutti.


Il documentario prodotto dal DocLab col patrocinio Unesco, sarà in sala in 80 copie in una giornata unica nel giorno della memoria, il 23 gennaio, ospite delle multisale UCI e The Space distribuito da Luce Cinecittà.

Stefano Amadio