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31.5.13

Crisi, da Coldiretti un dossier sui rischi del cibo low cost ecco perchè scelgo finchè è possibile i G.a.s


 In tempi di crisi  (  vedere  il post precente " mangiare al tempo della crisi "  ) Ecco , l'articolo sotto  , un motivo  per   o scegliere i G.a.s  \  i mercati rionali o  prodursi le verdure  . Rringrazio la mia  amica  di facebook  miriana baraboglia  per  avermi suggerito  sulla mia bacheca  questo articolo proveniente  da  http://www.puntarellarossa.it


Crisi, da Coldiretti un dossier sui rischi del cibo low cost
By: Puntarella Rossa
di Natascia Gargano © Il Fatto Quotidiano / Puntarella Rossa


Con la crisi si taglia su tutto, anche sulla spesa per il cibo. Ma più che comprare meno, si compra peggio. L’allarme arriva dalla Coldiretti che in una riunione a Bruxelles ha presentato un dossier sui rischi del cibo low cost. Oltre sei famiglie italiane scelgono prodotti a basso prezzo, acquistati nei discount: “Dietro questi prodotti spesso si nascondono ricette modificate, l’uso di ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi”, ha detto il presidente della Coldiretti, Sergio Marini. ”Conviene diffidare dei prodotti che costano troppo poco, come certi extravergini che non coprono neanche il costo della raccolta”.
Gli allarmi alimentari per cibi “pericolosi” sono aumentati del 26% nel nostro Paese. E i principali imputati sono proprio i prodotti a basso costo, specialmente quelli provenienti da Paesi fuori dall’Unione Europea, Cina, India e Turchia in primis. Nocciole e pistacchi dalla Turchia, contaminati per la presenza di muffe e aflatossine, miele naturale dalla Cina (importazioni aumentate del 38%),
con il rischio di contaminazione da Ogm che non sono autorizzati nel Vecchio Continente. Un problema che riguarda pure il riso importato dalla Cina, ma anche dagli Usa, che ha aumentato l’export verso l’Italia del 12% nel 2012.
Pessime performance anche per il pepe indiano (irregolare il 59% dei casi secondo l’Efsa), il pomodoro cinese (irregolare il 41%), le arance egiziane (irregolari il 26%), l’aglio argentino (irregolare il 25%) e per le pere slovene (irregolari il 25%).
Se il Made in Italy ci salverebbe dalla presenza di residui chimici irregolari (è il più sicuro a livello planetario secondo la Coldiretti), il problema è che l’Italia importa dall’estero circa il 25% del proprio fabbisogno alimentare. Così in 4 bottiglie di olio extravergine su 5 in vendita nel nostro Paese è praticamente illeggibile la provenienza delle olive impiegate. Oltre la metà del grano duro utilizzato nella produzione di pasta in Italia è importato da Paesi dove si registrano spesso problemi di aflatossine che hanno anche portato a sequestri di importanti partite di prodotto. Nell’Unione Europea è anche possibile acquistare “pseudo vino” ottenuto da polveri miracolose contenute in wine-kit che – spiega la Coldiretti – promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose come Chianti, Valpolicella, Barolo, e molti altri. I rischi del low cost riguardano anche le imitazioni dei nostri prodotti più tipici come il parmigiano Reggiano e il Grana Padano che soffrono la concorrenza dei “similgrana”, che non rispettano i nostri rigidi disciplinari, e le cui importazioni in Italia sono raddoppiate negli ultimi 10 anni.

Qui le principali “trappole” del cibo low cost, tratte dal dossier Coldiretti “I rischi del cibo low cost”.

Mozzarella: 1 mozzarella su 4 non è realizzata con il latte ma partendo da cagliate straniero spesso provenienti dall’Est europeo.

Limoni: Proviene dall’Argentina quasi la metà dell’import sul quale sono stati riscontrati problemi di trattamenti chimici.

Similgrana: Raddoppiate le importazioni in Italia di imitazioni del Parmigiano Reggiano e il Grana Padano Dop che non rispettano però i rigidi disciplinari.

Wine kit: Promettono prestigiosi vini italiani ottenuti da polveri miracolose. 140.000 confezioni vengono addirittura realizzate in una fabbrica svedese.

Pomodori: Nel 2012 sono stati importati in Italia 85 milioni di chili di pomodori “irregolari” per presenza di residui chimici, conservati in fusti che vengono rilavorati e diventano concentrato o sughi miracolosamente italiani.

Aglio: Nel 25% dei casi quello argentino che giunge in Italia è irregolare per la presenza di residui chimici.

Extravergine d’oliva: In 4 bottiglie di olio extravergine su 5 in vendita in Italia è praticamente illeggibile la provenienza delle olive impiegate.

Nocciole: Vi sono allarmi per l’importazione in Italia di nocciole e pistacchi dalla Turchia contaminati per la presenza di muffe e aflatossine.

Miele: Nel 2012 sono aumentate del 38% le importazioni di miele naturale dalla Cina. L’Ue ha lanciato un allarme sul rischio di contaminazione da organismi geneticamente modificati.

Prosciutto cotto: Il 90% dei cosci venduti in Italia provengono da animali provenienti da Olanda, Danimarca, Francia, Germania e Spagna senza che questo venga indicato in etichetta.

Riso: In Italia nel 2012 sono aumentate del 12% le importazioni di riso dagli Stati Uniti: rischio Ogm.

Pane: In Italia arriva un flusso di milioni di chilogrammi di impasti semicotti, surgelati, con una durata di 24 mesi, grazie ad additivi e conservanti, provenienti dall’Est europeo.

Pasta: Oltre la metà del grano duro utilizzato nella produzione di pasta è di importazione, con problemi di aflatossine.

Succo d’arancia: Nel corso del 2012 sono stati importati in Italia quasi 1 milione di chili di succo d’arancia dal Brasile. Problemi per la presenza dell’antiparassitario carbendazim.

30.5.13

come sopravvivere ala crisi puntata 6-7 lavoro[ Scrivania in comune così fanno fronte i precari ] e farela spesa [ Il boom dei gruppi di acquisto solidale sette milioni fanno la spesa insieme ]

Questa puntata   di repubblica  mette in evidenza  un modo  per resistere  \ sopravvivere  senza  dover  fuggire  o almeno provarci   e vincere  le proprie indecisioni .  se emigrare  \  andare all'estero  e  lasciare  l'italia in  certi scemi   o resistere   vedere vignetta sotto     di Bobo di Staino  


Scrivania, fax, internet in comune  così fanno fronte precari e partite Iva



Tanto per cambiare la cosa è iniziata in California, si chiama coworking, lavorare insieme e sta crescendo anche in Italia. Per offrire più servizi e risparmiare sulle speseLe nuove idee, e il cambiamento, sorgono spesso senza fare troppo rumore. È il caso del coworking, il lavorare insieme. Nato a San Francisco, dalla Silicon Valley californiana è andato crescendo in tutto il mondo. In Italia si può spendere per una scrivania, internet, fax, sala riunioni ed altro dai 25 euro per il day by day, ai 250/350 euro al mese, sino a 700 euro per 12 mesi. A seconda del modo in cui si collabora, in alcuni cowork sono attive anche forme di baratto ovvero: metto a disposizione la mia professionalità e in cambio ottengo un'altra cosa. Una scelta che coinvolge antichi mestieri come nuove professioni.
"È un modo diverso per essere autonomi sul lavoro, condividendo servizi, come un ufficio completo un atelier o anche un teatro. È un modo di essere inseriti all'interno di una rete nazionale, usufruendo di un database, che metta ogni professionalità in connessione con altre, anche in tutto il mondo", racconta Roberto Ciccarelli, giornalista freelance e scrittore, che sta realizzando un viaggio lungo la penisola, insieme a Felipe Goyocoolea, videomaker cileno, per rendere visibile attraverso un documentario quello che sta cominciando a rappresentare una nuova realtà sociale ed economica.
"Il Cowork è una risposta verso un mercato del lavoro, sempre più insabbiato, che non si rigenera, né da prospettive e che ci rende vulnerabili", sostengono Cristina Alga e Filippo Pistoia di Clac (Centro laboratorio arti visive), che sono riusciti insieme ad altri a unire le forze e a creare all'interno di un unico palazzo, al civico 23 di via Re Federico a Palermo, un sistema di multi Cowork, in cui ogni appartamento ha una sua peculiarità: sala di produzione e montaggio video, una casa-atelier per l'arte contemporanea.
"I professionisti della comunicazione che si collocano sul mercato in forma individuale e non strutturata possono, affittando una postazione di lavoro, entrare a far parte di un sistema che si promuove con un brand comune", spiega Niccolò Pecorini, socio fondatore di Multiverso impresa collettiva di Firenze che associa più di trenta freelance, "noi siamo una creative-agency di comunicazione e vendiamo servizi che coprono più ambiti: marketing, pubblicità, architettura, design, creazione di eventi multimediali. Inoltre socializzando costi e professionalità riusciamo a crescere e ad essere concorrenziali". Un punto questo certo non indifferente se si pensa che in Italia c'è un esercito di lavoratori indipendenti (sono circa un milione e mezzo quelli che si pagano da soli i contributi Inps, in vista di un'improbabile pensione, come spiegano a La Furia dei cervelli, un gruppo di precari e partite iva da cui è nata anche l'associazione Quinto Stato). Molti di loro non sono iscritti neppure a un sindacato, ordine, collegio. Il Cowork intercetta proprio questa fascia variegata di professionalità, che si presenta estremamente frammentaria e debole.
A Torino l'aumento di lavoratori con partite Iva ha spinto per esempio Aurelio Balestra, oggi manager di Toolbox Coworking, a scommettere insieme ad altri sulla riconversione di un'ex area industriale di circa 10.000 mq, che si è trasformata in una vera e propria impresa: "Toolbox", racconta Balestra, "in collaborazione con le Officine Arduino finanzia il FabLab per la realizzazione di una piccola scheda elettronica open source che viene venduta in centinaia di migliaia di esemplari a pochi euro e che consente a tutti di rendere intelligente qualunque cosa, perché svolge il ruolo di un computer".
Un altro aspetto interessante è rappresentato dalla mobilità, nel senso che attraverso il sistema di Cowork chiunque può muoversi e lavorare in qualsiasi parte della penisola e del mondo, se la sua necessità è quella. "Il coworking non significa solo fornire un ufficio low cost ai liberi professionisti, ma vuol dire soprattutto istituire una grande community, coltivare gli stessi valori, lavorare con persone di talento, abbattere ruoli gerarchici", sostiene Massimo Carraro che da Milano è riuscito a creare una rete "Cowo" che oggi può contare su una settantina di affiliati in tutta Italia, dimostrando che il Cowork, possa essere un investimento vincente rendendo, secondo quanto dichiara Carraro, circa 400mila euro all'anno.
"Noi di Multiverso", spiega ancora Pecorini, "ci poniamo come obiettivo per il 2012 di raggiungere un ricavato pari a 200mila euro e allo stesso tempo di riuscire ad incrementare un mercato collettivo, tra i nostri associati, pari circa a 200-400mila euro". Insomma si potrebbe considerare un nuovo business? "No, è troppo prematuro", afferma Mico Rao, rappresentante Legale di Lab121, organizzazione no-profit che reinveste tutte le risorse economiche provenienti dalle proprie attività in servizi. "Il mondo del Cowork italiano si presenta come un movimento slegato, caratterizzato da interessi diversi, formule giuridiche differenti, attività separate e non condivise" , prosegue Rao, noi proponiamo la creazione di linee guida per la stesura di un bilancio sociale per i coworking". Il bilancio sociale è quello strumento che serve a legittimare il ruolo di un soggetto economico, sia in termini strutturali, che soprattutto morali, qualora migliori la qualità della vita dei membri della società in cui è inserito. Ma è possibile che si diventi solidali solo nei momenti di crisi? "Siamo un paese cinico" dice Ciccarelli, "che però nei momenti più difficili, riesce a tirar fuori la parte migliore di sé".



Il boom dei gruppi di acquisto solidale sette milioni fanno la spesa insieme



Condomini, colleghi o semplicemente parenti decidono di andare al supermercato insieme per strappare condizioni economiche più vantaggiose. Secondo un'analisi di Coldiretti e Censis il 18 per cento degli italiani sceglie questo metodo per riempire le proprie dispense. E c'è anche chi per combattere la crisi ha scelto di tornare all'antico: all'autoproduzione, agli orti urbani
C'è chi fa incetta di buoni sconto, chi rovista tra

Emergenza medici, nel sud dell’Isola un drappello di veterani ancora in servizio: «Il riposo può aspettare» Al lavoro anche se in età di pensione .,

Anche la vecchiaia è vita  Essa non indica soltanto l'esaurirsi di una sorgente dalla quale non sgorga più nulla , bensì è essa stessa ...