30.5.13

come sopravvivere ala crisi puntata 6-7 lavoro[ Scrivania in comune così fanno fronte i precari ] e farela spesa [ Il boom dei gruppi di acquisto solidale sette milioni fanno la spesa insieme ]

Questa puntata   di repubblica  mette in evidenza  un modo  per resistere  \ sopravvivere  senza  dover  fuggire  o almeno provarci   e vincere  le proprie indecisioni .  se emigrare  \  andare all'estero  e  lasciare  l'italia in  certi scemi   o resistere   vedere vignetta sotto     di Bobo di Staino  


Scrivania, fax, internet in comune  così fanno fronte precari e partite Iva



Tanto per cambiare la cosa è iniziata in California, si chiama coworking, lavorare insieme e sta crescendo anche in Italia. Per offrire più servizi e risparmiare sulle speseLe nuove idee, e il cambiamento, sorgono spesso senza fare troppo rumore. È il caso del coworking, il lavorare insieme. Nato a San Francisco, dalla Silicon Valley californiana è andato crescendo in tutto il mondo. In Italia si può spendere per una scrivania, internet, fax, sala riunioni ed altro dai 25 euro per il day by day, ai 250/350 euro al mese, sino a 700 euro per 12 mesi. A seconda del modo in cui si collabora, in alcuni cowork sono attive anche forme di baratto ovvero: metto a disposizione la mia professionalità e in cambio ottengo un'altra cosa. Una scelta che coinvolge antichi mestieri come nuove professioni.
"È un modo diverso per essere autonomi sul lavoro, condividendo servizi, come un ufficio completo un atelier o anche un teatro. È un modo di essere inseriti all'interno di una rete nazionale, usufruendo di un database, che metta ogni professionalità in connessione con altre, anche in tutto il mondo", racconta Roberto Ciccarelli, giornalista freelance e scrittore, che sta realizzando un viaggio lungo la penisola, insieme a Felipe Goyocoolea, videomaker cileno, per rendere visibile attraverso un documentario quello che sta cominciando a rappresentare una nuova realtà sociale ed economica.
"Il Cowork è una risposta verso un mercato del lavoro, sempre più insabbiato, che non si rigenera, né da prospettive e che ci rende vulnerabili", sostengono Cristina Alga e Filippo Pistoia di Clac (Centro laboratorio arti visive), che sono riusciti insieme ad altri a unire le forze e a creare all'interno di un unico palazzo, al civico 23 di via Re Federico a Palermo, un sistema di multi Cowork, in cui ogni appartamento ha una sua peculiarità: sala di produzione e montaggio video, una casa-atelier per l'arte contemporanea.
"I professionisti della comunicazione che si collocano sul mercato in forma individuale e non strutturata possono, affittando una postazione di lavoro, entrare a far parte di un sistema che si promuove con un brand comune", spiega Niccolò Pecorini, socio fondatore di Multiverso impresa collettiva di Firenze che associa più di trenta freelance, "noi siamo una creative-agency di comunicazione e vendiamo servizi che coprono più ambiti: marketing, pubblicità, architettura, design, creazione di eventi multimediali. Inoltre socializzando costi e professionalità riusciamo a crescere e ad essere concorrenziali". Un punto questo certo non indifferente se si pensa che in Italia c'è un esercito di lavoratori indipendenti (sono circa un milione e mezzo quelli che si pagano da soli i contributi Inps, in vista di un'improbabile pensione, come spiegano a La Furia dei cervelli, un gruppo di precari e partite iva da cui è nata anche l'associazione Quinto Stato). Molti di loro non sono iscritti neppure a un sindacato, ordine, collegio. Il Cowork intercetta proprio questa fascia variegata di professionalità, che si presenta estremamente frammentaria e debole.
A Torino l'aumento di lavoratori con partite Iva ha spinto per esempio Aurelio Balestra, oggi manager di Toolbox Coworking, a scommettere insieme ad altri sulla riconversione di un'ex area industriale di circa 10.000 mq, che si è trasformata in una vera e propria impresa: "Toolbox", racconta Balestra, "in collaborazione con le Officine Arduino finanzia il FabLab per la realizzazione di una piccola scheda elettronica open source che viene venduta in centinaia di migliaia di esemplari a pochi euro e che consente a tutti di rendere intelligente qualunque cosa, perché svolge il ruolo di un computer".
Un altro aspetto interessante è rappresentato dalla mobilità, nel senso che attraverso il sistema di Cowork chiunque può muoversi e lavorare in qualsiasi parte della penisola e del mondo, se la sua necessità è quella. "Il coworking non significa solo fornire un ufficio low cost ai liberi professionisti, ma vuol dire soprattutto istituire una grande community, coltivare gli stessi valori, lavorare con persone di talento, abbattere ruoli gerarchici", sostiene Massimo Carraro che da Milano è riuscito a creare una rete "Cowo" che oggi può contare su una settantina di affiliati in tutta Italia, dimostrando che il Cowork, possa essere un investimento vincente rendendo, secondo quanto dichiara Carraro, circa 400mila euro all'anno.
"Noi di Multiverso", spiega ancora Pecorini, "ci poniamo come obiettivo per il 2012 di raggiungere un ricavato pari a 200mila euro e allo stesso tempo di riuscire ad incrementare un mercato collettivo, tra i nostri associati, pari circa a 200-400mila euro". Insomma si potrebbe considerare un nuovo business? "No, è troppo prematuro", afferma Mico Rao, rappresentante Legale di Lab121, organizzazione no-profit che reinveste tutte le risorse economiche provenienti dalle proprie attività in servizi. "Il mondo del Cowork italiano si presenta come un movimento slegato, caratterizzato da interessi diversi, formule giuridiche differenti, attività separate e non condivise" , prosegue Rao, noi proponiamo la creazione di linee guida per la stesura di un bilancio sociale per i coworking". Il bilancio sociale è quello strumento che serve a legittimare il ruolo di un soggetto economico, sia in termini strutturali, che soprattutto morali, qualora migliori la qualità della vita dei membri della società in cui è inserito. Ma è possibile che si diventi solidali solo nei momenti di crisi? "Siamo un paese cinico" dice Ciccarelli, "che però nei momenti più difficili, riesce a tirar fuori la parte migliore di sé".



Il boom dei gruppi di acquisto solidale sette milioni fanno la spesa insieme



Condomini, colleghi o semplicemente parenti decidono di andare al supermercato insieme per strappare condizioni economiche più vantaggiose. Secondo un'analisi di Coldiretti e Censis il 18 per cento degli italiani sceglie questo metodo per riempire le proprie dispense. E c'è anche chi per combattere la crisi ha scelto di tornare all'antico: all'autoproduzione, agli orti urbani
C'è chi fa incetta di buoni sconto, chi rovista tra
i siti che offrono una mappa delle offerte nei supermercati più vicini a casa o dei coupon gratuiti in circolazione

E poi ci sono loro: i sette milioni di italiani che quest'anno hanno partecipato ai gruppi d'acquisto solidale - ribattezzati gas - formati da condomini, colleghi, parenti che decidono di fare la spesa insieme per strappare, così, condizioni economiche più vantaggiose, ma non solo. Spesso è anche la qualità degli alimenti a fare la differenza.


Una cifra, quella raggiunta quest'anno, senza precedenti così come mette in luce una recentissima analisi condotta da Coldiretti e Censis. Ricerca dalla quale emerge come i gruppi d'acquisto solidali di siano trasformati in un comparto ben solido se si pensa che il 18,6 per cento degli italiani, appunto circa 7 milioni di persone, nel 2012 ne ha fatto parte e di questi quasi 2,7 in modo regolare
"In alcuni casi gli acquirenti si limitano al cosiddetto ''carpooling della spesa'' cioè utilizzano tutti insieme una sola auto per dividere i costi e andare a fare la spesa nei punti più convenienti. Ma in generale si tratta di relazioni che nascono da esigenze di acquisto, dalla voglia di ritrovare un migliore equilibrio tra qualità e prezzo, ma che finiscono per andare oltre, perché esprimono valori più alti rispetto alla pur importante dimensione commerciale, valori che hanno un forte contenuto di socialità", spiega la Coldiretti.
Le regole, però, non sono sempre le stesse e così ogni gruppo punta a criteri propri per selezionare i fornitori, individuare i modi di consegna, stabilire con il produttore un prezzo equo e scegliere cosa acquistare privilegiando chi la stagionalità, il biologico, oppure il sostegno alle cooperative sociali, la riduzione degli imballaggi, o puntando a produzioni chilometro zero. E cambiano anche da gas a gas le modalità di acquisto:. insomma più che un modo di fare la spesa è un modo di pensare alla spesa.
Ma c'è anche chi, alla fine, è tornato all'antico: all'autoproduzione, agli orti urbani. Da una mappa di "Zappata romana", del quale fa parte un pool di architetti che si occupa del recupero di pezzi di verde abbandonati e poi rifioriti, solo nella Capitale tra orti e giardini condivisi si è arrivati in pochi anni a quota 113, tanto da meritarsi uno spazio online che ne racconta la storia ma non solo. Una rete condivisa (www. zappataromana. net) che si è fatta largo "Nel caos amministrativo totale. C'è chi ha accordi con la Provincia chi con la Regione, Comune o Municipi, ma la grande maggioranza non è ancora legalizzato. Unico punto in comune, la condivisione e la cordialità", racconta Luca D'Eusebio di Zappata Romana. E in tutta la Capitale ci sono 2500 tra particelle, singoli lotti, e terreni coltivati o in gestione: 20mila in Italia, 14mila solo in Emilia Romagna.
E ognuno ha un modello organizzativo proprio. Tra i più famosi nella Capitale quello di Garbatella, gestito dagli abitanti del quartiere che a rotazione coltivano patate, zucchine, rughetta e altri prodotti tipicamente locali e "Eutorto" nato grazie all'aiuto della Provincia e gestito da venti ex lavoratori dell'Eutelia che si sono reinventati una nuova vita e un nuovo lavoro
"Nel 1748 Roma era piena di orti. In ogni epoca dove c'è una forte crisi economica tornano in voga, sono un approdo sicuro", fa notare D'eusebio. E a guardare i dati in netta crescita negli ultimi due anni - solo a Roma sono passato da 40 a 113 - c'è da credergli.

Per   chi  : 1)  non si  fida  degli  alimentari  del discount  e  grosse catene    che  spesso importano tutto  dall'estero  con relative  conseguenze   e poco italiano  2)  non può  o non vuole  prodursi le cosa da  solo , ma   vuole  sapere    cosa  mangia   ecco alcuni url di G.a.s


 oppure nei mercati rionali  

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