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19.6.25

DIARIO DI BORDO N 130 ANNO III Se il turista rompe l'opera. La sedia di Nicola Bolla adesso è un'opera diversa? ., Bologna, sorpresa a Polonara: i compagni gli portano lo scudetto in ospedale ., Studente multato il giorno della maturità ma un imprenditore si offre di pagarla.,

Quest  articolo è  una delle domande che avrei voluto fare a quel mio amico di Cagliari ora prof di storia dell'arte che insegna all'università di Messina citato nel post precedente e  conferma  le  mie  impressioni quando dicevo     che  il gestro di quelle persone    non è  solo   vandalismo   


Se il turista rompe l'opera. La sedia di Nicola Bolla adesso è un'opera diversa?
di Federica Schneck* , scritto il 16/06/2025

Cosa accade quando un’opera d’arte si rompe? Il caso della sedia di Nicola Bolla, spezzata da un turista che voleva farsi una fotografia, nasconde una domanda: cosa resta di un’opera d’arte quando viene danneggiata? È ancora se stessa? Può mutare la sua funzione, e con essa il suo significato?
Nel silenzio sorvegliato di un museo, ogni cosa sembra immobile. Le opere stanno, immobili, come 
opera  di bolla    non daneggiata 
reliquie di un altro tempo. I visitatori sfiorano con lo sguardo, camminano piano, a volte leggono, spesso fotografano. Ma cosa succede quando qualcosa si rompe? Quando una di queste presenze, apparentemente eterne, si spezza? Quando l’arte, nel senso più fisico e materiale del termine, cede?
Succede a Verona, a Palazzo Maffei, nel cuore storico della città. Un’opera dell’artista torinese Nicola Bolla, intitolata Sedia Van Gogh, viene danneggiata da un visitatore. Non un atto vandalico, non un gesto aggressivo: semplicemente, qualcuno si siede. Magari per scattarsi una foto, per sentirsi parte dell’opera, per un istante di narcisismo inconsapevole. Ma la sedia, costruita con struttura sottile e rivestita da centinaia di cristalli Swarovski, non è pensata per sostenere il peso reale di un corpo. È una scultura, un’idea trasformata in forma. E sotto quel peso, l’opera crolla.
L’episodio ha fatto il giro dei giornali, rimbalzando tra indignazione e ironia, con titoli come “turista idiota distrugge la sedia di cristallo” o “opera d’arte scambiata per oggetto d’arredo”. Ma dietro la notizia curiosa si nasconde una domanda più profonda: che cosa resta di un’opera d’arte quando viene danneggiata? È ancora se stessa? Può mutare la sua funzione, e con essa il suo significato? 
Nel nostro rapporto con l’arte, esiste un paradosso: la avviciniamo, la contempliamo, ma spesso non la comprendiamo. Soprattutto nel caso dell’arte contemporanea, che gioca con l’ambiguità tra forma e funzione, tra oggetto e simbolo. Una sedia può essere, al tempo stesso, un elemento d’arredo e una scultura concettuale. Ma non può essere entrambe le cose nello stesso momento. La sedia di Nicola Bolla, parte di una serie di lavori che reinterpretano oggetti quotidiani rivestendoli di materiali preziosi, è una trappola visiva, un gioco di ambiguità. Come molte opere contemporanee, vive nel cortocircuito tra ciò che sembra e ciò che è. Apparentemente invitante, luccicante, elegante, rassicurante, è in realtà
l'opera    daneggiata
inservibile, fragile, poetica. È proprio questa contraddizione a costituire il suo significato: un oggetto comune, reso inservibile e sacralizzato dalla sua preziosità. Chi si è seduto su quella sedia ha quindi commesso un errore cognitivo prima ancora che fisico: ha preso un’opera per un oggetto, ha confuso l’arte con la vita. E se è vero che l’arte vuole spesso essere vissuta, questo episodio mostra anche quanto sia fragile il confine tra esperienza e distrazione.
Una domanda sorge dunque spontanea: un’opera d’arte danneggiata è un’opera finita? Oppure è semplicemente un’opera che cambia, che evolve, che si apre a un altro racconto? Nel caso della sedia di Bolla, la risposta arriva rapidamente: i restauratori del museo intervengono, ricompongono l’opera, ne ricostruiscono la forma. L’artista approva. L’istituzione si rasserena. Ma qualcosa, inevitabilmente, è cambiato per sempre. E l’artista ne è consapevole.
La sedia non è più “quella di prima”, ma è diventata un’altra cosa: un oggetto ferito, ricomposto, che porta dentro di sé la memoria dell’incidente. 

scene dal video  

È ora un’opera che racconta anche la sua vulnerabilità. Un po’ come i vasi giapponesi del kintsugi, che mostrano le crepe riempite d’oro per rendere esplicita la fragilità come bellezza. L’opera di Bolla, anche se restaurata, non potrà più essere letta senza pensare al gesto che l’ha danneggiata. Tant’è che lui stesso sta pensando di modificare il titolo dell’opera. Il suo significato si è ampliato, stratificato. Ha perso l’innocenza, ma ha guadagnato profondità.
Perché? Oggi l’arte non è solo una produzione estetica: è anche una pratica relazionale. Vive nello spazio che si crea tra l’opera e il pubblico. Quando questo spazio viene violato, da incuria, superficialità, o semplice ignoranza, l’opera si trova improvvisamente sradicata dalla sua funzione. L’equilibrio delicato tra offerta e ricezione si rompe. L’episodio di Verona non è isolato: altri esempi recenti hanno mostrato come la fragilità dell’arte sia anche una responsabilità collettiva. Non basta apporre un cartello con scritto “non toccare”. Serve un’educazione dello sguardo, una pedagogia della fruizione. Guardare un’opera non è un gesto passivo, ma una forma di cura.
E qui si tocca una verità scomoda: molti spettatori non sono più abituati a distinguere tra esperienze estetiche e performative. Il mondo dei social ha sdoganato la spettacolarizzazione di tutto: ogni luogo è un set, ogni oggetto uno sfondo. Ma l’arte non è un oggetto da consumo. È, semmai, un luogo da abitare con rispetto. C’è un aspetto, però, in questo evento che merita attenzione: l’opera ora racconta di più di prima. Prima era solo un omaggio alla sedia di Van Gogh, una scultura giocosa ma concettualmente limpida. Ora è anche un documento del nostro tempo. Una testimonianza di fragilità culturale. Una prova del fatto che le opere d’arte, come i corpi vivi, possono rompersi.
La Sedia Van Gogh di Nicola Bolla è oggi, paradossalmente, più significativa di prima. Perché ha attraversato l’evento, ha subito la caduta, e ne è uscita trasformata. Non solo riparata, ma portatrice di un nuovo livello di senso. Questo non giustifica l’atto distruttivo, ovviamente. Ma ci invita a ripensare il senso dell’opera non come oggetto statico, ma come entità vivente. L’arte non è solo rappresentazione: è anche relazione, trauma, memoria. Viviamo in un’epoca in cui tutto è accelerato, tutto è documentato, tutto è potenzialmente distratto. Ma l’arte chiede lentezza, chiede attenzione. E chiede anche responsabilità. Non solo da parte di chi la fa, ma anche da parte di chi la guarda, la ospita, la vive.
Forse è questo il senso più profondo dell’episodio di Verona: ricordarci che l’arte, proprio come la vita, è sempre esposta. È fragile. È mutevole. Ma proprio per questo, continua a parlarci. Anche quando si spezza. E forse, a ben vedere, solo ciò che può rompersi è veramente vivo.

 * L'autrice di questo articolo: Federica Schneck classe 1996, è curatrice indipendente e social media manager. Dopo aver conseguito la laurea magistrale in storia dell’arte contemporanea presso l’Università di Pisa, ha inoltre conseguito numerosi corsi certificati concentrati sul mercato dell’arte, il marketing e le innovazioni digitali in campo culturale ed artistico. Lavora come curatrice, spaziando dalle gallerie e le collezioni private fino ad arrivare alle fiere d’arte, e la sua carriera si concentra sulla scoperta e la promozione di straordinari artisti emergenti e sulla creazione di esperienze artistiche significative per il pubblico, attraverso la narrazione di storie uniche.


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Bologna, sorpresa a Polonara: i compagni gli portano lo scudetto in ospedale




Detto, fatto. Glielo avevano promesso e il trofeo è arrivato: la Virtus Segafredo Bologna, dopo aver sollevato il suo 17° scudetto nella sua storia, ha fatto la sorpresa ad Achille Polonara portandogli in ospedale il titolo che è stato conquistato poche ore fa dopo la vittoria in Gara 3 contro la Germani Brescia. L'ala italiana, ricoverata all’Ospedale Sant’Orsola Malpighi di Bologna per curarsi da una leucemia mieloide, ha ricevuto il trofeo dai compagni di squadra Alessandro Pajola, Marco Belinelli e Tornik'e Shengelia. Il post pubblicato dalla Virtus sui social è accompagnato dalla seguente didascalia: "Te l'avevamo promesso e te l'abbiamo portata. Forza Achille".


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ho letto su google  news     che  Il FAI presenta a Villa Necchi Campiglio una mostra dedicata a Ghitta Carell (1899-1972), [  foto  a sinistra ] fotografa ritrattista che nell’Italia tra le due guerre fu la più celebre e richiesta.Conoscevo     alcune  foto per  averle  viste  in libri  o  riviste . Ma    non sapevo    che fossero di una  fotografa cosi importante  . Infatti     secondo  l'articolo  del Fai  che pubblicizza la  mostra     ho appreso che  davanti al suo obiettivo posarono i massimi protagonisti dell’epoca, gran parte dell’alta società italiana e del mondo della cultura, anche di livello internazionale. I suoi scatti nitidi, intensi ed eleganti, dallo stile inconfondibile, costituiscono una galleria affascinante e curiosa, che attraverso i volti, la moda e gli sguardi offre un ritratto originale della storia e della cultura del Novecento.La  mostra  curata da Roberto Dulio, l’esposizione raccoglie più di cento opere, tra fotografie vintage, lettere, cartoline, libri, documenti d’archivio e l’attrezzatura fotografica, esposta per la prima volta in una mostra.
Tra le fotografie, alcuni ritratti particolarmente legati al luogo, Villa Necchi, come quello dell’architetto Piero Portaluppi, autore del progetto della villa, e delle due sorelle Necchi, Nedda e Gigina, che ne furono proprietarie, e la donarono al FAI; anche Giulia Maria Crespi, fondatrice del FAI, compare giovane a fianco della madre in un ritratto esposto.
Ed è proprio dalla presenza di questi ritratti “familiari” che nasce l’idea della mostra a Villa Necchi, con un progetto di allestimento che presenta un’esposizione museale nello spazio dedicato alle mostre e dispone poi altre fotografie negli ambienti della casa, sugli arredi, con le loro cornici originali, come fossero state esposte lì dagli stessi proprietari. Villa Necchi, del resto, non è un museo, ma una casa, e mostre come questa sono pensate dal FAI proprio per valorizzarne l’identità e l’atmosfera speciali, e per raccontare da un altro punto di vista lo spaccato di vita, anche privata, di società e di cultura del Novecento che già questo luogo testimonia ed esprime.


Informazioni per la visita
Dove
Villa Necchi CampiglioVia Mozart, 14 MILANO
QUANDO
da Mercoledì a Domenicadalle ore 10:00 alle 18:00
contatti
0276340121fainecchi@fondoambiente.it

sempre  secondo il sito  del Fai ( fondo ambiente italia ) 

L’esposizione rinnova la l’offerta di visita di Villa Necchi Campiglio seguendo la politica culturale del FAI che “usa” le mostre nei suoi Beni come occasioni per valorizzare lo spirito del luogo, ovvero per approfondire e ampliare la conoscenza della sua specifica identità e della sua vocazione. Anche questa mostra nasce da un contenuto che già Villa Necchi esprime, ovvero la storia della società e del costume in una certa Milano della prima metà del Novecento, e trae lo specifico spunto dalla presenza nell’allestimento storico dei ritratti di Nedda e Gigina Necchi, immortalate proprio dalla macchina fotografica di Ghitta Carell.
Alle foto delle sorelle Necchi, nella loro collocazione originale, saranno affiancate nella hall del primo piano una parte dei ritratti raccolti per questa mostra, lasciati all’interno delle loro cornici originali. Le fotografie saranno posizionate su un grande tavolo da centro, come se fossero state collocate lì dai proprietari di casa, integrandosi con l’arredo e confondendosi con le fotografie della famiglia, senza turbare l’ambiente domestico allestito e abitato dai Necchi Campiglio.
La mostra proseguirà nel guardaroba, che sarà dedicato ad approfondire la tecnica fotografica della Carell, e si espanderà nel sottotetto della villa: uno spazio propriamente museale dove saranno esposti ulteriori ritratti, in gran numero, oltre a lettere, cartoline, libri e documenti d’archivio, per raccontare, anche attraverso video e filmati storici, non solo il lavoro della fotografa, ma anche i rapporti e le relazioni che la hanno legata a esponenti della classe aristocratica e intellettuale del tempo.


Una call per ritrovare le fotografie di ghitta carell


Il FAI intende lanciare una Call for portraits, ovvero una ricerca diffusa tramite social e canali digitali, per ritrovare fotografie di Ghitta Carell conservate nelle case delle famiglie milanesi.
Per segnalare un’opera è necessario scrivere all’indirizzo mostraghittacarell@fondoambiente.it al fine di sottoporre le immagini all’attenzione dei curatori, fino al 3 ottobre 2025. Le fotografie selezionate saranno richieste in prestito per la mostra.


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  da  Il Mattino  tramite   msn.it  


Studente multato il giorno della maturità: un imprenditore si offre di pagarla





L’esame di Maturità: no, non si tratta solamente di una serie di verifiche volte ad accertare le competenze acquisite nel corso del ciclo scolastico. È un appuntamento ineluttabile che segna la fine di un percorso e l’inizio di una nuova fase della vita. Ansia, preoccupazione, emozione e previsioni: c’è chi sente di essere preparato e chi, invece, è sopraffatto dalla paura. Il nervosismo per la prima prova non lascia scampo. A tutto questo si aggiunge anche il timore di arrivare tardi in aula.
Uno studente, mercoledì 18 giugno, ha raggiunto un liceo, a Roma, in zona San Paolo, vicino via Giuseppe Libetta, per sostenere il tema di italiano. Ha rischiato di salire in classe oltre l’orario di entrata perché non è arrivato accompagnato dai suoi genitori, ma solo, con la sua auto. E a Roma, in certi giorni, trovare parcheggio diventa una mission impossible. Lui, il giovane, è riuscito nell’intento. Ha lasciato l’auto sulle strisce blu. La sosta richiede il pagamento tramite parcometro o applicazioni mobili.
Il giovane ha affidato agli ausiliari una preghiera con la speranza di non essere “punito”. Carta, penna e un appello rivolto agli operatori della sosta: «Vi prego ho la maturità, ho girato 20 minuti». Al ritorno, la brutta sorpresa: una multa da pagare. La storia raccontata dal Messaggero ha commosso un residente di Pesaro che immediatamente ha scritto al nostro giornale per rintracciare il ragazzo.
La reazione
«Ho letto l’articolo e la storia mi ha fatto molto riflettere», dice Roberto Spinaci, raggiunto telefonicamente. L’uomo, imprenditore di professione, si è dimostrato solidale nei confronti del ragazzo a tal punto che si è offerto di saldare lui stesso la multa. «È vero - sottolinea - il vigile non poteva fare diversamente, ma quel ragazzo, in un giorno importante della sua vita, con educazione e accortezza si è preoccupato di lasciare un messaggio di supplica agli ausiliari del traffico. Ed è un gesto di profonda educazione che mi ha colpito tanto e vorrei - spera Roberto - mettermi in contatto con lo studente e pagare la sanzione».

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 da   https://www.geopop.it/

Cos’è la “rimaturità” sostenuta al Liceo Galileo di Firenze: rivivere le emozioni dell’esame di Stato da adulti
Tornare sui banchi di scuola e rifare l’esame di maturità in età adulta. È quello che accade dal 2024 al Liceo Galileo di Firenze. La prova, però, non ha valore legale e serve soltanto a mettere in connessione vecchi e nuovi alunni della scuola.

Torna La “rimaturità” del Liceo classico statale Galileo di Firenze. Si tratta di una prova di esame di maturità sostenuta volontariamente dagli ex alunni, la cui prima “edizione” risale al 2024. La scuola, fondata nel 1878, è uno dei licei più antichi e prestigiosi d’Italia. La “rimaturità” è stata introdotta nel 2024 per iniziativa della dirigente scolastica e dell’associazione degli ex alunni. La prova, che si svolge in maggio, prevede una traduzione dal latino all’italiano, ma non ha valore legale ed è organizzata per scopi di rievocazione storica.

                                 Il liceo classico Galileo di Firenze e la “rimaturità”

Dal 2024, gli ex studenti del Liceo Galileo di Firenze si possono sottoporre nuovamente all’esame di maturità, o meglio, possono sostenere una prova di esame nella scuola che hanno frequentato da studenti. Logicamente la prova, alla quale ci iscrive su base volontaria, è priva di valore legale e ha solo uno scopo di rievocazione e di affermazione dell’identità del Liceo Galileo.
La scuola è infatti il liceo più antico di Firenze e uno dei più antichi d’Italia. Esiste dal 1878, poco dopo l’Unità d’Italia, quando, nell’edificio che ospitava il Collegio dei Padri Scolopi, fu fondato un regio Ginnasio (equivalente alle attuali medie e al biennio delle superiori) che, per decreto del ministro Francesco De Sanctis, fu intitolato a Galileo Galilei. Nel 1884 al ginnasio si aggiunse il Liceo (cioè gli ultimi tre anni delle superiori). Da allora il Galileo è stato sempre attiva e nel corso degli anni sui suoi banchi hanno studiato illustri esponenti del mondo politico e intellettuale italiano. Tra loro gli scrittori Mario Luzi e Bruno Cicognani, l’astrofisica Margherita Hack, la giornalista Oriana Fallaci, l’uomo politico Giovanni Spadolini, lo storico Eugenio Garin e molti altri.
Come si svolge la “rimaturità”
La “rimaturità” è nata per rivendicare l’orgoglio identitario del Liceo Galileo e per creare una sorta di ponte tra vecchie e nuove generazioni di alunni. La prova è stata organizzata per la prima volta nel 2024 per iniziativa della dirigente scolastica, Liliana Gilli, e dell’associazione Amici del Galileo, che raccoglie ex alunni e docenti. Alla prima edizione hanno partecipato 207 ex alunni, tra i quali la più anziana era una donna di 89 anni, diplomatasi nel 1954. I più giovani, invece, erano studenti universitari che hanno superato la maturità nel periodo del Covid, senza prove scritte. Nel 2025 la "rimaturità" è stata nuovamente proposta e ha avuto luogo nel pomeriggio del 16 maggio.
La prova consiste in una traduzione dal latino in italiano. Gli “studenti” hanno a disposizione due ore di tempo e possono utilizzare il dizionario. Sul banco possono tenere esclusivamente la penna e i fogli timbrati dall’istituto, come accade negli esami di maturità «veri».
Gli "studenti" possono scegliere tra due livelli di difficoltà: il livello base (o non competitivo), per il quale le traduzioni sono corrette e valutate dagli alunni attuali della scuola; il livello avanzato (o competitivo), nel quale le prove sono corrette e valutate dai docenti in collaborazione con l’Associazione italiana di cultura classica. Ai partecipanti è assegnata una medaglia commemorativa, consegnata in un’apposita cerimonia che si tiene in ottobre.

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...