Visualizzazione post con etichetta a sud. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta a sud. Mostra tutti i post

24.6.16

Ledi L’odissea in musica di un albanese in fug

Poichè ancora ci si ostina a non considerare italiani gli immigrati che nascono e crescono qui nel nostro paese ( o sono qui da secoli come il caso degli Gli Arbëreshë ossia gli albanesi d'Italia[7][8], detti anche italo-albanesi che sono la minoranza etno-linguistica albanese storicamente stanziata in Italia meridionale ed insulare.Provenienti dall'Albania e dalle numerose comunità albanesi della Morea e della Ciamuria, oggi nell'odierna Grecia, si stabilirono in Italia tra il XV e il XVIII secolo ... continua qui https://it.wikipedia.org/wiki/Arbëreshë ) ed a considerarli stranieri da oggi inizio una nuova rubrica all'interno delle " le storie .

La storia  che riporto oggi  è quiella  di Ledi Cafuli, cantautore italo-albanese figlio di immigrati a loro volta figli di immigrati, è raccontata nel suo album d'esordio. Una lingua che passa dall’italiano all’albanese con “cadute” liguri
Figlio di immigrati, a loro volta figli di immigrati, che scappano da fascismo e comunismo su un carretto e un barcone zeppo di migranti: è il viaggio musicale di Ledi, cantautore che, dopo aver sfidato i pregiudizi, affronta il giudizio del palcoscenico


  da  http://ilcentro.gelocal.it  del 24 giugno 2016


  Protagonista è Ledi, cantautore italo-albanese figlio di immigrati a loro volta figli di immigrati. La sua storia personale e quella della sua famiglia sono le colonne su cui poggia il suo album d’esordio, per l’appunto “Cose da difendere” lanciato insieme al singolo “Penelope”.
 Inutile negare gli influssi della scuola genovese nell'approccio e nelle modulazioni vocali. Così come è evidente il ricordo dei Baustelle nelle tonalità e nei testi. Un’imitazione? No. Una mancanza di originalità artistica? Men che meno. Sarebbe banalizzare un racconto musicale che, non a caso, si chiude con una nenia in albanese. Sarebbe negare l’evidenza di un figlio di extracomunitari che parla con l’accento di un camallo. Sarebbe dimenticare che dalla mescolanza e dalla contaminazione possono nascere realtà nuove.


“Cose da difendere” è integrazione di culture e stili. Nella musica, anzitutto, con suoni acustici di basso, violoncello e chitarra che si mischiano a trame elettroniche. Nella lingua che passa dall’italiano all’albanese con “cadute” liguri. Nei testi che affrontano il vissuto ma raccontano un’identità apolide.
Le nove canzoni del disco sono il racconto del viaggio di Ledi Cafuli e della sua famiglia verso il nord del mondo. Un percorso musicale che non nasconde le difficoltà e le ferite subite ma le armonizza e sdrammatizza con la musica, occasione di rilancio sociale e libera espressione.
Del resto per capire Ledi, la sua musica e i suoi testi non si può prescindere dall’odissea di una famiglia in fuga per tutto il ‘900 da povertà e regimi totalitari. I suoi nonni sono greci e lì hanno vissuto fino all’avvento del regime fascista. Scappano, ma il loro viaggio si interrompe nell’Albania controllata dalle camicie nere italiane. È lì, a Durazzo nel 1988, che Ledi nasce sotto un altro regime, quello comunista.
Quando crolla il muro, il viaggio dei Cafuli riprende a bordo di una carretta del mare. Uno di quei barconi che partivano dall’Albania verso l’Italia pieni zeppi di uomini in cerca di speranza. Una scena vista e rivista. Ieri nel mare Adriatico, oggi nell’Egeo e nel canale di Sicilia. Un viaggio da paura che Ledi non ha fatto in prima persona. Aveva appena due anni e a salire su quel gommone è stato il padre. Un uomo che non è sbarcato in Italia “per rubare” ma per garantire un futuro a quel piccolo e a sua sorella.
La Itaca dei Cafuli si chiama Genova, la passione di Ledi chitarra. Uno strumento che il padre si è fatto portare dall’Albania quando è riuscito a far arrivare in Italia tutta la sua famiglia. «L’ho presa in mano a 17 anni e, grazie a un libro di mia sorella, ho cominciato a strimpellare. Ai primi accordi è seguita la prima canzone e da quel giorno non mi sono fermato. Il coraggio di costruire un lavoro compiuto è arrivato nove anni più tardi, ed eccoci qua».

5.3.14

Questo è l'8 marzo , non rinchiudersi in una pizzeria o spogliarelli maschili (Il treno delle mosche e le donne della speranza )

 ti potrebbe interessare





Canzoni consigliate  .
Fra le  tante  canzoni sui treni  , che  vanno   oltre  le  ovvie   e  scontate  in un post  simile   (ma non per questo belle  ed  intense)  ,  La locomotiva  di Guccini  e  treni  a  vapore -cielo   d'irlanda  di   Fiorella  Mannoia        ho trovate queste  :





Come specificato nellle primissime righe del mio post precedente ( trovate come sempre l'url sopra all'inizio del post ) su come vedo l'8 marzo ecco cosa intendo per storie di donne . 
Mentre incomincio  a  fare  cut&paste   dell'articolo  di    http://www.eticamente.net/ (   da  qui più  precisamente   )  mi ritorna  in mente   queste due    canzoni  la  prima  è di  un famoso  caffè è  lo spot  del  1981  


la  seconda   trovata  per  caso   anni   fa  mentre  cercavo   , non ricordo  per  quale motivo   ,  qualcosa   sul   rapporto tra    tra  la beat  generation  con   :  il   vagabondaggio  e treni .   E  riscoperta  mentre cercavo   qualche  canzone  adatta  per  questo post



Ma  ora  basta  . parlare io  , lasciamo  la parola  all'articolo

Sono le donne chiamate “Las Patronas“ che danno un filo di speranza, ogni giorno, alle 400mila persone che ogni anno attraversano il confine che divide il Messico dall’America, 8000 km tra boschi, rocce e deserto, fino al Rio Grande.Sono nicaraguensi, salvadoreñi, guatemaltechi, hondureñi che ogni giorno corrono affianco ad un treno, salgono in corsa, si sporgono, rischiano di rimanere amputati, fulminati o peggio: rischiano di morire.Ma quando passano per Veracruz hanno un pasto gratis, senza poterlo scegliere, senza poter decidere cosa mangiare ma ringraziando queste donne che ogni giorno sfidano “il treno della morte”, “il treno delle mosche”, “la bestia”, “il divoramigranti” che passa a 40 km orari e loro sono li, vicine, a volte troppo vicine… 


E non si aspettano niente in cambio, non vengono pagate, non vengono ringraziate ma sanno di essere l’unica speranza per questi migranti.I passeggeri soffrono la fame e le madrine del treno sono le uniche che danno loro un briciolo di speranza.Braccia alzate cibo che passa di mano, senza un errore, mai nulla avanza… E il giorno dopo si ricomincia.


Un tratto di strada dove le mani si incrociano velocemente in segno di speranza, dove gli sguardi si sfiorano velocemente in un grazie silenzioso nel frastuono del treno che inesorabile avanza veloce senza rallentare.
Nel video documentario di Nieves Prieto Tassier e Fernando López Castillo intitolato‘El tren de las moscas’




 (Il treno delle mosche) si vede questo passaggio di “testimone”, si vede il lavoro delle madrine, si vede la sofferenza dietro la speranza.Un cortometraggio che ha vinto il premio per il miglior corto politico al Film Festival Round

[Fonte dati www.repubblica.it ]


P.s
il video  è stato  salvato    tramite  donwloadhelper  (  estensione di mozzilla firex  fox  )   senza  nessun fine  di lucro  Ma  solo per  conservare la  memoria  di  tali  storie  che andranno perdute se nel caso  il canale  youtube  di Helios Cordero  (  https://www.youtube.com/user/caindenod   ) dovesse  essere  chiuso  o  i video rimosso  . I diritti sono  quindi  del quotidiano elpais.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...