tra le tante storie sul 27 gennaio ecco una che mi ha colpito particolarmente
da Genova24 tramite msn.it
Genova. Tina Baldi oggi avrebbe 101 anni. E’ morta nel 2011. Quando aveva appena 19 anni, nel 1943, mise in salvo un bambino ebreo dalla persecuzione nazista, nascondendolo e fingendo per mesi che fosse figlio suo, e poi portandolo ai genitori, scappati in Svizzera, mettendo in pericolo la propria stessa vita.Lunedì 27 gennaio, in occasione del Giorno della memoria, a Parma si terràla cerimonia in cui i familiari di
tina baldi
Tina Baldi riceverannola targa e la pergamena con cui la coraggiosa bambinaia sarà inserita per sempre nell’elenco dei“Giusti fra le nazioni”, l’onorificenza che loStato di Israeleconferisce a uomini e donne che aiutarono chi rischiava la deportazione nei campi di sterminio.
Se dopo 81 anni il comitato dei “Giusti tra le nazioni” è arrivato a questa storia è grazie a un genovese, Silvio Sciunnach, nipote di Tullo Vigevani, il neonato messo in salvo. Sciunnach, da Genova, in collaborazione con la cugina Mara, che invece vive in Israele, ha contattato la famiglia di Tina e poi raccolto le testimonianze e i documenti utili a far andare a buon fine la pratica. “Soprattutto racconti e dettagli stratificati negli anni – spiega – perché gran parte delle carte del tempo sono andate perse”. Suo è stato proprio suo zio Tullo, fratello della madre, più volte, a dire che non sarebbe vivo se non fosse stato per la “Tata Tina”.
Tullo Vigevani oggi ha 82 anni, vive in Brasile, ed è un ex docente di Scienze politiche in pensione. Non ha avuto un’esistenza semplice. Dopo quei primi anni di vita in Svizzera, nel 1950 è stato anche prigioniero politico durante la dittatura militare brasiliana. Non ha vissuto la deportazione ma ha comunque subito un arresto e torture.
La storia dei suoi genitori, Rolando e Enrica Vigevani, era stata al centro del lavoro di una scuola di Fidenza, premiato nel 2019. La coppia, residente al tempo nella zona di Parma, era stata aiutata a scappare in Svizzera dall’allora pretore di Fornovo, Pellegrino
Tullo Vigevani, per mano, insieme al papà e al fratello
Riccardi, altro “Giusto fra le nazioni”.
Ma quando si svolse la premiazione degli studenti che avevano realizzato la ricerca, il nipote di Riccardi disse che c’era un’altra “Giusta”, Tina Baldi appunto. Ed è stata in quell’occasione che il genovese Silvio Sciunnach, presente all’evento come familiare dei Vigevani, si mise in testa che sarebbe stato bello farle avere lo stesso riconoscimento.La storia è drammatica ma a tratti anche rocambolesca. “I Vigevani – racconta Sciunnach – riuscirono a salvarsi all’ultimo minuto perché Riccardi li avvisò che a casa loro stavano arrivando i tedeschi, fuggirono in Svizzera con il suo aiuto ma nella concitazione del momento non riuscirono a recuperare il figlio piccolo, Tullo, che restò alla bambinaia”.
Tina Baldi se ne prese cura come se fosse figlio suo. “Lei finse che fosse figlio suo, per nasconderlo, e peraltro assieme a quel bambino si trovò a scappare in diversi posti, il caso vuole che finì ospite addirittura in una casa di cura dove stava anche la figlia di Mussolini, Edda Mussolini, la moglie di Galeazzo Ciano”.
Un altro episodio che Sciunnach racconta, ancora incredulo e ammirato, è quello della consegna del piccolo Tullo alla famiglia Vigevani, al confine svizzero. “Già potete immaginare come il viaggio fino al confine, per una 19ene con un bambino di pochi mesi, non fosse semplice ma poi accadde che per passare il piccolo tra le reti del confine, Tina e una sorella della madre di Tullo, si riconobbero utilizzando, quasi come un codice da servizi segreti, una banconota strappata a metà, se le due metà fossero coincise ci sarebbe stata la certezza che il bambino stava andando nelle mani giuste”. La consegna non fu direttamente alla madre di Tullo perché proprio in quei giorni stava partorendo il secondogenito.
la famiglia Vigevani
Ad ogni modo, lunedì 27 gennaio, si chiude un cerchio. “Non è stato facile arrivare a questo risultato – commenta Sciunnach – l’iter è iniziato nel 2019 ma nel frattempo c’è stato anche il Covid che ha rallentato le procedure di verifica da parte del comitato, però siamo contenti, io ho saputo che la procedura era andata a buon fine nel 2023, proprio nei giorni in cui trovavo in Israele per le vacanze”.Lunedì Sciunnach sarà a Parma, insieme alle figlie di Tina, Lauretta e Carla Baldi, e a Homero e Darsin Vigevani, figlio e nipote di Tullo. Il bambino salvato, purtroppo, non riuscirà a volare dal Brasile per questioni di salute ma con il cuore sarà vicino a Tata Tina, come sempre è stato in questi anni.
non capisco questa contraddizione: gente di sinistra accusa la destra di essere fascista e razzista, ma coloro che hanno insultato, diffamato,minacciato Liliana Segre sono persone di sinistra che seminano antisemitismo e odio.Lei come se lo spiega?
Lettera firmata
Caro ******
i progressisti o almenola maggior parte tacciano i conservatori di essere fascisti, ma i primi sono addirittura nazisti. Alcune frange della sinistra lo hanno mostrato, dal 7 ottobre del 2023, giorno dell'attacco di Hamas contro Israele, un'altra parte del suo deformato volto. L'antisemitismo esiste anche a sinistra. Lo vediamo ad ogni manifestazione, quando gli ebrei vengono insultati,mentre vengono sventolate bandiere della Palestina e bandiere pacifiste, come se chiedere la pace seminando odio e incitando alla violenza sia normale e credibile.
Ricorderai quanto è accaduto a Milano, quando, in occasione della prima alla Scala, nel dicembre del 2023, montò una polemica poiché per i radical-chic era inaccettabile che una vittima della persecuzione, la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta al campo di sterminio, sedesse accanto al presidente del Senato Ignazio La Russa, ritenuto e chiamato da quella che molti defiscono melma rossa «fascista». Poi si è scoperto che gli antisemiti,sempre secondo la destra , quelli veri, non quelli inventati, sono proprio quelli di sinistra, i quali hanno mantenuto un atteggiamento ambiguo nei confronti dei violenti che in questi mesi sono scesi in piazza non contro la guerra, contro Israele e il suo popolo, contro gli ebrei. In questo caso nessuno o quasi è insorto, nessuno si è indignato.
La stessa Segre verso la quale non condivido a la difesa ad oltranza del governo Istraeliano è stata fatta bersaglio quotidiano di attacchi e violenza verbale, e lo è tuttora, tanto che ella, qualche giorno fa, a causa dell'acredine e dell'odio che ha ricevuto per la proiezione nelle sale cinematografiche del suo biotopic , ha deciso ( anche se lei lo ha smentito ) di non partecipare all'inaugurazione, al Memoriale della Shoah di Milano, della mostra dell'artista Marcello Maloberti, dove la senatrice era attesa. Ed è ignobile che una donna che è sopravvissuta al campo di concentramento debba oggi, all'età di 94 anni, scegliere di stare chiusa in casa per proteggersi dalla medesima ferocia antisemita che la investì e contro la quale lottò decenni e decenni addietro, uscendone miracolosamente viva ma con ferite indelebili impresse nella carne, nelle ossa, nell'anima e nella mente.I 12 rinviati a giudizio perché accusati di avere perseguitato Segre sulla rete non sono da quel che ne so soggetti che appartengono alla destra, bensì gravitano all'interno della galassia di sinistra. Quindi è lecito domandarci: ma il vero razzismo, il vero fascismo, il vero nazismo, il vero antisemitismo sono di destra o di sinistra? La domanda ormai è divenuta addirittura retorica, in quanto negli ultim 405 anni la
sinistra ( soprattutto quella istituzionale ) sista spostando sempre più a destra , come confermato dal notevole libro Categorie della politica dopo destra e sinistra di Vincenzo costa [ foto a destra ] in quanto mi pare evidente che il livore sia appannaggio dei sedicenti democratici, che lo adoperano alla stregua di uno strumento politico.
Persino i rappresentanti politici di sinistra ( ma anche della destra ) che siedono all'interno delle istituzioni sposano un atteggiamento alquanto equivoco: non condannano e non si schierano apertamente contro i criminali che intonano cori o vergano frasi antisemite sui muri poiché sanno che potrebbero perdere voti, insomma sanno bene che una parte del loro elettorato possiede uno spirito schiettamente nazista, che disprezza e odia a morte gli ebrei. Trovo che questo sia alquanto grave, tanto più ove consideriamo che poi questi dem puntano il dito contro un uomo come La Russa che non ha mai smesso anche se a scopo di trasformismo il cosidetto fascismo in doppietto , di esprimere sostegno, solidarietà e amicizia alla comunità ebraica, sempre più vittima di atti intimidatori e aggressioni in Italia come nel resto dell'Occidente. Approfitto di questa occasione per manifestare la mia vicinanza alla senatrice, che ingiustamente sta patendo una seconda vergognosa caccia operata da chi si dice «democratico» e «antifascista».
Agnes Keleti, una delle più grandi atlete ebree della storia, è morta a 103 anni in Ungheria. Sopravvissuta all’Olocausto, era la campionessa olimpica vivente più anziana, con 10 medaglie conquistate nella ginnastica . “Avrebbe compiuto 104 anni giovedì prossimo”, un traguardo che avrebbe celebrato con lo stesso spirito indomabile che l’ha sempre contraddistinta.Nata Agnes Klein nel 1921, la sua carriera fu drammaticamente interrotta dalla Seconda guerra mondiale e dalla cancellazione delle Olimpiadi del 1940 e 1944. Nel 1941, a causa delle leggi razziali, fu costretta ad abbandonare la squadra di ginnastica e a nascondersi nella campagna ungherese sotto una falsa identità, lavorando come domestica. La madre e la sorella sopravvissero grazie al diplomatico svedese Raoul Wallenberg, ma il padre e altri familiari furono deportati e morirono ad Auschwitz.
Dopo la guerra, Keleti tornò ad allenarsi con determinazione. Sebbene un infortunio le avesse impedito di partecipare alle Olimpiadi di Londra del 1948, il debutto a Helsinki nel 1952 la vide brillare: un oro, un argento e due bronzi negli esercizi a corpo libero. La consacrazione definitiva arrivò alle Olimpiadi del 1956 a Melbourne, dove conquistò 4 ori e 2 argenti.
Agnes è rimasta un’icona anche dopo il ritiro. Nel 2017 ha ricevuto il prestigioso Premio Israele, mentre l’Ungheria l’aveva già insignita del titolo di “Atleta della Nazione” nel 2004. Sorprendentemente, ha continuato a eseguire spaccate fino ai 90 anni, dimostrando che la sua forza andava ben oltre il tempo . i.
Keleti conquistò le medaglie olimpiche in due edizioni dei Giochi: Helsinki 1952 e Melbourne 1956, dove batté la leggendaria ginnasta sovietica Laris Latynina. Ha dovuto aspettare, dopo un mucchio di occasioni sfuggite: prima a causa della guerra, poi per un infortunio che l'ha costretta a rinunciare ai Giochi del 1948 a Londra. Era sopravvissuta agli orrori dell'Olocausto, aveva dovuto lasciare la ginnastica e superare il dolore per la scomparsa del padre e di diversi parenti, uccisi dalla ferocia nazista nel campo di concentramento di Auschwitz. Agnes si è salvata e con lei anche mamma e sorella.
Keleti è considerata una delle più grandi atlete ebree di sempre ed era la campionessa olimpica vivente più anziana: era nata a Budapest il 9 gennaio 1921 e giovedì prossimo avrebbe compiuto 104 anni. Agnes ha ottenuto anche successi importanti in Italia: ai Campionati del Mondo di Roma 1954 si è laureata Campionessa del Mondo alle parallele asimmetriche. Keleti ha lasciato l'Ungheria a causa della rivoluzione scoppiata nel '56, proprio durante le Olimpiadi di Melbourne: dopo aver chiesto asilo politico in Australia, si è trasferita in Israele. In un'intervista di tre anni fa, disse: «Ho 100 anni, ma ne sento 60. Amo la vita». Lo sport piange una donna che è stata più forte di tutto.
Come ho detto nel post precedente << la labile differenza tra Shoah ed olocausto ma stessa tragedia ed aberrazione >> di non voler più scrivere e riportare storie e notizie in merito all'olocausto \ shoah , ma ho deciso di continuare a fare quello che faccio ogni anno nella giornata ora diventata settimana della memoria ovvero il 27 gennaio . E di fregarmene poi ho cambiato idea ed eccomi qua .Infatti inizialmente oltre che sfiduciato ero assuefatto per la massiccia esposizione a documentari e programmi di
storia ( mixer , La Storia siamo noi , Trent'anni della nostra storia , ecc ) film , fumetti ( vedi archivio e foto accanto del n 83 di Dylan dog ) , letture scolastiche ( i libri di Primo levi e il diario di anna frank e il acchetto di biglie ) . . Ma poi oltre il fatto citato nel post precedente l' imbrattamento delle pietre d'inciampo a Firenze
Redazione Nove da Firenze
18 gennaio 2023 22:11
"Un oltraggio gravissimo alla memoria della Shoah. Chi vandalizza le Pietre d’inciampo disonora Firenze e i suoi cittadini». Così l'assessora alla cultura della memoria Maria Federica Giuliani commenta il danneggiamento di una 'Pietra d’inciampo' posata sul marciapiede di via Aretina 131 per ricordare Bruno Corsi, deportato a Fallingbostel e ucciso a Braunschweig nel 1944. ..... segue qui
E questo scritto di Pier Paolo Pasolini
ma soprattutto il botta e risposta via email che trovate sotto su una forma di revisionismo diffuso fra la massa ormai ( salvo eccezioni sempre più rare purtroppo ) sempre più analfabetizzata che mette sullo stesso piano due grandi genocidi quello del gulag sovietici e i lager nazisti .
Salve
ho letto i suoi interessanti e notevoli post sul genocidio ed aberrazione dei campi nazisti . Ma devo farle un osservazione critica . Non parla di quelle che sono peggiori ed allo stesso livello di atrocità ed aberrazioni che sono avvenute nel regime sovietico . In attesa di un suo post in merito la saluto e le auguri buon lavoro
lettera firmata
Caro Utente
Se vuoi , visto che il blog è aperto a chiunque ha qualcosa da dire , se vuoi mandami un tuo scritto o un tuo articolo in merito , oppure se ti vuoi iscrivere su gmail puoi pubblicare direttamente sul nostro blog .
Sono due storture ideologiche diverse come dice il video sotto riportato
che non dovrebbero essere messi sullo stesso piano e non si posso comparare con il classico questo è peggio di quello . Non esistonono genocidi di serie A e di serie B .
Concludo questa mia replica con con quanto ha detto in un intervista ( e poi ribadito alla 5 domanda in appenddice nell'edizione del 1976 di se questo un uomo che trovi qui https://www.vocedellasera.com/arti/libri/primo-levi-se-questo-e-un-uomo-appendice/ ) ripresa da https://www.qualcosadisinistra.it/2015/02/15/lager-e-gulag-parla-primo-levi/ : [... ]“Il Gulag fu prima di Auschwitz è vero; ma non si può dimenticare che gli scopi dei due inferni non erano gli stessi. Il primo era un massacro fra uguali; non si basava su un primato razziale, non divideva l’umanità in superuomini e sottouomini: il secondo si fondava su un’ideologia impregnata di razzismo. Se avesse prevalso, ci troveremmo oggi in un mondo spaccato in due, ‘noi’ i signori da una parte, tutti gli altri al loro servizio o sterminati perché razzialmente inferiori. Particolari esemplari di questo disprezzo sono il tatuaggio e l’uso nelle camere a gas del veleno originariamente prodotto per disinfettare le stive invase dai topi“. E ancora: “L’empio sfruttamento dei cadaveri, e delle loro ceneri, resta appannaggio unico della Germania hitleriana, e a tutt’oggi, a dispetto di chi vuole sfumarne i contorni, ne costituisce l’emblema.” [....] .
Quindi smettiamola di strumentalizzare e ussare ideologicamente la memoria di simili tragedie
con questo è tutto
Libri di approfondimento su Lager nazisti e GULag sovietici
Piero Riccardo Pavia era solo un bimbo quando arrivarono le leggi razziali. I genitori gli avevano aperto un libretto - ritrovato solo poco tempo fa - al Banco di Chiavari che oggi gli offre 800 euro, lui chiede mezzo milione
Il signor Piero Riccardo Pavia oggi ha 81 anni. Ne aveva appena 3 quando il Governo fascista, con lo strumento delle leggi razziali e attraverso la prefettura di Genova, nel procedere alla confisca di tutti i beni degli ebrei e quindi anche di quelli della sua famiglia, si appropriò del libretto di risparmio numero 3142 che i suoi genitori gli avevano aperto all’allora Banco di Chiavari e che conteneva 11 mila lire. Era il 6 aprile del 1944. Oggi, 78 anni dopo, una giudice del tribunale di Genova deve decidere sulla richiesta di risarcimento depositata dal signor Pavia attraverso il suo legale, l’avvocato Mauro Frigerio. Se Piero Riccardo Pavia si è mosso solo dopo così tanto tempo è perché lui neppure sapeva di quel libretto. Lo ha ritrovato di recente, rimettendo in ordine antichi ricordi, documenti e cimeli di famiglia. E quella carta antica e scolorita ha riportato alla luce angosce, sofferenze e una richiesta di giustizia ancora, dolorosamente, vive. Molteplici sono le sfumature di questa vicenda storico-giudiziaria che ruota attorno ad una cifra, o meglio due. Da un lato gli 838,96 euro che il Banco Bpm (che oggi ingloba l’antico Banco di Chiavari e della Riviera Ligure) ha offerto al signor Pavia come rimborso per le 11mila lire “rivalutate dalla data del sequestro ad oggi”.
La sede dell'ex Banco di Chiavari oggi Bpm in via Garibaldi (bussalino)
Dall’altro la richiesta, in base a conteggi effettuati da consulenti, avanzata dal signor Pavia che ammonta a 420mila 748,68 euro. La citazione, in solido, riguarda, oltre a Bpm anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri, incarico in questo momento ricoperto da Giorgia Meloni, al quale, in gioventù, aderì al Msi, partito fondato da Giorgio Almirante, convinto fascista che della Repubblica Sociale Italiana fu un importante esponente. Un incrociarsi di vicende storiche e personali che riduce le distanze temporali. Tornando alla somma richiesta come risarcimento, seppur importante, non è il cuore di questa causa sul tavolo della giudice Barbara Romano. In tempi di revisionismo e omologazioni diffuse, sono utili, per capire lo spirito che permea questa causa, le parole che pronunciò Tina Anselmi nella sua veste di presidente della Commissione che tra il 1998 e il 2001ebbe il compito di ricostruire, e lo fece in 500 pagine, quella gigantesca rapina dello stato fascista che fu il decreto legislativo di Mussolini con cui si stabilivano le “Nuove disposizioni concernenti i beni posseduti dai cittadini di razza ebraica”. Scrive Tina Anselmi: “Prima di essere un affare di denaro, la spoliazione è stata un persecuzione il cui obiettivo finale era l’annullamento morale e quindi lo sterminio”. Un concetto che ribadisce il signor Pavia: “Vede, sicuramente a differenza di tante altre famiglie ebree e non solo, la mia è stata anche più fortunata, tocca dire così di fronte all’orrore di quanto accaduto. Noi venimmo derubati dallo stato fascista e per salvarci, con un viaggio rocambolesco non privo di sofferenze e umiliazioni riuscimmo a raggiungere la Svizzera. Ma quelle confische furono il primo atto concreto di aggressione e credo sia un mio dovere, oggi, chiedere un risarcimento che non può essere solo simbolico ma contenga in sé una sorta di monito rispetto alle leggi razziali” La causa è già stata avviata e il primo febbraio del 2023 ci sarà un’udienza decisiva poiché la giudice dovrà decidere se vada accolta la richiesta dell’Avvocatura di trasferire il processo a Roma dove aveva sede l’Egeli, ovvero “Ente di gestione e liquidazione immobiliare” al quale Mussolini aveva affidato la criminale classificazione e reimpiego dei beni delle famiglie ebraiche italiane. Ma quel che più conta è che un giudice dovrà dire se il signor Pavia abbia solo diritto a recuperare quegli 800 euro come se il suo caso sia omologabile a una negligenza, un errore, una frode nel peggiore dei casi, o se invece le 11 mila lire di quel bimbofossero solo il primo, barbaro passo compiuto da una dittatura per sterminare un intero popolo ed appropriarsi, come l’ultimo dei briganti, dei loro beni.
Poichè ogni commento personale è inutile ed il rischio di cadere nella retorica , cosa che voglio come ho già detto precedentemente evitare ,preferisco lasciare che a parlare di tale argomento siano le storie . E' più eficace di mille commenti di noi che non l'abbiam vissuto e lo conosciamo , parlo per la mia generazione ( meta degli abnni 70 ) attraverso documentari televisivi pre dei canali di rai5 e rai storia
La storia che riporto sotto tratta da l'ultimo numero dell'inserto settimanale robison di repubblica è anche la storia di un libro particolare .
UN RIFUGIO VICINO AL CIELO, la storia delle famiglie ebree salvate dagli abitanti di un intero paesino delle Orobie Bergamasche Scritto il NOVEMBRE 30, 2020AURORA CANTINI
IN OCCASIONE DEL 75° ANNIVERSARIO DELLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE… QUESTA È LA STORIA DI ALCUNE FAMIGLIE ITALIANE DI RELIGIONE EBRAICA NASCOSTE DAL 1943 AL 1945 AD AMA, PICCOLA FRAZIONE DEL COMUNE DI AVIATICO, OROBIE BERGAMASCHE, TRA PERQUISIZIONI E SFOLLATI. SULLA BASE DELLA TESTIMONIANZA DIRETTA DI GIUDITTA MARIA USUBELLI, CHE NON HA MAI DIMENTICATO LA SUA AMICA DI INFANZIA ELSA IACHIA E I SUOI FRATELLI E CUGINI. È LA STORIA DI UNA FUGA (VERSO LA SVIZZERA) E DI UN RITORNO (VERSO CASA). UN AMORE GRANDE PER LA VITA E UN INTERO PAESINO CON I SUOI ABITANTI CHE DIVENNE CULLA E RIFUGIO PER 16/17 PERSONE IN FUGA DALLA GUERRA, DALL’ORRORE, DALLA SHOAH. ERANO CIRCA CINQUE FAMIGLIE LEGATE DA PARENTELA CHE ABITARONO NELLE CASE MESSE A LORO DISPOSIZIONE DA ALCUNI PAESANI, A LORO VOLTA IMPARENTATI. DI QUELLE FAMIGLIE E DI QUEI BAMBINI OGGI SONO RIMASTI POCHI SOPRAVVISSUTI ORMAI ANZIANI. EPPURE, GRAZIE AD UNA METICOLOSA RICERCA, INSIEME, SI È RIUSCITI A RICOSTRUIRE, ANCHE SOLO PARZIALMENTE, LE VICENDE DI CUI TUTTI SONO STATI PROTAGONISTI, IMPREZIOSENDO IL LIBRO CON FOTOGRAFIE E DOCUMENTI PREZIOSI. UNA STORIA TRAGICA EPPURE RICCA DI VALORI E DI CORAGGIO, NATA E CRESCIUTA GERMOGLIANDO DA SEMPLICI GESTI DI SOLIDARIETÀ, GENEROSITÀ E SALVEZZA, FINO AD ARRIVARE AD UN’AMICIZIA SEMPLICEMENTE AUTENTICA. UN AFFRESCO CORALE, DOVE HA INCISO L’AIUTO DEL PARROCO DON MODESTO GASPERINI, DELLA MAESTRA ORSOLINA BERBENNI USUBELLI E DI MOLTE FAMIGLIE DEL PAESE. SI CHIAMAVANO USUBELLI, FOGACCIA, MOSCA, ARISTOLAO, CARRARA, MADUNÌ. MA IMPORTANTE FU ANCHE L’AIUTO DEI GIOVANI ALPINI RICERCATI CHE, SEPPURE LORO STESSI IN COSTANTE PERICOLO DI FUCILAZIONE, NON ESITARONO A NASCONDERE I BAMBINI EBREI E I LORO NONNI E GENITORI NELLE GROTTE SOTTO IL PAESE QUANDO GIUNGEVA LA NOTIZIA DI UN IMMINENTE RASTRELLAMENTO DA PARTE DEI NAZIFASCISTI. NEL VICINO PAESE DI SELVINO VI ERANO INFATTI BEN 4 PRESIDI MILITARI E OLTRE 100 SOLDATI DELLA FAMIGERATA DECIMA MAS. INFINE UN OMAGGIO ALL’EROISMO DEL GIOVANE TASSISTA GINO FOCACCIA CHE HA DATO IL VIA A QUESTA RETE DI AIUTO E SALVEZZA! CON PIÙ DI 100 FOTOGRAFIE! PER NON DIMENTICARE, PER DARE UN SEGNO DI SPERANZA. UNA STORIA A LIETO FINE!L’Altopiano Selvino Aviatico Orobie Bergamasche. In primo piano il paesino di Ama, rifugio delle famiglie ebree dal 1943 al 1945
IL LIBRO È PRENOTABILE IN TUTTE LE LIBRERIE ED EDICOLE NAZIONALI. NON POTENDO FARE PRESENTAZIONI PUBBLICHE PER LE RESTRIZIONI DI LEGGE, PER CHI FOSSE INTERESSATO POTETE CONTATTARMI DIRETTAMENTE. PROVVEDERÒ A SPEDIRE LA COPIA RICHIESTA AL VOSTRO RECAPITO A PREZZO SCONTATO. IL SAGGIO È GIÀ DISPONIBILE ANCHE NELLE EDICOLE SULL’ALTOPIANO SEMPRE A PREZZO AGEVOLATO. L’ARTICOLO SU L’ECO DI BERGAMOL’articolo su L’Eco di Bergamo per il libro “Un rifugio vicino al cielo” di Aurora Cantini L’INTERVISTA AD ANTENNA2TV
da Robison di repubblica del 23\1\2021
Diciassette persone in tutto,
e altre tre non ancora
identificate che affittavano
stanze con documenti falsi,
comprati chissà dove
Aurora Cantini
Un rifugio
vicino al cielo
Silele edizioni
pagg. 168
euro 16
I giusti di Ama
Viaggio
nel paese
del silenzio Un gruppo di ebrei trovò rifugio sulle Orobie
Siamo tornati nel borgo che li ha protetti
e che per generazioni ha mantenuto il segreto
Diciassette persone in tutto,
e altre tre non ancora
identificate che affittavano
stanze con documenti falsi,
comprati chissà dove
Aurora Cantini
Un rifugio
vicino al cielo
Silele edizioni
pagg. 168
euro 16
I giusti di Ama
Viaggio
nel paese
del silenzio
dalla nostra inviata Brunella Giovara
Ama di Aviatico (Bergamo)
Qui sono passati gli anni, e gli anni, e
nessuno ha mai parlato. C’era un segreto tremendo da mantenere, è rimasto chiuso tra queste case di pietra, il paese ha ubbidito nel silenzio
come se fosse ancora nel 1943, e c’erano i tedeschi in piazza, con i repubblichini e gli uomini
neri della Decima Mas. C’era anche un gruppetto di
ebrei, salito fin sulle Orobie bergamasche a cercare salvezza. L’hanno trovata, ma da allora nessuno ha mai più
pronunciato la parola ebreo. Fino a un giorno d’estate
del 2016, un giovane insegnante era a passeggio nella
borgata di Ama, incontra Giuditta Maria Usubelli di anni 88, si chiacchiera e a un certo punto la donna dice
«ah, mi piacerebbe tanto sapere che fine ha fatto la mia
amica Elsa, la bambina ebrea che viveva nascosta qui.
Sarà ancora viva?».
Lui scolora. Si chiama Mattia Carrara, conosce le storie vecchie del suo paese, «però questa
non l’avevo proprio mai sentita, neanche
dai più anziani». Non ci crede. Interroga Giuditta ancora una volta,
chiede i particolari, i nomi, e poi telefona, controlla, e
va anche a cercare negli archivi del Comune, «dove non
c’è traccia di cittadini ebrei sfollati qui durante la guerra, tra i tanti che salirono da Milano e da altre città».
La storia era vera. La sapevano tutti, nel 1943. Il falegname Luigi Fogaccia. Il parroco, don Modesto Gasperini. I bambini, le ragazze, le loro madri. La maestra Orsolina. I proprietari dell’osteria Madunì, e anche quelli della trattoria Tre Corone, che avevano l’unico telefono. I
giovani partigiani della zona, che vivevano nascosti sulla montagna. Il tassista del paese, Gino Fogaccia, che
forse era quello più di mondo, perché andava a prendere i turisti alla stazione di Bergamo e li portava su, alla
villeggiatura, tra Selvino e Aviatico, ai bei tempi in cui
c’erano le ville che aprivano per la stagione, si respirava
aria buona e si facevano pranzi e cene, poi a ottobre si
scendeva in città.
Bene, di questa frazione Ama, che aveva un cento abitanti in tutto, nessuno ha mai detto una parola della famiglia Iachia di La Spezia (8 persone, più uno zio Alberto Carubà), dei Lascar di Torino (4 persone), dei loro 4
cugini Lascar di Genova. Diciassette persone in tutto, e
altre tre non ancora identificate (la sarta Gina e il marito, una bambina Giovanna Giua, una ragazza incinta)
che affittavano stanze con documenti falsi, comprati
chissà dove. Dopo la Liberazione sono tornati a respirare, dopo due anni vissuti nella paura, di essere venduti,
scoperti, e quindi deportati «Eh, il mio destino era Auschwitz, invece eccomi
qui». Sergio Iachia, 81 anni, nel ’43 ne aveva quattro. «Devo ringraziare un paese, se ci siamo salvati. E Aurora,
che ci ha trovati». Si battono i piedi sulla terra gelata, davanti alla piccola chiesa dedicata al Santissimo Salvatore, e qui di salvatori ce ne sono stati tanti. C’è sole ma si
è sottozero, e Aurora Cantini spiega al gruppetto che si
può fare «una passeggiata, e vedere le case dove erano
nascoste le famiglie». Aurora è una di quelle persone come ancora se ne trovano nei paesi, appassionata di storia del posto, «di quelle minime che a volte incrociano
la grande storia», uno era Nuto Revelli, che girava le
Langhe registrando le voci dei vecchi, quello che avevano passato, le tribolazioni di vite povere e oneste, le
guerre, le miserie. «Sono autodidatta, scrivo poesie e libri, vorrei che restasse la memoria», poi insegna italiano con altrettanta passione alle elementari di Villa di Serio.
Aurora accompagna e spiega, dietro ci sono i figli di
Giuditta, Annamaria e Giovanni, e il pronipote del prete, che si chiama Fabio Chiesa. Il professor Carrara, ora
sindaco. E Sergio Iachia con la figlia Sarah, che dice «l’unica parola è gratitudine. Se Ama non avesse aiutato la
mia famiglia, io non sarei qua, oggi». Sarah è stata una
benedizione, per la scoperta di questa storia. Un giorno
ha visto su Facebook l’appello di Aurora, che cercava notizie di certi Iachia e Lascar, rifugiati ad Ama, provincia
di Bergamo, niente di più. Ha risposto, da lì ci sono state
molte telefonate, molti ricordi sono tornati alla luce, fotografie, episodi, racconti. Da lì è nato un libro, Un rifugio vicino al cielo, libro piccolo ma importante, edito da
Silele Edizioni.
Così, si arriva su una strada in salita, a sinistra c’è una
casa che sembra abbandonata, poi il nuovo proprietario la apre, si salgono scale strette e a un certo punto Lascar dice «riconosco le mattonelle, erano queste, bianche e grigie», come si usava nelle case di inizio secolo. E
il balconcino dove lui e suo fratello, bambini, si affacciavano su un mondo che non sapevano se ostile --- «ero
troppo piccolo» --- o amichevole, ma di certo erano amici, quegli uomini e quelle donne, silenziosi ma vicini,
preoccupati alla morte per il rischio tremendo, consapevoli di star facendo la cosa giusta. Giovanni, figlio di
Giuditta: «Nostra madre era molto religiosa, era sicura
che sarebbe finita bene. Aveva fede. Ma forse aveva ancora paura, perciò non ne parlava mai. E se ne parlava,
io purtroppo non ho mai capito l’importanza dei suoi
racconti».
Giuditta era una ragazzina di 14 anni, con le trecce lunghe, una «di quelle che nei paesi le trovi dappertutto, una sveglia». Aveva una nuova amica, questa Elsa Iachia, bionda, nelle foto poi recuperate dell’anteguerra,
è una bambina che sorride, ignara di quello che stava
per succedere ad altre bambine come lei. «Insieme giocavano, andavano a cicorie nei campi, proprio qui, su
questo prato, dove vennero sorprese da un mitragliamento aereo», Aurora racconta, e racconta anche Sergio, che intanto entra in una camera dove ci sono ancora i mobili del tempo, il letto, l’armoir con lo specchio, il
comò. «Questa era la stanza dei mei genitori. E qui stavamo io e mio fratello». Non è cambiato niente — è incredibile ma è così — gli anni sono passati e in queste stanze
nessuno ha toccato più niente. «Qui stava lo zio Carubà.
Poveretto, è poi morto mentre attraversava la linea gotica, a guerra finita. Tornava verso casa in bicicletta con
mio padre, venne schiacciato da un camion americano.
Mio papà l’ha portato in un cimitero lì vicino, con un carretto».
Ora, sono quasi tutti morti. Di quelli che c’erano, restano i fratelli Guerino e Clara Mosca. Si va sotto la loro
casa, che è ancora quella, all’albergo Tre Corone. Si
apre una finestra e si affaccia Clara, «quanta paura abbiamo avuto, i tedeschi venivano a cercare mio padre,
ci puntavano il mitra in faccia». Clara aveva 8 anni, era
piccola e seria. Sapeva cos’era un mitra, e che nell’appartamento a fianco c’erano i Lascar, che durante le incursioni spegnevano tutto e stavano zitti, fermi, pregando.
In quell’albergo arrivava sempre una telefonata di
preallarme. Una amica chiamava da Bergamo, e diceva
una sola parola: «Arrivano». Era il segnale del rastrellamento del giorno dopo. Il paese si preparava, si immaginano le corse, la paura, le preghiere alla madonna. I giovani caricavano i bambini ebrei in spalla e li portavano
a Predale, una borgata di 12 case e 12 stalle, dove si rifugiavano i ragazzi renitenti alla leva, e i partigiani. Cessato l’allarme, si tornava alle case. Finita la guerra, i 17
ebrei sono tornati alle loro città, poveri ma vivi. Che vite
hanno fatto, tutti. I salvati e i salvatori, con un terrore
che è rimasto lì, fermo, per anni, «perché magari qualcuno vuole vendicarsi, chi lo sa. Meglio stare zitti, ancora
un po’». Infine ha parlato la ragazzina Giuditta, quella
con le trecce, voleva solo sapere della sua amica Elsa, se
era viva, ed era viva. Sono morte prima di ritrovarsi, entrambe hanno avuto famiglie felici, e molti nipoti. Ma
ignare e lontane, a volte le cose vanno così.
La settimana " rompi " sta per iniziare . speriamo che per questo 27 gennaio d non dover assistere di novo a simili bestialità come quella fatta da Alessandro Meluzzi su Twitter il cui post è stato rimosso ( forse in un barlume di razionalità o forse per evitare insulti personali ) ma fortunatamente la foto dell'orripilante misfatto è stata salvata in tempo per essere messa in circolo nella rete .
La foto ritoccata e postata ( poi rimossa visto che se si cerca su twitter compare la scritta : << Questo Tweet non è disponibile. ) da Alessandro Meluzzi
Purtroppo non è la prima volta che succede, che il fotoritocco, cioè, arrivi a prenderla a prestito. A taroccarla. A cambiarne le parole. A utilizzarla, nonostante ciò che rappresenta di per sé, per veicolare messaggi di altro tipo. Accadde nel 2014 con Beppe Grillo, che la scelse, stravolgendola tra le polemiche, per attaccare il Colle e il governo. Riaccade oggi con Alessandro Meluzzi, psichiatra e già parlamentare - nel 1994 e 1996 - con Forza Italia. Opinionista televisivo, è riallacciandosi all'emergenza Covid che su Twitter Meluzzi pubblica un post con la foto del campo nazista. In alto, la rivisitazione della scritta: al posto de Il Lavoro Rende Liberi, il copia e incolla di un leit motiv degli ultimi mesi, quell'Andrà Tutto Bene che ha accompagnato emotivamente le settimane di lockdown prima dell'estate (sui balconi, alle finestre, nei selfie dei bambini) e che ora, con la risalita del numero dei contagi e il ritorno delle misure restrittive, si ripropone per molti.
Premetto che non sono del Pd e non lo voto più perchè .. ma questo è un altro discorso . Ma concordo con loro
[... ]
Pd si è levato un coro di polemiche per l'uso di un'immagine che riconduce ai crimini dell'Olocausto. "Twitter oscuri il 'cinguettio' dello psichiatra Alessandro Meluzzi con un richiamo a Auschwitz". È quanto chiede Alessia Morani (Pd), sottosegretaria al ministero dello Sviluppo economico. Nel tweet, spiega Morani, "c'è una foto dell'ingresso al campo di sterminio con la scritta Arbeit macht frei sostituita da Andrà tutto bene. Io mi chiedo come Twitter possa consentire questa vergogna. Ma oscuratelo santo cielo!", conclude la sottosegretaria.Le fa eco il deputato dem Andrea Romano: "Chi si fa beffe della Shoah per la propria piccola, misera propaganda non merita la dignità di interlocutore. Nel mio piccolo, non parteciperò ad alcuna trasmissione televisiva che abbia questo signore tra i suoi ospiti #orabasta".
"Questo Meluzzi, psichiatra, passa la giornata sui canali Mediaset a dispensare lezioni su qualsiasi aspetto della vita umana. Qui ha toccato il fondo". Lo scrive il responsabile esteri del Pd, Emanuele Fiano, su Facebook commentando la fotografia pubblicata da Meluzzi. "Io non ammetto scuse con chi gioca con il simbolo dell'abominio dell'essere umano. Auschwitz. Utilizzare il simbolo della fabbrica della morte nazista, dove un milione e duecentomila persone sono state rese schiave, torturate, picchiate gasate e bruciate, dove è stata cancellata l'idea stessa di umanità per pura propaganda politica, a me fa orrore e schifo", aggiunge Fiano. "Fossi un conduttore di Mediaset non chiamerei più una persona del genere in trasmissione".
Prima dell'inizio del post d'oggi Troverete quegli approfondimenti che mettono a fine post , qui ho deciso di metterli all'inizio post in quanto davanti a fatti simili e in vista di giornate celebrative di solito sono le cose che si leggono per prima , sulla differenza di come nei lager ci finirono cosa che l'autore ( o gli autori ) di tale infamia e vergogna ignora , anche non ebrei ma politici , omosessuali , ecc
Mondovì, scrivono "Qui c'è un ebreo" sulla porta del figlio di una deportata
L'uomo aveva ricordato su un giornale locale la madre, Lidia Beccaria Rolfi, che era stata imprigionata a Ravensbruck come politica. Il figlio: "Si è creato un clima e questi sono gli effetti". La ministra Azzolina: "Sono turbata, si è passato il limite".
Ora dopo questa pippa iniziamo il post vero e proprio
Come ho già detto nel titolo di questo post m ed ripetuto ( l'ultima qualche post fa ) sarà una giornata rompi e puli coscienza e quindi davanti a fatti come quello successo recentemente Mondovì non si ripetano e non siano considerati solo dei gesti isolati di deficienti che lo fanno per noia ed emulazione bisogna parlarne ed scriverne sempre non solo a date fisse ed evitare la retorica e di concentrarsi come non solo il 27 gennaio o quando si tratta appunto d'anniversari come quello di 2 anni fa in cui si celebravano gli 80 anni delle leggi razziali - SIC - italiane , ma tutti i giorni .
Nonostante tutta l'ipocrisia ed il ricordo a senso unico e la rottura retorica ( ecco perché le definisco giornate rompi ) ricordo e scrivo post in merito . Infatti cerco il più possibile di farlo in maniera alternativa ed il più lontano possibile dai canoni ufficiali /istituzionali fatte (salvo eccezioni per lo più individuali ) di ricordi a senso unico e parziali ovvero come dice https://www.fanpage.it in :<< la Giornata della Memoria selettiva: ricordiamo i lager tedeschi ma non quelli italiani >> visto che ricordiamo ( salvo eccezioni ) Auschwitz, la Shoah \ olocausto \ genocidio e quindi i lager tedeschi ma non conosciamo la storia dei nostri campi di concentramento italiani in Libia, Eritrea ed Etiopia. Ed soprattutto quelli nei due campi Italiani usati dai tedeschi con la nostra complicità e collaborazione Fossoli ( in emilia romagna ) e La riviera di San Sabba (trieste) .
Una giornata della Vergogna per i crimini coloniali fascisti sarebbe doverosa nell’epoca di “Prima gli Italiani” come l'appena trascorsa giornata del 27 gennaio edizione 2019
Ecco perché, rispondo così a chi mi chiede perché da uomo di sinistra ricordo e celebro la giornata delle foibe , sempre in maniera alternativa per il suddetto motivo espresso nelle righe precedenti , il 10 febbraio ovvero il cosiddetto giorno del ricordo o giornata delle foibe che ha sempre e causa sempre polemiche e critiche per l'uso strumentale che se ne fa da una parte e dall'altra . Infatti
L'istituzione del Giorno del ricordo venne tacciata di neofascismo e revanscismo, in quanto decontestualizzerebbe i massacri delle foibe dall'invasione della Jugoslavia, dai precedenti crimini di guerra italiani in Jugoslavia e dalla forzata italianizzazione delle terre di confine[74][75][76][77][78]. Critiche storiografiche[modifica | modifica wikitesto]Secondo Giovanni De Luna e Franco Cardini, il Giorno del ricordo, istituito quattro anni dopo il Giorno della memoria, si è di fatto contrapposto a quest'ultimo[79][80]. Filippo Focardi ha rilevato la contrapposizione del Giorno del ricordo - "tenuto conto della prassi e dello stile commemorativo - sia alla memoria della Resistenza sia alla memoria della Shoah sia alle celebrazioni del 25 aprile"[81]. Lo stesso studioso ha in seguito meglio precisato il suo pensiero: secondo Focardi, «il giorno in ricordo delle foibe, fortemente voluto da Alleanza Nazionale, si è caratterizzato per una costruzione della memoria imperniata sulla denuncia della violenza comunista jugoslava contro gli italiani senza alcun riferimento al contesto storico, né alla precedente oppressione fascista delle minoranze slovene e croate incluse nel Regno d'Italia dopo la Grande Guerra, private della loro lingua e della loro cultura, né ai crimini commessi dal 1941 al 1943 dalle armate di Mussolini; antecedenti che almeno in parte spiegano la "controviolenza" successiva (animata però anche da radicali progetti annessionistici). Si è così proposta una memoria modellata sulla narrazione di matrice neofascista sviluppata fin dall'immediato dopoguerra, che riversa esclusivamente sulla Jugoslavia di Tito l'accusa di aver commesso crimini efferati in nome di un odio antitaliano votato alla pulizia etnica e giunge iperbolicamente a equiparare le foibe alla Shoah (si è parlato infatti di "Shoah italiana"). Risultano in questo modo del tutto trascurati sia le reali dimensioni del fenomeno sia i risultati della storiografia italiana e internazionale che ha indagato a fondo, ponendola in un più generale quadro europeo, l'evoluzione dei rapporti fra le popolazioni di origine italiana e slava di quelle regioni, nonché le violenze e i torti reciproci»[82]. Enzo Collotti ha invece rilevato come "delle vittime delle foibe e dei dolori e delle sofferenze di coloro che condivisero l'esodo istriano ai politici che ne vogliono monumentalizzare il ricordo in un secondo ambiguo giorno della memoria interessi relativamente poco. Sono in gioco esclusivamente interessi elettorali (...). Ad una cultura legata ai valori della Resistenza e dell'antifascismo (...) si va sostituendo una cultura diffusa fatta (...) di vere e proprie falsificazioni". Collotti definì il Giorno del ricordo "un ambiguo contraltare del Giorno della memoria"[83].
"Forti perplessità" sono state espresse anche da parte dello storico del colonialismo italiano Angelo Del Boca, il quale ha fra l'altro definito la commemorazione "una battaglia strumentale della destra in contrapposizione alla Giornata della Memoria, a cui i partiti di sinistra si sono adeguati per non lasciare il monopolio assoluto all'altra fazione"[84]. Gustavo Corni ha invece rilevato come l'istituzione del Giorno del Ricordo sia stata progettata "come possibile elemento unificante e legittimante di un nuovo patriottismo" fortemente avallato dal centrodestra italiano.[85]Critiche alla ricorrenza sono state espresse a vario titolo anche da altri storici accademici, intellettuali ed associazioni italiane, quali Angelo d'Orsi[86], Davide Conti[87], Paolo Rumiz[88] e l'ANPI[89]. Altre critiche - in particolare riferite al discorso del 2006 di Ciampi - furono espresse sia dallo scrittore Antonio Tabucchi[90] che dallo storico triestino Galliano Fogar, azionista ed esponente di punta del CLN triestino, che criticò pure alcune precedenti affermazioni di sostegno alla proposta di Menia di istituzione del Giorno del ricordo da parte di Fassino e Violante, e parlò di memoria dimezzata e di rimozione del fascismo e dei crimini di guerra italiani in Jugoslavia quali terreno di coltura delle successive violenze postbelliche da parte jugoslava[91].
ed anche molte sempre secondo la stessa fonte critiche storiografiche
Secondo Giovanni De Luna e Franco Cardini, il Giorno del ricordo, istituito quattro anni dopo il Giorno della memoria, si è di fatto contrapposto a quest'ultimo[79][80]. Filippo Focardi ha rilevato la contrapposizione del Giorno del ricordo - "tenuto conto della prassi e dello stile commemorativo - sia alla memoria della Resistenza sia alla memoria della Shoah sia alle celebrazioni del 25 aprile"[81]. Lo stesso studioso ha in seguito meglio precisato il suo pensiero: secondo Focardi, «il giorno in ricordo delle foibe, fortemente voluto da Alleanza Nazionale, si è caratterizzato per una costruzione della memoria imperniata sulla denuncia della violenza comunista jugoslava contro gli italiani senza alcun riferimento al contesto storico, né alla precedente oppressione fascista delle minoranze slovene e croate incluse nel Regno d'Italia dopo la Grande Guerra, private della loro lingua e della loro cultura, né ai crimini commessi dal 1941 al 1943 dalle armate di Mussolini; antecedenti che almeno in parte spiegano la "controviolenza" successiva (animata però anche da radicali progetti annessionistici). Si è così proposta una memoria modellata sulla narrazione di matrice neofascista sviluppata fin dall'immediato dopoguerra, che riversa esclusivamente sulla Jugoslavia di Tito l'accusa di aver commesso crimini efferati in nome di un odio antitaliano votato alla pulizia etnica e giunge iperbolicamente a equiparare le foibe alla Shoah (si è parlato infatti di "Shoah italiana"). Risultano in questo modo del tutto trascurati sia le reali dimensioni del fenomeno sia i risultati della storiografia italiana e internazionale che ha indagato a fondo, ponendola in un più generale quadro europeo, l'evoluzione dei rapporti fra le popolazioni di origine italiana e slava di quelle regioni, nonché le violenze e i torti reciproci»[82]. Enzo Collotti ha invece rilevato come "delle vittime delle foibe e dei dolori e delle sofferenze di coloro che condivisero l'esodo istriano ai politici che ne vogliono monumentalizzare il ricordo in un secondo ambiguo giorno della memoria interessi relativamente poco. Sono in gioco esclusivamente interessi elettorali (...). Ad una cultura legata ai valori della Resistenza e dell'antifascismo (...) si va sostituendo una cultura diffusa fatta (...) di vere e proprie falsificazioni". Collotti definì il Giorno del ricordo "un ambiguo contraltare del Giorno della memoria"[83].
"Forti perplessità" sono state espresse anche da parte dello storico del colonialismo italiano Angelo Del Boca, il quale ha fra l'altro definito la commemorazione "una battaglia strumentale della destra in contrapposizione alla Giornata della Memoria, a cui i partiti di sinistra si sono adeguati per non lasciare il monopolio assoluto all'altra fazione"[84]. Gustavo Corni ha invece rilevato come l'istituzione del Giorno del Ricordo sia stata progettata "come possibile elemento unificante e legittimante di un nuovo patriottismo" fortemente avallato dal centrodestra italiano.[85]Critiche alla ricorrenza sono state espresse a vario titolo anche da altri storici accademici, intellettuali ed associazioni italiane, qualiAngelo d'Orsi[86], Davide Conti[87],Paolo Rumiz[88]e l'ANPI[89]. Altre critiche - in particolare riferite al discorso del 2006 di Ciampi - furono espresse sia dallo scrittoreAntonio Tabucchi[90]che dallo storico triestinoGalliano Fogar,azionistaed esponente di punta del CLN triestino, che criticò pure alcune precedenti affermazioni di sostegno alla proposta diMeniadi istituzione del Giorno del ricordo da parte diFassinoeViolante, e parlò di memoria dimezzata e di rimozione del fascismo e dei crimini di guerra italiani in Jugoslavia quali terreno di coltura delle successive violenze postbelliche da parte jugoslava[91].
quindi per evitare sia quello che dice nel video citato all'inizio sia per evitare che simili cose si ripetano e ritornino l, lo so che sembrerò retorico ed ripetitivo , ma non mi viene in mente altro , ricordiamo . Soprattutto che la storia sia usata per speculazione e strumentalizzazione politica ( vedi il 10 febbraio per rimanere al caso italiano ) , non basta quanto lo è stata nel secolo scorso