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Tu stai dalla parte di questi maiali...
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Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
I Francesi, quelli della grandeur, si genuflettono davanti all’islam. In uno dei manifesti iconici delle prossime Olimpiadi, che si terranno a Parigi, fra gli altri luoghi simbolici della capitale c’è anche la cupola della cattedrale des Invalides. Che però, nella riproduzione [ VEDERE FOTO SOPRA A SINISTRA ] , è stata privata della croce svettante sulla cupola. Al suo posto s’innalza una lancia: non è un messaggio di laicità bensì una dichiarazione di asservimento. Hanno detto, i difensori del secolarismo, figli tardivi della Rivoluzione e dei sanculotti, che i manifesti olimpici non devono avere simboli cristiani perché «gli islamici di prima, seconda e terza generazione che vivono in Francia vanno rispettati nei loro sentimenti religiosi». Come se esibire la carta d’identità della cultura d’appartenenza sia un’offesa. Quel manifesto è una dichiarazione di resa e di paura. L’islamica è religione di conquista e da sempre persegue il suo obiettivo. Ora ha trovato complici all’interno del fortilizio occidentale, fiancheggiatori che ne agevolano l’assalto: studenti e docenti di licei e università in Europa e in America, i cacasenno dell’Onu, gli strateghi da videogame dell’Unione europea, che come piano demografico propongono di farci invadere da torme di migranti. I quali, come sappiamo, sono prevalentemente islamici. Che mirano non a integrarsi ma a sopraffarci. Inshallah.
almeno nella prima parte ha ragione . Infatti tale decisione è solo il classico ed ipocrita politicamente corretto o falsa laicità. Infatti definizione di laicità La legge sulla laicità in Francia, nota come "laïcité", è un principio fondamentale dell'ordinamento francese che separa le istituzioni statali dalla religione e garantisce la neutralità dello stato rispetto alle questioni religiose. La proposta di legge "Confortant le respect des principes de la République" (Legge che conferma il rispetto dei principi della Repubblica), spesso chiamata "loi sur le séparatisme", ha suscitato dibattiti e polemiche
La legge è composta da 51 articoli e mira a prevenire la formazione di comunità religiose autonome e separate dal resto della società¹. Include misure per promuovere la neutralità e la laicità nel servizio pubblico, combattere i cosiddetti "certificati di verginità", la poligamia, i matrimoni forzati, i crimini d'odio online, e rafforzare il controllo delle associazioni religiose.
Le critiche alla legge riguardano principalmente la sua interpretazione e applicazione, che alcuni ritengono troppo rigida e potenzialmente limitante per le minoranze religiose². La legge è vista come una risposta legislativa agli atti terroristici di matrice islamica avvenuti in Francia negli ultimi anni, ma è importante notare che la maggioranza dei cittadini di religione islamica in Francia non sono associati al radicalismo.
per approfondire
<< al di là delle faglie che hanno prodotto profonde fratture nell’occidente, è possibile un futuro multipolare di “convivenza tra identità diverse”, come auspica Daniele Segre? O “nessun nuovo ordine oggi è possibile”, come conclude pessimisticamente Lucio Caracciolo ? >> . secondo me ancora risposta non c'è . Almeno finche si continuerà con questa ormai anacronistrica contrapposizione fra oriente ed occidente . Quindi la domanda che viene spontanea dopo la lettura di quest articolo su il Fatto Quotidiano del 30\11\2023
Allargando lo sguardo alla vastità dell’oriente, le coordinate si perdono e la cultura greca, presentata nel corso dell’ottocento come “un miracolo”, non appare più come un unicum. Certamente la filosofia greca diede un contributo importante allo sviluppo del Logos nella storia occidentale, ma che cosa la distingue dalla saggezza orientale? Gli stessi filosofi greci si riconoscevano debitori di una civiltà millenaria più antica. Si può parlare allora di “comune lascito dell’“età assiale” o di “miracolo greco”? Di età assiale ha parlato per primo nel 1949 Karl Jaspers e da qualche decennio se ne discute: un arco di tempo che va dall’800 al 200 a.c., in cui sono sorte contemporaneamente diverse tradizioni religiose e filosofiche: in Cina con Confucio, in India con Buddha, in Iran con Zaratustra, nel contesto ebraico con Geremia, Isaia ed Elia, per non parlare dei greci. Perciò in questo quadro sfaccettato anche la storia non appare diretta linearmente, ma sembra ruotare intorno al medesimo asse. Accanto alla discussione sulla filosofia greca si possono quindi considerare aspetti di questa saggezza orientale, entrata tangenzialmente in Occidente, come gli editti del principe indiano Ashoka, scritti in pracrito, aramaico e greco, ritrovati incisi su pilastri, massi e caverne in Afghanistan, Bangladesh, India, Nepal e Pakistan, precetti ispirati al buddismo. O il manuale sull’arte della guerra o meglio del conflitto di Sunzi, un classico di strategia militare, la più importante opera dell’antichità cinese, che è anche uno dei più raffinati e influenti manuali di strategia politica e sociale, di attualità sconcertante. Ma per lo più quel mondo del “sole che sorge” restava avvolto nella leggenda, alimentando il mito o il pregiudizio dell’autoctonia della città simbolo della Grecia: Atene; un modo per autocelebrarsi e rafforzare la contrapposizione tra se stessi e i barbaroi. E la barbarie era soprattutto rappresentata nell’ethos tragico delle donne, che si manifesta in alcune tragedie di Eschilo e di Euripide.
Ma nella rappresentazione dell’altro come barbaro, forma onomatopeica che mima la balbuzie, c’è una certa arroganza che trascura millenni di civiltà orientale, come quella indiana e cinese, coltivata senza ambizioni di espansione militare. Un mondo che resterà lontano e si aprirà lentamente allo sguardo dell’occidente soprattutto attraverso le vie del commercio di un prodotto raffinatissimo e prezioso come la seta, veicolo di incontri di culture. Un reale incontro tra culture fu invece il risultato del sogno ambizioso di Alessandro Magno, il sogno di unire Oriente e Occidente, risolto rapidamente col taglio del nodo di Gordio, ma diventato realtà duratura soprattutto con la nascita della cultura ellenistica in cui la lingua greca, divenuta koiné, veicolò le varie culture del vicino Oriente. La nuova città Alessandria in Egitto e la sua Biblioteca furono al centro di incontri, ma anche di scontri tra culture e religioni dell’oriente. Fu in quei luoghi che iniziò la traduzione in greco dell’antico Testamento scritto in ebraico, che divenne nota come “Bibbia dei Settanta”; ma Alessandria fu anche teatro del primo pogrom della storia, testimoniato con parole toccanti dall’ebreo Filone. E in Alessandria si consumò il femminicidio di Ipazia, vittima del fanatismo e dell’invidia, di cui ha ricostruito “la vera storia” Silvia Ronchey. Ma le categorie di Oriente e Occidente sono diventate sempre più vaghe e ambivalenti da quando una religione d’oriente come quella cristiana è diventata valore identitario in Occidente. Scontro o incontro? “Che cos’hanno in comune Atene e Gerusalemme?”: a questa domanda provocatoria di Tertulliano risponderanno il cardinale Gianfranco Ravasi e Ivano Dionigi sabato al teatro Carignano nel corso del festival di Torino. La religione cristiana, assimilando anche la cultura greco-romana, si impose in Occidente con Costantino che spostò la capitale dell’impero romano a Costantinopoli, su quelle rive dell’ellesponto che costituivano l’avamposto dell’oriente. E lì, dopo Teodosio e la divisione dell’impero di Roma, si affermò quell’impero romano che sarebbe sopravvissuto mille anni di più dell’impero romano d’occidente. E che avrebbe mantenuto quella raffinata cultura greco-romana, che in Occidente si era perduta e trasformata nei regni romano-germanici fino alla nascita del Sacro romano impero carolingio. Maometto e Carlo Magno era il titolo del libro di Pirenne dedicato alla storia del primo incontro/scontro tra Islam e Impero carolingio. Quell’incontro ebbe momenti di pacifica convivenza, produttiva di risultati culturali importanti, come il ritorno in Occidente del pensiero di Aristotele mediato dalla cultura araba, ma col tempo ripropose il cliché dello scontro di civiltà iniziato con le Crociate. Uno scontro che riuscì anche a rimescolare le carte nei rapporti tra Oriente e Occidente, come quando la quarta crociata, promossa dalla piccola nobiltà franca e da Venezia, fece apparire i crociati come veri barbari agli occhi della coltissima principessa bizantina Anna Comnena. Al punto che si poté dire in seguito, a proposito della successiva caduta di Costantinopoli a opera dei Turchi ottomani: “Meglio il turbante turco che la tiara latina”. Un vero capovolgimento dell’immagine tradizionale dell’oriente e dell’occidente, due categorie ambigue e ambivalenti che riflettono le faglie dell’europa, su cui si interrogheranno nel festival anche politologi e analisti, affrontando il “tema della “deriva dell’occidente”, la prospettiva di “una tempesta perfetta” nello scontro bipolare o quella di “un futuro asiatico”. Ma, al di là delle faglie che hanno prodotto profonde fratture nell’occidente, è possibile un futuro multipolare di “convivenza tra identità diverse”, come auspica Daniele Segre? O “nessun nuovo ordine oggi è possibile”, come conclude pessimisticamente Lucio Caracciolo?
è arriveremo mai a ciò a
traduzione in italiano di Immagine di J.lennon
proprio la canzone di Lennon mi riporta alla mente una discussione avuta con un amica femminista su film Il film, intitolato Il Vangelo secondo Maria, prende spunto dall'omonimo testo di Barbara Alberti, in cui secondo IL GIORNALE mi pare di martedi o mercoledi : << Sarà una Maria di Nazareth "pagana, ladra, selvaggia e femminista", come la descrive l'Ansa, quella che verrà proiettata al Torino film festival. Una Madonna che non è per niente felice del progetto che Dio ha per Lei e che, quasi provocatoriamente, Gli chiede: "Perché proprio a me?". Come se non volesse accogliere in Sé il Figlio di Dio. Come se quella gravidanza fosse un peso e non un dono per l'umanità intera. Il film, intitolato Il Vangelo secondo Maria, prende spunto dall'omonimo testo di Barbara Alberti, la quale, intervistata dall'Ansa, afferma: "Ho scritto questo libro nel 1979 al solo scopo di far sorridere la Madonna. Viene sempre rappresentata come una serva assoluta che per destino dovrà solo piangere e partorire senza conoscere uomo. Insomma, l'indicazione che veniva data alle donne era piangere. Credo che noi donne possiamo essere qualcosa di più di una figurina del dolore". [...]>>.
IO
cerco l'originale e poi ne faccio una mia interpretazione . Per il femminismo io distinguo tra femminismo conservatore e femminismo progressista \ pluraree . Ciò no vuole dire che il patriacato non esiste anzi esiste sotto nuove forme Come dice Nando della chiesa su il Fatto Quotidiano d'oggi
Dopo le manifestazioni per Giulia di sabato scorso vale la pena continuare a riflettere su quanto è accaduto. Perché una causa cruciale è certo il patriarcato. Ma ce ne sono anche altre, che la travalicano.Vissi con ammirazione e i dovuti sensi di colpa la rivoluzione femminista, che entrò nella mia giovane casa con dolcezza pari all’intransigenza. Il mondo “progressista” la fece formalmente sua. Ma negli anni Ottanta accadde una cosa che doveva pur allarmare. I settimanali impegnati e progressisti iniziarono a fare a gara a mettere in copertina donne nude, provocanti, ammiccanti, con ogni pretesto. In alcune riunioni di redazione si chiedeva addirittura, come fosse l’asso da poker, “ma abbiamo la f… in copertina?”. Rientrò così dalla finestra la donna-oggetto. Perché “vendeva”. Il fatto non apparve grave ma piuttosto “libertario”. Erano stati o no quei settimanali in prima fila per i diritti della donna, a partire dal divorzio? Con quell’alibi, e la concorrenza delle tivù commerciali appena nate, tornò in forma nuova il vecchio mondo, che l’ingresso delle donne in alcune carriere rendeva meno visibile. Al punto che con Gianni Barbacetto pubblicammo nel 1988 un numero speciale del mensile Società Civile (“Sbatti il nudo in prima pagina”) per denunciare quanto accadeva, ripubblicando pagine e pagine di quelle copertine. Pura testimonianza.PERCHÉ L’ONDATA politico-ideologica successiva restituì piena dignità a quel mondo. Non era solo patriarcato. Era qualcosa di diverso. E il nostro Parlamento nato dalla Costituzione più bella del mondo ne fu invaso. “La Lega ce l’ ha duro” di Bossi alla senatrice Boniver, il “taci gallina” in aula alla senatrice Acciarini, gli insulti irriferibili del suo schieramento alla ministra Prestigiacomo proprio sui diritti. E le ironie su Rosy Bindi “più bella che intelligente”. E le alleanze internazionali nutrite dalla offerta di grazie femminili ai potenti in visita in Italia, come neanche le schiave nell’iliade. Non persone, appunto, ma oggetti. Da anni la donna fa notizia solo se vittima di stupro (quanto siamo indignati) o se sale ai vertici di qualcosa (quanto siamo civili). Le sue fatiche più nobili e dure, la sua stessa storia civile viene ignorata. Decine di migliaia di insegnanti hanno tenuto in piedi non la scuola ma anche le istituzioni nei periodi più duri della storia nazionale, da Palermo a Milano, e non glielo ha mai riconosciuto nessuno.I girotondi dei primi anni duemila furono inventati e alimentati soprattutto da donne ma sono stati raccontati al maschile. Le donne sono da quarant’anni la spina dorsale del movimento antimafia ma, non solo per l’immagine incombente dei grandi eroi, la narrazione che se ne fa le tiene accuratamente sullo sfondo, salve alcune familiari di vittime. La sinistra ha eletto a cuore della sua battaglia per i diritti l’“orientamento sessuale”, quando la questione delle questioni era d ra m m at i c a m e n t e l’“appartenenza di genere”, ossia l’altra metà del cielo. Come una Maria Antonietta repubblicana che sventoli le brioches (il “politicamente corretto”) quando il popolo non ha il pane. Spesso facendo dei celebri asterischi il simulacro della modernità. Incapace di vedere che mentre il numero degli omicidi scendeva a precipizio aumentava invece quello dei femminicidi, quasi che la società avesse gradualmente ma implacabilmente selezionato il bersaglio del suo potenziale di violenza. Non la violenza di una pistola, si badi; ma quella più efferata del coltello, del bastone o dello strangolamento (“Ma lei sa quanto ci vuole per strangolare una persona?”, chiese una volta un collaboratore di giustizia al giudice che lo interrogava).emblematica fu la vicenda di Lea Garofalo. Uccisa, fatta a pezzi, bruciata, sotterramento delle ossa in campagna. Per avere tradito lo speciale patriarcato mafioso, fuggendo con la figlia Denise a cui voleva dare un futuro libero. Ci vollero anni perché il suo processo trovasse ascolto. Quando arrivò il cronista di un grande quotidiano in aula e mi chiese di che cosa si trattasse, avendolo saputo mi rispose “Ah, una mafiata”. Alzò le spalle e se ne andò.Oggi decine di donne del sud sono sotto protezione, in luoghi lontani, addirittura con nome diverso, per la stessa ragione. Non è forse un grande problema sociale? Il fatto è che dietro Giulia c’è un mondo immenso fatto anche della nostra ipocrisia, del nostro narcisismo politico, della irresponsabilità delle istituzioni. Un mondo fatto della nostra indolenza, perché “accorrere a un grido” chiede corsa, ossia fatica. Per questo nel 2007 Marianna Manduca fu uccisa a Palagonia dopo avere denunciato l’ex marito dodici (12!) volte. C’è, se possibile, qualcosa di più grande del patriarcato. La mattanza ha molti padri. E anche qualche madre.
Apro l'email e tovo queste "lettere " di alcuni haters \odiatori , tralasciando gli insulti e le solite litanie ...