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Trova 161 milioni di lire nella cassapanca della nonna a Sondrio, ma la Banca d’Italia non li converte più in euro
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Un sogno diventato incubo. Trova 161 milioni, ma sono in lire e la Banca d’Italia non li converte in euro. È accaduto a un uomo, residente a Sondrio: qualche mese fa ha scoperto per caso il denaro chiuso in una vecchia cassapanca della nonna. I risparmi di una vita avrebbero potuto rappresentare una grande occasione, un colpo di fortuna di quelli che possono cambiare la vita. Ma, al momento, il signor Lorenzo impiegato precario in un call center, dovrà attendere e chissà se potrà mai ottenere la cifra.
Sì perché le lire non hanno più valore. Il signor Lorenzo immediatamente dopo aver trovato il denaro si è rivolto alla Banca d’Italia chiedendo informazioni su come poter convertire in euro la cifra e incassarla, ma la risposta è stata negativa. I 161 milioni di lire non possono essere convertiti in euro, e quindi non hanno alcun valore. L’uomo, però, non si è arreso e si è rivolto a Giustitalia, un’associazione che difende i consumatori, per intraprendere una battaglia legale e cercare di ottenere i suoi soldi. Come spiegano gli avvocati di Giustitalia che stanno seguendo la vicenda, Francesco Di Giovanni e Luigi De Rossi, quello del signor Lorenzo non è un caso isolato e la cifra ritrovata non è neppure tra le più alte: «Seguiamo tante battaglie. Riceviamo circa 30 richieste al giorno. Alcune somme sono molto ingenti, anche superiori a quella del signor Lorenzo. Il principio è che i risparmiatori non sono assolutamente tutelati dalle istituzioni. Questa situazione di vuoto normativo esiste solo in Italia. In tutti gli altri paesi dell’Unione europea, è possibile convertire denaro delle vecchie valute in qualunque momento, senza prescrizioni temporali».
Al momento in casi come questi ( Roma, pensionato trova 245 milioni di lire a casa del fratello morto ma non riesce a cambiarli: equivalgono a 126 mila euro ) esistono due filoni interpretativi. «Da una parte, come fa la Banca d’Italia, - raccontano gli avvocati - si fa riferimento alla prescrizione decennale che impedisce il cambio una volta trascorso questo tempo. E questo vale per qualunque titolo di credito: se il titolare è dormiente per dieci anni, perde il diritto di convertire la cifra in lire posseduta, nella valuta attuale. Dall’altra c’è il Codice civile, che all’articolo 2935 sancisce che la prescrizione decorre da quando un soggetto può far valere il suo diritto». In quest’ultimo caso, in pratica, una persona può chiedere di convertire il denaro ritrovato anche se sono trascorsi più di dieci anni, perché lo fa nel momento in cui li ha trovati. «La problematica – spiegano gli avvocati - è relativamente recente e l’ago della bilancia è proprio la decorrenza di questa prescrizione. Noi sosteniamo, in base al codice civile, che il diritto debba decorrere dal momento in cui il soggetto può farlo valere. Ad esempio dal momento del ritrovamento». Coloro che, come il signor Lorenzo, decidono di intraprendere una causa civile di solito lo fanno perché si tratta di somme importanti e quindi in qualche modo vale la pena tentare. Ma i tempi non sono brevi: «Una causa civile può durare anche due anni e al momento non c’è alcuna certezza perché non ci sono state né sentenze contro, né a favore».
A 23 anni dalla scuola Diaz la polizia fa lezione, insorgono gli studenti. "Fuori dalle nostre aule"
Roma, 13 marzo 2024 – Quasi 23 anni dopo i drammatici pestaggi del G8, a Genova esplode un altro caso Diaz: senza violenze fisiche, ma dal forte portato evocativo. Gli studenti del collettivo Pertini si rivoltano contro il dirigente scolastico Alessandro Cavanna per l’ammissione della polizia a una giornata di orientamento lavorativo post maturità. Scelta che scatena la rabbia studentesca. Perché gli ambienti della Diaz restano gli stessi insanguinati dalla "macelleria messicana" evocata dal vice questore Michelangelo Fournier nel processo seguito alla brutale repressione su attivisti e operatori media del Genoa Social Forum (63 dei quali ricoverati in ospedale con lesioni anche gravissime) nella drammatica notte del 21 luglio 2001.
“Fuori la polizia dalla Diaz", recita il cartello appeso ai cancelli dell’Istituto comprensivo Diaz-Pertini-Pascoli (e subito rimosso). Gli studenti spiegano che la propria iniziativa è "per la libertà di espressione, contro la militarizzazione delle scuole". "Dopo le cariche della polizia contro gli studenti di Pisa, Firenze e Napoli – prosegue il volantino –, rifiutiamo che la polizia, proprio in una scuola simbolica come la nostra, possa venire a fare lezione, come se niente fosse". "Le divise danno i numeri, diamo i numeri alle divise, fuori la polizia dalla Diaz", punge un altro striscione finalizzato al controllo civico degli agenti in piazza. E subito i ricordi della città corrono alla sciagurata irruzione alla Diaz di 346 poliziotti (supportati da 149 carabinieri) il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani. Le condanne confermate in Cassazione ad alti dirigenti di polizia, anche per la "consapevole preordinazione di un falso quadro accusatorio" che giustificasse il blitz, sigillano una vicenda che, secondo la Suprema corte, "ha gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero".
Con simili premesse, non era difficile ipotizzare una rivolta dei ragazzi, tanto più in una stagione di crescente ritorno alle manifestazioni di piazza e all’impegno sui grandi temi internazionali. Pur nel rispetto del "dissenso", la dirigenza scolastica prova a ridimensionare i fatti, addirittura accusando gli studenti di scarso tempismo. Il presidente si dice infatti "sorpreso", perché i ragazzi sarebbero stati "informati diversi giorni fa dell’incontro e delle modalità, avrebbero potuto parlarmi prima e avanzare eventuali lamentele". In ogni caso, "nessun poliziotto è arrivato a scuola a fare lezione – puntualizza il dirigente scolastico –: durante la giornata sono stati allestiti alcuni spazi per raccontare diverse professioni, la carriera nelle forze dell’ordine era una di queste ma non c’erano agenti presenti". Solo due formatori in abiti civili.
Il collettivo Pertini reagisce comunicando obiettivi che vanno oltre la vicenda: "Vogliamo promuovere un’educazione mirata alla valorizzazione degli ambienti scolastici come luoghi di pace e accoglienza, dove poter coltivare un pensiero critico che ci consenta di mettere in discussione ciò che viene proposto dalle istituzioni". E subito arriva la solidarietà della Rete studentesca: "Noi comprendiamo l’azione degli studenti e delle studentesse del Pertini e la supportiamo nella misura in cui fa prendere coscienza delle violenze da parte dello Stato su quei cittadini e quelle cittadine che dovrebbe avere il primario scopo di tutelare". Inevitabile, nel contesto evocato, anche il richiamo agli incidenti di Pisa "in cui studenti e studentesse privi e prive di qualsivoglia intento violento hanno ricevuto ingiustamente e smodatamente le cariche delle forze di polizia".
La Roma licenzia dipendente per un video a luci rosse rubato da un calciatore 14/03/2024 12:39
Il mondo al contrario: un club sportivo (e non uno qualunque) licenzia una dipendente vittima di revenge porn. Al momento, la faccenda appare piuttosto controversa ma, in estrema sintesi, i fatti sarebbe andati proprio così.
L’As Roma licenzia vittima di reveng pornProprio così: il club sportivo è proprio quello della Roma. Secondo quanto riporta il Fatto Quotidiano, la vittima , una donna di 30 anni, sarebbe stata allontanata dopo che un proprio video intimo sarebbe stato sottratto dal suo telefonino da parte di un giocatore della Primavera e diffuso tra i compagni e lo staff. La società, piuttosto che schierarsi dalla parte della sua dipendente, avrebbe preferito licenziarla adducendo come motivazione quella di «incompatibilità ambientale».Il video a luci rosse sarebbe stato sottratto dal cellulare della dipendente da parte di un giocatore della Primavera, a cui la donna aveva prestato lo smartphone per una chiamata al suo agente. Il filmato, nel quale lei è ritratta in atteggiamenti intimi insieme al proprio compagno, è stato poi diffuso dal giovane calciatore al resto della squadra, per poi raggiungere dirigenti, staff e altri dipendenti. Nelle chat interne e sui social sarebbero apparsi anche commenti a sfondo sessuale, che hanno reso la donna a tutti gli effetti vittima di revenge porn.
Il licenziamento
Il fatto si è verificato lo scorso autunno e l’allontanamento della donna è avvenuto nel mese di novembre, quindi prima dell’enorme ondata di licenziamenti che ci sono stati a Trigoria nel periodo successivo. Nella lettera di licenziamento inviata da Lorenzo Vitali, legale dei Friedkin, si evidenzia che la diffusione del video ha compromesso la possibilità di mantenere un ambiente di lavoro sereno, proprio a causa della visione del filmato da parte di molti componenti dello staff e dei giocatori dell’A.S. Roma. La donna è stata subito allontanata dal centro sportivo, con la società che ha evitato di commentare la vicenda.
Il retroscena
Sempre secondo la ricostruzione del Fatto Quotidiano, sarebbe arrivata anche l’ammissione del calciatore, che in una riunione avrebbe confessato in lacrime di aver sottratto il video dal cellulare della donna. L’ex dipendente si è rivolta a un legale, Francesco Bronzini, che sta provando a negoziare un reintregro della sua assistita in società, contestando anche il fatto che il calciatore non avrebbe ricevuto alcun tipo di sanzione. Una vicenda destinata a fare rumore.
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Invece di fare interrogazioni a destra e manca dovevi pensarci prima di candidarti se sapevi che c'è queto regolamento eticamente discutibile .
Il sindaco di Terricciola ha una relazione e una figlia con l’assessora. Niente di strano fin qui. Per lo statuto statuto del piccolo Comune toscano però, non è consentito. Così Giulia Bandecchi, compagna di Mirko Bini, è costretta a dimettersi. Il caso è stato innescato da un esposto dell'opposizione. Per l'articolo 49 dello statuto «non possono contemporaneamente far parte della Giunta comunale ascendenti e discendenti, fratelli, coniugi, affini di primo grado, adottandi e adottati». Per questo, l'assessora (legata al PD) si è rivolta con una lettera a Giorgia Meloni chiedendole di intervenire. «Difenda le donne e le mamme in politica», avrebbe scritto.
Il caso è cominciato con un’interrogazione parlamentare (poi ritirata), presentata al ministero dell’Interno dall’onorevole di Fratelli d’Italia Francesco Michelotti, che aveva ricevuto segnalazione dai consiglieri comunali di opposizione della lista “Terricciola sicura”. L’assessora con delega all’urbanistica e ai lavori pubblici ha presentato le dimissioni e nella prossima seduta del consiglio il sindaco dovrà nominare un altro assessore, una donna, riporta La Nazione. «Nel settembre 2023 – spiegano dalla lista di opposizione Terricciola SiCura – abbiamo presentato una istanza al Prefetto riguardante la presunta violazione dello Statuto comunale e del Testo Unico degli Enti Locali relativa alla composizione della giunta comunale di Terricciola, che include due persone conviventi. Attualmente nessuna interrogazione è in discussione presso la Camera dei deputati».