Sylvie Guillem, una delle più grandi ballerine, icona della danza dalla straordinaria tempra fisica e non solo
A volte nella vita ci si ritrova a vivere incontri che non avremmo mai pensato di fare se non nei sogni. Chi di mestiere fa il giornalista è abituato a realizzare interviste, ma l'abitudine cede il passo all'emozione quando si incontrano persone che hanno segnato in modo particolare la propria esistenza.
È stato dunque per caso, una lacrima di emozione dopo averla vista ballare e sentita parlare, una forte stretta di mano, un ripensamento per non averne 'approfittato', un passo indietro ed un'attesa trepidante nel corridoio dell'Auditorium Parco della Musica di Roma prima di avere un suo recapito.
Un climax di emozioni ed eccomi finalmente lì, a realizzare un'intervista a Sylvie Guillem, una delle più grandi ballerine, icona della danza dalla straordinaria tempra fisica e non solo. Basta vederla danzare per capirlo. Passione, talento, intelligenza, impegno, abilità, espressività si servono di un corpo longilineo e sinuoso capace di dare vita a movimenti, linee ed equilibri in una continua sperimentazione che l'ha portata ad affiancare il mondo del classico, con la danza moderna e contemporanea.
Come detto, però, non è solo una questione di fisico. Dietro il palcoscenico, infatti, c'è un'artista, una persona attenta e cosciente del mondo in cui viviamo che ha deciso di sostenere l'esempio di Paul Watson – a lui e a Rudolf Nureyev ha dedicato il Leone d'oro alla carriera per la danza che ha ricevuto nel 2012 a Venezia – e degli attivisti di
Sea Shepherd, promuovendo e facendo conoscere il loro messaggio durante i suoi spettacoli.
Prima dell'inizio dello spettacolo – Sylvie Guillem, lo scorso 3 febbraio, ha aperto la nona edizione del festival Equilibrio all'Auditorium Parco della Musica di Roma, con un trittico di pezzi che riunisce tre dei più importanti coreografi del momento: Mats Ek, William Forsythe e Jiří kylián – sono stati distribuiti alcuni volantini con un messaggio chiaro che porta la sua firma: “[...] Eppure tutti noi siamo coinvolti da questi crimini contro la natura e la biodiversità, assolutamente tragici per le generazioni future. […] Il mio impegno con
Sea Shepherd è teso a sostenere la lotta contro l'assurdità di un mondo suicida, ignorante, avido e sanguinario. Un mondo che saccheggia ciecamente le risorse da cui dipende. [...]”.
Durante la nostra conversazione, quindi, ho avuto modo di conoscere un altro volto di questa artista imprevedibile e audace che ha sentito da subito il bisogno e la necessità di libertà di ballare a modo suo, che ha piegato le regole del balletto classico sfidando anche le convenzioni più radicate. Un volto curioso, attento e consapevole che lotta affinché l'essere umano impari a salvaguardare se stesso e quindi il pianeta.
"Tutti noi siamo coinvolti da questi crimini contro la natura e la biodiversità, assolutamente tragici per le generazioni future"
Cosa è per lei la danza?
È una necessità, una fortuna arrivata senza cercarla, senza chiederlo. È arrivata e sembrava una evidenza forte, non ho pensato e mi sono sentita subito a mio agio, trovando uno spazio enorme di libertà, di comunicazione, dove poter dare e ricevere generosamente. La danza per me è tutto questo. È una maniera di essere, una maniera come un'altra, come lo è per uno scrittore, un pittore o un cantante.
Come definirebbe la danza?
È la maniera di raccontare una vita o un persona anche se talvolta passa attraverso personaggi o cose non descrittive. Ovviamente è il movimento del corpo che permette che le emozioni si sentano, passino da una persona all'altra, come le parole della bocca, come le immagini di un film...
Cosa pensa dei tanti spettacoli di danza che si vedono oggi in giro?
È bello che ci sia l'opportunità di realizzare tanti lavori, ma sono pochi quelli che, guardandoli, mi hanno cambiato la vita. Fa parte della società di oggi avere tante cose nuove, nuovi lavori, progetti, creazioni, ma poca originalità. Sono nuove perché qualcuno ha deciso di fare qualcosa, ma questo qualcuno non l'ha fatto perché sente la necessità, perché ha qualcosa da comunicare in una certa maniera.
Per arrivare al suo livello c'è bisogno di tanto lavoro, sostenuto dalla passione, dal cuore e da tanta intelligenza. Cosa si sente di dire ai più giovani che intraprendono questa carriera interessati, spesso, più alla forma che alla sostanza?
Non posso cambiare la società e i ballerini che ne sono parte. Ci sono persone che fanno questo lavoro con passione, onestà, rispetto e necessità – non facciamo questo mestiere perché non abbiamo niente di meglio da fare – altre che... sai, una piramide è fatta sempre da una base larga con una punta molto stretta perché, come le persone, la varietà è davvero tanta. C'è chi pensa con il cuore, chi si lascia andare per scoprire le cose, per impararle e trasmetterle ad altri e chi, invece, ha come obiettivo la carriera fine a se stessa.
Secondo lei si può danzare senza tecnica?
Sì, sarà differente perché quando c'è un vuoto o una debolezza bisogna trovare una compensazione. Talvolta la persona ha qualcosa di così importante da trasmettere che il problema della tecnica non si considera neanche, non ci si pensa. È chiaro che per discipline come la danza classica è meglio possedere una tecnica, anche se non formidabile, per non correre il rischio di cadere e per acquisire una certa eleganza e grazia. Bisogna considerare anche cosa vuole/cerca il pubblico. Spesso lo sguardo del pubblico è più eccitato per la performance che per un'emozione. Sul palcoscenico come nel pubblico la gente è variegata.
"6000 miles away" è uno spettacolo ideato e interpretato da Sylvie Guillem come omaggio al Giappone devastato dallo tsunami (Foto da “6000 miles away”)
Qual è il segreto di Sylvie Guillem? Cosa la muove?
Se avessi un segreto non lo direi (
ride!). Non c'è un segreto, sto ancora scoprendo e imparando molte cose, cosa c'è da fare, come reagisco alla vita... Ho avuto la fortuna di fare qualcosa che mi è venuto così senza cercarlo. Mi è piaciuto dall'inizio, ho visto che c'erano delle cose incredibili da vivere ed esplorare. Cerco di fare il meglio possibile, di continuare e seguire questo cammino in modo onesto. Non voglio deludere. Sul palcoscenico non si può nascondere ciò che siamo veramente, si sente e si vede tutto. “I do my best”. Ho questo approccio con la mia disciplina.
È possibile raggiungere la perfezione?
Si può cercare, ma non so quale sia la perfezione. Ci sono momenti in cui ho sentito emozioni più forti, ho visto maggiore bellezza, ma non so se è la perfezione.
Di recente l'abbiamo vista protagonista dello spettacolo “6000 miles away” alla nona edizione del festival “Equilibrio” a Roma. Partiamo dal titolo. Cosa significa? 6000 miglia lontane da chi?
Mentre eravamo a Londra e provavamo la coreografia di Forsythe – era giunto anche il momento di scegliere il titolo per lo spettacolo – ci è giunta la notizia del terrificante
tsunami in Giappone. Sono tanti anni che vado in Oriente ed ho imparato ad amare questo paese... ho tanti amici, tante persone che conosco bene. Guardavo la televisione e mi sentivo inutile e impotente, non potevo comunicare con gli amici e non sapevo come stavano. Oltre alle persone che conosco pensavo anche agli altri, al pubblico che mi segue da tanti anni.
Questa sensazione di impotenza non era piacevole. Mi dicevo: “ok non sono in Giappone, non sono lì, facciamo qualcosa che possa alleggerire lo stato d'animo delle persone colpite da questo evento”. Ed ecco il perché di “6000 miles away”. 6000 miglia, infatti, sono la distanza tra Londra e Fukushima. Un omaggio all'amicizia. Un pensiero che potesse far sentire che l'amicizia esiste anche se ci sono tanti chilometri che ci dividono.
Mi ha stupito molto il volantino che è stato distribuito all'ingresso della sala del teatro con un suo testo che richiama l'attenzione del pubblico sull'associazione fondata da Paul Watson, Sea Shepherd. Perché divulgare e far conoscere proprio Sea Shepherd? Cosa rappresenta per lei la figura di Paul Watson?
Ho visto per la prima volta, due anni fa circa, un documentario in televisione su Paul Watson e
Sea Sepherd. Subito dopo, insieme a mio marito, abbiamo cercato su internet altre informazioni sull'associazione di volontari presieduta da Watson. Mi è sembrato qualcosa di utile, realizzata con senso e intelligenza. Ho sempre avuto coscienza dell'importanza della natura e degli animali e avevo la sensazione che le cose non stessero andando nella direzione giusta. La vita di Paul, le sue parole, ma soprattutto le sue azioni mi hanno aperto gli occhi ancora di più e ho visto la dimensione del problema che è molto maggiore rispetto a quello che pensavo.
"L'arte è la vita, fa parte dell'essere dell'umano, è tutto. L'arte prende ispirazione dalla natura, con le emozioni che noi sentiamo e proviamo"
Io sono un'ecologista per indole, amo l'aria e quando arrivo in un posto nuovo mi fermo sempre a sentirla, a respirarla... non sono cieca rispetto a quello che c'è intorno a me, so che sono una piccolissima parte rispetto ad esso e da cui dipendo, ma non mi rendevo conto che la situazione fosse così drammatica nonostante facessi parte - come tanti - di associazioni conosciute. Mi sono detta: “Paul, Sea e i volontari agiscono personalmente, vanno sul posto e non lottano solo contro la caccia alle balene, quella loro è una lotta molto più ampia”.
Noi non siamo il centro di tutto, siamo parte di un tutto che ha bisogno di un equilibrio e se ci comportiamo e pensiamo di essere superiori rispetto alle cose intorno a noi è finita. Stiamo facendo danni terribili. Avrei voluto scoprire Paul Watson e
Sea Shepherdmolto tempo prima. Non posso andare sulle navi, non sono capace di “attaccare” i laboratori che torturano animali, vorrei essere capace ma non lo sono almeno per ora (
ride), come posso aiutare ed essere utile per la natura e la vita in generale? Allora ho capito che forse potevo contribuire ad aprire gli occhi ad altre persone.
Non è giusto che solo una piccola parte dell'umanità, considerata spesso terrorista o fanatica, provi a salvare l'altra grande parte del mondo. Tante persone non vogliono rendersi conto, non vogliono vedere e questo mi fa molto arrabbiare. Non vogliono sentirsi dire che le proprie scelte non sono buone e non hanno nessuna intenzione di cambiare le proprie abitudini perché vanno bene così, permettono di vivere in modo più comodo e semplice. Molti non pensano nemmeno al destino dei propri figli! Non considerano tutti gli animali torturati; un vero olocausto per quanto ne vengono uccisi ogni anno nel mondo.
Quindi l'arte può avere un ruolo importante...
L'arte è la vita, fa parte dell'essere dell'umano, è tutto. L'arte prende ispirazione dalla natura, con le emozioni che noi sentiamo e proviamo. L'arte parla, dunque può aiutare. Ma l'arte è fatta dagli essere umani quindi è la parola di una persona.
"Io sono un'ecologista per indole, amo l'aria e quando arrivo in un posto nuovo mi fermo sempre a sentirla, a respirarla"
Visto che l'arte può contribuire a svegliare le coscienze delle persone ci vorrebbero più artisti che, come lei, contribuiscano alla battaglia ecologista
Anche se ci sono molte persone note impegnate il problema, purtroppo, permane. Le decisioni vengono prese valutando le conseguenze immediate senza ragionare e progettare “in prospettiva”. In una tribù indiana, ad esempio, qualsiasi scelta viene ponderata e presa considerando le sette generazioni future. Oggi viviamo in un mondo pazzo.
Paul Watson non ha passaporto, è chiamato terrorista e spesso è perseguitato dalla giustizia. Volontari che vogliono salvare l'umanità vanno in prigione, mentre chi distrugge gli altri e la vita con l'inquinamento, le armi, le guerre ha la possibilità di prendere tranquillamente le proprio decisioni e non viene ostacolato. Non si tratta di salvare solo gli animali, ma si va molto oltre. Il nostro comportamento con gli animali riflette quello che abbiamo con gli esseri umani; se non sappiamo prendere buone decisioni per gli animali non lo sapremo fare per noi, per il nostro futuro e per i nostri bambini. È una lotta fondamentale.
Visto che si parla di cambiare, per lei cosa è il cambiamento?
Io sono diventata vegetariana e per me è stato un passo enorme. Amavo, specialmente in Italia, mangiare i salumi, ma ho deciso, e non per la mia salute, di fare parte della soluzione e non del problema. Se fossimo in tanti a fare delle scelte di questo tipo potremmo cambiare le cose prima che sia molto tardi. Nel 2045 non ci sarà più a disposizione pesce da mangiare. Se gli oceani muoiono, moriamo tutti. D'accordo non posso cambiare il mondo ma uno più uno più uno… se non c'è domanda, se la gente non va al supermercato per mangiare una carne, tra l'altro tossica, non ci sarà più un tipo di allevamento industriale che distrugge gli animali, la natura e quindi il nostro habitat. Da tanti anni non vado più al supermercato.
Quando ero giovane dicevano che mangiare carne e bere latte era sano, oggi sappiamo che non è più così. È una scelta morale non salutare. Per me il cambiamento è questo, aiutare anche altre persone a raggiungere questa consapevolezza. Avrei voluto avere qualcuno che mi avesse fatto conoscere Paul Watson tanti anni fa, non solo adesso. Il cambiamento è aprire gli occhi anche agli altri.
È ottimista per il futuro?
No, perché si è perso il senso, l'intelligenza, la compassione nelle cose e nei comportamenti. Non è più accettabile con i mezzi di informazione che oggi abbiamo a disposizione fare finta di non sapere, di non scegliere, di non cambiare. La gente non pensa agli altri, ma a se stessa. Non è la politica che può risolvere le cose. Ammiro Paul Watson, gli attivisti e coloro che hanno il coraggio di agire e non parlano solamente. Meglio combattere che mettere la testa nella sabbia. Questa è una lotta contro il denaro e il potere, ma anche contro l'ignoranza della gente.