C’è un concerto che si ripete identico da migliaia di anni, è il suono della natura e degli animali delle foreste primarie del mondo, quelle dove l’uomo non è mai arrivato. C’è un professore che da 25 anni va a caccia di questi suoni e li registra, perché non vadano perduti e per testimoniare la perfezione anche sonora del nostro pianeta .
Ci sono concerti che si ripetono ogni giorno, sempre alla stessa ora, da un tempo infinito. Non sono mai esattamente identici, ma ogni musicista conosce alla perfezione la sua parte. Nessuno, da migliaia di anni, si permette di disturbarli e i teatri che li ospitano hanno decine di milioni di anni d’età. Ci sono i concerti dell’alba, quelli del tramonto e i piccoli concerti notturni. E poi c’è David che ha deciso di registrarli questi concerti perché tutti possano sorprendersi di questa meraviglia.
David Monacchi è un musicista, un professore di Conservatorio a Pesaro, un ingegnere del suono ma soprattutto il creatore di un’arca in cui raccoglie e porta in salvo i suoni più antichi della natura per trasmetterli alle future generazioni. Il suo progetto si chiama “Fragments of Extinction”. David ha cominciato nelle foreste intorno a casa sua, voleva raccogliere e campionare i suoni del bosco per utilizzarli nelle sue composizioni, ma poi in quelle notti ha capito che c’era già tutto e che bastava ascoltare. «I primi soldi che ho guadagnato li ho spesi in un microfono, sono andato a prenderlo in Germania. Ho cominciato subito a fare registrazioni negli habitat del Montefeltro, non lontano da Urbino, dove sono nato e cresciuto. Quando arrivava la primavera per me era un’ossessione riuscire ad andare ogni notte a registrare i rapaci notturni, poi gli usignoli e, a primavera avanzata, i grilli e tutti gli altri insetti».
Venticinque anni fa, David legge un articolo scientifico di Edward O. Wilson, che è stato uno dei più grandi esperti di biodiversità, in cui si parla del rischio di una sesta estinzione di massa sulla Terra, causato dall’impatto di una sola specie, quella umana su tutto il resto dell’habitat naturale: «Quell’articolo mi ha segnato. Ho capito che dovevo andare nelle foreste primarie del mondo, nei luoghi dove la mano dell’uomo non è mai stata presente per raccogliere e testimoniare la ricchezza di una biodiversità straordinaria e antichissima».
Così inizia una serie di viaggi che diventano il grande progetto della sua vita: centinaia di registrazioni, ognuna di 24 ore, in tre continenti, focalizzandosi in particolare sull’Amazzonia, il bacino del Congo e il Borneo.
«Abbiamo cominciato in Amazzonia, insieme a Greenpeace, e con loro abbiamo disegnato un viaggio sul Rio delle Amazzoni e poi su un affluente del Rio Branco che si chiama Rio Jauaperi. Una vasta area di foresta primaria in cui vivono solamente 300 esseri umani lungo 250 chilometri di fiume. L’impatto umano è nullo. La prima notte sono stato svegliato dalle voci delle scimmie urlatrici che da tre aree diverse della foresta lanciavano il loro canto mattutino per suddividersi gli alberi da frutta».
«Il giorno dopo ho aperto i microfoni e raccolto il primo “Dark Chorus”, il coro del crepuscolo: quando dalla luce si passa al buio. Il tramonto è un processo che dura dai 40 ai 50 minuti: dipende da quanto è alta la foresta, da quanta luce filtra. Ma è uguale in tutte le foreste primarie del mondo. Ci sono questi 40 minuti dove uccelli, insetti e mammiferi passano il campo acustico a anfibi, insetti e uccelli notturni. È una rivoluzione che ha dell’incredibile: sono 40 minuti che parlano della musica del pianeta».
Questo è il concerto di cui vi parlavo, che avviene intorno alla linea dell’Equatore dove ci sono esattamente 12 ore di luce e 12 di buio: «Le specie hanno utilizzato questo orologio preciso del ciclo circadiano per fare le loro vocalizzazioni in quel determinato punto della giornata. Se tu guardi l’orologio sai che da milioni di anni si ripetono le stesse partiture e c’è lo stesso identico paesaggio sonoro».
Per avere idea di cosa si tratti potete ascoltare la nuova puntata del podcast Altre/Storie, con l’intervista a David Monacchi e una serie di sinfonie come quella che ogni giorno al tramonto viene creata dalla Natura nella Danum Valley, nella parte settentrionale del Borneo, in Malesia, la foresta primaria più antica del pianeta. Alle 6 del pomeriggio quando inizia il coro del crepuscolo si sentono cantare uccelli di varie specie e molti insetti tra cui la più grande delle cicale, la megapomponia imperatoria che ha la grandezza di una mano. Quando il buio prende il sopravvento il richiamo che si sente più forte è quello amoroso dell’Argo maggiore, un grande e goffo uccello della famiglia dei fagiani che può raggiungere i due metri di lunghezza e ha piume colorate con macchie a forma di occhio. In sottofondo si sentono i gufi.
David, dopo il primo ascolto 25 anni fa, resta sconvolto e da quel momento la sua vita cambia profondamente: «Ho abbandonato la composizione, ho abbandonato la musica e mi sono reso conto che il mio lavoro era proprio quello di prestare tutte le mie conoscenze per creare un archivio di suoni di ecosistemi ad altissima biodiversità completamente indisturbati e sconosciuti».
Ogni missione dura circa 5 settimane, la prima impresa è riuscire a raggiungere le zone di registrazione, ovvero gli habitat più ricchi di suoni. A seconda delle zone si usano le canoe, si seguono le piste degli elefanti o si deve aprire un varco nella foresta. Poi per tre settimane si registra. Le difficoltà e i pericoli sono tantissimi: «Nell’ultimo viaggio in Amazzonia abbiamo fatto le registrazioni in un’area in cui c’erano 148 specie di serpenti per ettaro. E verosimilmente un terzo di questi sono velenosi. Lì ogni movimento richiede un’attenzione assoluta e mille precauzioni». Ci sono poi i problemi medici, dalla dissenteria alla malaria, e il caldo. Ma nulla di tutto questo ha mai scoraggiato David se da un quarto di secolo continua a partire.
Il risultato di questa visionaria fatica si può ascoltare in un luogo magico che si chiama “Sonosfera” ed è all’interno dei Musei Civici di Pesaro. Si tratta di una sorta di anfiteatro che può ospitare sessanta persone in una struttura completamente isolata dai rumori esterni. Grazie a 45 altoparlanti si prova l’esperienza, al buio, di un’immersione sonora negli ecosistemi incontaminati delle foreste primarie equatoriali. Per due settimane (dal 16 al 28 aprile) questa esperienza si potrà fare anche a Milano. Grazie alle iniziative di Pesaro capitale italiana della cultura 2024, la Sonosfera è stata infatti smontata e trasferita nel Cortile d’Onore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore entrando a far parte del circuito delle mostre del Fuorisalone (qui il link per prenotarsi).
Si può avere la sensazione di stare nella foresta tropicale senza i pericoli, i disagi e le zanzare, ma soprattutto per cogliere il messaggio più prezioso del progetto: «Testimoniare e salvaguardare. Non sappiamo se fra cinquant’anni ci saranno ancora questi habitat, questi concerti così complessi. Il cambiamento climatico avrà un grande impatto sugli habitat primari e quindi anche sulla parte acustica di questi ambienti. Per questo bisogna ascoltare, per testimoniare, conoscere e salvaguardare».