Prima d'iniziare il n odierno dell'ormai consueta rubrica diario di bordo che dalla fine dello scorso anno ha preso inzio sul blog , veniamo di rispondere , aggiungendo un ulteriore risposta alle FAQ del blog , al perchè del titolo della rubrica non periodica , diario di bordo , appunto , in cui riprendo articoli , post , storie , ecc ed in alcuni casi d'adesso mie riflessioni \ stati d'animo che ho tralasciato dai normali post . Questo post scritto è quello che in realtà avrebbe dovuto essere il numero 0 della rubrica . IL post ( ed anche il titolo alla rubrica ) nasce dalla lettura e dalla riflessione scatenatami da questa poesia , risalente al 13 aprile 2010, di Elio Moncelsi , trovata su il muro di fronte al museo Man di Nuoro intitolata proprio
DIARIO DI BORDO
….è come navigare per mare:
ci avventuriamo nell’oceano della vita
attraversando calme piatte,
affrontando furiose tempeste,
diretti verso approdi sognati
di cui abbiamo solo sentito parlare,
verso paradisi perduti o da conquistare
oppure verso niente,
solo per il gusto di viaggiare.
Chi su fragili legni e chi su munite corazzate
solcando onda dopo onda, giorno dopo giorno,
sospesi sopra un abisso immenso
e sotto un cielo che non è nostro,
ognuno di noi segue il suo portolano.
Io leggo la mia rotta nel canto delle stelle,
amo il sole in faccia ed essere baciato dal vento
non mi interessa la meta:
è il viaggio che conta
e la musica del mare.
Come ogni buon navigante
tengo il mio diario di bordo
e sono uso prendere appunti di viaggio
dove annoto sensazioni,
visioni, incontri.
Questi sono i miei dipinti
giorni della nostra vita,
appunti di viaggio
del mio diario di bordo;
non ne sono geloso,
puoi leggerlo, se vuoi
I miei viaggi e le mie avventure nella vita di tutti i giorni nei suoi vari aspetti ( antropologici , politici , culturali, psicologici \ filosofici ) alcuni poco battuti o esaltati dalla massa per via del politicamente corretto sono sempre un percorso di crescita e di formazione della mia opera d'arte. in questi giorni me la devo vedere con le proprie ferite e delusioni e frustrazioni. Quelle che ed il mio caso continuo a portami dietro e finiscono col decidere per me per scegliere al mio posto. infatti spesso orgoglio e fierezza sono i nemici più pericolosi di un pirata e bucanieri e il pirata redbeppeulisse s'appresta ad impararlo nuovo mollando gli ormeggi verso la verità dell'oceano tra salsedine , spazi aperitivo d'occhio, in acque fitte d'insidie e pericoli di ogni genere. Ma mi fermo, nel silenzio della notte come l'astromo acculturato di ( Walter Whitman poeta americano 1819-1892 ) a riflettere ed mi accorgo che non intendo come ho fatto in passato farmi mai più ( ma mai dire mai , perchè ogni ritorno è possibile ed è una lotta perenne ) consumare dal rancore e dall'odio oltre che : rimanere in un circolo vizioso cioè il rispondere \ replicare ad una cattiveria con un altra cattiveria o gesto peggiore , si sprecano tempo ed energie nel cercare vendetta ed annullare quelle persone che mi hanno : insultatyo ( con parodie, sfottò\prese in giro , pagine web e post diffamatorie ) deluso, ingannato , fatto soffrire , penare . Ma soprattutto Perchè io vagabondo che non sono altro anche se :<< [...] Ho troppe ferite e le mie gambe sono stanche \Ho le palle piene e i piedi fumanti\ Ma c'è un gioco da fare e una ruota che riparte\ E un vagabondo sa che deve andare avanti ( IL Vagabondo Stanco- Mcr ) >>nostante tutto - Infatti
quindi meglio come suggerisce sul gruppo \1 pagina comunity facebook filosafando
Non guardare il cellulare, non controllare se è ancora sveglio, non ti fissare sulle cose che ha fatto qualche volta, non avere aspettative. Non immaginare che alcune persone possano cambiare, non immaginare che possano nascere attenzioni e sentimenti che non ci sono stati fino ad ora. Non essere malinconica anche stasera, molto probabilmente non ne vale la pena. Non rincorrere. Chi ti vuole, ti saprà trovare, non ti lascerà ore ad aspettare un segno di vita o una risposta, non creerà silenzi ma riempirà il vuoto che qualche volta pensi ti accompagni da sempre. A volte capita solo di volere bene alle persone sbagliate. Sbagliate per noi. Perché se non sei tu la priorità, se non sei tu il centro del cuore, vuol dire che qualcosa non va, uno sbaglio da qualche parte c'è. Lo sbaglio però non sei tu. Ti meriti qualcosa di più, ti meriti una carezza, delle parole che sappiano strapparti un sorriso. Ti meriti la buonanotte, un messaggio in cui qualcuno ti dice che non riesce a smettere di pensare a te. Ti meriti qualcosa di veramente speciale; non accontentarti, non sprecare lacrime, non sprecare sogni. Lascia andare...
Laura Messina
ovvero il dimenticare ed in alcuni caasi il perdono . con questo è tutto alla prossima
. Dopo questo avviso veniamo a noi . In questi mondiali , come generalmente salvo eccezioni , quando si parla ( o si racconta nelle arti e in letteratura ) di sport si parla della vittoria e quasi mai di sconfitta o di fallimento . Ecco il post d'oggi non mio , ma io non avrei saputo esprimerlo meglio , prova a parlare d'esso . Perché molto spesso anche nel fallimento o paura di fallire c'è il punto di partenza oer rincominciare ed andare avanti . Ecco l post
La vita di un uomo è interessante soprattutto quando ha fallito – lo so bene. Perché è segno che ha tentato di superare se stesso. GEORGES CLEMENCEAU
Che sia in ambito lavorativo, familiare o di studio, il fallimento è spesso vissuto come un ostacolo che rallenta il percorso intrapreso e può costituire il motivo principale per non raggiungere l’obiettivo prefissato.Il senso di frustrazione si insinua così nei pensieri e nei comportamenti, fino ad avere importanti ripercussioni nella vita. Questo accade perché la nostra società richiede continuamente di dare un’immagine di sé vincente, e nel sentire comune successo e fallimento sono spesso considerati come contraddizioni che non possono coesistere.
Nella realtà dei fatti però non esiste successo senza aver sperimentato prima il fallimento, necessario per crescere e evolversi, mettersi alla prova, reinventarsi e/o cambiare strada. Siamo esseri imperfetti, progettati per cadere. E per quanto doloroso possa essere, il fallimento è decisivo nella vita perché ci consente di vedere le nostre debolezze ma anche, se affrontato in maniera attiva e responsabile, di svelarci risorse che non sospettavamo di possedere.
Qual’è stato il fallimento o la caduta che ti ha permesso di reinvertarti?
Scrivilo nei commenti
“LOSERS”- la serie e i protagonisti
Lo sport, più di qualsiasi altra attività, è palestra di vita, metafora del superamento dei propri limiti. E la docu-serie Losers (Perdenti), scritta e diretta da Mickey Duzyj, esplora come la sconfitta insegni molto di più di una vittoria, se si ha il coraggio di affrontarla attivamente.
Incentrata sulla vita di otto sportivi provenienti da discipline differenti, la serie è composta da otto puntate di circa 40 minuti, ognuna dedicata a un atleta e alla sua narrazione del fallimento. I protagonisti raccontano le esperienze più significative della loro carriera e, all’interno di ogni puntata, accompagnate da interventi di colleghi e psicologi che commentano sia le criticità, che i punti di forza della vicenda. Per gli spettatori che non hanno familiarità con questi sport, è dedicato spazio alla spiegazione delle regole e ogni narrazione è accompagnata da animazioni, che rendono ancora più avvincente il racconto. Di seguito, la struttura della serie e una breve sinossi delle puntate:
Michael Bentt – pugilato: Il campione fuori parte. Diventato pugile per volere del padre più che per un suo desiderio, dopo un pesante KO è costretto a reinventare la sua vita e trovare la sua autentica strada;
Torquay United – calcio: una sfortunata squadra di calcio, a serio rischio di retrocessione, riesce a salvarsi all’ultima partita grazie … al morso di un cane (per questa puntata ho riso tantissimo);
Suryia Bonaly – pattinaggio artistico: a mio giudizio la storia più avvincente e toccante. Surya, pattinatrice di colore, ha subito continuamente ingiustizie durante la sua carriera a causa del colore della sua pelle. Alla fine riuscirà però a prendersi la rivincita a suo modo;
Pat Ryan – curling: dopo aver perso la finale dei campionati canadesi nel 1985, Ryan perfeziona la sua tattica cambiando il destino di questo sport;
Mauro Prosperi-pentatleta e ultramaratoneta: nel 1994, Prosperi prese parte alla Marathon des Sables, l’ultramaratona che si disputa in Marocco, che si trasformerà per lui in una lotta per la vita;
Aliy Zirkle-corse di cani da slitta: alla ricerca del titolo alla Iditaroad, Aliy si imbatte in un terribile incontro che avrebbe potuto stroncare per sempre la sua carriera;
Black Jack-basket: a causa del suo temperamento, Jack ha rischiato di vedere la sua carriera stroncata per sempre ma alla fine, in un modo tutto suo, è riuscito a rimanere nel mondo del basket;
Jean van de Velte-golf: il giocatore francese riflette sulla clamorosa sconfitta subita agli Open Championship del 1999
“FALLISCI BENE, FALLISCI MEGLIO”, Samuel Beckett
Losers mette in evidenza il lato più umano dei campioni, e il fascino di queste storie sta proprio nel modo in cui ogni protagonista ha fatto del fallimento una risorsa. Fallire fa parte della natura dell’essere umano: prima di riuscire a stare in piedi e camminare è stato necessario sperimentare, cadere diverse volte per poi rialzarci, e ogni caduta ci ha insegnato cosa fare per non cadere. Essere a contatto con quel limite, toccarlo con mano e scegliere di andare avanti è fondamentale, dunque, per il progresso di un individuo. Per questo è necessario focalizzarsi non solamente sulle risorse che possediamo, e sulle vittorie ottenute, ma sui nostri limiti e fallimenti per potersi migliorare, correggere il tiro o semplicemente rendersi conto che ci sono altre strade da percorrere.
Lo so che non dovrei sempre stare ad psicoanalizzarmi /autoanalizzarmii ma sono stato educato alla scuola che la vera auto analisi è quella che viene fatta quotidianamente ed h 24 . Fatta questa premessa veniamo a noi .
Dopo aver cavalcato la tempesta ( vedere archivio blog ) e motiva di quest'estate \ autunno , essere ritornato a casa ed aver affrontato la nostalgia del reduce Si riparte Carichi e consci(almeno si spera ) dei propri errori verso un nuovo viaggio [ed nuove vette da scalare (vedere foto sotto a destra ) e nuovi anfratti da esplorare insomma nuovi percorsi da intraprendere . Come ho fatto e a riprendermi vi chiederete ? Semplice la vita è fatta di alti e bassi , di gioie e dolori , cadute e riprese , ecc . Ma soprattutto perché nonostante abbia perduto bandiere e posti di lavoro, perduto caterve di occasioni ,battaglie e compagni di viaggio Oltre a qualche centinaio di elezioni. Ed Ho troppe ferite ed cicatrici ed le mie gambe sono stanche. Ho le palle piene e i piedi fumanti Ma c'è un gioco da fare e una ruota che riparte E un vagabondo sa che deve andare avanti * e : << Canterò le mie canzoni per la strada\
Ed affronterò la vita a muso duro\ Un guerriero senza patria e senza spada Con un piede nel passato \ E lo sguardo dritto e aperto nel futuro.>> ( come a Muso duro una famosa canzone di Pier Angelo Bertol )
Ma soprattutto perché non sempre si riesce a stare fermi e poi tutto viaggia . infatti coem dic e una famosa canzone dei primi anni 90 :
[...] Viaggiano i viandanti viaggiano i perdenti più adatti ai mutamenti \ Viaggia la polvere viaggia il vento viaggia l'acqua sorgente \Viaggiano i viandanti viaggiano i perdenti più adatti ai mutamenti viaggia Sua Santità\ Viaggiano ansie nuove e sempre nuove crudeltà [...] ** Ovvero bisogna anche saper ripartire no si può sempre stare fermi a cercare un centro di gravità permanente ed rimanere immobili *** . Ma soprattutto : “È arrivato il momento di partire, dobbiamo andare fino in fondo al nostro compito, dobbiamo finire quello che abbiamo iniziato, la vita vuol dire questo: finire qualcosa, non importa cosa ma finirla, chiuderla… Io non voglio poter fare tutto,
voglio solo trovare il mio piccolo sentiero… dedicarmi solo a una piccola cosa che, se fatta bene, è già una vita intera.” Così dice Andrej Nikto (cognome che evoca la notte), protagonista del “La sublime costruzione” di Gianluca Di Dio (Voland): un romanzo tutto costruito attorno al mito di Ulisse proprio come questo nostro blog .
Tokyo 2020, chi è Massimo Stano, medaglia d'oro nella 20 chilometri di marcia
Massimo Stano taglia il traguardo prima di tutti nella 20 chilometri di marcia e riporta l'Italia sul gradino più alto del podio in questo sport a 13 anni dall’impresa di Alex Schwazer, nella 50 km di Pechino. Un diploma diprogrammatore informatico e originario di Palo del Colle, in provincia di Bari, Stano vive a Ostia con la moglie Fatima Lotfi, anche lei marciatrice dopo un passato nei tremila siepi. Per sposarla, ha dovuto convertirsi all’Islam. I due hanno una figlia di 5 mesi e mezzo, Sophie, a cui il marciatore ha dedicato la vittoria portandosi il pollice alla bocca dopo aver tagliato il traguardo.L'ARTICOLO Massimo Stano, chi è l'oro olimpico nella 20 km di marcia che si convertito all'Islam per amore
Impreparati alla sofferenza, per l'Olimpiade serve di più di Valentina Desalvo
Paola Egonu (ansa)
Gli errori commessi e le lezioni del passato messe da parte: ecco perché le nazionali di volley non sono riuscite ad arrivare alla zona medaglie
04 AGOSTO 2021
Nello sport i titoli non si ereditano, si conquistano. A Tokyo la pallavolo azzurra è stata buttata fuori dalle semifinali perché non è mai stata all'altezza della sua storia. Non dei suoi successi ma del lavoro fatto per costruirli. Vale per la Nazionale maschile e per quella femminile. Non basta avere bravi giocatori o un tesoro come Paola Egonu se si arriva ai Giochi senza una preparazione olimpica.
La lezione del passato, sfidare i più forti, le più forti, in partite vere per prepararsi alla pressione e crescere insieme, è stata messa da parte. Per tanti motivi (alcuni anche ragionevoli, certo). Dimenticando che l'educazione comune, il gioco, la difesa, la capacità di soffrire senza andare in pezzi, non sono poteri magici. Se cambi un centrale e una schiacciatrice, ci vogliono partite e partite perché l'intesa con l'alzatrice non sia solo quella del riscaldamento, dove è facilissimo fare i buchi nei tre metri come nei cartoni di Mimì e le ragazze della pallavolo.
Si può ripartire, bisogna farlo. Senza dimenticare che una squadra non è una somma di talenti: l'ha mostrato l'Italia del calcio. Come disse Velasco: io posso fare una torta buonissima e anche le noci sono buonissime, ma magari le noci rendono immangiabile quella torta. E bisogna saperlo prima, senza assaggiare il dolce mentre ti stai giocando un'ipotesi di medaglia.
ha ragione Mazzanti Alle ragazze avevo detto di staccarsi dai social cercate di staccarvi da tutto quello che vi circonda perché la melma, quando te la tirano, è melma". Non abbiamo perso a causa dei social, per carità, ma dobbiamo crescere da questo punto di vista" Infastti : << [...continua l'url sopracitato ] Le ragazze del volley, così mediatiche, sorridenti e vincenti, con diverse storie particolari di immigrazione, integrazione, a volte razzismo subito e denunciato, non hanno saputo evidentemente
Mazzanti
affrontare l'onda negativa e hanno faticato a rimettersi in piedi non appena un granello di sabbia ha rovinato equilibri stabiliti e certezze di mesi, di anni. Non è diverso ciò che è accaduto a Simone Biles, che ha attaccato duramente la comunità virtuale, rea di averla aggredita all'istante dopo l'uscita dalla gara nel concorso a squadre. Messaggi venati di razzismo e contrapposizioni in salsa trumpiana con la vicenda di Kerri Strug, che ad Atlanta '96 proseguì la gara del volteggio nel concorso a squadre nonostante una grave infortunio alla caviglia: il suo volteggio claudicante portò comunque al Team Usa i punti necessari all'oro e Kerri Strug divenne un'eroina nazionale.
Hanno denunciato i social anche Naomi Osaka e il nuotatore inglese Adam Peaty che ha annunciato un mese di stop dai social "perche ho bisogno di riprendermi mentalmente". Eppure lui aveva vinto due ori e un argento. A maggio una protesta partita dal mondo del cricket inglese aveva portato molti calciatori a rinunciare ai social per un weekend in segno di solidarietà e di protesta. Il tema è attualissimo.>>
Giappone, boom di baby medaglie nel paese più vecchio del mondo dal nostro inviato Giampaolo VisettiLa giapponese Yui Ohashi, oro nei 200 e 400 misti (ansa) L'ebbrezza di percepirsi collettivamente giovani e sportivi soffia ottimismo anche sui mercati finanziari, che da mesi aspettavano un pretesto per fingere di ignorare il peso di un altro primato mondiale: il debito pubblico, pur in mani interne, al 257%. L'effetto-bambini di successo ai Giochi vale già miliardi 05 AGOSTO 2021
TOKYO - "Per una bambina salire sul podio alle Olimpiadi significa sapere che il giorno più bello della vita è già alle spalle. Per questo dedico il mio successo a mia nonna: in oltre novant'anni una gioia simile non l'ha provata". Con poche parole Kokona Hiraki ha costretto il Giappone a passare dall'entusiasmo alla commozione. Conquistando il secondo posto nello skateboard Park, all'età di 12 anni 11 mesi e 9 giorni, è diventata la più giovane medaglia d'argento nella storia delle Olimpiadi. A impedirle di battere il record della tuffatrice Usa Marjorie Gestring, oro ai Giochi di Berlino nel 1936 a 13 anni e 267 giorni, nell'Ariake Urban Sports Park è stata la connazionale Sakura Yosozumi, attempata atleta di 19 anni arrivata prima. Al terzo posto si è piazzata l'anglo-nipponica tredicenne Sky Sukai Brown, al quarto la quindicenne star nazionale Misugu Okamoto. Il Giappone è il Paese più vecchio del mondo ma il trionfo dei suoi atleti-bambini ai Giochi aiuta a dimenticare il costoso dramma del suo inarrestabile crollo demografico, simbolo del tramonto della seconda economia dell'Asia. Sempre nello skateboard, specialità Street, si sono imposti altri due teenager giapponesi: Momiji Nishiya, 13 anni e 330 giorni, e il ventiduenne idolo delle adolescenti Yuto Horigome. In queste ore a Tokyo l'olimpico baby-boom nazionale oscura l'accelerazione della pandemia, con milioni di anziani costretti a curarsi in casa, e i dati statistici che rivelano come ormai il 30% dei giapponesi ha più di 65 anni. L'ebbrezza di percepirsi collettivamente giovani e sportivi soffia ottimismo anche sui mercati finanziari, che da mesi aspettavano un pretesto per fingere di ignorare il peso di un altro primato mondiale: il debito pubblico, pur in mani interne, al 257%. L'effetto-bambini di successo ai Giochi vale già miliardi e non si scatena per caso. Le autorità, da quando sono riuscite ad aggiudicarsi le Olimpiadi presentate come necessarie per la ricostruzione post-Fukushima, hanno lavorato per questo. Il passo decisivo per la pianificazione del fattore-lifting, economico e mentale, è stato convincere il Cio a far debuttare proprio a Tokyo 2020 gli sport che oggi più appassionano i ragazzini. Non è solo un colpo di spazzola contro la polvere di un ripetitivo evento globale. Tokyo ha preteso di sancire l'esordio olimpico di surf, skateboard e arrampicata sportiva non solo per ragioni commerciali, ma per presentarsi al mondo come una superpotenza ancora contemporanea e capace di affrontare il futuro. Alle tre discipline baby ha aggiunto il karate, nato otto secoli fa sull'isola di Okinawa, per rivendicare la titolarità della tradizione nelle arti marziali. Il ritorno di baseball e softball, sospesi ai Giochi dal 2008, completa solo il disegno teso a presentare il Paese come il più sensibile riferimento asiatico dell'Occidente sia per avanguardia che per civiltà. Ciò che per il governo di Yoshihide Suga davvero conta, oggi è però sfruttare i Giochi per mostrare ai giapponesi e ai mercati le facce vincenti di una pur decimata gioventù nazionale. Nel surf il Giappone ha conquistato due medaglie su sei. Nello skateboard ha semplicemente dominato, facendo un pieno di successi-junior che sta contribuendo in misura sostanziale a porlo solo alle spalle di Cina e Usa nel medagliere. Nell'arrampicata sportiva i giovani climbers nipponici si giocano il podio sia tra le femmine che tra i maschi. Dalle ragazze del softball è arrivato l'oro, i campioni del baseball sabato giocano la finale. Senza l'olimpico fattore-teenager, l'umore dell'invecchiata nazione in cui il 30% della forza lavoro ha più di 65 anni sarebbe oggi decisamente cupo. La realtà infatti, mentre l'età media delle medaglie giapponesi è per distacco la più bassa dei Giochi, è che su 126 milioni di abitanti il 21%, pari a 26,2 milioni di persone, ha già superato i 70 anni. Oltre i 65 anni sono già 37 milioni di persone, pari a quasi un giapponese su tre.
A pesare sulla previdenza, con il crollo verticale delle culle, l'attesa media di vita record a 84,7 anni e il blocco totale opposto all'immigrazione, tra le cause dell'elevato costo del lavoro che frena competitività ed export. Le stime economiche misurano oggi in un quarto di punto di Pil del Giappone la capacità di sostenere la crescita da parte dell'ottimismo popolare, indotto dalla ritrovata sensazione del Paese di "non essere ancora un ramo secco, ma un germoglio pieno di energie". Non basterà, ma il nulla è peggio. Le analogie con l'Italia si limitano all'invecchiamento. Anche nel nostro Paese il 29% dei 60 milioni di abitanti ha più di 65 anni, rispetto al 19% dei giovani sotto 20 anni. Ad ogni bambino italiano corrispondono cinque anziani: nel 1951 l'età media era di 32 anni mentre oggi è di 46. Nello sport però, questo almeno dicono ad oggi le Olimpiadi di Tokyo, in Italia si è fatto poco per sostenere a livello agonistico le discipline più amate dai giovanissimi: sia per rassicurare le famiglie e arginare il calo demografico che per creare un clima economico favorevole alla ripresa. Escludendo il karate, dove le gare sono ancora in corso, nessun italiano ha conquistato una medaglia negli sport al debutto olimpico perché più praticati e seguiti da bambini e adolescenti. Evidenti, per un simile risultato, le carenze del sistema scuola-università, in cui già una vecchia palestra rappresenta una non scontato privilegio. "Se sono qui - ha detto l'arrampicatrice giapponese Miho Nonaka, nata al mare e candidata al podio assieme alla connazionale Akiyo Noguchi - è perché nel mio asilo c'era una parete attrezzata per salire". La mancanza di baby-successi per gli azzurri alla fine pesa. Tokyo 2020 dice così che il Giappone è un Paese di vecchi che conosce il valore dei giovani, anche se solo apparenti. L'Italia rischia di rimanere una nazione anziana che nemmeno fa qualcosa per sembrare un posto per giovani.
Bottaro prima medaglia della storia nel karate: "Ho iniziato per difendermi"dal nostro inviato Mattia ChiusanoViviana Bottaro a Tokyo (reuters) La genovese specialista del kata è medaglia di bronzo: "Piango pensando di essere qui, da piccola al massimo potevo sognare i Mondiali. Ai miei genitori piaceva l'idea che le figlie potessero difendersi" 05 AGOSTO 2021
TOKYO - "Io piango, ogni volta per l'emozione. Noi del karate nemmeno immaginavamo tutto questo, invece siamo alle Olimpiadi. Da piccola non potevo sognare di diventare campionessa olimpica, perché ai Giochi non eravamo ammessi, quindi sognavo l'oro ai Mondiali". È una donna minuta, con occhi fiammeggianti, a fare la storia nel tempio del Nippon Budokan: prima italiana a gareggiare nel karate al debutto olimpico, e prima medaglia dopo aver vinto la finale per il bronzo contro l'americana Sakura Kokumai. Genovese, trentatré anni, l'atleta delle Fiamme Oro è una specialista del kata, parola che esprime il concetto di "forma" e si combatte contro un avversario immaginario con gesti plastici o ad altissima velocità. Come nasce la sua storia che arriva fino a Tokyo? "C'era una palestra sotto casa, e a papà e mamma piaceva l'idea di far fare karate a me e a mia sorella Valeria, con l'idea di potersi difendere un domani. Per un genitore che ha due figlie femmine sapere che si possano difendere è una cosa bella. Così sono entrata in palestra, poi mi sono subito innamorata, e da lì non ho più smesso: avevo sei anni". Quando il karate è diventato qualcosa di più consistente? "A dieci anni ho incontrato il maestro Claudio Albertini che mi ha cresciuto fino a quando ne avevo ventisei, nella palestra di Quinto a Nervi. Poi sono entrata nella Fiamme Oro" Quando ha capito che poteva diventare la sua vita? "Le prospettive di lavoro non erano grandissime, entrare in un gruppo sportivo era difficile per una disciplina non olimpica. Io lo facevo perché mi piaceva, vincevo e le cose sono venute spontaneamente, non c'è stato niente di ossessivo. Nel frattempo mi sono laureata". In che cosa? "Scienze motorie a Genova, partecipando come una studentessa normale, non come atleta, ma con l'obbligo di frequenza, sessioni rinviate perché ero impegnata con le gare in giro per il mondo. Ci ho messo cinque anni per la triennale perché non c'ero mai. Una bella soddisfazione, oggi ci sono tutte queste lauree telematiche che fai da casa, invece io l'ho vissuta proprio bene". Ha vinto un bronzo mondiale e un europeo, quale è il suo punto di forza? "Sono geneticamente - mi hanno sempre detto - dotata di fibre bianche, esplosive, quindi sono molto veloce. Essendo bassa, dal baricentro basso, riesco a eseguire tutte le tecniche in maniera rapida. La velocità, quindi, poi l'espressività. A ogni gesto devi dare un significato, e io penso che negli anni sono riuscita a portare non un esercizio fisico, ma qualcosa di più". Quanto conta saper recitare nel kata? "Noi eseguiamo delle forme con cui dimostriamo all'arbitro che stiamo combattendo, anche se contro il vuoto. A volte ci sono atleti meno tecnici che prevalgono perché riescono a comunicare di più. Quindi io mi affido a visualizzazione, tecniche mentali, per mettere in scena me stessa. Poi, certo, conta la discrezione arbitrale, di sette giudici che danno punteggi come nel pattinaggio artistico". Quanto pesa l'assenza del pubblico giapponese per il karate? "Si sente lo stesso che siamo al Budokan, che siamo in Giappone, a casa loro, però è tutto da decidere. Per una medaglia si deve fare sempre molto di più del necessario: bisogna straconvincere per convincere".
Luigi Busà “Ero un ragazzo obeso ora sfido i maestri a casa loro”dal nostro inviato Mattia Chiusano Il karateka siciliano ricorda gli inizi: "Pesavo 94 chili, soltanto mio padre ha visto in me qualcosa di speciale. Ho vinto due mondiali e qui ho già battuto gli idoli locali fra gli applausi"
TOKYO – Busà chi? Accanto a Filippo Ganna, Gregorio Paltrinieri o le ragazze del fioretto, spunta all’improvviso questo nome fra le stelle maggiormente accreditate di una chance di vittoria nella spedizione azzurra. Piazzato lì, tra le possibili medaglie d’oro italiane alle Olimpiadi di Tokyo dalle proiezioni di Nielsen Gracenote, società leader mondiale di dati e tecnologia per l’intrattenimento che prevede l’andamento di tutte le discipline e tutte le nazioni a Tokyo. E nel karate, una delle nuove specialità appena inserite nel programma olimpico, il favorito sarebbe appunto Luigi Busà, siciliano di 33 anni, campione del mondo a Tampere 2006 e a Parigi 2012, due sorelle (Lorena e Cristina) altrettanto brave e famose sul tatami. La sua costanza nel tempo lo ha premiato fino a vedere il suo sport riconosciuto sotto i cinque cerchi. E ora potrà giocarsi la sua chance olimpica proprio nella patria di quest’arte nobile nata sull’isola di Okinawa. "Sono stato fortunato, ma ho saputo anche gestirmi bene. Mangiare bene, riposare, una vita più sana possibile. Niente fritture, pochissimo cibo spazzatura. A venticinque anni ho capito che non recuperavo più certe “serate” come prima, che serviva un giorno per riprendersi dopo essermi nutrito male. È una scelta di vita essere un atleta". Dove comincia la sua storia? "Dalla mia famiglia ad Avola, provincia di Siracusa, da mio padre Nello che è allenatore. Dalla mia terra dove torno a vedere il mare quando ho bisogno di rilassarmi". Subito un colpo di fulmine per il karate? "È cominciata come un gioco, all’inizio ero un ragazzo obeso, chi poteva pensare alle Olimpiadi? Ero molto ciccione, mi piaceva mangiare, a 13 anni pesavo 94 chili, ed ero più basso di adesso". Che cosa è successo? "Solo mio padre vedeva in me qualcosa di speciale, lui è stato atleta, vedeva comunque che da piccolo vincevo campionati cadetti e qualcosa di serio potevo diventare. Il problema è che a 16 anni combattevo nei pesi massimi, e mi fecero capire che a livello internazionale non sarebbe stata una buona scelta: colpi e impatti troppo duri. Dovevo dimagrire, scendere nei medi a 75 chili. Ho fatto la dieta, e da quella categoria non mi sono più mosso. Dal gioco sono passato al lavoro, nel centro sportivo dei Carabinieri: sono appuntato". Con un bel curriculum. "Due mondiali senior più uno under 21, cinque titoli europei. E ora il premio delle Olimpiadi che noi del karate aspettavamo da sempre". Come sarà il karate a Tokyo 2020? "Ci sarà il Kata, che ha una giuria come nella ginnastica artistica che giudica le esibizioni. Poi il Kumitè, il combattimento vero e proprio, uno contro l’altro. Facciamo due gironi all’italiana, i primi due vanno in semifinale, tutto in una giornata. I nostri incontri durano due-tre minuti, ma con tutte le interruzioni arrivano anche a otto. I colpi che arrivano fanno male, i lividi restano anche settimane". Quale è il suo punto di forza? "La velocità e l’estrosità, sono molto fantasioso, se riesco a incastrare divertimento e concentrazione riesco a fare veramente bene". Il karate in Giappone: anche senza pubblico le darà motivazioni particolari? "Farà effetto combattere dove tutto è iniziato. E magari vincere, come mi è già capitato a Tokyo e Okinawa in Coppa del mondo. Mi hanno applaudito, anche se avevo battuto l’atleta di casa. Questo è bellissimo in Giappone".
a voi ogni commento . Io mi astengo non perchè sia un pusillanime ma per non abbassarmi al suo livello di volgarità nel risponderle ed alimentare polemiche in modo che aumenti i suo fans non bastano i commenti in suo favore in particolare quelli riporti qui sotto https://www.sassate.it/mariani-scrittrice-denuncia/ e ne video sotto riportato
Posso dire solo che è nata prima in sordina ora non più una nuova Oriana Fallaci. anche se il paragone potrà sembrare inopportuno perchè un minimo di cultura anche se nella sua boria ella l'aveva . Questa , sembra che non ne abbia
Troppe telecamere, troppo clamore, troppa pressione mediatica. E Federica Pellegrini ha fatto flop nella finale 400 stile libero di nuoto. Ma, per favore, non gettate la croce addosso ai media, adesso. Gran parte delle responsabilità di questa sovraesposizione grava sulla stessa Federica, che ha trasformato in evento mediatico qualsiasi aspetto della sua vita, anche privata. Per esempio, che bisogna c'era di una cerimonia di fidanzamento con Magnini stile holliwoodiano? E dei discorsi sul sesso prima della gara? Interviste su interviste, in minima parte sui giornali sportivi, la gran parte su quelli di gossip. Il tutto unito a una insicurezza di base di Federica, che ha paura di nuotare in mare. E non è che la sua metà, Filippo Magnini, si stia comportando meglio. Commentando la faticosa qualificazione della staffetta azzurra, Magnini ha gettato fango sui compagni in diretta tv: «Io ho fatto una grande gara, gli altri non devono commettere certi errori. Siamo all'Olimpiade!». Vivaddio, non ce ne eravamo accorti.
Consoliamoci con l'argento dello sciabolatore Diego Occhiuzzi e con il bronzo della judoka Rosalba Forciniti. Attorno a loro, poco clamore ma tanta felicità sincera. In pieno spirito olimpico che, in teoria, dovrebbe mettere in gara solo atleti dilettanti. In teoria.
Com'è un campo di calcio dopo una
sconfitta? Simile all'ultimo giorno di scuola: sempre troppo vasto, spianato,
interminabile. Melanconico anche, certo: ma privo di quel brivido sottopelle,
di quell'attesa nascosta e colma di felicità. Il campo dei perdenti è sgombro
come il silenzio circostante: un rito si è sfilacciato, inevitabile.
Ieri siamo stati i perdenti.
Sonoramente perdenti, di fronte alla possanza spagnola. Non poteva che andare
così (forse abbiamo sprecato qualche palla, ma il risultato non sarebbe
cambiato di molto). Ma una sconfitta del rito comporta sempre una rinascita: e
chissà che non siamo usciti, finalmente, dall'adolescenza. Perché in questi
ultimi giorni ho visto in campo più degli adolescenti che dei professionisti: e
non alludo all'abilità tecnica, parlo del cuore. Il calcio italiano rifletteva
una nazione allo sbando, lasciata per troppo tempo senza guida, ricca e
giovinetta. E la nostra Nazionale ha cominciato timidamente a balbettare la
propria umanità solo quando è stata portata in visita ad Auschwitz, a toccare
con mano l'inimmaginabile, ancor prima che l'ignorato. Rivelando, a sé stesso
prima che al mondo, d'esser figlio di madre ebrea, Mario Balotelli aveva
cominciato a razionalizzare quella sua rabbia istintiva verso tutto e tutti. A
capire, realmente, il senso della giustizia.
La nostra Nazionale si è pian piano ri-creata nel momento in cui si è sentita un
insieme, e non soltanto un'unione di singoli. La nostra Nazionale, infine, s'è
ritrovata orgogliosa di cantare l'inno nella squarciagola ingenuamente stonata
di Buffon, memore dei suoi bisnonni eroi del Piave e non solo della moglie
modella.
Una squadra, la nostra, che ha
aperto gli occhi sul valore della sconfitta, sulla difficoltà della crescita.
Forse questa consapevolezza è ancora in nuce, forse non durerà; vogliamo però
ingenuamente sperarlo. In fondo, diventare autonomi è la più ardua delle
battaglie. Nel calcio, e ancor più nella vita.