Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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24.11.14
Staffetta Romana per Kobane
27.4.14
6.11.13
Il 3 dicembre esce il suo primo album, "Pure Heroine", e l'industria della musica è in piena fibrillazione. Lorde, la diciassettenne cantante neozelandese al centro dell'attenzione, è già un fenomeno. Il suo singolo "Royals"
ha venduto oltre due milioni di copie e il video è stato visto da 60 milioni di persone su youtube. Non
solo: adesso il brano è finito pure nello spot pubblicitario nel quale è protagonista Messi... Lorde intanto ha già conquistato le copertine dei magazine di tutto il mondo. E le sue polemiche contro la "leggerezza" poco femminista di alcune colleghe ha avuto ampia eco. Di sicuro, sentiremo parlare di lei per molto tempo...
da http://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2013/11/06 |
28.7.13
LA LETTERA La mia vita prigioniera in fuga dall'amore violento
Sono chiusa qua dentro senza la possibilità di uscire né di ricevere visite, tutto questo per la mia sicurezza. Questa è la mia storia. Tutto ha avuto inizio circa un anno fa, quando, nel bel mezzo della mia ex spericolata vita è apparso lui: Mario. Come tanti ragazzi della nostra età ci siamo innamorati e abbiamo dato inizio alla nostra storia d'amore. Almeno così la vedevo io, noi ci amavamo anche se lui era molto geloso. Sotto la sua crescente pressione ho cancellato tutte le mie foto perché se no lui si incazzava, così pure i numeri di telefono degli amici maschi. E ancora non bastava per lui. Ho dovuto cambiare numero di cellulare per evitare che i miei amici mi chiamassero, non parlare più di uomini nemmeno con le mie amiche. Tutto mi sembrava sopportabile pur di essere felici insieme e far andare bene la nostra relazione.
Poi sono iniziate le botte. Potevano scattare per gelosia così come per paranoie che lui si ficcava in testa (come che lo tradissi, che parlassi male alle sue spalle, che gli nascondessi qualcosa) o perché ero egoista e tirchia, come diceva lui, perché non gli sistemavo i vestiti o non usavo la mia paga per soddisfare i suoi desideri.
Anche un'uscita se non avveniva sotto sua autorizzazione comportava pugni, tirate di capelli, sputi e una miriade di insulti e minacce (anche di morte). Tutto è accaduto molto gradualmente e Mario è stato un maestro nel dosare con me dolcezza e attenzioni a momenti di prevaricazione e violenza.
Così a ogni nuova umiliazione io mi ritrovavo sempre più legata a lui, inizialmente per amore e perché, scioccamente, ero convinta di poterlo cambiare e poi, con il tempo, per la paura che le sue continue minacce e le botte avevano incastonato in me. Per sapere tutto ciò che ho vissuto e sopportato ogni giorno della mia vita da un anno a questa parte (sto parlando di violenza fisica, psichica, economica e sessuale) basterebbe leggere il verbale della mia denuncia, che contiene gran parte degli episodi di violenza da me subiti.
Sì, perché io ho denunciato il mio ragazzo, la persona che credevo a me più vicina, e l'ho fatto per salvarmi la vita, per non essere una di quelle tante ragazze uccise dai propri compagni le cui storie occupano due minuti nei notiziari o vengono raccontate ad "Amore criminale" mentre le loro famiglie, impotenti, sono straziate di dolore.
Ma non sto scrivendo per commuovere o perché cerchi commiserazione. Sto scrivendo perché sono incazzata e indignata.
Pensate di farvi una gita allo zoo. Pagate il biglietto, entrate e vi mettono in una gabbia come si deve, dotata di sbarre, serratura e lucchetto e vi sbattono in mezzo a un luogo popolato di leoni che vi gironzolano attorno affamati.
Assurdo, si dirà. È il predatore che deve stare in gabbia per non nuocere alla gente e non le persone che si devono segregare mentre il leone se ne gira beato per la città mietendo vittime. Beh, è quello che è stato fatto a me. Io ho chiesto aiuto alle persone a me più vicine (essendo limitata in tutto), e per fortuna loro hanno parlato con la polizia e i servizi sociali. Risultato? Un giorno sono uscita dalla casa in cui vivevo con Mario per far visitare il mio cane dal veterinario e, una volta scappata, ho finto la mia scomparsa. Lo stesso giorno due educatrici mi hanno presa, con solo quello che portavo addosso, e portata qui in gran segreto. Oggi non sto scrivendo perché un'altra storia possa essere raccontata per intrattenere la gente. Sto scrivendo perché questo è l'unico modo per far sentire la mia forza, la mia voglia di ribellarmi contro questa situazione che mi è capitata ma che capita ogni istante a migliaia di donne come me.
Sto alzando la mia voce perché anche altre persone abbiano il coraggio di scappare e denunciare i loro aguzzini ma ancora di più perché spero che le forze dell'ordine accolgano queste richieste di aiuto e non rimandino le vittime nelle mani dei loro torturatori.
Ma questo non è possibile se lo Stato non si mette dalla nostra parte e non fa finalmente una legge (già presente negli altri paesi dell'Ue) che punisca i veri colpevoli e non noi vittime. E se non saranno i ministri a farlo dobbiamo essere noi a farci sentire per avere diritto ad una vita da esseri umani e non da prigionieri.
La mia vita è cambiata per sempre. Spero che, grazie a questa mia testimonianza, possa cambiare in meglio la vita di tante donne come me.
Per motivi di sicurezza abbiamo concordato con l'autrice di omettere il suo vero nome
2.6.13
La compagna
Hanno già scritto e detto tanto su di lei, ma io Franca Rame
voglio ricordarla innanzi tutto con questa fotografia: giovane, sexyssima,
d'una sensualità schietta e aperta. Bionda e solare. Giustamente esibita,
perché non era una colpa, men che meno un peccato, come pure qualche miserabile
le ha rinfacciato in questi giorni. Era una donna a tutto tondo, nelle sue
infinite declinazioni. Ma era, soprattutto, una compagna. Cum-panis, cioè colei che divideva volentieri il pane con chiunque
le sembrasse averne bisogno. A partire dal compagno per eccellenza, quel Dario
Fo che lei stessa corteggiò per prima, dopo le prove in teatro. Lui si
vergognava ad accettare l'invito: "Non ho un soldo". Ma lei: "Mi
fa piacere, adoro nutrire randagi, gatti abbandonati e disoccupati
affamati".
Non era un vezzo aristocratico, il suo. Lo sappiamo bene.
Franca Rame ha fatto della sua arte una battaglia, una coralità. A fianco di
mille lotte, in mezzo ai disoccupati, ai cassintegrati, agli operai, a favore
della pace e del disarmo (si dimise da senatrice dell'Idv nel 2008 in polemica
contro il rifinanziamento delle missioni militari). E delle donne,
naturalmente. Sempre, e pagando in prima persona.
E va bene. Lo stupro. Basterebbe
questo monologo a rendere immortale Franca. Lo scempio, dell'anima prima che
del corpo, da lei subito nel 1973 per mano di fascisti con la complicità di
carabinieri collusi, ha racchiuso in sé tutta la mostruosità di un odio
inveterato, primordiale, per il genere femminile da parte del maschio selvaggio
e ferito. Ferito nel suo frainteso senso dell'onore e del potere. Era più che
ucciderla, lo stupro. Era una relegazione al silenzio, all'accartocciamento su
sé stessa. Non avrebbe dovuto più parlare. Tornare mera forma, senza sostanza.
Rendersi invisibile con la sua presenza disarmata e dolente. E invece no.
Franca ne uscì con la parola vomitata, urlata e susurrata. Ne uscì da compagna,
cioè davanti al suo pubblico. Con un titolo che non lasciava alcuno spazio
all'immaginazione. Lo stupro era solo quello. Nient'altro. La sua psicoanalisi
fu la platea, la coralità. Ancora una volta. Insieme. Cum-panis. In questo caso il pane del dolore, l'offerta del dolore.
Sacrificio, sì, se per sacrificio s'intende non un'immolazione volontaria in
nome di qualche divinità crudele, ma racconto del proprio travaglio. Il
sacrificio di Franca è stato testimoniare la sopravvivenza, la strada da
proseguire "oltre" e "dopo", non lo scatto finale di una
vita. Franca ha saputo superarsi. Ha attraversato l'annullamento e ha vinto,
ancor più bella e forte di prima.
Compagna politicamente, senza dubbio. Una storia a sinistra, si direbbe,
volendo essere un po' volgari. Una scelta orgogliosamente di parte, la sua, e
anche, talora, orgogliosamente sbagliata - frequentazioni, personaggi -. Ma,
del resto, anche una scelta inclusiva e universale, volendo Franca comprendere
tutti quegli emarginati, abbandonati ecc. cui alludeva durante il suo primo
incontro con Dario.
Ma ecco, appunto, di là da tutti i meriti artistici, da quell'impasto d'arte e
vita di cui lei fu probabilmente l'ultima interprete, è proprio il suo essere
moglie che, forse, è stato poco sottolineato. Comprensibile, da un verso, per
tutte le ambiguità che comporta. La donna come eterna seconda, la donna che
trova significato solo nel e col marito. Ma noi affronteremo questo rischio,
perché Franca la vedevamo originaria: compagna, anche in questo. La compagna
dell'uomo nel giardino dell'Eden, non seconda, ma "a fianco"
(letteralmente: "quella che sta di fronte"). Del tutto logico
pertanto che Franca "la laica" concludesse il suo viaggio terreno
scrivendo un altro monologo, su Dio, anzi su Eva, anzi su Eva-Dio: "Siamo
nel paradiso terrestre. Dio è alle prese con la creazione del primo essere
umano. Che non è uomo ma donna. La modella con argilla fine e delicata. Adamo
verrà dopo, per tenerle compagnia. Ed Eva, che subito lo adocchia, si esibisce
per lui in una danza selvatica...". E ancora: "Dio sicuramente c'è ed
è comunista. Ma non è solo comunista, è anche femmina".
Qui il "cum-panis" è diventato l'uomo, in una Creazione rovesciata.
Ma solo all'apparenza. Perché nella compagnia, nell'essere di fronte, non
esiste gerarchia. Non esiste un primo e un gregario. Tutti siamo pari nella
diversità.
Ma la prima compagnia di Franca è stata Dario, e viceversa. E' stata feconda e
si è moltiplicata, quella coppia divisa e unita, turbolenta sempre (molti gli
abbandoni, tra cui uno ancora una volta dichiarato in pubblico, e i
ricongiungimenti). Non è stato un narcisismo a due. La vita di Franca (e di
Dario) sarebbe stata una grande vita anche da sola, ma così, a fianco, anzi di
fronte a lui, ha generato milioni di figli, una prole immensa, di arte, di
esperienza, di battaglie.
Al termine, Franca ha ricordato che Dio è innanzi tutto Altro. Quell'Altro
cercato fin dall'inizio, nel povero, nel diverso, nella donna, in una visione
dell'umanità senza pregiudizio, razzismo, violenza (in questo senso "Dio è
femmina e comunista", cioè a dire comunità). Quell'Altro ritrovato al
funerale: rito senza chiesa perché chiesa originaria: che non era tempio ma
assemblea, dove si spezzava il pane (cum
panis) assieme. La chiesa dei primordi era costituita solo da individui,
non da edifici, non da preti, non da simboli. Empirismo eretico? Forse. Franca
era senza dubbio un'eretica (eresia=scelta). E, come tutte le eretiche ed
eretici veri, interpella, disturba, scuote la nostra ortodossia.
Il Dio di Franca è stato laico, cioè del popolo. E' stato presente quanto meno
lo si è invocato, o nominato in quel modo strano, balbettante e fuori sede. E'
stato un Dio compagno che la compagna ha cercato con buona, indefessa volontà.
Questa ricerca solitaria e all'unisono, questa continua tensione verso qualcosa
che resti, è già traguardo.
3.4.13
Legge 194: se l’obiezione di coscienza diventa omissione di coscienza

1) Aborto io non sono nè pro né a favore dell'aborto ho già parlato qui e qui e non mi dilungo oltre rimandandovi a tali post
2) io rispetto chi è obiettore di coscienza contro l'aborto . Ma tale obbiezione dev'essere convinta e coerente . Non è che sei obbiettore in pubblico o abortista in privato . O quando essa viene usata in maniera strumentale o di comodo vedere articolo sotto violando questo canone : << (..) di prestare assistenza d'urgenza a chi ne ha bisogno .... >> del giuramento di Ipocrate \ quello che fanno i medici quandi si laureano e\o si specilizzano .
Ma ora bado alle ciancie e veniamo al post vero e proprio .
Leggo sul il fattoquotidiano del 3 aprile 2013 di Nadia Somma e Mario De Maglie questop articolo interessante che dimostra come si stia rischiando di tornare indietro di circa 40 anni quando si moriva per aborto
Ma ora bado alle ciancie e veniamo al post vero e proprio .
Leggo sul il fattoquotidiano del 3 aprile 2013 di Nadia Somma e Mario De Maglie questop articolo interessante che dimostra come si stia rischiando di tornare indietro di circa 40 anni quando si moriva per aborto
E’ notte e nel reparto di ostetricia e ginecologia di un ospedale della provincia di Pordenone una donna sta molto male dopo l’intervento per l’interruzione volontaria di gravidanza. L’ostetrica teme un’emorragia e chiede inutilmente
l’intervento della dottoressa in turno. La donna però si appella all’obiezione di coscienza da cui si sente tutelata. Alla fine deve intervenire il primario del reparto che presta soccorso alla paziente.Il 2 aprile la sesta corte penale della Cassazione ha condannato a un anno di reclusione e all’interdizione dall’esercizio della professione medica la dottoressa che quella notte rifiutò di dare le cure mediche alla paziente ricoverata. La Suprema corte ha infatti ritenuto che l’obiezione di coscienza riguardi solo la fase dell’intervento chirurgico fino all’espulsione del feto e dellaplacenta, non i momenti precedenti o successivi l’interruzione di gravidanza.
Fino a questa sentenza, l’estensiva interpretazione dell’articolo 9 della 194 che prevede l’obiezione, ha lasciato molte donne prive di assistenza medica negli ospedali italiani prima o dopo aver abortito, fino al verificarsi di situazioni assurde come l’obiezione dei portantini e di quegli infermieri che nemmeno intervengono nell’iter dell’Ivg.
Nel libro “Abortire tra obiettori” (di Laura Fiore, Tempesta editore) sono raccontate situazioni in cui viene leso il diritto delle donne, umano prima che legale, di ricevere assistenza medica e insieme a esso viene tolta ogni dignità e rispetto. Nell’ottundimento delle coscienze, sta avvenendo in Italia una sorta di moderna inquisizione contro le “streghe” che abortiscono.
L’obiezione di coscienza ormai riguarda l’80 per cento dei ginecologi nel sud Italia e il 70 per cento nel nord. Se non ci saranno risposte politiche adeguate, nelle strutture pubbliche italiane tra meno di cinque anni non sarà più possibile ricorrere all’aborto legale. Se così fosse si riaprirebbe lo scenario ipocrita e discriminatorio degli anni che hanno preceduto la legge 194: le donne con possibilità economiche potranno abortire all’estero o in strutture private, quelle meno abbienti dovranno ricorrere all’aborto clandestino, esporsi a rischi di salute e di vita. Le precarie, le immigrate, le meno abbienti torneranno a morire di aborto (e ci sono già casi tra le immigrate).
Riguardo questo problema non c’è stata nessuna risposta politica. Nonostante i rischi per la salute delle donne, le uniche iniziative istituzionali hanno riguardato i compromessi fatti sulla pelle delle donne con i movimenti contro l’aborto legale (diamogli finalmente l’esatta denominazione) che chiedono di entrare nelle strutture pubbliche dove si pratica l’Ivg.
Sono seguiti attacchi ai consultori - come sta avvenendo da anni nel Lazio – o protocolli per migliorare l’iter dell’Ivg che non affrontano il problema dell’obiezione di coscienza quando più che il diritto di una scelta individuale, diventa ostacolo all’applicazione della 194 e al diritto di scelta delle donne. Le difficoltà sono soprattutto per l’aborto terapeutico per le malformazioni del feto. Le donne sono costrette a recarsi da una struttura sanitaria all’altra, mentre le liste e i tempi di attesa si allungano, e il tempo è poco, e i ginecologi che applicano la 194 sono lasciati soli con un enorme carico di lavoro. Sui problema della mancanza di regolamentazione del numero di medici obiettori, sono impegnati da anni i ginecologi della Laiga che hanno affiancato l’Ippf nel ricorso al Comitato europeo per i diritti sociali (Consiglio d’Europa). In attesa che l’Europa si pronunci (ci vorranno circa 18 mesi), questa sentenza della Cassazione ha fatto almeno luce su quanto avvenuto quella notte a Pordenone quando l’obiezione di coscienza è divenuta un’omissione di coscienza.
non soi che altro dire se non mala tempora currunt
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