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1.1.25

“È giusto che si emigri, ma bisogna poter tornare”: così i nomadi digitali riportano vita nel cuore spopolato della Sardegna

da il FQ del 1/I\2025

 Il territorio di Laconi inizia dove l’ultimo tornante della strada statale 128 si apre sul verde. Per chi è originario di quel luogo, per chi vi è nato e da lì è emigrato, quel confine ufficioso segnala il ritorno a casa: è il “canali mraxani”, la valle stretta e lunga delle volpi. In quel paese dell’entroterra sardo, in provincia di Oristano, la popolazione si è ridotta della metà nell’arco di sessant’anni, fino ad arrivare agli

attuali 1600 residenti. E in altri sessant’anni, se la
 decrescita dovesse rimanere costante, come molti altri paesi della Sardegna, Laconi potrebbe quasi non esistere più. Eppure i primi segnali di un’inversione di rotta ci sono: nel centro storico del borgo, tra le mura di un’antica casa con il cortile, dal 2020 esiste Treballu (in sardo “lavoro”), il primo spazio di coworking e coliving rurale dell’isola. Che in quasi cinque anni ha innescato un circolo virtuoso di ritorni, arrivi e scambi culturali. E che ora vuole investire sui giovani del territorio.
Leonardo dalla Colombia, Evgeniya dalla Russia, Ardeena dall’Australia. Sono tanti i nomadi digitali che negli anni si sono fermati a Laconi, comune al di fuori dei principali circuiti turistici dell’isola – che da sempre è vista soprattutto come una meta di mare – e che non vuole convertirsi al turismo “mordi e fuggi”. “Volevamo avere un impatto reale sulla comunità, innestando nuove storie e nuovi incontri, che durassero nel tempo e che portassero nuova vita nel paese”, spiega Carlo Coni, fondatore e project manager di Treballu. “Con tutti i nomadi digitali si è creato un rapporto profondo, di amicizia e di connessione con il territorio. E spesso ritornano”.
Come Leonardo: “È un ragazzo colombiano che vive in Canada e lavora per un’azienda del nord degli Stati Uniti. È venuto l’estate scorsa e alla fine è rimasto per due mesi. I primi giorni era molto timido, credevo non si stesse integrando – ricorda Carlo – poi un giorno ha deciso che doveva farci provare il suo mojito”. Carlo in quell’occasione prova a dargli consigli sui negozi del paese, così che Leonardo possa recuperare il necessario: rum bianco, zucchero di canna, menta. Non sa che quel timido ragazzo del nuovo continente conosce bene persino i commercianti del borgo. Li cita per nome, poi dalla tasca estrae un foglietto un po’ stropicciato: “Il signore della bottega locale gli aveva disegnato una mappa per trovare il punto in cui cresce la mentuccia selvatica – racconta Carlo – Abbiamo bevuto quel mojito un po’ fusion, e al brindisi ha promesso che sarebbe tornato: voleva rivedere tutti”.
Del gruppo di Treballu fa parte anche Annalisa Zaccaria, europrogettista e garden designer permacultrice, insieme a tanti altri che supportano e collaborano con lo spazio. “Il progetto è nato anche da un bisogno personale: vogliamo vivere a Laconi, ma anche incontrare persone sempre diverse, che ci ricordino che non siamo unici e che il modo in cui facciamo noi le cose non è necessariamente il migliore – spiega Carlo – E questo scambio di visioni, fondamentale per crescere, vorremmo coinvolgesse sempre di più anche i ragazzi di Laconi e della Sardegna. Per questo guidiamo Giovani Iddocca, un’associazione che si occupa di mobilità giovanile”.
Perché secondo il fondatore di Treballu emigrare è positivo, ma può esserlo anche tornare. “Non credo nella retorica del bloccare lo spopolamento, è giusto che la gente emigri. Ciò che si può fare è offrire prospettive di ritorno, lavorare concretamente perché un luogo come questo non si rassegni né all’estinzione, né all’essere solo una meta turistica o una località nota per le sue tradizioni”. E spiega: “Il folclore, il costume sardo, i balli, sono sì una parte di ciò che siamo, ma non bastano a definire la nostra identità”. Proprio come in una poesia dello scrittore sardo Marcello Fois: “Io ho visto bene me stesso col costume della festa. E mi sono visto come gli altri mi vedevano, non com’ero. Perché adattarsi allo sguardo altrui può diventare una forma di sopravvivenza, ma anche una forma di eutanasia”.
Su queste premesse è nato anche il progetto Ammonte dell’associazione Giovani Iddocca, con il supporto della European Youth Foundation e il patrocinio del Comune di Laconi. Partendo da un processo di progettazione partecipata, l’obiettivo è quello di creare uno “spazio creativo rurale”, un punto di riferimento per la comunità, soprattutto per i giovani, in collaborazione con enti locali, imprese del territorio e associazioni culturali. Un luogo dove tutti possano essere liberi di organizzare workshop, eventi, presentazioni. “Sentiamo che Treballu non è abbastanza. Serve un luogo che sia di tutti. Così uniremo la dimensione internazionale e la dimensione locale”.
Il 7 dicembre per il progetto Ammonte si è tenuto un evento di restituzione e confronto. Molte tra le realtà presenti – Treballu compresa – fanno parte di Nodi, una rete di connessione fondata e coordinata da Federico Esu. Nodi vuole unire il capitale culturale di chi è emigrato e poi tornato, di chi non se n’è mai andato, ma anche di chi si è trasferito in Sardegna per la prima volta: “È importante collaborare, coesistere. Ci si sente meno soli e si cresce insieme – riflette Carlo – Io stesso so cosa significa viaggiare e poi portare le proprie scoperte a casa, un’esperienza che condivido con Esu e con alcuni degli amici che collaborano a Treballu. L’idea stessa di coliving rurale l’ho avuta in un’esperienza di scambio giovanile in Spagna”. Perché il cambiamento non si attua da soli: nasce con l’incontro e si sviluppa con lo scambio.


22.4.21

Ortueri, tra vitigni e graniti nel borgo che non si arrende allo spopolamento



leggi anche   sempre  di repubblica  


Al centro della Sardegna, nella Barbagia del Mandrolisai, si trova  Ortueri   paese (  unico  dei pochissimi  che  ancora   le mantengono )   con case di pietra e tradizione artigiana di una comunità che si rinnova con un'amministrazione giovane. Sugherete, asinelli e retaggio romano

da  repubblica   del 22\4\2021  per i video   e il resto della  galleria  fotografica lo trovate in qui  
Tra i vigneti e le foreste di sughero e lecci del Mandrolisai, sorge l’antico borgo medievale di Ortueri. Il paese, rinomato in tutta l’isola come la capitale degli estrattori di sughero, preserva con cura i saperi e il saper fare del passato contadino. Tuttora, presenta un ricco tessuto di attività agricole, zootecniche, vitivinicole, enogastronomiche e artigianali.



ORTUERI (Nuoro) - Qui l’azzurro non è quello del mare. La macchia di blu che si attraversa per arrivare a Ortueri, lasciata la strada statale 131 verso Abbasanta, è il fiume Tirso, il più importante della Sardegna. Ha piovuto tanto nei mesi scorsi, come non succedeva da anni, e il fiume è grosso, la strada che, passato Ula Tirso, si inerpica sulle colline della Barbagia del Mandrolisai si snoda in mezzo a un’esplosione di profumi e colori. La ginestra è già fiorita, il pero selvatico chiazza di bianco la campagna dove si intravvedono le vigne basse che fanno la fortuna di questa zona. Il panorama già vale il viaggio.
In questo giorno luminoso di zona arancione, sembra di entrare in un paese disabitato: il parcheggio semivuoto vicino al comune esibisce con orgoglio una grande fotografia con le maschere tipiche del carnevale, Is Sonaggiaos e S’Urzu, con campanacci e pelli di montone che richiamano le tradizioni agropastorali del borgo. Sonaggiaos e Urzu qui non si lanciano nelle loro forsennate scorribande soltanto a carnevale (a proposito, un carnevale in Barbagia è un’esperienza indimenticabile) ma anche durante la festa di Sant’Antonio Abate, nella notte tra il 16 e il 17 gennaio, una delle ricorrenze più sentite del paese.
Sa limba de mesanias
Un vicolo stretto tra case di pietra porta al Comune. Per via del Covid la segretaria si affaccia alla finestra bassa per parlare con una signora, il loro botta e risposta è in limba, la lingua sarda, nella variante conosciuta come limba de mesania, cioè “lingua di mezzo”. Maurizio Virdis, docente di linguistica sarda all’università di Cagliari, spiega che nel 2000 si era individuata nella limba de mesania la varietà che potesse rappresentare l’intera Sardegna, poiché ha caratteristiche sia del Sud, sia del Nord dell'isola (Ortueri è una sorta di “ombelico sardo”) e che “La lingua della Carta de Logu, la raccolta di leggi promulgata da Eleonora di Arborea nel 1392, si avvicina a questa variante”. “Oggi - dice ancora il professor Virdis – i parlanti sardo sono sempre meno e c’è una fortissima italianizzazione del lessico:  

tuttavia, se all’inizio della carriera chiedevo ai miei studenti se sapevano parlare il sardo, e in genere erano in grado, si risentivano un po’. Adesso, se lo chiedo la risposta è ‘Purtroppo no’
L'artigianato che diventa azienda
L’aneddoto di Virdis guida a capire la chiave per scoprire il meglio di Ortueri, cioè una radicata appartenenza al territorio, tipica del centro Sardegna, sfruttata con vivacità imprenditoriale. Con fatica, certo: dal 2000 al 2020 il paese ha perso il 25% dei suoi abitanti per invecchiamento o emigrazione, ma a governare i 1074 rimasti, dopo alcuni anni di commissariamento del Comune, ora c’è un sindaco, Francesco Carta, la cui lista Animu Ortueri ha un’età media di 33 anni. La vivacità del borgo la si scopre nella zona artigianale, dove i fratelli Crobu hanno trasformato l’arte di fabbro e ferratore di buoi, asini e cavalli del padre in un’azienda di infissi con 20 dipendenti, showroom a Oristano e Olbia e commesse ovunque. Mostrano uno dei loro lavori, un cancello in ferro con motivi ornamentali




Ortueri, le immagini del borgo, del suo territorio e delle sue tradizioni































Foto di Pierluigi Dessì


grande bellezza, e dicono con orgoglio di lavorare tutto lì, nel capannone, riuscendo a mantenere prezzi competitivi anche se la loro filiera è tutta italiana.
Case di pietra e progetti per il futuro
I graniti, appunto. La bellezza del paese è in questa pietra e nei basalti con cui si costruiscono le case basse, con cortili interni. Qui veniva anche il grande scultore Pinuccio Sciola per farsi intagliare i graniti da scolpire, e la punta di Pedrarba, su cui svetta Sa conca ‘e s’Isteddu, è lì a ricordare quanto è antica questa terra, quanto è vicino, in questa giornata limpida, il massiccio del Gennargentu, con Punta Lamarmora, la vetta più alta della Sardegna, che si scorge all’orizzonte. Sul paese si staglia invece il campanile della chiesa parrocchiale di San Nicolò, di cui dicono con orgoglio: “Con i suoi 38 metri è il secondo più alto della Sardegna, superato soltanto da quello di Mores, alto 47 metri”. Delle origini medievali del borgo resta poco, così come non ci sono significativi resti di epoca nuragica, ma sono molte le testimonianze di una stabile presenza romana. A tre chilometri dall’abitato la necropoli di Pedra Litterada, dove fu ritrovata anche una pietra con dedica agli dei Mani, è emblematica di quanto avvenuto in molti siti romani della Sardegna, saccheggiati per recuperare materiale da costruzione.E infine, la bellezza di questo, come di tanti altri borghi sardi, sta nella sua gente. Non è necessario aspettare le manifestazioni come Cortes apertas tra settembre e ottobre, o Autunno in Barbagia, qui le persone, anche se ti hanno appena conosciuto, ti invitano in casa e ti fanno assaggiare gli asparagi selvatici appena colti e s’ortau, una variante del salsiccione da cuocere, aromatica e profumatissima, mettono in tavola il pane fatto in casa a forma di mezzaluna dicendo con orgoglio che il lievito madre era della nonna e ha più di cento anni di vita. La bellezza sta nella passione con cui i ragazzi dell’amministrazione raccontano che sono tornati dagli studi universitari “in continente” per prendersi cura del borgo e mostrano con orgoglio, all’interno del parco dell’asino sardo di Mui Muscas, le strutture per le quali hanno progetti turistici sostenibili.  E quel “noi”, con cui parlano dei loro progetti, risuona dell’antica cultura comunitaria dei pascoli sardi e di una nuova consapevolezza della ricchezza della loro terra. 


emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...