“Senza le donne non ci sarebbe stata la Resistenza. Abbiamo rischiato come gli uomini ma allora in tanti ci guardavano male. E il giorno della Liberazione ci chiesero di non sfilare”. Lidia Menapace, nome di battaglia Bruna,
partigiana, parlamentare, pacifista, morta nel dicembre scorso a 96
anni, è stata una delle partigiane che hanno partecipato alla guerra di
liberazione. E’ stata una delle più note. Ma per troppo tempo le donne
della Resistenza sono state relegate nel ruolo di staffetta quasi come
se quel compito non fosse rischioso quanto combattere. “Il loro
contributo – spiega a ilFattoQuotidiano.it la storica Isabella Insolvibile – è stato disconosciuto. Purtroppo a volte sono stati gli stessi partigiani
a non dare il giusto peso a quanto avevano fatto le donne per
acconsentire la rivoluzione”. Chi conosce bene la Resistenza, tuttavia,
sa che le donne ebbero un ruolo fondamentale: “Intanto – sottolinea Insolvibile – per fare la staffetta serviva un gran coraggio ma dobbiamo ricordare che alcune di loro comandarono le formazioni partigiane; altre si occuparono dei posti di cura e non poche combatterono alla pari degli uomini”. Secondo i calcoli dell’Anpi le partigiane “combattenti” furono 35mila, altre 20mila
ebbero funzioni “di supporto”. Tra loro ci furono 16 medaglie d’oro e
17 medaglie d’argento al valor militare, 512 commissarie di guerra.
Oltre 4600 furono arrestate, torturate e condannate dai tribunali
fascisti. Una di loro era Francesca Del Rio, nome di battaglia Mimma, staffetta della 144esima Brigata Garibaldi. I nazisti la sottoposero a indicibili torture, sevizie, mutilazioni nella caserma di Ciano d’Enza (ora nel Comune di Canossa). Eppure non disse mai i nomi dei compagni di battaglia. Riuscì a fuggire in modo rocambolesco e a raggiungere il comando partigiano. Era incinta e, dopo un parto difficile, perse il bambino. E’ morta nel 2008: due giorni fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella le ha conferito la medaglia d’oro al merito civile come “mirabile esempio di eccezionale coraggio e di straordinario impegno per i valori della libertà e della democrazia”.
Mirella, la prof di francese: “Senza di noi la Resistenza non sarebbe stata possibile”
Mirella Alloisio,
96 anni, ex professoressa di francese di Perugia, quella storia, che è
anche la sua, la racconta così: “Son entrata nella Resistenza perché non ne potevo più di guerre.
A 16, 17 anni, una ragazza doveva vivere perennemente con il
coprifuoco, non poteva andare a casa di un’amica. Oggi siamo travolti
dalla pandemia ma non possiamo paragonarla a quel periodo che abbiamo
vissuto: la guerra non è stata un fenomeno naturale ma è stata voluta da
Mussolini e se tutti fossero stati antifascisti non si sarebbe fatta”. In battaglia la chiamavano Olga: “Facevo parte della segreteria del Comitato regionale ligure. Avevo 17 anni.
Eravamo in tre: una compagna di 25 anni che stenografava e trascriveva
le riunioni; un ragazzo di 23 che aveva il compito di cercare le sedi
dove il Comitato si riuniva ed io che dovevo tenere i collegamenti con i
comitati di liberazione periferici. Andavo da una parte all’altra della provincia
a piedi, in treno o in tram se giravo in città. Dovevo portare le
direttive e loro mi davano altre informazioni. Bisognava essere
estremamente puntuali”. Mirella ha fatto di tutto: si è presa cura dei
feriti; è stata addestrata a sparare “anche se per fortuna non ce n’è mai stato bisogno”. “Senza le donne – sottolinea – la Resistenza non sarebbe stata possibile”.
All’inizio lei e i suoi compagni non davano nell’occhio. “Quando si
sono resi conto di chi eravamo – racconta – ad ogni arresto c’era la
tortura. Ancora oggi non ci posso pensare”.La
voce di Mirella si fa più fioca. Qualche attimo di silenzio e poi
riprende con un messaggio a chi vive l’oggi: “Durante la Resistenza
abbiamo fondato i gruppi di difesa della donna. Avevamo iniziato a
pensare al domani: all’avere gli stessi diritti degli uomini;
a poter accedere a tutte le carriere. Nel 2021 non siamo arrivati
ancora al punto che desideravamo. Ecco perché credo che ogni donna ma
anche ciascun uomo debba credere nel valore della partecipazione”.
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Francesca Laura, la nipote di Matteotti: “Fascismo? E’ ovunque ci sono ignoranza e violenza”
A Milano vive Francesca Laura Wronowski, ex partigiana di 97 anni, nipote di Giacomo Matteotti,
da mercoledì insignita dell’Ordine al Merito della Repubblica con il
grado onorifico di Commendatore. “Come donna, devo ringraziare un’altra
donna, mia madre, meravigliosa e combattiva cognata di Giacomo Matteotti. Trascinava alla lotta: mi ha insegnato l’intransigenza e la coerenza,
anche a costo dell’emarginazione, come è successo alla mia famiglia
durante gli anni del regime fascista. Io sono combattiva per
temperamento, ragione per cui la Resistenza in montagna mi è risultata
affine. Come donna, ho sempre ricevuto il massimo rispetto da tutti i combattenti di Giustizia e Libertà con i quali ho condiviso la lotta antifascista e antinazista, partecipando su un piano di parità ad azioni militari, come la liberazione dei prigionieri ebrei dal campo di Calvari, nell’entroterra di Chiavari, dove operavamo”.Kiki,
questo era il suo nome di battaglia, ricorda così il suo 25 aprile:
“Ero stata inviata, insieme a due uomini della mia Divisione, a Genova, con la missione di prendere possesso di un albergo
per farne il nostro quartier generale. Ricordo i pensieri e le
preoccupazioni di quel giorno (la città era ancora in mano ai tedeschi) e
ricordo, giunti alla periferia industriale della città, un’altra donna, una partigiana jugoslava, che sorridendo entusiasta volle regalarmi a tutti i costi il suo cinturone e una piccola rivoltella a tamburo. Un episodio che mi è sempre rimasto impresso, per la comunanza di sentimenti fra persone che non si conoscevano, ma che si riconoscevano come appartenenti alla stessa idea di umanità”.
Ad
accumunare queste donne è la loro lucidità, il desiderio di essere
ancora partecipi, presenti nella storia: “Ad una ragazza di 12-13 anni
vorrei dire che il fascismo è ancora attuale. Non sul piano politico,
ovviamente, ma come forma mentis. Dico spesso a mio figlio, anche se non è più un giovane, che il fascismo si può sintetizzare in due parole: ignoranza e violenza, laddove la seconda è figlia primogenita della prima”.Kiki ha le idee chiare: “Rivedo l’espressione della mentalità
fascista, che fu all’origine dell’assassinio di mio zio Giacomo
Matteotti il 10 giugno del 1924, ogniqualvolta ho notizia di un episodio
di bullismo, ogni volta che un disabile o un senzatetto vengono aggrediti senza motivo, ogni volta che una donna viene picchiata o uccisa per affermare il proprio dominio. Tutti questi comportamenti esprimono lo stesso nichilismo
frutto di ignoranza che dette vita e animò il fascismo nei suoi
comportamenti abietti, al di là degli scopi politici che Mussolini ed i
suoi si proponevano. Il fascismo è quindi sempre vivo nella società
contemporanea, e perciò deve essere altrettanto vivo l’antifascismo”.
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Teresa, la maestra di storia: “Il mio pensiero va a Francesca Del Rio, ecco chi era”
E poi c’è chi come Teresa Vergalli, classe 1927, in montagna ha insegnato la storia ai partigiani. Maestra di scuola primaria di Bibbiano
non ha mai smesso, dopo la Liberazione, di raccontare quello che
avevano fatto e ancora oggi ama parlare ai bambini. Una lezione l’ha
tenuta anche questa settimana ai ragazzi della quinta primaria di Madignano (Cremona). Oggi è tra gli ospiti della maratona organizzata da Casa Cervi alla quale partecipano anche don Luigi Ciotti, Gianfranco Pagliarulo, Diego Bianchi
e tanti altri. “In questi giorni posso raccontare non tanto di me ma di
un’altra donna che ha fatto la staffetta ed è stata arrestata e
torturata per un mese dai fascisti: si chiamava Francesca Del Rio, nome di battaglia Mimma”. Martedì sera Teresa ha avuto la notizia che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella
ha conferito a Francesca la Medaglia d’oro al merito civile. “Lei è
morta nel 2008 ma io ci tenevo a questo riconoscimento. Mimma era
riuscita a fuggire nella notte dalla sua prigione ferendosi e congelandosi i piedi
al punto da non poterli più usare ma non si è mai arresa, ha voluto
continuare la sua missione nella Resistenza facendosi portare in
montagna un cavallo con il quale poteva proseguire a fare la staffetta.
E’ rimasta famosa come la partigiana a cavallo”. La maestra Vergalli riassume così il ruolo delle donne durante quegli anni: “Noi facevamo da radio, da telefono, da guardia del corpo”
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Ida, la sarta di Forlì: “Noi abbiamo lottato per un futuro migliore. Ma serve ancora lottare”
Il 25 aprile tutte queste donne lo vivranno come se fosse quello del
1945. Lo si capisce dall’emozione che si intuisce nel parlare con Ida Valbonesi, sarta di Forlì, nome di battaglia Idina:
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“Ho 97 anni ma ho ancora le idee chiare. Faccio fatica a seguire tutto
quello che succede nel mondo ma ai giovani dico: state attenti, guardate
il vostro futuro perché è in pericolo. Noi abbiamo lottato per darvi un avvenire migliore. Non è successo. Serve ancora lottare”.
Ida ricorda la fratellanza e la vicinanza, l’amore che c’era per la
libertà: “La gente ci aiutava perché non voleva più la guerra. Per
arrivare al 25 aprile abbiamo trovato la forza per unirci. Oggi dobbiamo
ritrovare quello spirito. Abbiamo lottato per avere la libertà
ora dobbiamo difenderla fino in fondo”. Storie di vita che affondano le
radici in un passato che continua a essere vivo in queste donne. Tutte
sanno che ci sarà un giorno in cui non potranno più raccontare, essere
presenti in piazza, parlare ai giovani, ma ascoltandole si ha
l’impressione che si sentano ancora le ragazze di ieri.
Tutti i video fanno parte del Memoriale della Resistenza, portale
dell’Anpi all’indirizzo noipartigiani.it, frutto del lavoro di raccolta
di testimonianze di numerosi volontari coordinati da Laura Gnocchi e
Gad Lerner. Il Memoriale è raggiungibile a questo indirizzo.