repubblica 02 MAGGIO 2024 ALLE 09:46
di Massimo Basile
Patricia Kathleen McGlone aveva 16 anni ed era scomparsa nel 1969. Riconosciuta dopo 50 anni grazie ai test genetici su una vittima dell’11 settembre
New York - La Jane Doe di Midtown ha finalmente un nome, a più di vent’anni dal ritrovamento dello scheletro, nascosto sotto un pavimento di un edificio a Manhattan: si chiamava Patricia Kathleen McGlone, era una ragazza di 16 anni scomparsa nel 1969 e di cui nessuno aveva saputo più niente. Il corpo, in posizione fetale, legato con un filo elettrico, era stato trovato nel 2003 dagli operai di una ditta di costruzione, che stavano demolendo un pavimento in vista dell’abbattimento di tutto l’edificio.Quello era stato il momento in cui era nata la storia di Jane Doe, l’equivalente di “signora Bianchi”, la sconosciuta vittima di un crimine. Per darle un’identità è stata decisiva la prova del dna su una delle vittime dell’attacco terroristico alle Torri gemelle, l’11 settembre del 2001. I dati genetici sono combaciati e il quadro investigativo si è chiuso. A risolvere parte di questo "cold case" durato 55 anni è stato il detective Ryan Glas, del dipartimento della polizia di New York.
È una storia comprensibile solo rimandando all’indietro il nastro. Ventuno anni fa gli operai stavano prendendo a martellate un pavimento di un vecchio edificio in demolizione, quando a un certo punto era rotolata la parte superiore di un cranio. I muratori avevano trovato il resto dello scheletro di quella che era apparsa subito una giovane donna. Il corpo era stato avvolto in un tappeto e immerso nel cemento. L’autopsia aveva stabilito che la ragazza era stata strangolata. Uniche indicazioni sulla possibile identità: un anello d’oro con incise le iniziali “PMCG”, una moneta da dieci centesimi del 1969 e un soldatino giocattolo di colore verde.
La vittima era stata soprannominata “Midtown Jane Doe”, la signora Bianchi di Midtown, la zona centrale di Manhattan, dove era l’edificio, nella zona di Hell’s Kitchen. Tra il 1964 e il ’69 la palazzina era un popolare nightclub chiamato Steve Paul’s The Scene, dove si erano esibiti molti gruppi rock, i Doors e Jimi Hendrix. Per quattordici anni quel corpo era rimasto senza nome, fino a quando il caso non era stato riaperto nel 2017, grazie ai progressi nella tecnica del dna. Jane Doe aveva ripreso il suo vero nome: Patricia McGlone. Era nata nell’aprile del 1953, ma poiché i suoi genitori erano morti e lei non aveva fratelli o sorelle, era stato necessario fare ricerche per trovare altri parenti, da cui prelevare il dna per la comparazione e la conferma definitiva.
Il figlio di un cugino della vittima aveva raccontato al detective Glas che la madre, ormai scomparsa, si era sottoposta a un tampone dna per accertare se i resti di una donna morta nel crollo delle Torri gemelle fosse stata la sorella. Il raffronto dei dati ha confermato l’identità di Patricia, studentessa in un istituto cattolico, descritta come una che scappava spesso da scuola e viveva sempre sul filo, fino a quando non aveva trovato chi aveva messo fine alla sua vita. La polizia non ha trovato denunce riguardo la sua scomparsa, avvenuta cinquantacinque anni fa. Come fosse finita nelle mani di uno, o più criminali, è qualcosa che probabilmente non sapremo mai.
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nuova sardegna 30\4\2024
Il viaggio nei segreti dei nostri avi con l’albero genealogico sardo
La pagina Facebook fondata da due amiche di Capoterra: Elisa Melis e Valentina Vincis
Sassari Arrampicarsi indietro nei secoli, ramo dopo ramo, sull’albero del proprio passato. E provare a risalire sempre più indietro, partendo dal racconto di un nonno, per riesumare poi dentro le pagine impolverate che profumano di carta consuta, i misteri della propria famiglia. Insomma, scoprire quanti incroci, quante infinite casualità, quanti capricci del destino ci sono voluti per venire al mondo, ed essere l’ultima foglia.
Elisa Melis, 29 anni, ingegnera di Capoterra, è rimasta affascinata dalla genealogia, così per caso: «Mia nonna paterna ha avuto un’infanzia difficile. I genitori sono morti giovani, e non ha mai conosciuto i suoi nonni. Il filo della mia famiglia era spezzato, e io ho sempre avuto il desiderio di capire le mie origini. Così ho cominciato ad indagare, e ha provare quell’enorme emozione che la scoperta del proprio passato regala a ogni persona. Scartabellando gli archivi del cimitero ho individuato anche le tombe dei miei bisnonni: erano sepolti entrambi a Cagliari. E un giorno ho preso per mano mia nonna, che nel frattempo si era ammalata di demenza senile, e l’ho portata in quel cimitero. Lei, nonostante non fosse quasi mai lucida, quel giorno si è commossa, ha accarezzato e baciato la tomba di quei nonni che non aveva mai avuto la fortuna di abbracciare».
Elisa racconta questa esperienza alla sua amica Valentina Vincis, 29 anni, anche lei di Capoterra, laureata in medicina, anche lei con la fissa di riavvolgere il proprio nastro e navigare indietro tra le generazioni. È una folgorazione.
Il gruppo Fb Insieme decidono di creare qualcosa che in Sardegna non esisteva ancora. Così il 16 settembre 2018 fondano il gruppo Facebook “Albero Genealogico Sardegna”, e in un solo giorno collezionano 200 iscritti. Ora i membri sono arrivati a 1800, e ogni settimana il numero cresce di circa 60 nuove adesioni. «Il nostro intento – spiega Valentina – era quello di creare una comunità dove ciascuno potesse aiutare l’altro nella ricerca dei propri avi. Ed è sorprendente vedere quanto le persone siano collaborative tra loro. Basta che uno scriva un post, e subito c’è chi è pronto a dare una mano». Tipo: «La mia famiglia è di Sassari ma ho scoperto di avere un parente a Cagliari. Qualcuno potrebbe andare all’archivio storico di Cagliari e controllare questi dati?». E ancora: «La grafia di un documento scritto a mano è difficile da leggere. Qualcuno è in grado di decifrarla?».
Le scoperte Valentina, proprio aiutando una iscritta a ricostruire la sua storia, fa una scoperta inaspettata: «Lei è nata e vive tuttora in Emilia Romagna, ma facendo le ricerche i nostri rami si sono incrociati. Così, nel modo più casuale, ho ritrovato una parente che non sapevo di avere, perché i nostri bisnonni erano fratelli». Proprio due giorni fa, Elisa e Valentina, hanno pubblicato un post con il quale invitano i membri a condividere le scoperte più incredibili capitate nei loro viaggi a ritroso nel tempo.
Le curiosità Leggere gli oltre cento commenti fa capire quante sorprese possa riservare la genealogia. Ecco solo qualche esempio: «Mi è capitato matrimonio tra zia e nipote con dispensa, accusa di omicidio del neo sposo il giorno delle sue pubblicazioni di nozze, quadrisnonno con 5 mogli, le prime due erano sorelle di un altro mio trisnonno».
«Le notizie più interessanti trovate con i fogli matricolari, più di un parente partecipò alla prima guerra mondiale e uno di questi fu tra le vittime dell'affondamento del piroscafo Tripoli, per cui ricevette una onorificenza, ahimè da morto».
«Un fratellino di mia nonna morto subito dopo la nascita di cui non avevamo mai saputo nulla. Una bisnonna di mia nonna nobile. Un antenato che a fine '700 uccise un uomo a Gergei».
«Tra i miei antenati Onnis-Garau....un Garau era un inquisitore spagnolo approdato in Sardegna a Iglesias».
«Mio bisavolo aveva figli con altre donne ...».
«Ho scoperto che i miei bisnonni materni erano cugini di primo grado...»
«Dopo anni scopro che tre zii sono morti a Cagliari a causa dei bombardamenti del 43...nessuno in famiglia ne sapeva nulla...».
E questi sono solo dei piccoli esempi di quanti incastri occorrano per comporre il puzzle dell’umanità. Ma bisogna avere la pazienza di mettere la propria storia in rewind.
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“Dall’Africa alla Sardegna in 70mila anni. Il mio DNA vi racconta il viaggio”
Un viaggio di 70mila anni dall’Africa Orientale alla Sardegna. E’ lo straordinario reportage che apre il nuovo numero di SardiniaPost Magazine da oggi in edicola.
Foto di Valentino Congia. Trucco realizzato da Magda Pintus. Il costume il Quartucciu è stato messo a disposizione dalla signora Rina Daga |
L’autrice, Daniela Pani, attraverso un test del DNA realizzato in un laboratorio di Houston, ha ricostruito il suo “albero genealogico remoto”. A partire dalla “paleo-nonna” africana che viveva ai piedi dei Monti Semien, dove nasce il leggendario Nilo Azzurro. Un viaggio che racconta la colonizzazione del mondo da parte dell’umanità. E che ci spiega, attraverso il racconto del DNA di uno di noi, la storia di tutti.
Siamo partiti dall’Africa e abbiamo vissuto là per decine di migliaia di anni. Fino a quando gli effetti climatici delle glaciazioni hanno aperto corridoi verdi nel deserto – quello che oggi chiamiamo deserto del Sahara – che ci hanno consentito di spostarci verso Nord, raggiungere l’Asia e poi proseguire il nostro cammino verso ogni angolo della Terra.
La cronaca nera ci ha fatto sapere che il DNA è come un’impronta digitale, ma non ci ha detto che le “impronte digitali” del DNA – tutte diverse tra loro – hanno dei tratti caratteristici che accomunano ancora oggi le persone che vivono in un certo territorio. E’ questa localizzazione a consentire di mettere in relazione il DNA di un individuo con quello delle persone che vivono nel mondo e di ricostruire il percorso dei suoi avi.
Daniela Pani ci racconta che una sua “paleo-nonna”, una nipote di quella africana, 40mila anni fa viveva nell’attuale Medio Oriente dove incontrò l’uomo di Neanderthal. E ci spiega che quell’incontro fu molto intenso. Tanto che, nel suo DNA (come in quello della maggior parte di noi) è ancora individuabile una certa percentuale del DNA di quel tipo umano che poi si estinse. Passarono ancora molti anni (circa 20mila) e le nipotine di quella “paleo-nonna” asiatica raggiunsero il Sud della Francia, l’attuale Costa Azzurra e finalmente, circa 6mila anni prima di Cristo, si decisero a raggiungere quell’isola che, un giorno, sarebbe stata chiamata Sardegna.
Un reportage scientifico che si legge come un racconto. Una storia assieme molto complessa e molto semplice che ci dice che apparteniamo tutti a una sola razza, la razza umana. Per sintetizzarlo (e per rendere un omaggio affettuoso e scherzoso alle nostre nonne africane) con l’aiuto di un po’ di trucco, l’autrice ne ha preso simbolicamente le sembianze. E ha indossato, sulla pelle scura, un tipico costume tradizionale sardo. Un’idea nata – come spiega l’editoriale che apre questo numero – all’inizio dello scorso gennaio con Pinuccio Sciola che, ascoltando tra i primi il racconto di questo test del DNA, restò molto colpito dalla perfetta coincidenza tra quel lunghissimo viaggio e quello che tutti i giorni viene affrontato da migliaia di bambini, di donne e di uomini che partono dall’Africa per raggiungere l’Europa.
Daniela Pani, esploratrice geografica e speleologa, ricercatrice per la National Geographics, nel raccontare il suo DNA racconta anche quello della maggior parte dei Sardi (formiamo infatti uno di quei gruppi che, messi in relazione tra loro, consentono di ricostruire le tappe del percorso dell’umanità) e ci fa scoprire che, proprio come la sua “paleo-nonna” asiatica, anche quella che per prima mese piede in Sardegna trovò qualcuno che c’era già prima di lei.
Passò qualche altri millennio, imparammo a organizzarci sempre meglio. A costruire villaggi. Cominciammo a mettere enormi pietre una sopra l’altra. Costruimmo i nuraghi. Ma questa, rispetto al viaggio che raccontiamo, è quasi storia di oggi.