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1.8.23

Marco Ruffa, l'anarchico dei tatuaggi: "Serve più cultura e romanticismo"



Parla Marco Ruffa: "Ho lottato per far capire che quella di fare il tatuatore era la mia idea" da  https://www.ilgiornale.it/news/arte/ del 30 Luglio 2023 - 14:44


                      DI Matteo Carnieletto




“L'anarchia non è fare quello che ti pare, l'anarchia è darsi delle regole prima che te le diano gli altri”. Così parlò De Andrè, Faber, e fabbro della parola. Un aedo del Novecento. Era, quella, un’idea che poco o nulla a che fare con quello che vediamo oggi. L’anarchico di ieri poteva anche essere un terrorista. Un criminale. Ma, prima di tutto, era un idealista. Un romantico, in definitiva. Uno ciò che metteva un’idea, giusta o sbagliata che fosse, al di sopra di tutto. Anarchico e romantico è ancora oggi Marco Ruffa, tatuatore presso T-Shock, in corso di Porta Ticinese a Milano. Carattere ruvido, ma capace in poco tempo di spalancare le porte all’amicizia, mette subito le cose in chiaro: “Giornalista e de ilGiornale. Mio padre lo leggeva, io ho preso una strada diversa: ho fatto il volontario del Leoncavallo, poi mi hanno deluso. Dei tuoi colleghi ne apprezzo solo uno: Massimo Fini”. Sorrido ed estraggo il telefono, perché devo difendermi. Il rischio di essere bollato come pennivendolo è dietro l’angolo. Cerco la mail di cui ho bisogno, l’ultima scritta dall’eterno ragazzo che ora non vede più, e che si conclude con quella che è per me una medaglia al valore: “Finiano di stretta osservanza”. Marco legge e si convince. L’intervista può cominciare. Anzi: prima i preliminari. Estrae un libro e, orgoglioso, dice: “Questo è il quaderno che contiene una parte dei miei lavori dal 1988 ad oggi. Ora è tutto su Instagram e su quelle cagate lì. Ma un libro è fisico, lo si può toccare”. Cominciamo a inquadrare la persona, che ci tiene subito a precisare: “Io e Michele (Tartaglia, ndr) siamo tattooer e non tattoo artist. Loro dicono: ‘Faccio solo questo’. Noi invece portiamo avanti l’idea di una storia: quando una persona entra in studio, eseguiamo quello che ci viene chiesto, senza fare i fighi”. Tutti gli stili, tranne il realistico, precisa: “Perché se non viene fatto bene, dopo due o tre anni fa schifo”.





Qual è lo stile che ti piace tatuare di più, quello insomma che ti dà maggiore soddisfazione?


Sono i tatuaggi grandi. Quelli grossi, perché mi piace andare a mano libera. Uno dei miei fari illuminanti è stato Hanky Panky, il tatuatore olandese Schiffmacher, che fra l'altro ho anche conosciuto. È un “pazzo” che, vedendolo lavorare, mi ha indirettamente insegnato come il tatuaggio debba essere una linea che entra nel corpo. Una linea semplice, pulita, veloce. Che puoi anche permetterti di sbagliare, perché poi dopo riempi con il nero. Personalmente, a me piace fare i tribali. Ho girato tutto il sudest asiatico: Borneo, Malesia, India, Indonesia. Sono andato a studiare queste tecniche abbastanza grezze, soprattutto in India, dove in alcuni posti tatuano in mezzo alla strada con zero igiene.

A questo punto, Ruffa mi indica una fotografia appesa a una parete.

Questa è Higan. Ho conosciuto questi indigeni sul fiume Skrang in Borneo. Ti racconto un episodio: sono arrivato il lunedì e non c'erano bambini nel villaggio. Dopo cinque giorni ho chiesto il motivo. Allora mi hanno portato nel villaggio principale, dove mi hanno mostrato la scuola con i banchi, i libri e i bambini che studiavano. “Possiamo insegnare a scacciare le scimmie ma i bambini vogliono andare nella civiltà e devono studiare”, mi hanno risposto i capi. Mi stavano dicendo che avere la conoscenza era un fattore importantissimo.

L'italiano medio pensa che il tatuatore sia una persona un po' rozza, quasi un criminale senza cultura..


Il tatuatore, se è veramente serio, se è un professionista, è una persona di altissima cultura. Perché il tatuaggio c'è da sempre, nasce nella storia dei tempi. I tatuatori sono persone con le quali puoi parlare ore di conoscenza, di antropologia.


Il centro di questo mestiere è l'uomo con i suoi sogni, le sue paure, insomma...


Esatto. Quando le persone vengono nel mio studio, è importante che lascino fuori l'ignoranza e si aprano. Perché io li tocco. Devono quindi raccontarmi le loro storie e capire l'importanza di ciò che stanno facendo: tatuarsi.


Essendo eterno, il tatuaggio non può essere una cosa stupida.


Certo. Molte volte mi capita di avere dei clienti attempati, 50-55 anni, che mi chiedono di rimettere in ordine alcuni loro vecchi tatuaggi. Io mi rifiuto, dico di no anche se potrei guadagnarci. E questo perché quel tatuaggio che mi chiedono di coprire era un momento di una loro storia risalente a tanti anni prima. Non bisogna mai rinnegare il passato. No remorse.

Hai iniziato a tatuare alla fine degli anni Ottanta, tra il 1988 e il 1989. Hai avuto come riferimento il grande maestro Gianmaurizio Fercioni. Poi chi altro?


Non solo lui. Anche Marco Leoni, Marco Pisa, Gippi Rondinella. I primi ad aver avuto il coraggio di iniziare questo tipo di lavoro.

Erano tutte persone che uscivano dall'Accademia delle Belle Arti...


Io faccio parte di un'idea proletaria, non sono figlio di persone ricche o di borghesi. Ho fatto fatica. Ho lottato per far capire che quella di fare il tatuatore era la mia idea. Ricordo che diverse volte mio papà mi ha portato a vedere il suo lavoro. Lavorava in una ditta: disegnava e vendeva le guarnizioni degli altiforni. Quando avevo 12-13 anni, lui tornava a casa e mi diceva che non gliele compravano. Sai perché? Perché funzionavano e quindi è morto arrabbiato. Voleva inoltre che facessi il suo lavoro. Io invece mi sono tolto questa sua rabbia.


Il mestiere del tatuatore è cambiato?


Certo. Sta seguendo il cambiamento del mondo globalizzato. Una volta c'erano tre o quattro studi di tatuaggi, adesso ce ne sono 300mila. Dentro questo numero ci sono anche giovani umili e in gamba, ma anche una grande fetta di sbarbati che vogliono soltanto fare “i fighi”. Servono poi determinate qualità. Noi tatuatori tocchiamo e facciamo male a persone che non conosciamo. Quindi loro si aprono e si raccontano. Siamo una specie di psicologi.

Tu dici che il fenomeno del tatuaggio si è globalizzato. C'è il rischio di una uniformazione, in senso negativo del termine, del tatuaggio?


Si è un po' perso il linguaggio dei tatuaggi. Sarà colpa anche della Torre di Babele. Alla fine tutti parlano in modo diverso. Mentre prima quei pochi tatuatori che c'erano parlavano allo stesso modo, forte e romantico, ora ognuno parla una lingua diversa. E rimarca il fatto che la sua sia la lingua più bella. Invece dovrebbe essere come una volta, con tanto romanticismo. Rispetto i tempi che cambiano, sia chiaro. Ho fatto il giudice di varie tattoo convention, e sto vedendo da vicino i cambiamenti del settore. Penso che, anche se qualcuno decide di disegnarsi un piccolo infinito sulla pelle, il suo gesto sia uguale a quello che decide di farsi un tatuaggio che ricopre l'intera schiena. In entrambi i casi stiamo sempre parlando di mettere un po' di nero sulla pelle. Bisogna solo fermarsi, andare piano. Dovrebbe rimanere una cosa delicata. E invece adesso anche il salumiere sotto casa mia ha chiuso la vecchia attività per fare quella di tatuatore. Con pessimi risultati, per altro, visto che ha già chiuso.


Hai citato tante volte la parola romanticismo. Cosa significa?

È semplice. È la risposta alla domanda sul perché ho scelto di tatuare. Quando ero ragazzino sono sempre stato un ribelle. Quando avevo dieci anni e vedevo gli uomini, ex galeotti o muratori, con addosso tatuata una rosa dei venti, ero affascinato. Quel disegno mi portava a Salgari, al viaggiare con la mente in altri posti. Penso che sia questa una delle cose più importanti. Romanticismo vuol dire anche convivere con dei sogni, gli stessi che poi, magari quando si avverano, non sono più belli. Ecco: il tattoo è un sogno che dovrebbe rimanere tale. Non dovrebbe essere realtà, anche se quel che faccio è reale. Il romanticismo sta all'inizio della realizzazione di un lavoro. È quel punto in cui ho davanti una persona che non ha tatuaggi e inizia a realizzare qualcosa di romantico e incredibile. Io non salvo vite. Non sono un medico. Però produco felicità e sogni.

Mi colpisce quello che dici perché oggi l'idea del tatuaggio è sempre più distante dal romanticismo e associata alla moda. Non serve una rieducazione al tatuaggio?


Domani verrà qui, nel mio studio, una ragazzina che è la figlia della mia prima fidanzatina. La madre mi ha telefonato per raccomandarsi: “Non sono d'accordo con la sua scelta. Convincila a fare un disegno non esagerato”. Mi chiama poi la figlia tutta entusiasta: “Non vedo l'ora di tatuarmi”. Vedi, il discorso del tatuaggio si pone all'interno della famiglia, nei rapporti tra figli e genitori e via dicendo. Secondo me riguarda anche un discorso di ribellione, fermo restando che adesso sono quasi più ribelli quelli che non hanno tatuaggi. Però, ripeto: anche avere solo un puntino, vuol dire essersi predisposto ad accettare il fatto che una persona che non conosci, il tatuatore, ti tocchi e ti faccia male.


Il tatuaggio è sempre stato un rito di iniziazione.

Oggi questo rito è andato perso. Io tatuo varie cose... Sono passato a fare disegni che riguardano le isole del Pacifico. Dopo anni che le ho riprodotte, le persone a cui le ho realizzate non sono mai state neanche sull'Adriatico. Per questo sono in un momento un po' di stasi. Sono un po' “stanchino”. Io tatuo tutti. Però, su dieci persone che entrano nello studio, io sono felice quando ce ne sono due o tre che vengono a chiedermi dei lavori, che rimarranno sulla loro pelle, e che sanno cosa vogliono e quello che fanno. Al giorno d'oggi la gente non sa cosa vuole.

Ti sei mai rifiutato di fare un tatuaggio?


Mi son rifiutato di tatuare simboli politici, come la svastica o la falce e martello. La mia politica è che se da quella porta entra un ragazzino di 18 anni, senza tatuaggi, e mi chiede di tatuarsi la faccia e le mani, io non lo tatuo. Gli parlo e gli spiego. Se, invece, entra un 60enne interamente tatuato e mi chiede lo stesso, allora accetto senza problemi. Ti racconto un episodio. Nel mio vecchio studio è venuto Sfera Ebbasta, che fa parte di questa nuova generazione di trapper. Gli ho chiesto chi fosse il suo manager e mi ha risposto in modo tosto: “Sono io il mio manager”. È un tipo in gamba, non c'è che dire. Ma ad un certo punto gli ho detto che mi piace Tupac, un tipo che sparava con la pistola vera, mentre lui, a Cinisello Balsamo, spara con la pistola ad acqua. In quel momento c'erano lui, la sua guardia del corpo - che mi guardava già male - il driver e un quarto tipo che non ho mai capito chi fosse. ​La società di oggi è materialista e capitalista. Si guarda solo al materiale. Ti fai i denti con mille diamanti e poi non sai nemmeno che quei diamanti arrivano da posti dove la gente muore per estrarli.

27.4.23

perché le persone discriminano? Perché la gente non si limita a vivere la propria vita invece di entrare nel merito di quella degli altri» ? Dario de Judicibus

 Un amico mi ha domandato: «Dario, ma perché le persone discriminano? Perché la gente non si limita a vivere la propria vita invece di entrare nel merito di quella degli altri» ?

Ci ho pensato molto e alla fine sono giunto a una conclusione, probabilmente inaspettata, sicuramente non ortodossa: è solo uno dei tanti meccanismi con i quali un gruppo di individui elimina un altro gruppo dalla lotta per il potere e la sopravvivenza. Non è un caso che spesso vediamo questi comportamenti anche fra i nostri parenti più vicini nel regno animale: i bonobo e gli scimpanzé. Se sei il più forte o il più furbo è facile avere la meglio, diventare l'alfa, quello che comanda. Ma se sei il più debole? Se vuoi comunque conquistarti una posizione che non sia proprio alla base della piramide, cosa fai? Devi eliminare quanti più concorrenti possibili, quanto meno quelli che starebbero un gradino sopra a te per intelligenza o forza. E allora ti attacchi a qualcos'altro, a qualcosa che con l'intelligenza, la forza o comunque le qualità individuali non ha nulla a che vedere, qualcosa che possa tagliare fuori di colpo intere fette della popolazione dalla corsa al potere. È una donna, è nero, è omosessuale, appartiene a quella etnia o crede in quelle divinità. Insomma, qualsiasi
cosa va bene, purché di colpo metta un'intera fetta di individui al piano di sotto, in fondo alla piramide. Sei maschio, bianco, sei cristiano, sei etero: allora sei superiore a tutti quelli che non lo sono, poco importa se sei un cretino, debole e senza spina dorsale. Sei salito di qualche gradino e il potere, che sa che sei debole e stupido, ti adora, perché non rappresenti un pericolo, anzi, fai da cuscinetto a quelli davvero pericolosi che tuttavia sono stati sbattuti in fondo alla fila per ragioni del tutto strumentali.
Il brutto è che il meccanismo funziona così bene che anche chi è discriminato non è esente dal discriminare. E così ci sono donne e omosessuali razzisti, persone di colore omofobe e misogine, religioni che si combattono a vicenda, etnie che discriminano altre etnie pur essendo a loro volta discriminate. Minoranze dentro minoranze dentro altre minoranze, o magari anche maggioranze, come nel caso delle donne, poco importa. Così si crea una gerarchia non più basata sulle capacità e sulle qualità, ma in base a parametri del tutto strumentali, parametri che permettono di avere in cima alla piramide un piccolo gruppo di potenti che campa sulla pelle di tutti gli altri. Un piccolo gruppo davvero paritario, perché formato da uomini, donne, persone di colore e omosessuali che si nascondono tutti dietro alla stessa maschera aristocratica di dinastie inattaccabili e consolidate anche in quelle che chiamiamo democrazie. Re e regine, dittatori, presidenti, dinastie di industriali, capi di organizzazioni più o meno legali. Loro possono essere quello che vogliono: possono essere di qualsivoglia genere, colore, orientamento sessuale o fede religiosa. Magari non lo fanno sapere, ma vivono la loro vita a spese di tutti gli altri, pur essendo quello che a tutti gli altri è negato, perché la prima cosa in assoluto che devono negare agli altri è il potere. Tutto il resto è solo funzionale a questo. Perché le persone discriminano, quindi? Perché è più facile dimostrare che un altro è inferiore a noi piuttosto che sia superiore, specialmente se tale "dimostrazione" non si basa su un'onesto confronto di qualità ma su evidenze oggettive del tutto irrilevanti come il colore della pelle, l'etnia, l'orientamento sessuale o il genere. Sei una donna? È evidente. Sei di genere fluido? È evidente. Sei di pelle scura? È evidente, facile da dimostrare: non significa nulla, quindi è perfetto per affermare che sei inferiore. Tu invece devi dimostrare che io sono un cretino e sebbene in molti questo sia evidente, è un po' più difficile da fare. Magari perché a quel punto ti denuncio per diffamazione. Tu invece non mi puoi denunciare per diffamazione per aver detto che sei una donna o che la tua pelle è nera. A me basta solo far passare il messaggio che tutto ciò è sufficiente per tagliarti le gambe, impedirti di studiare, di accedere a posti di comando, persino di esercitare determinati mestieri. Alla fine, e purtroppo è successo spesso nella Storia, per negarti persino il diritto di esistere.

26.5.21

non sempre fare di testa propria e quindi essere anarchico è negativo il caso di di Tarcisio Burgnich alla semi finale dei mondiali del 1970 in italia -germania

Il nome  in se    non mi diceva niente  , essendo     cresciuto negli anni 80\90  ,  proprio  quando   Tarcisio Burnignich    era  già  andato in pensione .  É  dai miei  genitori , oltre  che dalla  tv  che  parla  della  sua   morte  .  E fra gli  articoli coccodrillo  che ne  parlano    ho  trovato questo d repubblica    del 26\5\2021 qui l'articolo completo    .  Articolo che     conferma   il  mio  commento  , che è  anche  il titolo del post    d'oggi  

[...] 

Ma anche gli immobili, venerabili e quasi eterni nella loro postura, una volta nella vita si concedono la vertigine del viaggio, come la prima e unica gita in aereo dei nonni. Dunque - e non in una partita qualsiasi ma nella mitica Italia - Germania =  4- 3  Messico '70 - Tarcisio Burgnich scappò di casa. Accadde nel primo tempo supplementare e sul risultato di 2-1 per i tedeschi, quando Muller aveva appena segnato e gli azzurri sembravano già depressi. Era un pericolosissimo momento di stanca, quando puoi perdere il filo e non ritrovarlo mai più E allora, chissà perché, Burgnich fuggì dal suo domicilio e si spinse in avanti, dall'altra parte del prato e del destino. Ci fu un calcio di punizione, e Rivera sapeva che Tarcisio di testa le prendeva tutte: quando lo vide dentro l'area, incongruo, come uno che avesse sbagliato indirizzo o si fosse perduto, Gianni calciò il pallone verso la capoccia del numero 2 ma fallì la misura e mirò troppo avanti. La palla, irraggiungibile per Tarcisio, carambolò tra l'azzurro e il tedesco Held che la respinse goffamente lasciandola, in pratica, quasi ferma. A quel punto, dopo un rimbalzostrambo, Burgnich colpì col sinistro, una specie di puntonata, e segnò. Poi corse a casa, cioè nella propria area, senza esultare. Aveva avuto la sua mattana ed era tempo di tornare in catena di montaggio.Come poi andò a finire lo sanno anche i sassi del ruscello, anche se non tutti ricordano i miracolosi salvataggi di Burgnich, uno addirittura in rovesciata sulla testa di Seeler. Questo portò gli azzurri in finale, e collocò Tarcisio nella sua seconda figurina estrema: lui che prova a saltare insieme a Pelè, angelo in decollo, irraggiungibile.                 Il re del calcio segnò di testa, anche questo lo sanno tutti, ma non tutti ricordano che Valcareggi aveva appena cambiato le marcature spostando Bertini su Rivelino e Burgnich su Pelè, che contro Bertini stava facendo un po' quello che voleva. L'azione del memorabile gol brasiliano si sviluppò proprio nel corso dell'infausto cambio di consegne, e Tarcisio arrivò in ritardo. Forse, sarebbe accaduto comunque. 

"Dicevo a me stesso: Tarcisio, anche Pelé è un uomo di carne e ossa come tutti. Mi sbagliavo". Questo Burgnich lo ripeterà sempre, non potendo tuttavia scendere da quella fotografia, come da una scala troppo alta. Adesso, però, il tempo che tutto consuma ha concesso a Tarcisio di tornare quaggiù, dove né Pelé né la corruzione degli anni e della memoria potrà più disturbarlo. Sei stato un grande, Tarcisio. Hai finito bene il tuo lavoro.

  nient'altro d'aggiungere   .  alla   prossima  

19.7.19

c'è odio costruttivo ed odio distruttivo .

  a chi mi dice come critichi gli odiatori e poi se un odiatore tu stesso ? o parli di odio costruttivo ? che .... dici .ecco cosa dico . leggetevi queste tre slide .


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L'immagine può contenere: una o più persone, cappello e testo




L'immagine può contenere: testo
chiedo scusa  ai miei  15  lettori\ letrrici     fissi  e  a quelli occasionali  se  le ripeto  ma  evidentemente    pochi leggono  l'archivio del  blog 

28.1.18

amico fragile di Matteo Tassinari


Amico Fragile




Durante il rapimento mi aiutò la fede negli uomini,proprio dove latitava la fede in Dio.Ho sempre detto che Dio è un'invenzione dell'uomo, qualcosa di utilitaristico  una toppa sulla nostra fragilità. Tuttavia, col sequestro qualcosa si è smosso. Non che abbia cambiato idea,
ma bestemmiare oggi come minimo m'imbarazza.
FABER



Luoghi meno comuni e più feroci  Mi disgustarono



Questo mondo è diviso in vincitori e vinti. Solo che i primi sono 3 ed i secondi 3 miliardi.
Come si può vivere ottimisti?
Probabilmente la sua canzone più  IMPORTANTE



di Matteo Tassinari





I cosiddetti “migliori” di noi se avessero il coraggio di sottovalutarsi almeno un po’vivremmo in un mondo infinitamente migliore



FABER ED I GIGLI DI PAPA'

... che abbia mai scritto Fabrizio De André, è molto probabilmente "Amico fragile". Quando scherzava ed era in zonaburlana diceva che lui era in realtà "Bocca di Rosa" (il suo spirito libertario emergeva prepotentemente come l'esplosione di un vulcano in"Bocca di Rosa"). Ma quando gli argomenti s'imbrunivano e assumevano colori tersi nell'oscurità (difficile, eh...) e bè... li s'intristiva ed aleggiava sempre dalle parti di "Amico fragile", come farebbe un aquila col suo rifugio, un luogo del conforto, un'ultima Thule anche per lui, un luogo dove sai che ritornerai sempre, perché sarà il luogo della tua morte, del ritrovo con te stesso nella tua nullità completa e totale. Troppo ottimista?No... è così! Aveva una convinzione granitica in quel che raccontava che t'infondeva una certezza e condivisione proprio per quel che diceva. L'imparavi subito, a memoria. Le parole, anche quelle sceme, s'imprimevano nella mente. Troppo esplosivo, spiazzante, imprevedibile nei ragionamenti, originale per le mie vedute o visioni che un borghese convenzionalista non sono proprio, o meglio, quelle che mi parevano visioni e invece erano realtà sognate piccine... Gli credevi proprio, eri persuaso del suo discorso carsico, e ti piaceva gargantuescamente sentirlo a parlare e guardarlo in faccia. A pensarci ora, davvero non sembra vero. Mentre era con me, avrei voluto che ci fossero state le telecamere di tutto il mondo che ci riprendessero ad urlare: "Ci sono io con Fabrizio 'sto giro". Io e lui, a zonzo in centro a Riccione, sconciamente sbronzi di Chivas. A pensarci adesso mi viene da sorridere e soffrire, primo perché è successo, secondo perché non potrà succederà più.


Lo avvertivi quel vento...

Lo avvertivi quel vento trasportatore, per lamiseria se lo avvertivo. Quel little big man, uno come pochi, forse nessuno, sapeva perdonare anche quando aveva ragione, come sapeva aggredire spudoratamente se gli stavi sulle palle, allora qualcosa d'errato l'avevi fatto, qualcosa che non era da fare l'avevi compiuta. Un capo indiano, un autentico capo indiano, stesso carisma, stessa postura, stesso modo di pensare, stessa indipendenza (meglio, autonomia). Che "Amico fragile" fosse la più importante, a dirlo non sono io, ma De André stesso, in più d'una occasione, anche lui ne era innamorato e non gliel'ho mai chiesto il motivo, neanche ci vedessimo tutte le sere. Quella volta, e altre due molto circoscritte e ufficiali come cerimonia, era una intervista di gruppo al cantautore in una sala stampa. E sì, che fu un episodio acerbo ancora sul nascere, quando vinse la strana entità che l'aggrediva impietosamente ogni volta che doveva salire sul palcoscenico, che gli offriva la vista di migliaia di persone che lo aspettavano con ferocia solidale.

CHE TACHICARDIE


"Chi non sa tenersi compagnia difficilmente la sa tenere ad altri. Può fingere".

Allora, forse, un pò di tachicardia è purenormale che t'arrivi in coppa, a pensarci... Erano i primi anni '80 e De André era un gran figo, proprio era pieno di donne, il classico donnaiolo, ogni sera una diversa e per di più lo si vedeva in televisione a cantare con Mina. Un tripudio di notorietà e celebrità che il gagà Faber non si lasciava certo sfuggire, vanitoso com'era anche se non sopportava questo aspetto del suo carattere, e la faceva pesare sulla bilancia, fischia, lo faceva vibrare il fatto che lui aveva cantato con Mina, e che aveva avuto quella incoscienza lì, come sguazzare in uno stagno con il cigno più bianco. Un dandy libertario che divenne anche poeta decadentista rimanendo anarcoide e permissivo. Curioso e stellare, il percorso di Faber. Come si diceva all'epoca, era un buon "partito". Famiglia dell'alta borghesia genovese, bello, coi soldi, era perfetto Fabrizio. Ma a Fabrizio era proprio questa perfezione plastificata che gli stava stretta per questo cercava incessantemente un'altra vita, forse nei carrugi con Riccardo Mannerini poeta e grande scacchista, grande fumatore di pipa, e per lui, Faber, ha sempre nutrito per lui grande rispetto e stima di essere suo amico fragile, anche perché Mannerini, fatto da non dimenticare, era fortissimo a scacchi.


Uno scorcio di Parco Portobello di Gallura

Era considerato un mitodel momento nella Sardegna dei Vip e quella sera (forse avrebbe dovuto anche capire che era una sorte quasi obbligata) nel parco residenziale di Portobello di Gallura, c'era anche lui. Nell'aria si respirava più il fatto che ci fosse De André, più della festa stessa. Fabrizio era stato trasformato in una festa nella festa in pratica. "Volevano sentire suonare e cantare con Fabrizio De André", per portarsi via una canzone scippata in gruppo e che lo voleva mettere su una sedia facendolo cantare a tutti i costi come un Juke Box. Cosa che Fabrizio non sopportava, figuriamoci. Anzi, erano dinamiche, queste ingerenze, che detestava, odiava, non tollerava proprio.h
Una tremebonda imponderabilità

Quei giorni perduti a rincorrere il vento a chiederci un bacio e volerne altri cento

In quella seratacalda, estiva, camicie di seta sbottonate e rigorosamente bianche stirate di pane o Lacoste casual verdi bottiglia a non finire. Quando Faber con la prima moglie Puny, andarono ad una festa in una di quelle ville nel parco residenziale di Portobello di Gallura, zona frequentata da personaggi noti, certamente ricchi, si pensava al solito incontro fra gente coi soldi e occupata sempre in questioni poco chiare ma assai remunerative, a quanto pare. Medici, avvocati, politici, imprenditori, magistrati, presenti alla festa di quella sera dove c'era anche Dori e Fabrizio. Faber voleva partecipare tranquillamente alla festa, non si faceva certo problemi, un po di whisky e ogni argomento per discutere era buono, senza mettere i vestiti della star e avere addosso anche quella sera l'attenzione del gruppo. Anzi, gli sarebbe piaciuto parlare per sapere la loro opinione su quello che aveva detto Papa Paolo VI sugli esorcismi e altro, magari accompagnati da qualche drink. "Amico fragile" l'ha scritta in quella notte di tremebonda e imponderabile fatalità e alcol, lampi e fulmini nella mente di Faber e forse anche in cielo, sopra il garage estivo. Me lo immagino, quasi al buio e fuori quai totalmente coi sensi, nel concentrarsi sulla parte più centrsale della lettera più importante. Alla ricerca dello stip che sappia con saggezza ed ironia, saper rispondere ai suoi fulmini. Scosso, spaventato in una notte che i "gigli di papà (come li definiva Faber) col Rolex d'oro e tutto il borsame di Louis Vuitton", volevano il cantante, non l'uomo. La sua opinione sembra quasi non fosse importante. Era già stato deciso. Fabrizio doveva cantare! Ci mancava che gli mettessero la chitarra a tracolla e le avevano provate tutte. Non c'era verso di fargli cambiare idea. Del resto, quella, era gentaglia non abituata a sentirsi rispondere no! Ebbene, grazie a De André, quella fu una di quelle volte che dovettero accettare la malasorte.

Dall'ingenuità possono nascere piccoli miracoli o anche grandi stronzate

Gli rispose un NO secco e anarchicofolle come l'azzardo, l'assurdità e il delirio contro borghesi in Mercedes in Sardegna, terra non loro: "ma dovunque andassero, sembravano loro i padroni!". Da qui il comprendere e condividere, da parte mia, il banditismo sardo, come risposta al consumismo di gente abituata alle feste e che arrivava con tanti nichelini e macchinoni. A aspettarli a casa, una villa con piscina e maggiordomo con campo da tennis. Non è giusto questo. Penso che il banditismo sardo, sia anche una naturale conseguenza delle diversità fra uomini e dell'aggressione". La situazione difficile e oscura, s'inghiottì Fabrizio fino a ridurlo ad essere molto più ubriaco di noi tra tuoni, intuizioni, saette, barlumi, chiarori, buio, ombre, guizzi, flash, ricordi obnubilati, frammenti di memoria liquidi, saette ed ebbrezza, rapimento e amore, slancio farneticante, estasi ed entusiasmo, composizione furiosa come un'improvvisa e violenta invasione d'estasi mal sopportata.





Prima piangi per poi essere corrisposto





Evaporato in una nuvola rossa in una delle molte feritoie della notte

Da quel momento  le decisioni di Faber, in quel contesto ormai divenuto ostile ad ogni ricettore ancora attivo. In pratica, sono tutti tentativi abortiti ancor prima di nascere, quelli che ti danno il messaggio che tutto è sotto controllo, quando sei in alto mare, ne hai una fottuta necessità. Garantisco, se ce ne fosse la "bisognia", è così. Non sa dove andare Faber, restare, andare via, incazzarsi e far una scenata a voce alta o far finta di nulla. Ma non ci riuscì. Inizia a camminare da solo, in silenzio. La gente, lo nota, capirai. Dice un "Vi saluto belin" ad alta voce e si dirige verso casa con una bottiglia di whisky in mano fregata al baccanale. o happening involuto. Un party da dimenticare. E' una notte che De André piange per "essere corrisposto nelle serate estive", ma lo fa senza capirlo, perché è l’unico modo di dimostrare di voler bene al mondo ed essere accolto, ma il meccanismo è cosi labile, fragile che non s'avvera, come non s'avvera neppure per noi. Niente! Anche quella sera, De André, finì con la chitarra in mano, con suo grande disgusto per quella gente che lo voleva a tutti i costi dietro un microfono improvvisato su di un soppalco realizzato al momento un pò goffamente. Ma quello che+è più grave per Fabrizio, è che tutti se ne sono fottuti dei suoi stati d'animo, del suo umore, come voleva passare la serata. No, doveva cantare e come stesse lui, non gliene fregava nulla a nessuno.



ERO MOLTO PIU' UBRIACO..., DI VOI




Allora mi sono rotto le palle, ho preso una sbronza terrificante, hoinsultato tutti e sono tornato a casa. Qui mi sono chiuso nella rimessa e in una notte, da ubriaco, ho scritto 'Amico Fragile'. La Puny miha stanato alle otto del mattino, non mi trovava nè a letto nè da nessunaparte, ero ancora nel magazzino che finivo di scriverla. Genesi di uncapolavoro.

25.8.17

ed io che credevo che i cantautori fossero tutti disinistra e di estrema sinistra il caso de il Guccini cattolico Claudio Chieffo



  dicono  di lui   :

« Nelle canzoni di Claudio c'è un'onestà, una pulizia, un amore naïf che fa pensare. Siamo profondamente diversi, non solo per le sicurezze che lui ha e che io non ho, ma soprattutto perché nelle sue canzoni lui non fa mistero delle sue certezze. »
(Giorgio Gaber[)

Sentendo  questo video  sotto   ,  sonmo rimasto  sorpreso credevo che  i cantautori     fossero   tutti  , eccetto (  anche s e poi  è risultra  una legenda metroèpolitana  I II  ) Lucio Battisti  di  destra   e  fascista



10 anni fa moriva Claudio Chieffo uno dei più celebri cantautori cattolici, punto di riferimento umano e musicale per il popolo di Cl. Per ricordarlo è stata allestita una mostra nell'ambito del Meeting di Rimini, curata dal figlio, Benedetto. Chieffo, ideologicamente lontanissimo da Francesco Guccini, ne era però amico. Avevano suonato insieme in concerto, si frequentavano, in qualche modo erano espressione della stessa generazione impegnata. "Non so se davvero mio padre sia stato il Guccini dei credenti - afferma Benedetto Chieffo - certo i punti di contatto sono evidenti".
di Francesco Gilioli

27.11.16

una persona povera può ritenersi LIBERA? post ispirato da una discussione facebookiana con Tina galante

L'amica  ed utente  Tina  galante  si chiede, come   dice il titolo stesso     del post ,in questi  due post ( I  II )    su  Facebook  cosa  è la libertà ?

Ecco  le  mie risposte   alle  domande    del secondo  post

Dipende  se   uno  è

  • individualista



  •    collettivo 




  a quello del primo    dipende   da come si vuole  vivere   per  capire  meglio   due  film  il  primo   deve  ancor a uscire  (   io  sono riuscito a vederlo in rete   in lingua  originale  con sottotitoli in italiano ) nel nostro paese  infatti


                                               CAPTAIN  FANTASTIC


DATA USCITA: 07 dicembre 2016
GENERE: Drammatico
ANNO: 2016
REGIA: Matt Ross
ATTORI: Viggo MortensenGeorge MacKaySamantha IslerAnnalise BassoKathryn Hahn
SCENEGGIATURA: Matt Ross
FOTOGRAFIA: Stéphane Fontaine
PRODUZIONE: Electric City Entertainment, ShivHans Pictures
DISTRIBUZIONE: Good Films
PAESE: USA
DURATA: 118 Min






Ben vive con la moglie e i sei figli, isolato dal mondo nelle foreste del Pacifico nord-occidentale. Cerca di crescere i suoi figli nel migliore dei modi, infondendo in essi una connessione primordiale con la natura. Quando una tragedia colpisce la famiglia, Ben è costretto suo malgrado a lasciare la vita che si era creato, per affrontare il mondo reale, fatto di pericoli ed emozioni che i suoi figli non conoscono.

per  chi  non è  suscettibile  di  SPOILER  cioè   non  gli  fa  ne  caldo ne  freddo se  gli  rilevano la trama    prima  che lo veda    qui   una recensione  dettagliata


  





La libertà come valore assoluto non esiste nella realtà, nella realtà questo termine ha solo un valore relativo, che può riferirsi al numero ed alla qualità delle possibilità di scelta concreta, che può avere una persona. Se ad un condannato a morte dai la "libertà" di scegliere come morire, avrà molte possibilità tra cui scegliere, ma non può scegliere di non morire. Il problema è che in situazioni meno estreme, la maggior parte della gente è così condizionata mentalmente da non riuscire neanche ad immaginarsi le scelte che di fatto non può fare :D Comunque nel mondo reale potremmo dire che maggiore è il numero delle possibilità di scelta di cui una persona dispone, maggiore è la sua "libertà". La povertà, come l'ignoranza ed altre cose sono situazioni che non ampliano di solito le alternative tra cui scegliere, d'altro canto anche la mancanza di immaginazione e la povertà critica ed ideativa riducono moltissimo le possibilità di scelta: in questi casi anche ad avere tanti soldi, più che riprodurre i modelli consumistici correnti non si riesce a fare. Bisognerebbe chiarire cosa si intende per libertà e cosa per povertà. Marx sosteneva che è necessario liberarsi dal bisogno (quello materiale presumo) per essere liberi: lui lo era forse, anche perché si faceva mantenere da Engels quindi non aveva bisogno di lavorare :D a volte a filosofia è una affascinante trappola,












3.1.16

FRANCIA/ La storia di Tippi, la ragazza che parlava agli animali



Tale storia  riportata  dal  solito http://www.curioctopus.it/, se  pur  vecchia   di tre  anni  , ma pur sempre  affascinante  ,potrebbe sembrare la trama del romanzo di Rudyard Kipling o  del controverso E venne chiamata Due Cuori  un romanzo autobiografico o  pseudo tale  di Marlo Morgan in cui l'autrice racconta la sua esperienza di viaggio attraverso il deserto australiano, dopo aver vissuto con gli aborigeni qui alla voce di wikipedia e venne chiamata  due  cuori   ulteriori  news ) . Essa  è quella  di Tippi Degré, figlia di due fotografi naturalisti francesi e nata nel 1990 in Namibia, Africa, che fino all'età di 10 anni ha condiviso la sua vita con gli animali.

per  ulteriori dettagli 

La bambina è cresciuta nella natura africana incontaminata, giocando con gli animali selvaggi. Il suo rapporto con loro è documentato dalle sorprendenti foto scattate dai suoi genitori, che la ritraggono in compagnia di elefanti, struzzi e leoncini.
“Ognuno di noi ha un dono. Io parlo con gli animali. Ma non uso la voce. Capisco cosa i miei amici mi vogliono dire da uno sguardo, dal modo in cui muovono le piume, alzano una zampa, usano gli artigli.”
Oggi Tippi vive a Parigi, è appassionata di cinema e sogna di tornare in Africa a girare un documentario proprio su di loro: i suoi amici animali.

via: trueactivist.com

immagine: BARCROFT MEDIA

immagine: BARCROFT MEDIA


immagine: BARCROFT MEDIA

immagine: BARCROFT MEDIA

immagine: BARCROFT MEDIA

immagine: BARCROFT MEDIA

immagine: BARCROFT MEDIA

immagine: BARCROFT MEDIA


immagine: BARCROFT MEDIA

immagine: BARCROFT MEDIA



ma  mi  è piaciuto di più  questo articolo di  http://salute.leonardo.it/  che  riporto sotto




Se vi mettete insieme a me nel gruppo di coloro a cui non importa niente della gravidanza di Belen o di altre star, vi piacerà sicuramente questa storia che, sì… merita davvero un po’ di spazio per essere raccontata. E’ la bellissima storia di Tippi Degré (il nome completo è Tippi Benjamine Okanti Degré), francese nata il 4 giugno del 1990, che ha passato la sua infanzia in Namibia, cresciuta in mezzo agli animali e alle tribù del Kalahari.

CHI E’ TIPPI DEGRE’

La bambina nacque in Namibia da genitori francesi: il papà Alain e la mamma Sylvie Robert lavoravano come fotografi naturalisti indipendenti, ed hanno voluto che la piccola nascesse in Africa e crescesse insieme a loro a contatto con la natura. Una scelta coraggiosa, ma che ha permesso alla piccola Tippi di crescere in totale armonia e simbiosi con la natura e gli animali selvaggi. Se vi emozionate vedendo queste foto, capirete quanto è stata bella e importante per lei la scelta dei genitori…



GLI AMICI DI TIPPI

Durante la sua permanenza in Namibia, Tippi ha avuto per compagni di giochi molti animali selvatici, come l’elefante di 28 anni Abu, un leopardo che ha chiamato J&B, coccodrilli, leoni e giraffe, un Galago del Nord, una mangusta, un emù, alcune faine, un cucciolo di zebra, un giaguaro, un caracal, un serpente, un pappagallo grigio africano, un rospo gigante ed alcuni camaleonti. La bambina è anche diventata amica di un cacciatore delle steppe della tribù degli Himba, una delle etnie del Kalahari, che le ha insegnato come sopravvivere di radici e di bacche, e a parlare la loro lingua.

IN MADAGASCAR E POI IL RITORNO A PARIGI


Tippi si è in seguito trasferita con i genitori in Madagascar e poi ha fatto con loro ritorno in Francia, dove è diventata presto una celebrità. Un libro (in Francia famosissimo) raccoglie le sue avventure (“Tippi of Africa”), a cui è seguito My book of Africa. Tippi ha anche dedicato un sito web alla sua infanzia spesa in Namibia, e appena ha potuto è tornata in Africa per girare una serie di sei documentari per Discovery Channel.

L’IMPATTO CON LA CIVILTA’

A Parigi, Tippi ha frequentato per due anni una scuola statale, ma poi ha dovuto proseguire gli studi a casa con insegnanti privati, perché aveva davvero poco in comune con gli altri bambini parigini. Il perché è facile comprenderlo… cresciuta completamente libera, a contatto con culture ancestrali e il vento caldo sulla pelle, ad affrontare la vita secondo i ritmi della natura e con un bagaglio di conoscenze che i bambini di città non potevano comprendere – per ignoranza e mancata esperienza -, imporre a Tippi di dimenticare ciò che sapeva non era davvero possibile. Il suo, del resto, era un valore aggiunto e non una mancanza.
Ora Tippi sta studiando cinema all’Università della Sorbona… che dire… tanti auguri a questa ragazza che ha avuto una fortuna immensa, quella di vivere libera, come ogni bambino meriterebbe di essere, e di sviluppare un’empatia nei confronti degli animali che noi cosiddetti “civilizzati” abbiamo perso da tempo immemore.
Qualcosa mi dice che sentiremo ancora parlare di lei… 
Questa ragazza che ha vissuto a cavallo di due mondi ha molto da insegnare a tutti noi

 Infatti  da  quello che  ho letto in giro per  il web    Ora che “la piccola Mowgli” ha diciott'anni, ha terminato il baccalaureato (   corrisponde  ala nostra  maturità liceale  )   a Parigi e si è iscritta alla Sorbona. Indovinate il suo sogno nel cassetto? È appassionata di cinema e vorrebbe tornare in Africa a girare dei documentari. Tra i suoi animali.

4.12.14

Fotoconsigli: infrangere le regole


Avete imparato le regole base della fotografia? È il momento di scatenare la vostra creatività! Vedi tutti i fotoconsigli 
Imparate le regole della fotografia, poi infrangetele. Gli insegnamenti convenzionali forniscono una base importante e indispensabile, ma una volta imparate, non ci sono limiti all'espressione personale
 

Donna sul gommone lago Kuril, Kamchatka, Russia.
Fotografia di Randy Olson, National Geographic



Utilizzare lo spazio negativo
Lo spazio vuoto non significa necessariamente spazio sprecato nell'inquadratura. Se considerate lo spazio vuoto come un oggetto, e gli date lo stesso peso rispetto ad altri elementi nell'inquadratura, l'effetto può essere interessante. In questo caso, ad esempio, lo spazio vuoto è stato utilizzato assieme alla composizione per conferire all'immagine un senso di sognante solitudine.


Fotoconsigli: infrangere le regole
Il salto
Fotografia di James Nachtwey, National Geographic
 
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Rompere la regola dei terzi
Una delle regole base della composizione è dividere l'inquadratura in terzi e porre il soggetto nell'intersezione tra le linee, una misura che permette all'occhio di assorbire l'intera scena.
Ma si possono ottenere immagini molto forti anche con il soggetto al centro dell'inquadratura, soprattutto se c'è simmetria nell'immagine e un punto di riferimento solido, come in questa immagine scattata in Sudafrica. L'occhio cade innanzitutto sul ragazzo che salta al centro della foto, la cui energia viene enfatizzata dalla centralità. Gli altri ragazzi forniscono una quinta piacevole ed equilibrata da entrambi i lati, come una sorta di cornice.


Fotoconsigli: infrangere le regole
Un mattino a Shanghai
Fotografia di Justin Guariglia, National Geographic
Un gruppo di ballerini si esercita sul Bund di Shanghai di primo mattino.
 

Scattate in controluce
Una delle regole più citate della fotografia è che bisogna scattare con la fonte di luce alle spalle, in modo che il soggetto che volete ritrarre sia illuminato in maniera corretta e non in ombra.
La retroilluminazione crea l'effetto opposto, e isola il soggetto dallo sfondo in un modo che può risultare molto suggestivo. Se volete ottenere una sagoma scura, esponete sullo sfondo. Se scattate contro il sole, aspettate che venga coperto da qualche elemento nell'inquadratura, in modo che la fotografia non venga eccessivamente sovraesposta.


Fotoconsigli: infrangere le regole
 
Nel vecchio ranch    Fotografia di Raul Touzon, National Geographic  Questo granaio fa parte del Bonanza Creek Ranch, un'azienda agricola spesso usata come set cinematografico.



Stortate l'inquadratura
Mantenere l'orizzonte allineato con la base dell'inquadratura, e comunque mantenere dritta  l'intera scena, è una regola importante della fotografia, soprattutto quando si fotografano i paesaggi. Tuttavia, un'inclinazione intenzionale e suggestiva della macchina fotografica può dare un tocco dinamico al vostro scatto, trasformando una scena consueta in qualcosa di sorprendente.



Fotoconsigli: infrangere le regole
La ballerina
Fotografia di Joseph Valdivia, Your Shot
Yna ballerina sul palco a Rochester, Minnesota.
 

Creare un effetto mosso
L'effetto mosso può essere un errore, frutto del tremore delle vostre mani o di un tempo di esposizione troppo lungo, ma in alcuni casi il risultato può essere molto piacevole, e può conferire al vostro scatto l'atmosfera giusta. Provate a scattare con tempi di esposizione lunghi per sfocare il vostro soggetto in movimento, ma cercate sempre di mantenere un punto di riferimento che non sia mosso, anche una piccola porzione dell'inquadratura che risulti ben delineata e incisa. Ma in certi casi, se il soggetto possiede un certo equilibrio grafico, anche una foto completamente mossa può risultare in un'immagine splendida e astratta.




Fotoconsigli: infrangere le regole
 
Ragazzi in volo  Fotografia di Amy Toensing, National Geographic Tre ragazzi saltano da un ponte sul Mulwala Canal di Deniliquin, in Australia.

Scattare sotto il sole di mezzogiorno
Si dice spesso che l'orario ideale per scattare foto sia il mattino presto, oppure il tramonto, quando il sole è basso, la luce è più morbida e le ombre sono lunghe. Tuttavia, a volte la luce cruda di mezzogiorno può conferire l'atmosfera giusta al vostro scatto, e le ombre compatte e ben delineate possono contribuire a rendere l'immagine più interessante.





 
Fotoconsigli: infrangere le regole
 
Donne amish sulla spiaggia Fotografia di Johnny Nicoloro, National Geographic Un gruppo di donne amish sulla spiaggia di Waveland, nello stato del Mississippi.

Invertite la regola degli spazi attivi
Piuttosto che rispettare la regola dello spazio vuoto in cui si muove il soggetto, potete fare esattamente l'opposto. Fotografare il soggetto che esce dallo spazio vuoto anziché entrarvi crea un senso di movimento, e focalizza l'interesse su ciò che il soggetto si lascia alle spalle.



Fotoconsigli: infrangere le regole
 
Donne di Pechino Fotografia di Randy Olson, National Geographic Due giovani donne di Pechino, Cina.

Sfuocare il soggetto

In alcuni casi può risultare efficace sfuocare il soggetto principale, a patto che vi sia un particolare sullo sfondo che resti a fuoco. In questo scatto, si ha l'impressione di scrutare dietro le quinte, cogliendo un particolare intimo. Utilizzate il fuoco manuale e aprite il diaframma il più possibile per ottenere una profondità di campo ridotta. Fate dei tentativi, scegliendo di mettere a fuoco un soggetto in primo piano o sullo sfondo. Si può anche scegliere di sfuocare l'intera immagine, ma non esagerate, altrimenti non si riuscirà a discernere alcun particolare.


Fotoconsigli: infrangere le regole
 
Times Square
Fotografia di Michael Yamashita, National Geographic  Vista con mosso controllato di Times Square, New York.

Usare lo zoom in fase di scatto
Un altro metodo per creare un senso di movimento e di dimensione è utilizzare lo zoom mentre si scatta. Per farlo però dovete mantanere l'apparecchio ben fermo, magari su un treppiede, e utilizzare un tempo di esposizione abbastanza lungo da permettervi di zoomare durante lo scatto. Zoomate con un movimento fluido e costante, e scegliete una situazione in le fonti di luce disponibili vi permettano di ottenere un effetto suggestivo.








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