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Maria Vittoria Dettoto
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Il calcio si tinge di arcobaleno, almeno per questa volta. Nonostante negli anni alcuni calciatori abbiamo fatto coming-out, si pensi al giocatore del Cagliari Jacub Jankto, è la prima volta che un professionista chiede la mano del suo compagno in maniera pubblica.
Da sottolineare che Cavallo aveva già fatto la storia nel 2021 per essere il primo giocatore professionista a fare pubblicamente coming out «per dimostrare che tutti sono ben accetti nel calcio». L'annuncio era stato accolto come un momento epocale in uno sport ancora legato agli stereotipi maschili e all'omofobia. Da quel momento, il calciatore gay è diventato una personalità delle lotte della comunità LGBTQIA+ e ha iniziato a giocare con il numero di maglia coi colori dell'arcobaleno, per sensibilizzare il pubblico e i colleghi. Due anni fa si era scagliato contro la decisione della FIFA di vietare ai giocatori di indossare fasce «OneLove» durante i mondiali in Qatar. «Se fossi stato lì e fossi stato il capitano, sì, avrei indossato la fascia. Non ho vergogna di essere chi sono», disse alla CNN.
Nel calcio professionistico sono ancora pochissimi gli atleti che hanno dichiarato la propria omosessualità. Secondo un rapporto sulla stagione 2022-23 pubblicato da «Kick It Out», gruppo antidiscriminazione del calcio inglese, le segnalazioni di comportamenti discriminatori sono state 1.007, in aumento del 65,1% rispetto alla stagione precedente. Ma il razzismo e le discriminazioni sono radicate in questo sport.
L'anno scorso il portiere dell'Arsenal, Aaron Ramsdale, ha detto che non poteva più tacere sugli abusi omofobici nel calcio, per amore nei confronti di suo fratello: «Voglio che mio fratello - o chiunque di qualsiasi sessualità, razza o religione - venga alle partite senza dover temere gli abusi».
Cara Unione,sono una cittadina italiana di 37 anni che lavora e paga un mutuo come la maggior parte delle persone, ma che si sente una cittadina di ‘serie B’.Sono unita civilmente con un'altra donna con cui ho una relazione da 15 anni e abbiamo una vita normale, seppur agli occhi dello stato non siamo come tutti gli altri. Innanzitutto perché anche se l'unione civile di fatto ha quasi tutti i diritti e i doveri di un matrimonio, non è un matrimonio.Certo, sono felice di avere dei diritti, ma mi sento sempre sotto un gradino rispetto ai cittadini ‘normali’, perché in teoria non posso chiamare mia moglie ‘moglie’, ma dovrei dire "la mia civilmente unita". Per ricordarmi sempre che per lo stato non siamo una vera famiglia.Quando vado in giro ormai sono abituata da anni a non dare la mano o a baciarmi, perché rischierei guardi indiscreti o peggio. Ancora più difficile la situazione per le persone transessuali o ‘non binarie’ che hanno spesso gli sguardi di molti addosso.Notizia dell'altro giorno è l'esultanza sfrenata per l'affossamento al Senato del ddl Zan. Non mi ha fatto tanto male la legge non passata, perché ci sono abituata ormai, ma la gioia nei volti dei politici nel negare una tutela alle minoranze.Sono stufa di essere una cittadina di ‘serie B’, e rivendico il mio diritto di essere chi voglio e di amare chi voglio.E lo stato ci deve tutelare perché noi siamo stanchi di aver paura e non ci nasconderemo mai più.Marina Bonzanini – Cittadin* di serie B
Definizione
Quando una persona omosessuale rivela la propria omosessualità a familiari, amici, colleghi di lavoro, si dice, utilizzando un verbo inglese, che fa coming out. Si tratta dell’abbreviazione della frase idiomatica coming out of the closet, letteralmente uscire dall’armadio, quindi uscire allo scoperto. In senso più allargato il coming out rappresenta il percorso che una persona compie per prendere coscienza della propria omosessualità, accettarla, iniziare a vivere delle relazioni sentimentali e dichiararsi all’esterno.
Diverso è l’outing, espressione che indica la rivelazione dell’omosessualità di qualcuno da parte di qualcun’altro, senza il consenso della persona interessata. Il movimento di liberazione omosessuale ha utilizzato a volte l’outing come pratica politica per rivelare l’omosessualità di esponenti pubblici (politici, rappresentanti delle Chiese, giornalisti) che sostengono posizioni omofobe.
Uso del termine
Tra i due termini esiste nell’uso molta confusione. La stampa usa continuamente il termine outing per dire di una persona che ha detto di essere omosessuale (“Ha fatto outing”). Il termine corretto sarebbe invece coming out.
La questione del coming out è inoltre rappresentata negativamente da una parte dell’opinione pubblica, che propugna la filosofia del “Don’t ask, don’t tell” (non chiedere, non dire): negli Stati Uniti, è stata questa a lungo la politica in campo militare, il divieto per le persone omosessuali o bisessuali che prestavano servizio nell’esercito di dichiarare o rivelare in alcun modo le proprie inclinazioni.
Negli anni si sono esposti sull'argomento Radja Nainggolan e il calciatore della Sampdoria e della nazionale svedese Albin Ekdal, con un bellissimo discorso sull'omofobia, in cui invitava a cambiare mentalità. Finora non sono stati molti i giocatori dei campionati maschili a rivelarsi. Il primo, nel 1990, è stato il britannico Justin Fashanu ma fu discriminato anche dalla comunità
nera a cui apparteneva. Tra gli altri che hanno fatto coming out ci sono il tedesco Thomas Hitzlsperger, che aveva giocato nell'Aston Villa, nella Lazio e nel West Ham: ha aspettato la fine della sua carriera calcistica per fare coming out, nel 2014. Rosario Coco risulta essere l'unico italiano omosessuale: ha contribuito a dar vita alla "Lupi Roma Outsport", una squadra di calcio gay-friendly.
lo so che ancora le olimpiai non sono finite . ma poi vai e ritrovale le storie
repubblica 29- 30\7\2021
Afp
(reuters)Il caso del tiratore iraniano: l'oro nella pistola 10 m accusato di essere un terrorista
dal nostro inviato Fabio Tonacci

Javad Foroughi fa parte del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, inserito da Donald Trump nella lista dei gruppi terroristici
Infermiere di notte, terrorista di giorno, campione di tiro a segno nel weekend. L'iraniano Javad Foroughi avrebbe almeno tre vite, e una di queste non c'entra niente con le Olimpiadi. Chi è davvero il vincitore dell'oro nella disciplina pistola ad aria compressa 10 metri? E perché sempre più voci chiedono al Comitato olimpico internazionale di riprendersi la medaglia?
Un clamoroso caso internazionale scoppia a Tokyo 2020, quando il programma delle competizioni è arrivato alla seconda e ultima settimana. Protagonista è l'infermiere 41enne Foroughi. Lavora in Iran ma ha prestato servizio anche negli ospedali da campo in Siria, a Palmira, e in altre zone di guerra. È un operatore sanitario, e fin qui niente di male. È anche membro del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, milizia paramilitare composta da 125 mila uomini e istituita dall'ayatollah Khomeini nel 1979 poco dopo essere ritornato dall'esilio durato 15 anni. Ha giurato di difendere la Guida suprema dell'Iran. Jayad Foroughi è un fiero pasdaran.
Dice di aver cominciato a praticare il tiro a segno sportivo nel 2017. Dopo aver vinto l'oro a Tokyo, la televisione pubblica iraniana ha trasmesso un servizio in cui medici e infermieri del Baqiyatallah Hospital a Teheran, gestito dai pasdaran, esultavano per il successo del collega. Il leader del Corpo, Hossein Salami, ha celebrato Foroughi definendolo "un esuberante Guardiano della rivoluzione islamica".
La questione si complica definitivamente di fronte al fatto che la milizia, nel 2019, è stata inserita dall'amministrazione Trump nella lista delle organizzazioni terroristiche. Non era mai successo che gli Stati Uniti prendessero tale provvedimento nei confronti di una forza militare di un'altra nazione. Una mossa - sostengono gli analisti - servita a Trump per giustificare l'imposizione di nuove sanzioni contro l'Iran.
"Come può un terrorista salire sul podio?", si chiede il tiratore coreano Jin Jong-oh, sei volte medaglia olimpica. "È la cosa più assurda e ridicola che abbia mai sentito": Jin Jong-oh se la prende con il Comitato Olimpico Internazionale: "Come può permettere una cosa del genere?". Il suo rimprovero arriva dopo che United for Navid, l'associazione iraniana che tutela i diritti umani degli atleti, ha sollevato la questione, chiedendo ufficialmente al Cio di ritirare la medaglia a Foroughi. "Quel riconoscimento è una catastrofe per lo sport iraniano, per la comunità internazionale e specialmente per la reputazione del Cio. Foroughi è un membro di vecchia data di un'organizzazione terroristica", si legge nel comunicato di United for Navid.
Il Cio prova a spegnere l'incendio che sta divampando in seno a Tokyo 2020. "Se hanno delle prove di ciò che dicono, ce le facciano avere: noi siamo qui", dice il portavoce Mark Adams. Ma nel frattempo sui social sono partite petizioni per togliere l'oro al tiratore iraniano.
Il re di Wall Street aiuta l'atletica Usa: "Un assegno da 30mila dollari a 65 campioni per arrivare al podio"dal nostro inviato Ettore Livini
Stephan Schwarzman con gli atleti di Team Usa
Stephen Schwarzman, ex-sprinter e numero uno del private equity Blackstone, è il primo donatore privato della Us Track & Field Foundation con 17 milioni di dollari. Per molti membri della spedizione statunitense i suoi soldi sono l'unica entrata certa del 2021
TOKYO -La corsa all’oro olimpico di 65 ragazzi della squadra Usa di atletica ha alle spalle il supporto economico di un ex-atleta d’eccezione: Stephen Schwarzman, numero uno e fondatore di Blackstone, il grande fondo di private equity di Wall Street. Uno degli uomini più ricchi del mondo che compra e vende aziende come figurine Panini guadagnando una fortuna (610 milioni nel 2020) ma anche un ex-sprinter di mediocri fortune all’epoca del college a Penn State diventato oggi per nostalgia dello sport il primo donatore privato degli olimpionici a stelle e strisce. Ultimo atto: l’assegno di 30mila dollari a testa girato a 65 membri della spedizione Usa per sostenere i costi dell’ultimo difficilissimo anno di costi e trasferte.
Il Babbo Natale di Wall Street ha girato l’assegno tra gli altri al martellista Alex Young, al campione dei 5mila Paul Chelimo, al triplista Donald Scott alla lunghista Britney Reese. Un elenco di campioni in discipline meno “visibili” di 100 metri o maratona che negli ultimi 12 mesi - causa il taglio al budget di molti sponsor di abbigliamento sportivo in difficoltà per la pandemia - hanno faticato a trovare risorse per allenarsi. “Sono ragazzi che anno dedicato anni e sacrifici per arrivare ai Giochi – ha detto Schwarzman -. Sono orgoglioso di loro, rappresentano gli Stati Uniti e il mio è solo un piccolo contributo per aiutarli a mostrare al mondo il loro talento”. Quest’ultima donazione porta a 17 milioni di dollari tra borse di studio e gratifiche personali dirette i fondi stanziati dal fondatore di Blackstone (e grande sostenitore di Donald Trump) all’atletica Usa.
Il finanziere ha deciso di dare una mano allo sport olimpico nazionale nel 2012. Stava guardando alla tv i 1500 femminili alle Olimpiadi di Londra. Al penultimo giro l’americana Morgan Uceny è inciampata nella gamba di una rivale, è caduta ed è stata costretta al ritiro. L’ex atleta Schwarzman ha intuito subito il dramma sportivo ma anche – da uomo di numeri – quello economico. “Quella caduta mandava in fumo anche i soldi di potenziali sponsor”. Da allora ogni anno gira il suo assegno alla Us Track & Field Foundation e invita in una sorta di mega pranzo sociale tutti i beneficiari nella sede della Blackstone a New York, solo per sentir parlare almeno per un giorno all’anno di sport e sogni olimpici e non di dollari.
“E’ l’uomo più generoso che abbia mai incontrato”, ha detto la Reese in gara domenica nel lungo femminile. Gli atleti delle leghe professionistiche Usa come Nba e Nfl hanno uno stipendio minimo garantito figlio di una contrattazione collettiva. Per lei invece l’unica entrata certa di quest’anno sono i 30mila dollari di Schwarzman. Reese ha firmato anche un accordo di sponsorship con la Nike. Ma viene pagata a performance. Un primo step è scattato con la qualificazione ai trials (altrimenti non avrebbe preso un centesimo), il secondo sarà proporzionale al risultato della gara. Il suo munifico donatore – come ogni Olimpiade – la guarderà in tv. ”L’atletica è stata una parte fondamentale della mia vita dalle medie al college – ha spiegato -. E’ un mondo da cui ho imparato l’importanza del lavoro di gruppo, degli allenamenti e la gioia quando tu o la tua squadra vince”. E se la Reese salirà sul podio festeggerà felice, sapendo che in fondo e anche un po’ merito suo.
Judo, un tatami di pace: lo storico abbraccio tra l'atleta saudita e israeliana
Raz Hershko (che ha vinto) e Tahani Alqahtani non hanno rinunciato al combattimento, tre giorni dopo i rifiuti di un judoka algerino e di uno sudanese di combattere contro l'israeliano Tohar Butbul. "Un passo avanti - ha scritto la federazione internazionale judo - a dimostrazione di come lo sport possa andare oltre".
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Jessica Rossi e Mauro De Filippis: "Separati nella vita, tiriamo insieme senza litigare"dal nostro inviato Fabio Tonacci
Jessica Rossi (reuters)
Gareggeranno insieme nel trap misto. La portabandiera azzurra: "Vogliamo il riscatto. Su di noi solo gossip e falsità: il privato resta tale". L'ex marito: "So comunque di avere al fianco la migliore tiratrice possibile"
TOKYO. Separati alla meta. I due cuori e una fossa (olimpica) non ci sono più. È stato bello finché è durato, grazie della favola ma adesso in pedana scendono Miss Rossi e Mister De Filippis. Uno accanto all'altro, la portabandiera azzurra e l'ex marito numero uno nel ranking mondiale. A sparare per l'Italia. A sperare per l'Italia del tiro a volo, il cui bottino al momento è sottile quanto un piattello. Jessica Rossi e Mauro De Filippis sono stati selezionati dal ct Pera per gareggiare nel misto questa notte. È l'ultima chiamata per andare a medaglia."Tutti e due abbiamo qualcosa da riscattare, in questa Olimpiade", esordisce Jessica, che incrocia per un attimo lo sguardo di Mauro. Parlano gli occhi, il volto è coperto dalle mascherine. Sono qui sotto gli spalti vuoti dell'Asaka Shooting Arena. Il sole sta tramontando, si è alzata finalmente una leggera brezza. È la prima volta che accettano un'intervista insieme. Un plauso per la disponibilità, non è una giornata facile: hanno entrambi mancato la finale del trap individuale, che a Londra aveva visto Jessica Rossi prendersi l'oro e portarsi a casa il record del mondo di 99 piattelli sbriciolati su 100. Jessica e Mauro, 29 anni lei e 40 lui, sono notoriamente riservati. Dopo la loro separazione, comunicata lo scorso maggio alla Federazione, lo sono ancora di più. Se gossip deve essere, non verrà da loro. Per dire i caratteri: dopo Londra Jessica era stata tempestata di richieste di partecipazioni e comparsate, ma le uniche che ha accettato coincidevano con due sogni: scendere la scala del Festival di Sanremo e scendere la scala di Miss Italia. Poi si è chiusa nella sua Crevalcore, con le piante, la natura e il suo dobermann che, per non sbagliarsi, ha chiamato Olimpia. Nel 2015 si sono sposati. Non è durata.
La gara è domani. Sensazioni?
Jessica: "Siamo carichi, vogliamo quella medaglia".
Mauro: "Sarà durissima, il livello tecnico degli avversari è alto. In qualifica nell'individuale avevamo fatto prestazioni buone, ma non è bastato per arrivare in finale. Nel misto sicuramente ce la giochiamo".
Vi ha disturbato il chiacchiericcio sulla fine del vostro matrimonio? Si è parlato quasi più di questo che delle vostre prestazioni sportive.
J: "Fa parte del gioco, lo sapevo. Non posso dire che mi dà fastidio, va così...quello che mi amareggia è quando vengono dette e scritte falsità sul nostro conto. Ho letto di tutto, che io non volevo sparare con Mauro, che mi rifiutavo di fare il misto con lui... Scemenze. Siamo due professionisti, il ct ci ha scelto e io gareggerò".
M: "Nel bene o nel male, purché se ne parli... No dai scherzo. Devo essere sincero, mi sono estraniato da tutto. Non ho ascoltato chi straparlava, ho mantenuto discrezione. Non voglio mettere la nostra storia sotto i riflettori. Come sono andate le cose tra me e Jessica, i motivi per cui ci siamo lasciati, le parole che ci siamo detti, lo sappiamo io e lei. Il gossip non mi interessa".
Il tiro è uno sport di testa. Per i piattelli che decidono una medaglia, capita che il vissuto personale venga fuori e renda il braccio meno sicuro. C'è questo rischio anche per voi?
J: "Assolutamente no".
M: "Ci conosciamo tanto, abbiamo percorso un tratto di vita insieme. So che accanto a me avrò la tiratrice più forte e la compagna di squadra più talentuosa che si possa avere. Farò il mio, lei farà il suo. Il nostro rapporto può essere soltanto una forza positiva".
Jessica, sinora in competizione ha sentito la pressione di essere la portabandiera dell'Italia?
J: "Non direi, anzi: è qualcosa in più, che mi lascerà un ricordo bellissimo di Tokyo, comunque vada".
Come si fa a evitare che il personale influenzi la preparazione e la prestazione?
J: "Non è che se abbiamo litigato cinque minuti prima faccio zero apposta, abbiamo un obiettivo comune. Anche quando eravamo sposati non ci siamo mai dati fastidio".
Avete trovato un vostro modo per separare le cose?
J: "Quando vado in pedana riesco a isolarmi e a chiudermi in me stessa. Spero di riuscirci anche nei prossimi giorni. Comunque se andrà bene o andrà male non dipenderà dalla nostra situazione".
M: "Da sposati, hai un'estrema fiducia nella persona che hai a fianco perché la conosci, sai cosa pensa, come reagisce, cosa prova. Da separati, conosci comunque il valore indiscutibile dell'atleta".
Ma vi capita di litigare?
J: "Stiamo andando un po' oltre il tiro secondo me (ride, ndr)... Prima litigavamo come tutte le coppie normali. Abbiamo fatto un patto: il nostro privato non uscirà mai. Né dalla mia né, penso, dalla sua bocca".

Nel 2010, dopo alcuni suicidi di ragazzi omosessuali vittime delle prese in giro dei loro coetanei, lo scrittore e attivista Dan Savage e suo marito Terry Miller hanno caricato su YouTube un messaggio diretto agli adolescenti che subivano bullismo e discriminazioni a scuola o in famiglia: "Quando avevamo la vostra età" raccontano "è stata dura anche per noi essere gay in mezzo a persone che non ci capivano, ma se oggi potessimo parlare ai quindicenni che eravamo gli diremmo di resistere, perché presto andrà tutto meglio, troveranno degli amici fantastici, troveranno l'amore e un giorno avranno una vita molto più felice di quanto immaginano". È stata la prima di migliaia di testimonianze che hanno dato vita a un sito e a una fenomenale campagna sul web, chiamata It Gets Better. Nel 2013 il progetto è sbarcato anche in Italia, con il nome "Le Cose Cambiano". Dall'esperienza e dal successo dell'iniziativa ha preso forma questo libro, che raccoglie i racconti e le testimonianze più belli provenienti dal progetto italiano e da quello americano. Un archivio di buoni consigli, episodi tristi e divertenti e storie a lieto fine, che unisce le parole di personaggi famosi e persone comuni, scrittori, musicisti, attori, comici, studenti, insegnanti, avvocati, attivisti, omosessuali ed eterosessuali, transessuali e queer. Per ricordare a tutti i ragazzi LGBT che stanno affrontando un momento difficile o fanno fatica a immaginare come sarà il loro futuro, che non sono soli, e che le cose presto cambieranno...
Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...