inizio con quella " nostra " cioè di Enrica B . la storie è racconta da Giorgio Pisano sull'unione sarda d'oggi 29\9\2013 .
Nb l'articolo è senza foto perchè : 1) da due anni circa l'edizione digitale free de l'unione sarda online non riporta più le foto ., 2) avaxhome ( raggiungibile con delle estensioni particolari di mozzilla fire fox non riporta più fra i giornali l'unione sarda ., 3) in rete forse non so cercare non ho trovato nessuna foto della persona in questione
La ragazzina con la doppietta: duello calibro 12 con il cinghiale
di
GIORGIO PISANO
Ha iniziato che era in quinta elementare, dieci anni. Lungo praticantato prima di arrivare ai diciotto, porto d'armi e battesimo di fuoco: al cinghiale, naturalmente. Non ha più smesso. Oltre che un fidanzato, ha un Benelli superleggero calibro 12: «Due chili e settecento grammi in tutto». Meno pesante, per capirci, della classica doppietta da portare a tracolla per una giornata intera.Erica Billai, terz'anno di Scienze Politiche a Cagliari e ferma sicurezza delle sue scelte, è una delle duecento (circa) cacciatrici in un'Isola che conta quarantottomila licenze: un esercito. Ignazio Artizzu, presidente di Federcaccia, spiega che «il numero delle donne è in crescita» e cita un caso forse unico nel panorama nazionale: in Gallura opera una compagnia di sole donne. A riprova che questo sport (sport?) non è affatto in estinzione: e più crescono i mugugni degli anti, più gente chiede di andare a sparare.Perché lo fa? Erica, che ha ventiquattro anni, è nata in mezzo ai fucili. Suo padre, muratore, ha trasformato la casa dove abitano - a Buggerru - in una sorta di dopolavoro di categoria. «Ero bambina e stavo ad ascoltare incantata racconti che duravano ore ed ore. Racconti di caccia. Babbo e i suoi amici trascorrevano intere serate a discutere di selvaggina, di momento giusto, di stagioni». Il risultato di questa lunga e martellante terapia non si è fatto attendere. «Appena ho potuto mi sono lanciata anch'io». Dopo molto tempo e molte cartucce, nessun rimorso, sia pure tardivo: mai pensato di smettere neanche per un attimo. «Perché dovrei?»La passione, a suo parere, ha un'eccellente giustificazione: «Mangio tutto quello che prendo». Tordi, cinghiali, lepri, beccacce, cioè quello che il calendario venatorio consente. Con un sorriso che vola da un orecchio all'altro aggiunge che il suo piatto preferito è la pasta al sugo di lepre ma confessa anche un debole per i tordi arrosto. «Io e mamma ne andiamo matte». Dunque, che male c'è?Erica è una ragazza che sa bene quello che vuole. Studia e lavora: attualmente fa la commessa in una focacceria-gelateria e dice di trovarsi benissimo. Ignora, insomma, il menu tradizionale della casa: la lagna - tutta sardesca - per proporre l'immagine di uno studente-lavoratore quasi eroico. Due cani, famiglia affiatatissima, espone le sue ragioni senza avere la pretesa di imporsi, tantomeno fingere di indignarsi per l'inevitabile pianto greco dei miscredenti.
Perché va a caccia?«Perché mi regala un'adrenalina che fino ad oggi nient'altro mi ha dato. È un'emozione particolare, non riesco a immaginare niente di meglio».
Il bello della caccia. E il brutto.«Il bello? Scegliere la giusta compagnia e starci felicemente in mezzo. Giornate bellissime: alla fine si è stanchi ma molto, molto soddisfatti. Il brutto? Costa troppo, sicuramente».
Quanto?«Ogni sei anni bisogna rinnovare il porto d'armi: una cinquantina di euro. Ogni dodici mesi, si spendono inoltre 250 euro tra versamenti alla Regione, concessioni governative, assicurazioni. Da quando ho cominciato a pagare di tasca mia, ho sentito il peso di questa mia passione».
Quanto costa una cartuccia?«Per un pacco a palla, parlo di caccia grossa, si spendono intorno ai sette euro».
Quante se ne sparano in una battuta?«Si spera sempre di consumarne molte ma c'è tanta gente che torna a casa con la cartuccera piena. Speriamo non succeda a me».
La prima volta.«Avevo dieci anni quando ho partecipato alla prima battuta di caccia grossa. Avevo talmente asfissiato mio padre che alla fine si è arreso e mi ha portato con lui. Meraviglioso».
L'esordio col calibro 12?«Avevo diciotto anni appena compiuti. Un'emozione che non dimenticherò mai, emozione grande. Era il primo cinghiale che passava in posta. Sapevo bene che se avessi sbagliato avrei mandato in fumo il lavoro paziente e meticoloso di tante persone, di un'intera compagnia. Ricordo che era un esemplare neanche troppo grosso, proprio bello».
Paura mai?«Paura di cosa?».
Qualche volta restano a terra ragionieri anziché cinghiali.«C'è molta attenzione alla sicurezza, regole precise che seguiamo senza sgarrare. Fino all'anno scorso sono andata a caccia grossa con mio padre e questo comportava, per quel che mi riguarda, affidabilità totale. Lui ed un suo amico mi hanno insegnato le regole fondamentali, come comportarmi, che fare in caso di necessità. Da loro ho appreso l'etica della caccia».
Timore d'essere aggrediti da una preda ferita?«Mi è successo con una scrofa. L'ho colpita male e quella ha puntato dritto nella mia direzione. M'ha sfiorato. Le ho sbarrato la fuga con la gamba. Non me lo sarei perdonato se fosse riuscita a scapparmi».
Per una donna è più difficile?«No. La caccia richiede certamente un notevole sforzo fisico. Per esempio, quando vado a tordi col mio ragazzo, camminiamo tutta la giornata, dall'alba al tramonto. La cosa più difficile è reggere il peso del fucile».
Il fatto di essere unica donna in mezzo a tanti uomini?
«Mah... io ho iniziato nella scuola creata da mio padre. Poi c'erano i miei zii, miei cugini... mi hanno sempre trattato come una figlia. Adesso siamo una compagnia di circa venti fucili. Mio padre l'anno scorso ha smesso».
Mai provato pietà per un animale da uccidere?«Arriva quando non riesci a finirlo subito. Un cuore ce l'ho anch'io. Mi dispiace soprattutto quando lo vedo soffrire. Allo stesso tempo però tutto questo non mi blocca perché quello che prendo lo consumo, non spreco niente. E questo mi rincuora. Il giorno che mangio cinghiale non vado al mercato».
Ha un senso la caccia oggi?«La caccia nasce come esigenza primaria dell'uomo. È vero che spendiamo tanti soldi per praticarla. Se io vendessi la carne che porto a casa, intascherei un bel gruzzoletto. Il problema si può vedere però anche in un altro modo: una sfida, perché no? Noi andiamo a caccia per sfidare l'animale, c'è il giorno in cui vinciamo e quello no. È uno scontro alla pari».
Alla pari? Voi siete armati, lui no.«Certo, ma lui sta giocando in casa».
Favorevole o contraria alla vivisezione per ricerca medica?«Contraria quando riguarda la messa a punto di cosmetici e roba del genere, favorevole se può servire a sconfiggere una malattia. La mia famiglia è stata falcidiata dall'anemia mediterranea: ne ho visto troppi morire, compreso uno zio che mi ha cresciuto. È venuto a mancare dopo molte sofferenze. Insomma sì, sono favorevole alla sperimentazione animale».
Perché tanti vi detestano?«Spesso perché non capiscono. L'intolleranza nei nostri confronti nasce da un pregiudizio. Pensano che in fondo siamo soltanto dei sadici, che andiamo a fare massacri. Poi ci sono quelli, amici compresi, che invece ti fanno la morale ma se gli proponi una cena a base di selvaggina, corrono. Fanno anche di peggio».
Di peggio?«Magari arrivano a casa tua con una chilata di bistecche di cavallo. E allora chiedo: quello, e mi riferisco al cavallo, è morto di morte naturale oppure macellato?»
Ambientalisti.«C'è una misura per tutto. Credo ce ne siano tanti in buona fede, gente che rinuncia a mangiare la carne per una questione morale. Insomma, gente che predica bene e razzola meglio. Ne ho grande stima e rispetto. Come rispetto però, e lo dico per fugare qualunque ombra, anche chi viene a caccia con me».
Bracconieri.«Io non violo il calendario venatorio nonostante pensi che abbia bisogno di essere rivisitato e, soprattutto, che sia finalmente gente preparata a programmarlo».
Ce ne sono trecentomila in tutta Italia.«Di bracconieri? Non pensavo fossero così tanti. In ogni caso, anche se il calendario venatorio è davvero da rifare, io osservo le regole. Se c'è una norma, sia pure sbagliata, non mi piace infrangerla. Ma non posso fare a meno di rilevare che certe ingiustizie finiscono per istigare il bracconaggio».
Per esempio?«Ci hanno levato un mese di caccia al tordo ma ci concedono di sparare ad alcune specie dannose, che non si mangiano, tipo cornacchie e ghiandaie. Io non sparo a quello che non finisce in cucina. Che faccio, le ammazzo e le lascio lì? Non ha senso. Da tre anni, poi, la situazione sta peggiorando».
Perché?«Perché si inventano calendari venatori che sembrano fatti apposta per metterci delle multe. Ci sono tanti cacciatori che restano a casa per questo motivo. Allora, mettiamoci d'accordo: finché andare a caccia non sarà illegale, non si può penalizzare e scoraggiare chi la pratica».
Sarebbe bello tuttavia che chi va a sparare rispetti l'ambiente.«I cacciatori lo fanno, di solito. È vero che alcuni sono maleducati e abbandonano in campagna bossoli e rifiuti. Ma è ugualmente vero che le nostre campagne sono attraversate da orde di barbari senza la doppietta in spalla».
Qual è la percentuale di cacciatori incivili?«Facciamo quella delle persone incivili in generale, abbraccia meglio la realtà dei fatti. Sa quanti cacciatori raccolgono i rifiuti lasciati da altri?»
Non vorrà farci credere che siete pure netturbini dell'ambiente.«Ho imparato dalla mia famiglia a rispettare la natura. Ogni volta che vado a caccia porto con me una busta dove raccogliere bossoli, carta, bottiglie. Che ci crediate o no, sono davvero tanti quelli che hanno rispetto del territorio».
Il giorno più felice.«Una volta, e non potrò mai dimenticarlo, ho centrato un cinghiale in mezzo agli occhi a venticinque metri di distanza. Una gioia indicibile, resa ancora più grande dal fatto che accanto a me c'era babbo. Ha sparato anche lui nello stesso momento ma, come abbiamo scoperto dopo, il colpo mortale è stato il mio. Grandissima soddisfazione».
Si allena per avere buona mira?«Macché. Difatti ancora oggi quando il tordo esce all'improvviso, tra imbracciata, puntamento e sparo può passare troppo tempo. Bisogna essere velocissimi e precisi. Per il momento a caccia grossa mi sono difesa bene ma c'è fucilata e fucilata: col tordo, per dirne una, è tutta un'altra cosa».
La preda più difficile?«Il coniglio. Finora non sono riuscita a prenderne uno. A differenza della lepre che fugge andando sempre in linea retta, il coniglio ti frega perché dà scarti laterali e finisce facilmente per spiazzarti. Ogni preda ha una sua fucilata».
Quali debbono essere i requisiti per essere accettati dalla compagnia?«Devi essere stato educato alla caccia, devi sapere e rispettare. L'importante, poi, è non mandare a monte il lavoro degli altri. Siccome la compagnia è una squadra, bisogna imparare a giocare correttamente. Lavorare tutti, lavorare insieme».
È vero che le sparate grosse?«Vero. Non ho mai capito perché ma è proprio così: ai cacciatori piace moltissimo raccontare cose che non sono mai accadute. Quelli seri si fanno accompagnare da documentazione: la foto del carniere pieno».
Le piacerebbe che suo figlio diventasse cacciatore?
«Molto, sì. La caccia mi regala grandi tavolate in famiglia: i miei, miei zii, miei cugini. Che gioia vederli mangiare le mie beccacce, i miei tordi...».
Forza femminile per la caccia al cinghiale - Intervista a Michela Poggi di Sabine Middelhaufe
La caccia al cinghiale, tradizionalmente, si fa con la squadra composta da un minimo di 25 a un massimo di 60 cacciatori/soci la cui gestione, organizzazione e rappresentazione nel confronto della provincia, dell'ATC e delle altre Squadre è compito del Capo Caccia o in sua assenza del vice Capo Caccia. Trovare delle donne in questa posizione è ancora l'eccezione; una donna così eccezionale è Michela Poggi. Quando nel 2000, un socio anziano rinunciò al ruolo di vice Capo Caccia della squadra di Menconico in provincia di Pavia, Michela Poggi, incoraggiata dal marito cacciatore nonché Capo Caccia, si iscrisse al corso di specializzazione che tratta come punti chiave la sicurezza di caccia, le leggi venatorie, i vari metodi di caccia al cinghiale e la loro applicazione pratica, superò l'esame con successo e svolge la funzione di vice da ormai 13 anni. Ma in che cosa di preciso consiste questa funzione?
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Michela Poggi.
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Michela: Il compito del vice è come in tanti altri ambiti quello di supportare il capo in tutta quella che è la gestione della squadra e delle persone iscritte ad essa. Durante la stagione di caccia in assenza del Capo Caccia, il vice lo sostituisce, svolgendo le mansioni in prima persona che sono di vario tipo. Per esempio decidere insieme ai canai la zona di braccata, organizzare la ricerca delle tracce, mandare i cacciatori alle poste assicurandosi che tutti siano in sicurezza, compilare l'elenco giornaliero dei cacciatori partecipanti alla battuta e imbucarlo prima dell’inizio della braccata nell’apposita cassetta a disposizione delle guardie dell’ATC o della Provincia per eventuali controlli, recuperare i cinghiali abbattuti e mettere al tendine d'Achille il bracciale obbligatorio, predisposto dalla Provincia, prima di caricare l’animale su un mezzo di trasporto, compilare i verbali di fine giornata (con precisato quanti animali, sesso, peso, zona di abbattimento ecc.) questi vanno consegnati all'ATC, alla provincia e utilizzati per i controlli sanitari da parte dell' ASL. Di ovvia importanza è la macellazione e preparazione dei cinghiali, per cui, finita la braccata, i cacciatori si radunano nella casa di caccia. Ci sono i soci che si occupano della cucina per preparare la cena, altri che si occupano dell'evisceratura e pelatura dei cinghiali abbattuti e altri ancora che pelano le teste, dividono e contrassegnano le mandibole che al termine della stagione dovranno essere consegnate all'ATC (dopo la bollitura) per verifiche o mostre. Io sono tra i secondi. Anche perché i cinghiali presi vanno tutti misurati, pesati e visionate le eventuali anomalie che ci potrebbero essere e questa operazione si chiama biometria, io avendo superato un corso di specializzazione ho ottenuto l'abilitazione di biometrista e sono l'unica della squadra di Menconico. Alla fine tutti a tavola e mangiando (e bevendo) si rivivono i momenti della battuta e si raccontano le esperienze delle battute passate. Passati alcuni giorni, dopo aver lasciata la carne nella cella frigorifera, 4 o 5 soci volontari ed esperti, io compresa, dividono in parti uguali i cinghiali per i soci che erano presenti alla battuta. Insomma, io sono come il prezzemolo, sono in grado di fare tutto e sono sempre presente, questo è importante per poter gestire le cose e molte volte, essendo l'unica donna della squadra, serve anche per avere un po' di rispetto dai maschi, anche se qualcuno ne approfitta per fare vita comoda ed evitare di lavorare... Fuori stagione di caccia invece ci troviamo per programmare la gestione futura, organiziamo i censimenti in collaborazione con l’ATC e la Provincia, prendiamo iniziative come pulire strade e sentieri dove si dovrà passare e una altra cosa più impegnativa e importante che facciamo è mantenere allenati i cani. Le mansioni del capo sono veramente tante, ma quelle più importanti riguardano, ovviamente, la sicurezza verso e per tutti e tutto.
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La zona di caccia della squadra si compone per la maggior parte di bosco misto poco accessibile.
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Perché la sicurezza è di tale importanza è chiaro: durante le battute i tiratori utilizzano fucili ad anima liscia di calibro 12, 16 e 20 con munizione a palla unica e le armi a canna rigata di calibro non inferiore a 7 mm i cui proiettili possono uccidere ancora ad una distanza di 2-3 km, anche se nella prassi il tiro utile e responsabile è di 80 - 100 m ed oltre non si spara al bersaglio perché sarebbe troppo pericoloso. Poi bisogna considerare che la zona di caccia della squadra, Comune di Menconico con esclusione della Riserva Naturale del Monte Alpe e della zona concessa dall'ATC alle Squadre di Varzi, consiste quasi esclusivamente di terreno collinare/montano, (parte da 500 m.s.l.m. fondo valle nella zona del torrente Aronchio e arriva ai 1460 m.s.l.m. Vetta del Monte Penice) in parte assai ripido, che si compone per la maggior parte di bosco misto poco accessibile, caratterizzato da sottobosco, folti di ginestra, ginepro, rosa canina e rovi, e solo in minor misura di piccoli campi da fieno e vari fondi rustici che a loro volta sono ovunque confinati da siepi naturali e strette fasce boscose. Questi fattori ambientali spesso fanno la caccia piuttosto faticosa e richiedono dai tiratori in ogni momento la massima attenzione per poter, quando l'opportunità si presenta, fare fuoco in modo sicuro e responsabile. La battuta al cinghiale, contrariamente alla caccia della penna col cane da ferma, è ancora oggi decisamente il dominio dei maschi, o per essere precisi, degli uomini intorno ai 60/70 anni, perché secondo un censimento del 2009 è proprio quella l'età media dell'attuale cacciatore italiano. Dato che il numero maggiore dei soci di una squadra vengono dallo stesso comune o da quelli confinanti, quindi si conoscono da una vita, gli potrebbe sembrare sconcertante quando una giovane donna di 23 anni non solo si associa a loro come cacciatrice attiva, ma a 27 ottiene la qualificazione necessaria per "comandarli". Dunque, come hanno reagito i signori quando Michela, finora la prima ed unica femmina nella squadra di 33 soci è diventata vice Capo Caccia?
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La caccia al cinghiale è ancora oggi il dominio dei maschi.
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Michela: Nel mio caso e, credo, in quello di tante altre donne, posso dire che non è stato e non è tuttora facile! Ci sono cacciatori che mi hanno accettato subito, anzi, mi hanno aiutato ad inserirmi nel mondo venatorio, mi hanno supportato ed insegnato molto e continuano a farlo tuttora. Con molti di loro si è instaurato un rapporto ottimo di amicizia che non è solo la caccia. Mi rispettano sia come donna che come loro "capo" quando lo devo fare. Altri invece fanno fatica ad accettarmi e a sentirsi dare ordini, però lo accettano, anche perché dimostro di saper fare bene quel che devo e di conoscere bene le regole. Cerco di essere sempre precisa. Poi ci sono (quelli che pensano di essere) "i veri maschi" che dimostrano proprio di non accettarmi soprattutto quando comando e si comportano in modo disfattista, non mi ascoltano e spesso non accettano la posta assegnata oppure cercano di sabotarmi. Credo che sia perché sono donna, ma forse anche per invidia, cattiveria o magari per pura ignoranza. Tempo indietro mi rodevo il fegato, adesso ho imparato ad essere superiore e fregarmene. E' la vendetta migliore. Loro diventano sempre più cattivi e ora si rodono il fegato loro. Sono convinta che compatire ed essere uno scalino sopra sia sinonimo d'intelligenza e per potere gestire tante persone differenti bisogna esserlo. Quindi per concludere:"Chi non mi vuole non mi merita".
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Michela con la preda e due ausiliari.
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I cinghiali tutto l'anno arrecano molto danno alle coltivazioni, non solo nel frumento, nei prati, nelle patate, ecc., ma anche nei vigneti, e questo non solo in aperta campagna ma anche al margine dei paesi. Nell'ATC cui fa parte la zona di caccia di Michela a la sua squadra nel 2010 il 39% dei danni indennizzati fu causato dai cinghiali; il 24% andava sul conto della lepre e il 20% del capriolo. Nell'ATC vicino invece, per via della diversità di topografia, vegetazione e l'uso agricolo del territorio la distribuzione differiva notevolmente: là i cinghiali erano già responsabile per il 61% dei danni, mentre i corvidi, con 16%, stavanno al secondo posto, seguito dalla lepre con 11% e il capriolo con solo 1 % non aveva il proprio peso. Piuttosto che pagare i danni è meglio contenerli. Alzare la quota di abbattimento è un mezzo, tuttavia non cosi facile da raggiungere! L'ATC 5 include 28 comuni con 16 squadre di cinghialisti che nel 2008 erano riusciti ad abbattere complessivamente 600 capi - decisamente troppo pochi per ridurre notevolmente la popolazione di cinghiali nel territorio. Di conseguenza, nel 2010 l'ATC aumentò la quota di abbattimento quasi al 50% e dei 2828 cinghiali accertati nel censimento, furono uccisi 1351 capi. Altre misure per evitare i danni è la protezione dei terreni coltivati con dissuasori (recinzioni elettrificate, reti metalliche, dissuasori acustici o visivi, ecc.) e in parte con la coltivazione di terreni incolti ai margini dei boschi.
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Danni creati dai cinghiali in un campo.
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Per quest'ultimo progetto serve soprattutto la "competenza sociale", perché lascia pure che l'ATC si assume le spese e paghi i danni ai contadini - se la popolazione locale non vuole partecipare c'è poco da fare. Come persone cresciute in zona, Michela e suo marito, naturalmente, conoscono tutti ed ognuno, sanno chi possiede dei pezzetti di terra, sanno chi, negli ultimi 10 anni circa, li ha coltivati sempre di meno perché specialmente i campi da fieno nei terreni ripidi dell’alta collina non rendono più. Nel dialogo amichevole, riescono spesso a convincere i proprietari di mettere a disposizione della squadra degli appezzamenti incolti nelle zone idonee. E cosi, invece di guardare passivamente come nel corso di pochi anni le rose selvatiche e il ginepro trasformano i loro campi in un luogo selvaggio e quasi inaccessibile, eseguono trinciature e seminano una volta all'anno delle culture come grano, mais, sorgo o miscuglio autunno-vernino, che come tutta la selvaggina anche il cinghiale apprezza. In questo modo il terreno viene coltivato, senza creare all'agricoltore ulteriore lavoro, la selvaggina comprende ben presto che lì può brucare indisturbato e in abbondanza e tende ad evitare gli orti e i campi vicini ai paesi. Certo che quei campi seminati per i selvatici garantiscono una buona alimentazione e questo aiuta a mantenerli in zona e per i cacciatori abbastanza carne di cinghiale per la tavola di casa. E persino coloro che non favoriscono dall'arrosto vedono nel cacciatore piuttosto un aiuto che contribuisce decisamente al fatto che la verdura faticosamente seminata e curata viene, appunto, non distrutta o mangiata dai cinghiali. Quindi, gli opponenti della caccia non ci sono?
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Per gli abitanti nei piccoli paesi la caccia al cinghiale significa protezione dei loro orti.
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Michela: Nella nostra zona devo dire è difficile che qualcuno ci disturbi mentre cacciamo, però è successo in passato e sicuramente capiterà ancora, comunque non sono le persone locali a farlo anzi! Sono sempre di più gli animalisti ed i protezionisti, gente a mio avviso fanatica che ha molti concetti "ignoranti". Io apprezzo le persone, cacciatori e non, semplici ed umili che hanno rispetto, che dialogano e discutono con me in armonia e tranquillamente. A me capita spesso di relazionare di caccia non solo con chi è con me in squadra, ma anche con chi pratica in altre squadre o altre forme di caccia. E' piacevole ed è una soddisfazione avere modo di interagire con tante persone che sono al di fuori di una cerchia ristretta, la reputo una dimostrazione di stima e di apprezzamento e non si deve per forza sempre avere le stesse opinioni. Con gli "anti-caccia" un dialogo del genere, purtroppo, non è possibile poiché per loro il cacciatore è il nemico predefinito.
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Giovane cinghiale nel bosco estivo.
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In Italia la pratica venatoria, sotto tanti aspetti, è fortemente regolamentato. Per i "cinghialisti" in provincia di Pavia la stagione inizia il 1 ottobre e si conclude il 31 dicembre. Ma in realtà sono solo due i giorni quando possono effettivamente fare battuta, vale a dire ogni mercoledì e, alternando, sabato o domenica. Se si fa il conto rimane un totale di soli 24 giorni di caccia all'anno, di cui un minimo di 12 giorni feriali. Ovviamente questo fatto ha conseguenze, perché chi non è pensionato, agricoltore o libero professionista difficilmente può restare assente dal posto di lavoro ogni santo mercoledì per tre mesi interi. Sicché a metà settimana la squadra è spesso assai ridotta e le battute devono essere organizzate in conformità con i tiratori presenti (minimo 15). E al più tardi quando "l'ottobre d'oro" si accomiata, per giunta su in alta collina comincia la brutta stagione con piogge persistenti, nebbia fitta, gelo e se i Dei del tempo sono di umore particolarmente cattivo ai primi di novembre cade la prima neve. Immancabilmente ci si chiede se la passione venatoria e il carniere compensano i cinghialisti per tutte le fatiche, le spese e le discussioni inevitabili con i colleghi al posto di lavoro?
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Con la caccia al cinghiale, purtroppo, comincia anche la brutta stagione.
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Michela: In una stagione come la passata del 2012, per noi ottima, abbiamo abbattuto 55 cinghiali; ci sono stati anni che abbiamo fatto molto meno. Gli animali vengono divisi fra i cacciatori presenti alla giornata di caccia, non vendiamo niente. Per noi la caccia non è business o lucro, ma un purissimo piacere e un modo per stare in compagnia. Infatti le altre squadre dell’ATC ci prendono in giro perché al mattino prima di partire facciamo colazione, a mezzogiorno se non ci sono i cani in battuta ci fermiamo a mangiare e terminata la battuta ceniamo, soprattutto quando piove o nevica ci troviamo al mattino nella casa di caccia, accendiamo il fuoco, mangiamo, beviamo e aspettiamo che arrivi il sole. Insomma se si prende qualche capo, bene, altrimenti sarà per la prossima! In quanto al lavoro, purtroppo, sia con i colleghi di lavoro che la Direzione non è sempre facile trovare l’accordo per essere a casa, anzi, capita spesso che devo perdere le giornate di caccia, perché non tutti vedono di buon grado il fatto che io vada a caccia, e così tante volte devo rinunciare o devo utilizzare tutta la settimana di ferie per una sola giornata. Quindi i sacrifici e le rinunce sono parecchi ma si fanno volentieri per la passione. La spesa per la caccia è molto soggettiva, dipende da molte cose. Comunque, in media sono più di 1000 euro all'anno che spendiamo a persona. Per coloro che iniziano per la prima volta l’attività venatoria sono da aggiungere i costi per l'acquisto delle armi. Io per esempio di fucili ne ho 6, perché una volta praticavo anche la caccia con il cane da ferma, ora faccio solamente la caccia al cinghiale e la caccia di selezione al capriolo e uso sempre i soliti fucili con cui mi trovo meglio: per il cinghiale Remington con canna rigata (calibro 30-06), per il capriolo Marlin con canna rigata e ottica (calibro 30-06) e per l’altra selvaggina Fabarm con canna liscia (calibro 12).
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In posta.
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In squadra si caccia i cinghiali esclusivamente con la muta di cani, composta da un massimo di 15 elementi, cioè senza battitori umani. Particolarmente apprezzate sono razze come Segugio Maremmano, Griffon Bleu de Gascogne, Ariègeois, Giura, Dachsbracke e Segugio Istriano, ma ci sono anche tanti meticci che svolgono un ottimo lavoro. Nella squadra di Michela chi è responsabile per il mantenimento, le cure quotidiane dei cani e la loro preparazione per la caccia?
Michela: Sono 14 i cani che utilizza la squadra, e sono di varie razze (francesi, istriani, maremmani,d achsbracke e incroci). Una parte (4 della squadra e 3 miei) vengono accuditi giornalmente da mio suocero e periodicamente da me e mio marito nel fine settimana. Gli altri 7, anchessi di razze diverse, sono di proprietà di due soci e li accudiscono loro ma li usano esclusivamente nelle battute della squadra. La preparazione dei cani purtroppo è una lacuna della squadra perché siamo in pochi che li portano in addestramento, la maggior parte dei soci arrivano il primo di Ottobre con il fucile in spalla e chiedono se i cani sono bravi e dove devono andare in posta per abbattere i cinghiali...
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Segugio Maremmano in servizio.
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Il padre di Michela era un cacciatore appassionato, ma pur trasmettendo alla figliola l'entusiasmo per il mondo venatorio non la portò mai a caccia con se, perché lo considerava troppo pericoloso per una bambina piccola. Ormai Michela è madre di una figlia 16enne, Susanna, che va matta per i cani da caccia, è abituata alla vista di selvaggina abbattuta e naturalmente al fatto che madre, padre e nonno non perdono occasione di andare a caccia. Ovviamente è da anni che Susanna li può accompagnare quando vuole. Ha ereditato l'interesse genuino per l'arte venatoria con magari l'intenzione di fare la licenza un domani?
Michela: Mia figlia è già molto appassionata, a volte la porto con me ed è una soddisfazione. Penso proprio che a 18 anni vorrà fare la licenza di caccia e seguire le orme dei genitori e dei nonni. Spero sinceramente di riuscire a trasmetterle il concetto di caccia che io ho imparato da uno dei miei migliori maestri di corso: La caccia, di qualunque tipo sia, non è uno sport, ma è un arte che deve essere fatta sempre con etica. Questo vuol dire conoscenza approfondita della natura che ci circonda per avere rispetto e non fare distruzione. Solo se il cacciatore sa prelevare nella maniera giusta riesce anche a conservare e a non distruggere. Questo è il concetto base che dovrebbero avere tutti i cacciatori e se lo avessero anche certi protezionisti, verdi ecc., forse riuscirebbero a non vedere i cacciatori come mostri distruttori ma come coloro che sanno anche conservare e custodire ciò che è patrimonio di tutti.
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Femmina seguita.. .... da un cinghialetto assai curioso.
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Testo (c) 2013 Foto 2, 6 Michela Poggi, tutte le altre: Sabine Middelhaufe
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