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6.10.25

Michela Florean racconta la vita assieme al compagno scomparso a Venezia dopo anni di stato vegetativo : “Per accudirlo lasciai anche il lavoro” “L’incidente sugli sci, la disabilità, le terapie I miei 26 anni con Luca nel nome dell’amore

A  chi  mi  dice     che  voglio  impore  il testamento    biologico  o  il suicidio assistito  a  tuti  i costi      si  sbaglia  di grosso .  In  quanto  ciascuno  di  noi è libero  di  fare  , come  la storia  sotto    riportata  la  propia  scelta    in merito  .  E come tale  va rispettato  che  sceglie    di  vivere e far  vivere  in coma 

o  stato vegetativo  una persona    chi invece  sceglie   e  chiede  di morire   o sceglie  ( qui   c'è  solo la  comprensione   etico \ morale   ma non la  giusificazione    perchè  si tratta    di  omicidio  nel  primo caso  ) di  non voler  soffrire   nel vederlo cosi   e quindi  gli da l'eutanasia   o decide di non tenerlo in vita spegendo le macchine  

    da la stama del 5\10\2025. 

 Gli amici hanno lasciato da poco l’appartamento di Concordia Sagittaria, nel Veneziano, ricavato all’interno della casa dei genitori di Luca Romanin. Michela Florean, la compagna, è sola, «forse per la prima volta, da quando Luca non c’è più». Intorno, ogni cosa parla di lui: dalle promesse del suo passato da sportivo, fino ai ricordi degli ultimi 26 anni, aggrappati a qualsiasi speranza di un ritorno a una parvenza di normalità.Nella loro vita di ragazzi, è cambiato tutto nell’inverno del ‘99. Luca, 23 anni, era andato a sciare con il fratello Marco e un cugino sulla pista della Gran Risa, in Alta Badia. «Io non ero andata con loro» ricorda Michela. Che, di quella giornata, ricorda tutto. Ricorda l’ultima telefonata al suo Luca, prima che inforcasse gli sci e si lanciasse giù a valle, sfrecciando sulla pista nera. E ricorda la telefonata successiva, dal contenuto drammatico: Luca era caduto, aveva sbattuto la testa e loavevano trasferito con l’elicottero all’ospedale di Bolzano. «I successivi 7-15 giorni li ha trascorsi in prognosi riservata. Sembrano pochi, in realtà non passavano più», ripercorre ora. Dopo due anni, Luca Romanin esce dall’ospedale su una sedia a rotelle. Non cammina e non parla. Una vita stravolta, ma con Michela ancora accanto. È giovanissima, come lo è il suo amore per Luca, sul quale però ha già deciso di investire il suo futuro: Michela lascia il lavoro e si trasferisce in un appartamento ricavato all’interno della casa dei genitori di Luca. Si prende cura di lui. Lo fa per 26 anni, fino a sabato scorso, quando Romanin, a 49 anni, è morto.Eravate ragazzi - 22 anni lei e 23 Luca - quando ha deciso di lasciare ogni cosa, per dedicarsi completamente al suo compagno…«In realtà non l’ho deciso.Perché, quando si prova unamore così grande, non si sceglie.Semplicemente si vive la situazione, e poi gli eventi fanno il loro corso.Con questo non voglio dire che sia stato facile, tutt’altro. E io non volevo fare la crocerossina. Semplicemente, io per Luca ho provato,provo e proverò sempre un amore immenso».Marco, il fratello di Luca, ha detto che in un tempo attraversato dalle storie di  violenza, la vostra è una  boccata d’ossigeno, per mostrare che esiste anche tanto altro.
«Sono rimasta colpita dalla sorpresa della gente. In questi 26 anni, le difficoltà sono state tante, ma i sentimenti ci hanno fatto superare discese erisalite.Del resto,le difficoltà fanno parte di qualsiasi vita. Vedo famiglie che sisgretolano per nulla, e per me è incomprensibile. Io sono contenta della persona che sono e di tutte le scelte che ho fatto. Luca è ancora accanto a me, miguida.Sento la sua forza, che ormai non è più terrena».Che cosa vi ha fatto innamorare?«Sono passati talmente tantianni.Diciotto anni io,diciannove lui.Ci siamo conosciuti perché era venuto a giocare a basket nella palestra del mio paese,ed è stato il classico colpo di fulmine. Anch’io giocavo a basket, pure a un livello discreto, e lavoravo in un negozio di articoli sportivi. Mentre lui, a 23 anni,era il più giovane istruttore di sub italiano. Era bellissimo,ed è la prima cosa che mi ha colpito. Ci siamo conosciuti e il mese dopo eravamo già inseparabili. Stavamo iniziando a pianificare la nostra vita futura».
Dopo l’incidente, come è stata la vostra quotidianità?«Dopo un po’, io ho smesso di lavorare e sono andata a vivere con lui. Luca non camminava e non parlava: il nostro era un linguaggio empatico, fatto di sguardi ed energie molto più sottili.Ma così siamo andati avanti.A livello di terapie,abbiamo provato di tutto:medicina salvavita, farmaci, fisioterapia,computer col puntatore oculare, osteopatia. A volte, prendevo la macchina per andare in giornata a Firenze, dall’omeopata, e tornare la sera a Concordia.Qualsiasi cosa, per fargli fare una vita il più normale possibile.Ho cercato di avere fede nel futuro, dedicandogli tutto il mio amore,sperando che piano piano i tasselli si mettessero aposto».
È stata aiutata?«Le persone che restano, inqueste situazioni, sono poche.È stata una vita scandita dagli orari,dalla routine,dalla dedizione. Però le poche persone che sono rimaste, e quelle che si sono aggiunte, sono straordinarie.Ho conosciuto terapisti che sono diventati amici sinceri».Michela, cosa farà ora?«Non voglio fare progetti,ma vivere il presente. Io so che il dolore va attraversato,metabolizzato, e che dopoun po’ inizia a scemare. E io questo voglio fare ora, senza pensare al domani. Vivere come ho sempre fatto finora,Luca è accanto a me».


23.9.25

Cosa significa davvero confine? della dott. Chiara Cleopatra

dalla  dott. Chiara   Cleopatra 

  Cosa significa davvero confine?
Quando parliamo di relazioni, la parola “confine” fa spesso paura.
Può evocare distanza, freddezza, rifiuto. Eppure, la ricerca psicologica ci ricorda che i confini sono il
tessuto invisibile che rende possibile la vicinanza autentica.
Senza confini, rischiamo la fusione: ci perdiamo nei bisogni e nelle emozioni dell’altro, fino a non distinguere più chi siamo.
Con confini troppo rigidi, al contrario, ci isoliamo e lasciamo fuori l’altro, per paura di soffrire.
John Bowlby, con la sua teoria dell’attaccamento, mostrava già come la sicurezza affettiva nasca dalla possibilità di esplorare e allo stesso tempo tornare a una “base sicura”. In fondo, i confini servono proprio a questo: a creare uno spazio in cui sentiamo di poter essere noi stessi, senza doverci annullare o difendere.
Ti faccio una domanda:
quante volte nella tua vita hai detto “sì” quando dentro di te volevi dire “no”?
Ogni volta che accade, perdiamo un pezzo di autenticità.
Ogni volta che impariamo a rispettarci, invece, il nostro confine diventa più chiaro, e la relazione più sana.
✨ Ricorda: i confini non dividono. Custodiscono.
📌
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per approfondire

28.8.25

Chi lo ha detto che il fiocco di un neonato debba,essere per forza rosa o azzuro Padova, l'assessore Margherita Colonello appende in Comune fiocchi arcobaleno per il figlio appena nato: «Deciderà lui chi essere»

visti gli insulti a #margheritacolonello  questi #familiday non li capisco proprio . Nonn vedo cosa ci sia di male che siano i genitori lascino che sia nel corso degli anni il futuro nascituro a decidere se essere,oltre a quello imposto burocraticamente\istituzionalmente alla nascita ,essere maschio o femmina . Ecco  di  quale  crimine 😇😕🤣😁   si  sarebbe macchiata  

                               fonte corriere sella sera e corriere veneto

Margherita Colonnello, assessora al Sociale del Comune di Padova, ha affisso cinque fiocchi arcobaleno sulla porta del suo ufficio per celebrare la nascita del suo primogenito Aronne.
Il gesto era stato preannunciato dalla stessa amministratrice a fine maggio, sul palco del Padova Pride, quando ancora non conosceva il sesso del nascituro: «Ti regalerò un fiocco arcobaleno perché i colori sono tutti bellissimi. E poi sceglierai tu: sarà il rosa, sarà il blu, o il verde, il rosso o il giallo».
Ed ecco che sulla porta del suo ufficio sono apparsi alcuni giorni fa cinque fiocchi arcobaleno. La scelta è stata criticata dalla consigliera comunale Eleonora Mosco, della Lega, secondo cui il bimbo è stato «trasformato, appena nato, in un manifesto ideologico. La natura non è un catalogo: si nasce maschio o femmina, punto. Difendere i bambini significa proteggerli dalla confusione che certa sinistra vuole imporre, negando buonsenso e realtà».
Colonnello, in prima linea nella difesa dei diritti civili e di quelli della vasta comunità LGBTQIA+, ha deciso di lasciare il suo bambino libero di scegliere: «Farò in modo di aiutarti ad avere coraggio, perché se ce l’avrai — aveva detto l’assessore dal palco del Pride — conoscerai il mondo non secondo il bianco o il nero, ma secondo i mille colori della bellezza».



L’aveva promesso tre mesi fa. Ed è stata di parola. Lo scorso 31 maggio, dal palco di piazza De Gasperi, al termine del corteo del Padova Pride l’assessore al Sociale, Margherita Colonnello, incinta al sesto mese e non avendo voluto conoscere in anticipo il sesso del suo primogenito, aveva affermato: «Cara bambina, caro bambino, quando verrai al mondo, non ti regalerò il fiocco rosa né azzurro, ma te lo regalerò arcobaleno, perché i colori sono tutti bellissimi. E poi deciderai tu. Spero solo che tu non scelga mai i colori della paura, nè di diventare xenofoba oppure omofobo».L’aveva promesso tre mesi fa. Ed è stata di parola. Lo scorso 31 maggio, dal palco di piazza De Gasperi, al termine del corteo del Padova Pride l’assessore al Sociale, Margherita Colonnello, incinta al sesto mese e non avendo voluto conoscere in anticipo il sesso del suo primogenito, aveva affermato: «Cara bambina, caro bambino, quando verrai al mondo, non ti regalerò il fiocco rosa né azzurro, ma te lo regalerò arcobaleno, perché i colori sono tutti bellissimi. E poi deciderai tu. Spero solo che tu non scelga mai i colori della paura, nè di diventare xenofoba oppure omofobo».
I mille colori della bellezza
Ebbene, detto, fatto. Lunedì, sulla porta d’ingresso del suo ufficio a Palazzo Moroni, a distanza di undici giorni dalla nascita di Aronne (era il 14 agosto, grande gioia per lei e il marito Cosimo Cacciavillani, assistente dell’europarlamentare Cristina Guarda), sono stati affissi cinque fiocchi
arcobaleno e due disegni con la classica cicogna. L’assessore aveva spiegato così il nome del piccolo: «Viene da lontano, attraversando secoli e culture, sa di ulivo, vite e vento del Mar Mediterraneo. È quello di un ragazzo che ha partecipato alle barricate antifasciste dell’Oltretorrente a Parma, cioè il bis-bis nonno di nostro figlio e così, affidandoglielo, gli auguriamo che possa scegliere sempre la luce, la speranza e l’amore». Colonnello, da sempre in prima linea nella difesa dei diritti civili e in particolare di quelli della vasta comunità LGBTQIA+, ha deciso di lasciare il suo bambino libero di scegliere. «Farò in modo di aiutarti ad avere coraggio, perché se ce l’avrai — aveva ancora detto l’assessore dal palco del Pride con a fianco, tra i tanti, il vicesindaco Andrea Micalizzi e l’europarlamentare Alessandro Zan — conoscerai il mondo non secondo il bianco o il nero, ma secondo i mille colori della bellezza».
Le critiche: «Lasci stare i bambini»
Una posizione che era stata fortemente criticata dal consigliere regionale uscente della Lista Zaia, Luciano Sandonà: «Ricordo all’assessore che è la Natura a farci maschi o femmine e, se non le va bene, se la prenda pure con Dio, ma lasci stare i bambini». Quindi, l’affondo: «Mi sembra che Colonnello sia pure un’educatrice scolastica e in questo senso — aveva scandito l’esponente zaiano — mi auguro che non diffonda il suo pensiero distorto tra i piccoli alunni». Un rimbrotto al quale la destinataria aveva reagito con una semplice alzata di spalle.

23.6.25

La vera storia della donna che ha sposato un tribale keniota

da Newsner ggiornato: Giu 18, 2025, 15:09
La vera storia della donna che ha sposato un tribale keniota



Guerrieri Masai. Fonte/Derek Hudson/Getty Images

Una donna britannica che ha lasciato il marito e i tre figli per iniziare una nuova vita con un guerriero Masai in Kenya ha raccontato i rimpianti che porta con sé dalla sua insolita storia d’amore e il peso emotivo che ha avuto sulla sua famiglia.
Si sentiva intrappolata nel suo matrimonio
La storia di Cheryl Thomasgood ha fatto notizia in tutto il mondo quando ha lasciato la sua comoda vita di periferia sull’isola di Wight in Inghilterra per inseguire un’inaspettata storia d’amore in un remoto villaggio del Kenya. Ma ora, a distanza di decenni, la donna si confida sulla realtà che si cela dietro quella che un tempo sembrava una favola.
Nel 1995, Cheryl aveva 34 anni quando incontrò Daniel Lekimencho, un imponente guerriero Masai di due metri e mezzo e danzatore tradizionale che si esibiva per i turisti in un hotel di Mombasa. Il loro legame fu immediato e potente.Guerrieri Maasai tornano ai loro insediamenti portando bastoni e lance sulle spalle nel cratere di Ngorongoro. (Derek Hudson/Getty Images)

All’epoca, Cheryl Mason si sentiva bloccata nel suo matrimonio e frustrata dal suo lavoro di parrucchiera nella tranquilla Isola di Wight, appena fuori dalla costa meridionale dell’Inghilterra.
Decise che una fuga di una settimana in Africa con un’amica avrebbe potuto aiutarla a schiarirsi le idee e a capire quali cambiamenti voleva apportare. Ma Cheryl non si sarebbe mai aspettata che una notte al bar dell’hotel, dove si era riunito un gruppo di danzatori tribali, avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Ancora più sorprendente è stato il fatto che la sua vita sarebbe stata cambiata da un guerriero Masai, più giovane di lei di 10 anni, che viveva in una capanna di fango e trascorreva le sue giornate cacciando giraffe e leoni.
“Quando l’ho visto, sono rimasta sconvolta dal suo aspetto fisico”, ha raccontato Cheryl a The Province nel 1998. “Sapevo che non avrei potuto passare la mia vita senza di lui”.
“Ho dovuto prendere una decisione”
Dopo l’esibizione, Daniel ha avvicinato Cheryl e si è offerto di farle fare un giro sulla costa del Kenya. Ne seguì una storia d’amore vorticosa: i due trascorsero il resto della vacanza esplorando il mare e facendo leva sulla loro chimica.
Ma quando il viaggio finì, Cheryl si trovò di fronte a una scelta angosciante: tornare a casa dal marito e dai figli o seguire il suo cuore verso l’ignoto.
“Era così bello che dovevo prendere una decisione”, ha ricordato. “È stato allora che ho pensato: ”Che cosa devo fare, essere ragionevole e fare la casalinga di periferia soddisfatta, o iniziare a vivere nel modo in cui volevo?“”.Youtube / AP Archive

Nel giro di poche settimane, Cheryl aveva lasciato il suo secondo marito, Mike Mason, e i loro tre figli per stare con Daniel, di dieci anni più giovane di lei.
Sorprendentemente, Mike, il marito di Cheryl, ha accolto la notizia con notevole grazia. Ha ammesso che il loro matrimonio non era più solido da un po’ di tempo e si è persino spinto a vendere la sua auto per aiutarla a finanziare il viaggio di ritorno in Kenya.
Reazione del marito
“Alcune persone pensano che io sia un po’ un fifone e che avrei dovuto cacciare Cheryl subito”, ha detto Mike all’epoca. “Ma ci sono dei bambini coinvolti e volevo che rimanessimo in buoni rapporti. Devo accettare che il nostro matrimonio è finito”.
Alla fine del 1994, Cheryl ha fatto i bagagli e si è trasferita in Kenya, stabilendosi nella capanna di

fango di Daniel nel cuore dell’Africa rurale. Per qualche mese abbracciò lo stile di vita tradizionale dei Masai, ma le condizioni estreme la stancarono rapidamente. Il caldo torrido diurno e le notti gelide hanno compromesso la sua salute e alla fine Cheryl si è ammalata.
Avendo bisogno di tornare in Inghilterra per riprendersi, escogitò un piano audace per ricongiungersi con Daniel: vendette la sua storia alla stampa. Il denaro ricavato da quelle interviste la aiutò a permettersi il biglietto aereo per il Regno Unito.
Una volta che Daniel arrivò finalmente nel Regno Unito, fu il momento della prossima grande sorpresa.
La coppia fece una dichiarazione audace sposandosi il giorno di San Valentino del 1995, vestita con abiti tradizionali Masai. Le autorità, tuttavia, erano scettiche sul matrimonio, sospettando che fosse semplicemente uno stratagemma per far ottenere a Daniel la cittadinanza. Di conseguenza, nel 1995, Daniel fu espulso.
Youtube / AP Archive

Una volta che Daniel arrivò finalmente nel Regno Unito, fu il momento della prossima grande sorpresa.
La coppia fece una dichiarazione audace sposandosi il giorno di San Valentino del 1995, vestita con abiti tradizionali Masai. Le autorità, tuttavia, erano scettiche sul matrimonio, sospettando che fosse semplicemente uno stratagemma per far ottenere a Daniel la cittadinanza. Di conseguenza, nel 1995, Daniel fu espulso.
La coppia tornò nel Regno Unito qualche anno dopo, crescendo la figlia Mitsi e cercando di adattarsi alla vita sull’Isola di Wight.
La realtà della loro relazione
La loro vorticosa storia d’amore fece notizia e affascinò i lettori dell’epoca, ma a distanza di anni la favola è svanita e la versione dei fatti di Cheryl sembra molto diversa.
Ma Cheryl dice che la realtà della loro relazione era ben lontana dal legame spirituale che aveva immaginato. Ammette di essere stata usata come un “buono pasto” da Daniel, la cui ossessione per il denaro e le cose materiali è cresciuta dopo il trasferimento in Inghilterra.
“Ho commesso un errore madornale, è stato molto sbagliato da parte mia e ho molti rimpianti, soprattutto per come ha danneggiato i miei figli”, ha dichiarato Cheryl al MailOnline in una rara intervista, riflettendo sul suo “tormentato” matrimonio.
Descrive il drammatico cambiamento di Daniel, da guerriero spirituale e orgoglioso di cui si era innamorata in Kenya a uomo frustrato dalla vita borghese, che pretendeva sempre di più, da una casa più grande a vestiti firmati e denaro da inviare alla sua famiglia in Kenya.
“L’unico momento in cui Daniel era felice era quando saltava in giardino facendo la sua danza tradizionale Masai”, ha ricordato Cheryl. “Diceva che si stava preparando per la battaglia e voleva saltare in alto come un elefante. I bambini lo adoravano, ma dopo un po’ mi dava sui nervi”.
Un passato difficile
Nonostante le sue speranze, le differenze culturali e le difficoltà di Daniel ad adattarsi hanno portato a continui litigi e infine alla loro separazione nel 1999, solo quattro anni dopo il loro matrimonio.
Cheryl si è anche aperta sul suo difficile passato, rivelando di aver subito abusi sessuali da bambina e di aver dovuto affrontare un trauma e un matrimonio infelice quando ha incontrato Daniel. Un amico del coro della chiesa l’ha incoraggiata a fare il viaggio in Kenya che le avrebbe cambiato la vita, ma quello che pensava sarebbe stato un percorso di guarigione si è rivelato una fuga dolorosa.
“L’impatto che tutto questo ha avuto sui miei figli. Avere un guerriero Masai come padre non è stato facile per loro. Daniel faceva del suo meglio, ma non riusciva a capire i modi occidentali e non poteva essere il padre di cui avevano bisogno”, ha detto Cheryl.
I suoi figli – Steve, 43 anni, Tommy, 41 anni, Chloe, 34 anni, e Mitsi, 27 anni – hanno dovuto affrontare le complicate conseguenze delle scelte della madre, ma Cheryl dice di essere orgogliosa del fatto che, nonostante tutto, i rapporti con loro sono rimasti forti.
Oggi Cheryl, 65 anni, vive una vita tranquilla in una cittadina balneare del Somerset, lontana dai riflettori e dai drammi del suo passato. Non ha intenzione di risposarsi dopo quella che definisce una “tripletta di disastri”.
Nel frattempo, Daniel vive ancora sull’Isola di Wight e lavora in un supermercato, lontano dall’orgoglioso guerriero che un tempo danzava sotto il sole del Kenya.

11.6.25

il parrocco di Cese ( Bergamo ) ha sbagliato nel voler celebrare un funerale doppio di un omicidio-suicidio non sempre : «Nonostante il dolore celebriamo l’amore»




i femminicidi di Castel vetrano  ma  soprattutto  di Cese ( bergamo ) riassumiano i fatti per chi non vuole rileggere o non ha fretta il precedente post 

– Mary Bonanno, 49 anni, è stata aggredita dal marito nel garage di casa con una chiave inglese e un coltello. Ferita, ha tentato di fuggire verso il portone, ma è crollata poco dopo. L’uomo si è poi tolto la vita lanciandosi dal terzo piano. e di cui l’avvocato Lorenzo Rizzuto, legale e portavoce della famiglia Campagna coinvolta nell’omicidio-suicidio di Castelvetrano (Trapani) dei coniugi Mary Bonanno e Francesco Campagna, invita la stampa «a trattare la vicenda con la massima discrezione, evitando la spettacolarizzazione e la diffusione di particolari non essenziali e non accertati, al fine di tutelare la memoria delle vittime e il diritto delle famiglie a vivere questo momento di immane dolore nel raccoglimento e nella riservatezza»
 – Uccide la moglie e si spara, i parenti scelgono un unico funerale. Il parroco: «Nonostante il dolore celebriamo l’amore»

 Mi sono chiesto ,soprattutto sul secondo , ma è amore     come  sembra  voler  dire    il parrocco di  Cese   o alcuni  sul caso di CasteVetrano  ? Nel primo caso è chiaro che si tratta di una richiesta , che per alcuni può essere considerata ( come ha fattoi anche il sotto scritto nel post precedente ) strana o oportunistica visto che viene non direttamente dai familiari , ma dall'avvocato di Lui . Si può parlare di richiesta di rispetto per le vittime . Ma non amore come alludono alcuni giornali che hanno descritto la vicemda . Infatti in casi dove un uomo ha ucciso la moglie e poi si è suicidato, non si può parlare di amore. MaSi tratta di un tragico caso di femminicidio-suicidio, in cui un uomo ha commesso un atto di violenza estrema contro la propria partner, togliendole la vita in modo brutale (con una chiave inglese e un coltello) e poi ponendo fine anche alla sua., l'amore autentico è basato su: Rispetto reciproco: La capacità di riconoscere e valorizzare la dignità e l'autonomia dell'altro. Libertà: La possibilità per entrambi i partner di essere se stessi, di prendere decisioni e di perseguire i propri interessi senza coercizione o paura. Supporto e benessere: Il desiderio di vedere l'altro felice e realizzato, e di contribuire al suo benessere fisico ed emotivo. Assenza di violenza: L'amore non può coesistere con la violenza, sia essa fisica, psicologica, economica o sessuale.La violenza non è amore Eventi come quelli di Cene e Castelvetrano sono il risultato di dinamiche relazionali disfunzionali, spesso dominate da possesso, gelosia, controllo e aggressività. Anche se apparentemente "normali" o "senza denunce", queste situazioni possono nascondere una profonda sofferenza e una grave alterazione del concetto di relazione sana.È fondamentale ribadire che l'amore non uccide, non aggredisce e non prevarica. Questi atti di violenza estrema sono la negazione stessa di ciò che l'amore dovrebbe essere. Definire questo tipo di evento come "amore" è estremamente problematico e, per molti, inappropriato. L'amore, nella sua accezione sana e positiva, si basa su rispetto, fiducia, libertà, supporto reciproco e benessere. Un atto di violenza estrema come l'omicidio, specialmente in un contesto di relazione, è l'antitesi di tutto ciò che l'amore rappresenta. È vero che nel caso di Cese il parroco ha parlato di "scelta di amore e fede" nel decidere di celebrare un unico funerale. Tuttavia, è fondamentale comprendere che, in questo contesto, la sua interpretazione dell'amore si riferisce probabilmente a un amore incondizionato e misericordioso verso le anime, anche di fronte a un atto così orribile. Non si riferisce, in alcun modo, a un'approvazione o una legittimazione del gesto violento come espressione d'amore. È una scelta dettata dalla volontà di non aggiungere ulteriore sofferenza alle famiglie già distrutte e di accompagnare, secondo i principi della fede, due persone nell'aldilà. È cruciale distinguere tra: Amore genuino: Caratterizzato da reciprocità, rispetto e assenza di coercizione o violenza Amore malato o distorto cioè tossico

 Spesso basato su possesso, gelosia ( e qui rimando a quanto detto in : la gelosia è una prova d'amore o anticamera del femminicidio \ amore malato ? secondo me la risposta sta nel mezzo https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2025/06/la-gelosia-e-una-prova-damore-o.html ) controllo e paura, che può sfociare in violenza.Nel caso di Cene, il movente della gelosia e l'atto finale di violenza indicano chiaramente una relazione in cui i concetti di amore e rispetto erano stati gravemente distorti o persi, portando a un epilogo devastante. L'amore non uccide, non controlla e non porta al suicidio in seguito a un omicidio.È importante chiamare le cose con il loro nome: si tratta di una tragedia, un atto di violenza omicida, non una manifestazione d'amore

9.6.25

incredibile ma vero . Uccide la moglie e si spara, i parenti scelgono un unico funerale. Il parroco: «Nonostante il dolore celebriamo l’amore» .

  dopo   tale  notizia   del femminicido  di castel  vetrano  ( qui  i fatti 



per    il quale  , l’avvocato Lorenzo Rizzuto, legale e portavoce della famiglia Campagna coinvolta nell’omicidio-suicidio di Castelvetrano (Trapani) dei coniugi Mary Bonanno e Francesco Campagna, invita la stampa «a trattare la vicenda con la massima discrezione, evitando la spettacolarizzazione e la diffusione di particolari non essenziali e non accertati, al fine di tutelare la memoria delle vittime e il diritto delle famiglie a vivere questo momento di immane dolore nel raccoglimento e nella riservatezza». «Pur riconoscendo il diritto di cronaca e la rilevanza sociale della corretta informazione – scrive l’avvocato – la continua esposizione mediatica, la diffusione di dettagli privati e la pubblicazione di notizie non sempre verificate e veritiere rischiano di amplificare la sofferenza delle figlie, dei familiari, dei parenti e degli amici, nonché di ostacolare il sereno svolgimento delle indagini in corso». «Inoltre – prosegue il legale – in occasione della cerimonia funebre, chiediamo formalmente di astenervi dall’effettuare riprese video, fotografie o filmati all’interno del luogo di culto durante lo svolgimento della funzione religiosa. Riteniamo che il rispetto della dignità delle persone coinvolte debba prevalere su ogni altra considerazione, in linea con la normativa vigente in materia di protezione dei dati personali, nonché con i principi deontologici della professione giornalistica e i limiti previsti dal diritto di cronaca».
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eccone  un  altra  strana  .  


Uccide la moglie e si spara, i parenti scelgono un unico funerale. Il parroco: «Nonostante il dolore celebriamo l’amore»

Saranno celebrati insieme nella chiesa parrocchiale di Cene, in provincia di Bergamo, i funerali di Elena Belloli e Rubens Bertocchi, moglie e marito morti giovedì pomeriggio nella loro casa di via Fanti, quando l'uomo l'ha uccisa con diversi colpi di pistola calibro 22 regolarmente denunciata e poi si è suicidato
Lo ha annunciato il parroco, don Primo Moioli: «Ringrazio le famiglie - ha detto don Primo - che con

questa scelta hanno dato il più grande segno di fede. Quel funerale è amore: nonostante le fatiche e il dolore che abbiamo nel cuore, celebreremo l'amore. Che Dio gliene renda merito». È una comunità smarrita e attonita quella di Cene, ma, come è stato più volte ricordato nella Messa pregando in particolare per i due figli, «questo è il tempo del silenzio e della preghiera». E il parroco ha chiesto «allo Spirito Santo, nella solennità della Pentecoste, di illuminare e scaldare con il suo soffio queste ore tragiche».
Il delitto giovedì scorso nel tardo pomeriggio a Cene, comune di poco più di 4 mila abitanti della valle Seriana, in provincia di Bergamo. A trovare i corpi di Elena Belloli e Rubens Bertocchi, di 51 e 55 anni, sono stati i vigili del fuoco, allertati dal figlio ventenne della coppia che non riusciva ad entrare in casa. Impiegata lei, guardia giurata lui, la coppia viveva coi due figli in un appartamento di un edificio a tre piani. Sul posto sono intervenuti i carabinieri della Compagnia di Clusone e del Nucleo investigativo di Bergamo, a cui sono state delegate le indagini coordinate dal sostituto procuratore Giampiero Golluccio. I militari hanno perquisito l'abitazione, messa sotto sequestro, alla ricerca di eventuali scritti che possano spiegare la tragedia, per ora senza un apparente motivo. Bertocchi, poco prima di togliersi la vita e dopo aver sparato alla moglie sei colpi, di cui due l’hanno raggiunta al petto, ha inviato un messaggio al cellulare di un amico comune della coppia, il cui senso era: «L'ho uccisa e ora mi sparo». Nel messaggio l'uomo avrebbe fatto riferimenti alla scoperta di un rapporto extraconiugale della moglie, anche se al momento gli inquirenti non avrebbero trovato conferma a questo aspetto e non è escluso che si sia trattato di una convinzione sbagliata del marito.
L'uomo, ex commerciante di generi alimentari e che ora lavorava come portinaio di un palazzo a Bergamo, aveva regolarmente detenuta la pistola calibro 22 per uso sportivo.

8.6.25

la gelosia è una prova d'amore o anticamera del femminicidio \ amore malato ? secondo me la risposta sta nel mezzo

 leggo  sull'unione  sarda  del  7\6\2025 


  mi  chiedo  come  da  titolo la  gelosia   è una  prova  d'amore   o  anticamera  del  femminicidio  \  amore  malato  ?
 Secondo   me    la   risposta     sta  nel  mezzo   .
Ai   tempi  miei   si  diceva   : «l'amore  non  è bello   se  non  è litigarello »  ovviamente    senza  eccedere   ed   evitare il più possibile  violenze   fisiche e  psicologiche  ). Infatti  la gelosia è un sentimento complesso e ambivalente. Da un lato, può essere vista come una manifestazione di attaccamento e desiderio di esclusività nella relazione. Tuttavia, quando diventa eccessiva e si trasforma in controllo, possesso o ossessione, può sfociare in dinamiche tossiche e persino violente.Alcuni studi e riflessioni sottolineano come il femminicidio non sia il risultato di "troppo amore", ma piuttosto di una mentalità possessiva e di dominio². L'idea che la gelosia sia una prova d'amore può contribuire a normalizzare comportamenti dannosi, rendendo difficile distinguere tra un legame sano e uno pericoloso¹. Inoltre, attribuire il femminicidio alla gelosia può essere fuorviante, poiché spesso dietro questi atti ci sono motivazioni più profonde, come vendetta, disperazione o opportunismo³.La chiave per una relazione sana è il rispetto reciproco e la libertà individuale. La gelosia può essere gestita attraverso la comunicazione e la fiducia, evitando che si trasformi in un meccanismo di controllo. Se vuoi approfondire il tema, puoi leggere questo articolo o i link  delle  note    prima  citate  . 

Dall'esperienza     che    ho  avuto    fin ora   posso non  biasimare  i  ragazzi  del sondaggio  (  vedere  l'articolo citato  )   e   confermare       quando  dice  la  risposta      che  ho  ottenuto   su Google Gemini  IA  di google  

La gelosia è un'emozione complessa che può manifestarsi in modi molto diversi e, di conseguenza, avere effetti diametralmente opposti sull'amore e sulle relazioni. Non è intrinsecamente "utile" o "tossica" in assoluto, ma la sua intensità, le sue cause e il modo in cui viene gestita determinano il suo impatto.

La gelosia "sana" o fisiologica

In piccole dosi, la gelosia può essere considerata una reazione umana naturale a una percepita minaccia di perdita di qualcosa di prezioso, in questo caso il partner e la relazione. Può segnalare che si tiene molto all'altra persona e che si ha paura di perderla. Questa forma di gelosia può persino avere alcuni aspetti positivi:

  • Promemoria del valore: Può ricordare a entrambi i partner di non darsi per scontati e di apprezzarsi a vicenda.
  • Motivazione a prendersi cura: Può spingere a impegnarsi di più nella relazione, a comunicare meglio e a rafforzare il legame.
  • Segnale di attenzione: Un pizzico di gelosia può essere interpretato come un segno di interesse e affetto, a patto che non sfoci in controllo.

Questa gelosia "sana" è solitamente transitoria, basata su un evento specifico (es. qualcuno che flirta palesemente con il partner) e non si traduce in comportamenti di controllo o aggressività.

La gelosia tossica e patologica

Quando la gelosia diventa eccessiva, irrazionale e ossessiva, essa si trasforma in un sentimento estremamente dannoso e tossico per la relazione e per la salute psicologica di entrambi i partner. Questa forma di gelosia è spesso radicata in:

  • Profonda insicurezza e bassa autostima: Il geloso patologico spesso teme di non essere abbastanza e che il partner possa trovare di meglio, delegando all'altro la propria autostima.
  • Paura dell'abbandono: Il timore di essere lasciati porta a un bisogno disperato di controllo.
  • Problemi di fiducia: Mancanza di fiducia nel partner e/o in se stessi.
  • Desiderio di possesso: La convinzione che l'altro "appartenga" a sé, negando l'autonomia e l'individualità del partner.
  • Traumi passati: Esperienze pregresse di tradimento o abbandono possono alimentare la gelosia.

La gelosia tossica si manifesta attraverso comportamenti distruttivi come:

  • Controllo ossessivo: Monitorare costantemente il partner (telefonate, messaggi, social media, uscite, ecc.).
  • Accuse infondate: Sospetti e scenate per ogni comportamento del partner, anche innocuo.
  • Isolamento sociale: Tentare di allontanare il partner da amici e familiari.
  • Umiliazione e denigrazione: Sminuire il partner per rafforzare il proprio senso di controllo.
  • Aggressività: Verbale, psicologica e, nei casi più gravi, fisica.

Gelosia e femminicidio: un legame tragico

È fondamentale sottolineare che la gelosia tossica e patologica è un campanello d'allarme serio e un fattore di rischio significativo per la violenza domestica e, nei casi più estremi, per il femminicidio. La gelosia non è amore, ma paura e desiderio di controllo. Quando un individuo si sente minacciato dalla perdita di questo controllo, può reagire con violenza estrema. La narrazione secondo cui "la gelosia è una prova d'amore" è estremamente pericolosa e fuorviante; al contrario, è spesso l'anticamera di abusi e tragedie.

La legge italiana, e la giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha chiarito che la gelosia non è considerata una causa di attenuazione della pena in caso di omicidio, poiché non rientra negli stati emotivi o passionali che escludono o diminuiscono l'imputabilità. Questo rafforza il concetto che la gelosia non giustifica né attenua la violenza.

Conclusione

In sintesi, un lieve e occasionale senso di gelosia può far parte della dinamica di una relazione, ma la gelosia cronica, irrazionale e basata sul possesso è profondamente distruttiva. È un'emozione che nasce dalla paura e dall'insicurezza, non dall'amore.Se la gelosia diventa un problema nella tua relazione, è cruciale affrontarla attraverso la comunicazione aperta e, se necessario, con l'aiuto di un professionista (psicologo o terapeuta di coppia). Se la gelosia si manifesta con comportamenti di controllo, minacce o violenza, è fondamentale cercare aiuto immediatamente, perché la situazione può degenerare rapidamente.

  Note  

21.5.25

Tutto quello che so sulla Palestina, sull'amore.. e sul sionismo

"Spesso, leggendo i commenti sotto i video o post che parlano del genocidio di Israele contro il popolo palestinese, si nota molta confusione. Tante persone non sanno nemmeno cosa sia il sionismo e
l'ideologia sionista" .

A spiegarlo, in modo chiaro e diretto, é Karem Rohana, un attivista italo palestinese, nato ad Haifa da padre palestinese e mamma italiana.

Ascoltatelo con attenzione, ne vale veramente la pena, per l'analisi lucida e spietata che fa di un popolo ma anche per l'amore che invita a coltivare anche quando l'ultima fiammella di speranza sembra spegnersi. E un invito finale su tutti, quello di non perdere la nostra umanità e la nostra capacità di sentire l'altro come portatore di diritti uguali ai nostri.Un capolavoro di video. È di una potenza inaudita, un dono prezioso per chiunque l'ascolti, infonde consapevolezza e umanità. Grazie per essere il cambiamento in questo mondo assopito da un sistema al potere che ci vuole tutti buoni e zitti, individualisti e manipolati inconsapevoli
La delicatezza con cui hai trattato tanta sofferenza è imbarazzante. La tua profondità di pensiero è estremamente rara. Il tuo cuore è grande. Grazie

9.5.25

Minori e social: la disintegrazione della realtà, del corpo e dell’amore Occorre ripartire dal corpo come luogo di incontro e di dignità. Prima che l’amore diventi una notifica di Emiliano morrone





da https://www.corrieredellacalabria.it/  del  9 maggio 2025  025/05/09/

la lente di emiliano
Minori e social: la disintegrazione della realtà, del corpo e dell’amore
Occorre ripartire dal corpo come luogo di incontro e di dignità. Prima che l’amore diventi una notifica, e il nostro futuro soltanto un archivio di contenuti consunti, passati, inattuali
Pubblicato il: 09/05/2025 – 7:15



                                      di Emiliano Morrone
Sara ha tredici anni, un telefono nuovo, una connessione stabile e una madre che lavora da mattina a sera in un call center. La minore ha capito presto come funzionano TikTok, Instagram, Telegram. Ha imparato che un sorriso inclinato, un’ombra di trucco e un taglio obliquo della webcam attirano like e messaggi diretti. Di recente, un utente con la foto del profilo falsa le ha scritto: «Se apri un canale ti pago. Facciamo soldi facili, fidati». Sara non ha risposto, ma ci ha pensato. È qui che si gioca il dramma del nostro tempo: nell’ambiguità tra virtuale e reale, in cui il corpo si trasforma in merce e la relazione in simulacro, il desiderio non è più incontro ma algoritmo e l’amore scompare nell’archivio dei contenuti suggeriti.
I social media – lo dicono anche gli studi dell’American Psychological Association e del Pew Research Center – stanno modificando profondamente la percezione della realtà nei minori. I più giovani trascorrono fino a otto ore al giorno online, in uno spazio in cui la corporeità è filtrata, la parola ridotta a codice e l’altro diventa funzione del proprio bisogno momentaneo di conferme. Non è solo alienazione, è una vera e propria ridefinizione dell’identità, che avviene fuori dalla relazione reale, nel regno della performance permanente.
Tra video brevi, selfie iper-editati e “challenge” che vanno dalla danza erotizzata al pericolo fisico, si innesta un concetto distorto della sessualità, privo di profondità emotiva, depurato dell’esperienza reciproca, privato di pudore e di attesa. L’innamoramento, quel lento, fragile, irriducibile processo di scoperta dell’altro, oggi appare un’anomalia: non serve più in un sistema che propone il corpo come prodotto, l’interazione come automatismo e la relazione a portata, ritmo e valore di click.
Eppure, non è finzione narrativa. Anzi, è già realtà quotidiana. Il National Center for Missing and Exploited Children ha denunciato un’impennata del materiale sessuale autoprodotto da minorenni, diffuso su piattaforme dove, tra le pieghe dell’intrattenimento, si promuovono accessi a contenuti per adulti con link mimetizzati e linguaggio accattivante. Il fenomeno si chiama “sextortion” e, nel 2024, ha coinvolto centinaia di adolescenti italiani, spesso incapaci di denunciare per vergogna o ricatto.
Le falle del Codice penale italiano
Sul piano del diritto, le falle sono enormi. Il Codice penale italiano all’articolo 600-quater punisce la detenzione di pornografia minorile, ma resta incerta la qualificazione dei contenuti in cui i minori sono autori e protagonisti. I social, per parte loro, si rifugiano nelle clausole di responsabilità limitata e nell’alibi del controllo algoritmico. Le famiglie spesso non capiscono; le scuole non riescono a contenere il fenomeno; lo Stato tace. Il punto è che non siamo arrivati fin qui per caso. La televisione commerciale aveva già aperto la strada, dagli anni Ottanta, trasformando il corpo in superficie da monetizzare. “Drive In” – la trasmissione-manifesto di un’Italia che scopriva il varietà volgare – è stato l’inizio della seduzione come strategia pubblicitaria, della donna come provocazione comica, della sessualità come linguaggio mainstream, sfruttato, normalizzato, venduto a pacchetti pubblicitari. Il web non ha inventato nulla. Ha solo accelerato, amplificato e personalizzato il modello. Ora ognuno può diventare protagonista della propria televendita erotica. Basta uno smartphone. E se hai meno di diciotto anni, poco importa. Le transazioni sono legittime, i circuiti bancari funzionano, le piattaforme incassano e ringraziano.
Il caso di “Ika D’Auria”
Emblematico è il caso di “Ika D’Auria”, una giovane italiana diventata una celebrità digitale. Il suo profilo Instagram conta oltre 839mila follower e diversi milioni di visualizzazioni ogni mese, con foto e video della ragazza che alternano ironia, sensualità e uno stile di vita ostentato. Questa instagrammer costruisce attorno a sé una narrazione che mescola autenticità simulata e strategie di engagement apprese in rete. Nulla è lasciato al caso: pose, luci, filtri, sottotitoli. È una regia continua, finalizzata a ottenere attenzione, consenso, lucro. Il corpo, anche qui, è il mezzo e il messaggio. Alla fine, è questo il cuore del problema: l’accettazione totale del corpo come merce; anche quando, spesso, si tratta di un corpo in formazione, di un volto ancora impacciato, di un’identità fragile. Il capitalismo contemporaneo, nella sua versione digitale e sregolata, non ha limiti morali o simbolici: se qualcosa può essere venduto, sarà venduto. Se può generare traffico, sarà promosso. Se può essere pagato, sarà normalizzato. L’essenziale è che esista una transazione, un numero di carta, una banca pronta a mediare tra domanda e offerta.
Un problema che riguarda tutti
Così si perdono i confini tra il gioco e il pericolo, tra l’espressione e la manipolazione, tra la libertà e il ricatto. Così si perde l’altro, nella sua alterità irriducibile, nella sua complessità, nella sua corporeità irripetibile. Così si perde l’amore, non quello retorico da fiction televisiva, ma quello reale, imperfetto, che passa dallo sguardo incerto, dalla parola tremante, dal rispetto dei tempi altrui. E si perde anche il sesso, ridotto a protocollo commerciale, privato del suo mistero e del suo potere trasformativo. È un problema che riguarda tutti: genitori, docenti, politici, imprenditori, giornalisti. È la grande questione culturale e civile del nostro tempo. Non possiamo più fingere di non vedere. La tutela dei minori non va lasciata alle regole d’uso di una piattaforma americana o al filtro casuale di un’app. Serve una presa di coscienza collettiva. Occorre ripartire dal corpo come luogo di incontro e di dignità, dalla scuola come spazio di educazione affettiva e critica, dalla politica come argine e visione. Prima che l’amore diventi una notifica, e il nostro futuro soltanto un archivio di contenuti consunti, passati, inattuali.

30.4.25

il dolce e l'amaro



canzoni suggerite
L'amore in bocca ., Ho paura di tutto  - I santi francesi
Bolormaa - Csi




« Nella vita c'è il dolce e l'amaro è un uomo[ e una anche un a dona aggiunta mia ] le deve prendere tutte e due » da Il dolce e l'amaro film italiano del 2007 diretto da Andrea Porporati  )
foto creata  con Ia  tramite  https://www.freepik.com/

  Ma  per paura  di soffrire  e  voler essere felici a tutti i costi   abbiamo  dimenticato  o facciamo finita    che  nella  vita   \  per  costruire  un  opera  d'arte  entrambe  sono necessarie  una  all'altra  .  E ..... 

 Ah, il dolce e l'amaro, un binomio così presente nelle nostre vite!   

Esatto 

Pensa ,  come  stavo  dicedo  prima , a come spesso le gioie più intense portino con sé una sottile ombra di malinconia, la consapevolezza che nulla è eterno. Un tramonto mozzafiato, ad esempio, è splendido ma segna anche la fine del giorno. Oppure, il ricordo di una persona cara che non c'è più può scaldare il cuore ma anche stringerlo di nostalgia.

 E'  vero     e  quindi   ....

Allo stesso modo, a volte le esperienze più difficili possono rivelare inaspettate fonti di forza interiore e portare a una crescita personale che altrimenti non avremmo conosciuto. È come un caffè amaro che, pur non essendo dolce, può risvegliarti e darti la carica per affrontare la giornata.
Questa dualità è intrinseca all'esistenza. Accettare e comprendere questo intreccio di sensazioni opposte può renderci più resilienti e capaci di apprezzare pienamente ogni sfumatura della vita.

 cioè non vedere  sotto tutto nero  o tutto  bianco   


24.3.25

Paolo, l'ex tossico con un figlio morto per droga dona un rene alla compagna sotto dialisi per la Granulomatosi di Wegenerm e le salva la vita: «La gente a cui voglio bene non deve più morire»

 Quella      d'oggi  è la storia di Paolo, uscito dalla tossicodipendenza dopo anni a San Patrignano e con un figlio

morto proprio per droga. Un uomo di 46 anni che ha incontrato una nuova compagna, Elisa di 34 anni, e ha iniziato una nuova vita.Tre anni dopo però la donna, fin da piccola affetta da una malattia renale e sotto dialisi per la Granulomatosi di Wegenerm ha bisogno di un trapianto. Ad offrirsi per la donazione è lui, che dopo gli accertamenti del caso viene ritenuto idoneo e si procede con l'intervento.La loro storia è stata raccontata da Le Iene. «Sono stanco di vedere la gente a cui voglio bene morire... non deve più morire nessuno. Dio mi ha fatto campare per dare il rene a qualcuno», ha detto dopo l'operazione.

Il trapianto a Torino

Il primo trapianto era stato effettuato sulla donna nel 2015 e la donatrice era stata la mamma di lei, ma l'organo aveva ormai esaurito la sua funzione. La procedura di accertamento è stata effettuata nella Nefrologia dialisi trapianti (diretta da Luigi Biancone - responsabile del programma di trapianto rene).'intervento chirurgico è stato eseguito da Aldo Verri (direttore
della Chirurgia vascolare ospedaliera), Andrea Agostinucci, Paolo Gontero (direttore della Clinica urologica universitaria) e da Andrea Bosio con l'assistenza anestesiologica di Chiara Melchiorri (Anestesia e Rianimazione 2 - diretta da Maurizio Berardino). Successivamente la coppia è stata ricoverata all'unità semintensiva della Nefrologia, gestita dall'équipe nefrologica.Cinque giorni dopo il trapianto lui era già a casa e lei fuori dalla dialisi con una funzione renale ottima. «Quella del donatore è una doppia vittoria: contro la malattia di lei e per una nuova vita insieme» spiega Biancone.Una  storia    d'amore    e  di riscatto . Infatti Danilo   Ha corteggiato la morte da tossicodipendente, ha visto la droga portarsi via un figlio. Si è stancato e ha scelto la vita. "Dio mi ha fatto campare per dare il mio rene a qualcuno". Fuori dalla sala operatoria delle Molinette il 5 marzo c’era un uomo felice. Poco distante la sua compagna, uscita dal tormento della dialisi grazie al compagno. In sottofondo un coro: ma come, un drogato che dona un rene. Proprio così, da relitto a eroe, in una resurrezione partita da dentro con il via libera dei medici. Fuori dall’incubo e pronto per una strada nuova, anche il Cammino di Santiago che adesso potranno percorrere in due, un rene a testa.
Danilo ha 46 anni e si è rimesso in piedi dopo le ricadute e gli anni a San Patrignano. Elisa ha attraversato la via crucis della Granulomatosi di Wegernerm, una malattia renale che da quando era piccola la costringeva a stare attaccata a una macchina. Nel 2015 era stata la mamma a offrire un pezzo di sé, ma ormai l’organo aveva esaurito la sua funzione e il calvario era ricominciato. Si conoscono quando la ragazza ha poco più di trent’anni, una felicità breve e poi la sentenza: indispensabile un nuovo trapianto.Il primo a offrirsi è lui e vengono avviate le procedure di accertamento nel reparto di Nefrologia diretto da Luigi Biancone. Si può fare, si fa. Cinque giorni dopo l’uomo è già a casa e la sua compagna esce dalla dialisi con una funzione renale ottima. Doppia vittoria del donatore, spiega il dottor Biancone: contro la malattia e per una nuova vita insieme. I professionisti concentrati su un intervento multidisciplinare riconoscono il lato romantico della storia. Gli innamorati scalpitano: "Abbiamo sempre tanti progetti, un sacco, di idee – dice la donna – ma nell’ultimo anno la mia dialisi ci ha limitati".Racconta l’amore per la montagna, il mare, il trekking. Santiago è già in agenda: "Per adesso gli ultimi cento chilometri, che si fanno in una settimana". Con due reni in due, perché no. E poi il matrimonio: "Ci eravamo detti che ci saremmo sposati dopo il trapianto". Lui è andato alle Iene a raccontare l’avventura: "Con il mio passato non ho più nulla a che fare, da dodici anni non faccio uso di sostanze. Dirlo ha voluto essere un messaggio di speranza per tutti, anche per chi è ancora dentro la tossicodipendenza". Molti dubbi sui social, ma la ragazza rasserena la platea: "Per fortuna non aveva danni a livello fisico e nemmeno malattie infettive. Prima del trapianto sono stati fatti esami per un anno e mezzo e il suo corpo e il rene che adesso è il mio sono completamente sani". Ha avuto paura, come no. "Ero preoccupata per lui, perché non è un intervento da poco".Ora sono messi così: lei ha ancora i punti, lui la fascia. Deve passare un mese perché si rimettano del tutto. "Ma è bellissimo – dice – Prima andavamo in ospedale perché io stavo male, adesso per i controlli". Le scarpe sono pronte, la strada che li aspetta se la immaginano lunghissima.

  estratta   tramite    il   portale msn.it   dai siti   :

1.2.25

risposta a chi dice che L'ulisse di omero è portavoce di una mascolinità tossica

 

Sapete che nell’Odissea c’è una delle scene d’amore più belle e commoventi di tutta la letteratura? E no, non sto parlando di Penelope. So che oggi va di moda dire che Omero è il capostipite della <<mascolinita tossica >>, eppure quest’autore ci ha lasciato una delle scene d’amore più commoventi mai scritte! Vedete, la storia di Ulisse è una storia di viaggi, di avventure, ma soprattutto la storia di un uomo che desidera una cosa sopra tutte: tornare a casa! E finalmente dopo vent’anni Ulisse torna nella sua amata Itaca.
Questo è uno dei momenti, a mio avviso , più intessi di tutta l’Odissea: Ulisse vede la sua città, vede suo figlio Telemaco che ormai è diventato un uomo. E in quell’istante lo assale un moto di nostalgia, perché si accorge di quanto il tempo sia volato. Ulisse però si traveste da mendicante per non farsi riconoscere dal Proci che avevano usurpato il suo trono. E cosa accade? Che nessuno lo riconosce !Non lo riconosce suo figlio, non lo riconosce sua moglie, non lo riconosce la sua gente! Tutti vedono soltanto i suoi abiti laceri, i suoi capelli incolti e lo scambiano per un << vecchio mendicante>>. Soltanto uno tra tutta la gente di Itaca , lo conosce: Argo , il suo cane. Vedete, per un cane puoi essere un principe, un re o un mendicante , un cane ti ama a prescindere. Ad Argo non gli importa nulla dell’aspetto di Ulisse, non si cura di cosa indossa, di come appare, gli basta sentire la sua voce per riconoscerlo! E subito dopo muore. Ecco, io mi ricordo che quando lessi questa scena, ero alle scuole medie , per la prima volta mi commossi. Argo aveva conservato il suo ultimo respiro per Ulisse. E si, un’epoca di relazioni usa e getta, vi diranno che in fondo non c’è nulla di così straordinario in questa scena. Perché cose come l’amicizia la realtà e l’amore che sopravvive alla lontananza sono riconpensibili in una società che ha fatto dell’assenza dei legami una coda. Ecco perché in un mondo tanto cinico come quello di oggi vi auguro di avere qualcuno che vi ami non per ciò che siete, ma per chi siete, e che vi guardi negli occhi con la stessa dedizione che Argo ha avuto per Ulisse.

2.1.25

diario di bordo n 95 anno III La coppia con l'autismo scoperto da adulti: «L'ansia per i vestiti, al supermercato con le cuffie anti rumore» .,A 8 anni sopravvive 5 giorni in un parco con leoni in Zimbabwe




La coppia con l'autismo scoperto da adulti: «L'ansia per i vestiti, al supermercato con le cuffie anti rumore»

Ripubblichiamo l’intervista di Enea Conti a Martina Monti e Pippo Marino, pubblicata ad aprile, una delle più apprezzate dalle nostre lettrici e dai nostri lettori nel 2024

«La percezione è che la gente non abbia idea di che cosa sia l’autismo. Tanti pensano a Rain Man il film con Tom Cruise e Dustin Hoffman. Altri pensano al bambino che si dà i

pugni in testa. Ma la verità, anzi, la realtà è un'altra ed è molto diversa». Martina Monti, 35 anni, e Pippo Marino, 48 anni, sono marito e moglie. Lei, impiegata in un patronato Cgil a Ravenna, con alle spalle un passato da assessore comunale, lui, insegnante di inglese, vicepreside del Liceo artistico della città. Hanno deciso di raccontare la loro storia personale: entrambi hanno ricevuto una diagnosi da adulti. Una parte della popolazione su cui non esistono dati di incidenza di questo disturbo mentre al contrario è noto che in Italia 1 bambino su 77 ha ricevuto una diagnosi di autismo. Martina e Pippo si sono conosciuti nel 2017. 

«Fu un innamoramento lentissimo, ed entrambi siamo arrivati insieme a ricevere questa diagnosi». Spesso, però, tanti adulti con disturbi dello spettro autistico non riescono ad intraprendere alcun percorso. «Io, Martina, ho fatto anni di psicoterapia e ho scoperto spesso che la psicoterapia non è tarata sull’autismo lieve e quindi sull’autismo nell’adulto. Nessuno mi ha mai suggerito di pensare allo spettro autistico. Nonostante i soldi investiti sulla psicoterapia. Vogliamo raccontare la nostra storia per fornire un input ad altre persone in difficoltà».

Martina e Pippo, come siete arrivati alla diagnosi da adulti?

«Una cara amica di Martina ha un figlio che soffre di disturbi dello spettro autistico e lei stessa è arrivata alla stessa diagnosi dopo aver notato certe similitudini tra i propri comportamenti e quelli del figlio. In Martina rivedeva alcuni comportamenti simili ai suoi e Martina, a sua volta, vedeva in me comportamenti altrettanto simili. Entrambi abbiamo sempre avuto a che fare con gli psicoterapeuti perché i nostri problemi di ansia, cito in particolare l’ansia sociale. Questa nostra amica ci ha consigliato il centro "Cuore mente lab" di Roma, tra i pochi specializzati in Italia per quel che riguarda i disturbi dello spettro autistico negli adulti. A Roma venne fuori che entrambi rientravamo non solo all’interno dello spettro autistico ma anche nel adhd ovvero il disturbo da deficit di attenzione/iperattività. Altro disturbo frequentemente diagnosticato nei bambini ma meno negli adulti».

Video consigliato: Viaggiare Con L'Autismo: 5 Consigli Per Le Situazioni Stressanti (unbranded - Lifestyle Italian)

Potete fare un esempio concreto, tratto dalla vita di tutti i giorni?

Martina: «Banalmente stare fermi davanti a una scrivania per otto ore a lavoro per una persona neurotipica può sembrare la cosa più banale, facile e normale del mondo. Per chi come me ha un adhd, che sono iperattiva e faccio un lavoro impiegatizio è molto dura: devo necessariamente muovere le mani, per esempio con le palline o il fidgets spinner. Non è un disagio da poco e non è immaginabile da un neurotipico. Che magari può comprendere in senso assoluto il bisogno di muoversi ma non può intuire il nostro punto di vista. Ecco, immaginate quanto possa essere terribile fare un colloquio di lavoro: può capitare di mostrare certi atteggiamenti come mangiarsi le unghie – e faccio solo un esempio - che se esplicitati da una persona neurotipica tradiscono insicurezza, nervosismo, svogliatezza ma che nel mio caso sono semplicemente manifestazioni di iperattività, e quindi un disturbo».
Pippo: «Io ho sempre avuto la sensazione di essere diverso dagli altri. Spesso venivo emarginato, subivo bullismo, non riuscivo ad adeguarmi ai giochi che facevano gli altri bambini. Per compensare ho iniziato a fare il "camaleonte", imitavo. Durante l’infanzia gli altri bambini, durante l’adolescenza gli altri ragazzini e così via. Insomma cercavo di essere accettato dalla microsocietà di cui facevo parte. Pensavo in qualche modo di essere sbagliato o mal funzionante, per questo cercavo di imitare gli altri. È stata una sofferenza: non sei autentico ma indossi una maschera. Non uso termini casuali: in gergo medico questa tendenza si chiama proprio masking. E il masking genera ansia, attacchi di panico e talvolta il ricorso a psicofarmaci, per esempio antidepressivi. Va fatta però una premessa. Diciamo un masking buono: viviamo in un mondo fatto per neurotipici e questo è un dato di fatto. Il masking talvolta serve per sopravvivere. Ma c’è anche un masking cattivo che implica lo snaturarsi, l’essere completamente un’altra persona senza lasciare un briciolo di spazio alla propria soggettività. Succede che perdi te stesso e cominci ad avere attacchi di panico

Lei Martina, ha un passato da assessore. Neppure troppo recente, la sua nomina risale al 2011. E la premessa è che oggi ha 35 anni all’epoca ne aveva 23. Giovanissima. Come visse quell’esperienza?

«Gli autistici hanno interessi "assorbenti", interessi da cui vengono interamente assorbiti per tutta la giornata. Io non facevo altro che leggere libri di politica nazionale e internazionale e locale. Ero informatissima sulla "teoria" politica ma anche sui discorsi che questo o quel politico facevano. E quindi "camaleonticamente" ero perfettamente in grado di tenere un discorso in pubblico. Poi una volta diventata assessore si palesò la necessità di confrontarsi direttamente con le persone, elettori, colleghi, cittadini. E bisognava farlo con una delega complicata come quella alla Sicurezza e tempo da investire per studiare e laurearmi in giurisprudenza. All’epoca non sapevo di essere autistica: l’interazione sociale era diventata insostenibile, tanto che fui ricoverata due volte al pronto soccorso perché avevo sofferto di coliche allo stomaco. I medici dissero che erano dovute al fatto che non si decontraeva più per lo stress. Posso dire che probabilmente non rifarei tornando indietro nel tempo l’esperienza di assessore».

Che percezione credete abbia la società delle persone con disturbo dello spettro autistico?

«La percezione è che la gente non abbia idea di che cosa sia l’autismo. Tanti pensano a “Rain Man” il film con Tom Cruise e Dustin Hoffman. Quando va male in tanti pensano al bambino che si dà i pugni in testa. Ma la verità è che non si ha la più pallida idea di che cosa sia l’autismo. A volte la sensazione è che la società considera gli autistici dei "poveri handicappati" talvolta, azzardiamo, anche con un’accezione negativa screditante. La verità è che la definizione “spettro autistico” ha un significato preciso e ampio: c’è una gamma enorme di sfumature. Ci sono le persone non verbali, che non riescono a comunicare e a interagire. Sono casi gravi e difficili. E poi ci sono altri casi: noi per esempio siamo stati diagnosticati ad alto potenziale cognitivo. Ma anche con un q.i. superiore alla media abbiamo difficoltà notevoli. Martina ha avuto diritto alla legge 104 per avere una riduzione dell’orario di lavoro necessaria ad evitare il burnout. Significa andare in esaurimento mentali da sovrastimoli».

Che cosa intendete per sovrastimoli?

«Vale la pena fare un esempio. Non faccio più la spesa. Entrare al supermercato costa uno stress pari a un giorno di lavoro intero: luci alte, le persone intorno, il fastidio di essere toccati. Quando ci vado devo andarci con le cuffie anti rumore, perché sono "iper-uditiva". C’è chi, invece, soffre molto le luci perché percepisce molti più input luminosi rispetto al normale. Personalmente, molti vestiti mi fanno venire l’ansia se indossati, certe texture mi innervosiscono. Sono esempi di sovrastimoli».

La vostra storia è stata raccontata parecchie volte in questi giorni. Il motivo che vi ha spinto a renderla nota?

«Creare un po’ di curiosità. Tante persone si riconosceranno in alcuni tratti nella nostra storia. E magari molte di loro, che forse sono in cura per l’ansia o altri disturbi, potrebbero scoprire che in realtà hanno un problema di neuro divergenza. Per loro sarà una porta da aprire per vivere in pace. Non ci illudiamo e non illudiamo nessuno, la qualità della vita è pressoché la stessa dopo la diagnosi: noi però siamo molto più consapevoli, non ci colpevolizziamo per quello che siamo, come un tempo e ci accettiamo. È molto liberatorio poter dire "non sono io che non funziono ma sono neuro divergente". Io, Martina, ho fatto anni di psicoterapia e ho scoperto spesso che la psicoterapia non è tarata sull’autismo lieve e quindi sull’autismo nell’adulto. Nessuno mi ha mai suggerito di pensare allo spettro autistico. Nonostante i soldi investiti sulla psicoterapia ero sempre allo stesso punto».


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(ANSA) - ROMA, 02 GEN - Un bambino di otto anni è stato trovato vivo dopo essere sopravvissuto per cinque giorni in un parco abitato da leoni ed elefanti nel nord dello Zimbabwe. Lo scrive la Bbc citando un membro del parlamento del Paese.IL calvario è iniziato quando il ragazzino, Tinotenda Pudu, si è perso a 23 km da casa nel "pericoloso" Matusadona Game Park, ha detto su X il parlamentare del Mashonaland West Mutsa Murombedzi. 


Il bambino ha trascorso cinque giorni "dormendo su uno sperone di roccia in mezzo a leoni ruggenti, elefanti e mangiando frutti selvatici", ha detto. Il parco giochi di Matusadona conta circa 40 leoni e per un periodo ha avuto una delle più alte densità di popolazione di questi animali in Africa, secondo African Parks citato da Bbc. Murombedzi ha detto che il bambino ha usato la sua conoscenza della natura selvaggia e le sue abilità di sopravvivenza per rimanere in vita. Tinotenda è sopravvissuto mangiando frutti selvatici, ha scavato piccoli pozzi nei letti asciutti dei fiumi con un bastone per procurarsi acqua potabile, un'abilità che viene insegnata in questa zona soggetta a siccità. I membri della comunità locale di Nyaminyami hanno organizzato una squadra di ricerca e hanno suonato tamburi ogni giorno per riuscire a riportarlo a casa. Alla fine sono state le guardie forestali a recuperare il bambino: al suo quinto giorno nella natura selvaggia, Tinotenda ha sentito l'auto di una guardia e le è corso incontro mancandola di poco, ha detto il parlamentare. Fortunatamente, le guardie forestali sono tornate indietro e hanno individuato "piccole impronte umane fresche", hanno quindi setacciato la zona finché non lo hanno ritrovato. "Questa era probabilmente la sua ultima possibilità di essere salvato dopo 5 giorni nella natura selvaggia", ha detto il parlamentare  Il parco ha una superficie di oltre 1.470 km quadrati e ospita zebre, elefanti, ippopotami, leoni e antilopi. Sui social media, gli utenti hanno celebrato la forza e l'istinto di sopravvivenza del bambino: "Avrà una storia incredibile da raccontare quando tornerà a scuola". (ANSA).

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