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18.11.24

non sempre è necessario abortire la storia di laura malata di oloprosencefalia alobare, una malformazione congenita del cervello

 Le voci di Andrea Celeste e di Francesco si sovrappongono come in un concerto polifonico, senza mai prevaricare l’una sull’altra. Chi li interrompe è Lucia, la loro bambina. La sua vocina si inserisce nel racconto più di una volta. Forse desidera capire chi è che sta parlando con i suoi genitori e perché è proprio lei la protagonista della storia. O forse vuole solo le «coccole», la prima parola che è uscita dalla sua bocca, ancor prima di mamma e papà, e che continua a ripetere, insieme a «mi piace tanto tanto tanto» – riferendosi alla pasta al pesto che sta mangiando –, a «Parole, parole parole» (sì esatto, la canzone di Mina) e a «Volare» di Domenico Modugno. «Sono i suoi cantanti preferiti – spiega la mamma ridendo –. Non sappiamo proprio come si sia innamorata di loro...».Tante altre cose, in realtà, non riescono a spiegarsi. Perché Lucia è un vero e proprio miracolo. Non ci sono altre parole per descriverla. Non avrebbe dovuto nascere. Due terribili diagnosi prenatali rischiavano di segnarle la vita. Prima la scoperta dell’idrocefalia, l’accumulo di acqua cerebrale nei ventricoli, che «non viene smaltita e quindi ingrandisce la scatola cranica». E poi la diagnosi ancora più grave dell’oloprosencefalia alobare, una malformazione congenita del cervello. «Si tratta del livello più grave – dice Francesco –. Nel 40 per cento dei casi i bambini muoiono entro pochissimi giorni dalla nascita, quelli che sopravvivono non riescono a respirare autonomamente, a mangiare, a muovere le mani, a defecare, e nemmeno a piangere». E invece Lucia ha pianto. Nonostante i medici che avevano consigliato ai suoi genitori di abortire, «perché anche se ce l’avesse fatta dicevano che sarebbe cresciuta come un’ameba».1Tutti tranne uno. Il professor Giuseppe Noia, direttore dell’Hospice - Centro cure palliative prenatali del Policlinico Gemelli di Roma e promotore nel 2015, insieme alla moglie Anna Luisa La Teano e all’amica Angela Bozzo, della Fondazione “Il Cuore in una Goccia onlus”, di cui è presidente. Proprio ieri è iniziato, a Roma, il settimo raduno nazionale che ci conclude oggi con la Messa celebrata da Benoni Ambarus, vescovo ausiliare di Roma. Tanti volontari e famiglie da tutta Italia sono riunite per «rilanciare il concetto di custodia della vita umana in senso globale», spiega Noia. Con storie come quella di Lucia, che non appena è uscita dal grembo materno ha squarciato, tra la sorpresa di tutti, la quiete dei corridoi del Gemelli.
«La tentazione di abortire l’abbiamo avuta», ammettono entrambi i genitori. «Ma poi ho pensato – aggiunge Andrea Celeste – che nella vita la cosa più importante che ho ricevuto è stata l’amore. Se decido di abortire, mi sono detta, che cosa insegno a mia figlia? Che nella vita esiste solo la morte?». Francesco l’illuminazione l’ha avuta davanti al Santo Sepolcro di Gerusalemme: «Il Signore mi ha fatto capire che non poteva esserci dono migliore che potessi fare a mia figlia che farla nascere».
Poi l’incontro con Noia, «un angelo custode. Ci ha detto: “Le speranze di vita sono poche, e probabilmente Lucia avrà deficit neurologici molto gravi, ma tutti nasciamo malformati dalla storia, dal peccato e dalle sofferenze, eppure Dio ci ama». Lucia è nata al Gemelli un mese e mezzo prima del previsto con un cesareo. Altrimenti non ce l’avrebbe fatta. Oggi ha tre anni e mezzo ed è stata operata già undici volte. La sua testa, per dimensioni, è quella di una bambina di 12 anni. Ma respira autonomamente, mangia, vede (nonostante non possieda la struttura cerebrale della vista). I medici non si spiegano come ci riesca. E sente, «anche meglio di me, che sono musicista», aggiunge la mamma. Per muoversi usa un deambulatore. Ma per i medici è solo questione di tempo: prima o poi camminerà da sola. Così come si riuscirà a toglierle il pannolino.
La sua storia insegna che «ci vuole uno sguardo umile e grato sull’esistenza, senza cedere alla tentazione dell’autodeterminazione assoluta», sottolinea Ambarus. «Il nostro intento – aggiunge Noia – è contrastare la cultura dello scarto con la scienza, l’umanità, la formazione e la ricerca». Lo dimostrano i numeri: «Sono 824 le famiglie che l’Hospice ha aiutato nei suoi anni – conclude il professore –. Il 40 per cento dei bambini sembrava non avere speranze. E invece oggi è in braccio alle proprie mamme».

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