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11.7.21

Aiuto, mi sono perso in cucina! Tra cibi preparati, poco tempo e vecchie abitudini non sappiamo più quale piatto mettere in tavola e non sappiamo più cucinare nonostante le trasmissioni e glinserti di di cucina

 

Nonoastante      sia nato e cresciuto in  campagna  ed   aiuto mio padre  all'orto  , La coscienza della mia ignoranza mi si è rivelata al mercato. Poichè ,  le  nostre patate    , sono venute  male  , mi manda  al mercato   della coldiretti  a prenderne  .  Chiedo al fruttivendolo un chilo di patate e lui mi domanda: «Vecchie o nuove?». Resto paralizzato  e spaesato  .  Mi arrendo  e provo a  chiamare  mia  madre  ,  ma  il   ha  il cellulare  spento    allra   chiedo  consiglio  al fruttivendolo  : «Devo farle rosolate, quali sono più adatte?». Esso  , forse perchè il paese   è piccolo  o  perchè  siamo clienti  abituali   ha pietà di me:   << le vecchie, asciutte e con la pelle rugosa, sono adatte a essere lessate, le patate più nuove, con la pelle liscia e un colore più vivace, servono per tutti gli altri usi.>>
E' stata la prima volta che mi sono reso conto di quanto non conoscessi o  abbia una  conoscenza    superficiale    delle materie prime da usare in cucina  e    ciascuno\a   di  noi 
ha  bisogno degli altri  .  Ora  in prevvisione    di  un futuro  sempre  più vicino in cui  i  miie  non  ci  saranno più , mi    chiedo   Quanto tempo devono cuocere le melanzane? Come si cuociono i fiori delle zucchine? Molti dei miei amici genitori come me, cucinano per i figli e in qualche modo se la cavano. Ma quasi sempre si rivolgono al cibo da supermercato:   cioè surgelati, piatti pronti, gastronomia o preparati che già a partire dall’etichetta ti strillano quanto è facile prepararli e i pochi minuti che ci impiegherai. “Pronto in cinque minuti!”, “Pronto in tre minuti!”. Chi offre di meno? Nessuna censura, né predicozzo sui cibi naturali: i surgelati per chi ha poco tempo sono una benedizione. Ma non è che affidarci così tanto a loro ci ha resi incapaci di capire il cibo?



Mia madre sostiene che anche lei non sa cucinare. E in un certo senso è vero  a metà : non è che può aprire il frigo e inventarsi una prelibatezza. Diciamo che ha un set di piatti semplici che prepara a menadito  e  per  tradizione  familiare   e qualche prelibatezza per la domenicae  le  feste  . Anche lei era una donna che lavorava , adesso  è  in pensione  ed  si  dedica di più alla  casa    e  quindi alla  cucina   Però  ai suoi tempi surgelati, piatti pronti e piatti con le istruzioni erano molto meno diffusi  o stavano appena  iniziando . Dunque, lei di cibo ne sa certamente  più di me. Ora   per colpa di questa progressiva perdita di sapere    ed  avere  la pappa  pronta  che siamo diventati il Paese europeo con i bambini più obesi ? Non ho la risposta assoluta  , ma qualche anno fa mi colpì    un articolo  che rivelava come noi genitori non avessimo una chiara percezione della forma fisica dei nostri figli. Secondo l’indagine di Altroconsumo, su 20mila famiglie solo il 17% dei genitori vedeva i figli in sovrappeso. E poiché in Italia lo sono il 32% dei bambini è chiaro che c’è un problema di percezione. Lo studio puntava il dito anche contro una cattiva abitudine dei genitori italiani: usare il cibo come gratificazione per i figli, meccanismo che crea un rapporto distorto con l’atto del mangiare. La nostra cultura alimentare, che ci rende famosi nel mondo per la qualità della ristorazione, ma anche un po’ ossessionati dal cibo,  veere   l'incremetatrsi  delle trasmissioni  tv      e  rubriche   televisive  ,   e  non solo dedicate  alla cucina  ed  alle  ricette   di vip   ed  influenzer   fa il resto.
Eppure, finché conoscevamo il cibo, la sua stagionalità, come si prepara, quanto nutre, le cose andavano un po’ meglio. Forse, invece di ricorrere a cibi bio, green, naturali, senza glutine, per celiaci e quindi alla fine ancora più elaborati, faremmo meglio a recuperare, magari insieme ai nostri figli, informazioni su quali patate è meglio usare in padella e nella pentola d’acqua bollente. Ed  andare   a   comprare  ,  possibilmente      ai mercati   o dal produttori   o   a non dipendere  soloed  esclusivamente  dai surgelati    e  dai cibi   da  gastronomici           

5.3.18

Professore ghanese insegna informatica senza il computer

Quando non si hanno abbastanza mezzi e risorse a disposizione bisogna rimboccarsi le maniche ed improvvisare . Ed è proprio cio' che , insieme al suo grande impegno, che Richard Appiah Akoto ed è un professore ghanese di 33 anni della Betenase Junior High School di Sekyedomase,  sta  facendo  .


da  https://www.gqitalia.it/news/2018/03/01/


Spiegare alla lavagna come funziona Microsoft Word disegnando la pagina del programma. Un insegnante ghanese ha postato su Twitter le immagini del proprio sforzo divenute rapidamente virali. Richard Appiah Akoto, 33, insegna informatica alla Betenase M/A Junior High School nella cittadina di Sekyedomase, a nord della seconda città del Ghana, Kumasi. Sul suo account con pseudonimo Owura Kwadwo Hottish, su Facebook e Twitter, ha caricato le foto della lezione in cui è impegnato a illustrare un “interfaccia di lavagna” non essendo disponibile in aula alcun computer per gli allievi 14-15enni. Le foto sono apparse smart ed esotiche, un documento di vita in una scuola rurale dell’Africa occidentale, ma anche molto ispiranti tanto che un’imprenditrice camerunense, Rebecca Enonchong, ha sollecitato aiuti. 


A stretto giro, Microsoft Africa ha annunciato l’invio dello strumento informatico ad Akoto per le sue lezioni. Benché “Owura Kwadwo Hottish” abbia il suo laptop, preferisce spiegare ai suoi allievi con la configurazione che troveranno all’esame finale, e col mouse, e non intende familiarizzarli con altri modelli che possano confonderli.
Ha comunque spiegato, riferisce Quartz, che la scuola avrebbe bisogno di 50 desktop.




Il messaggio è doventato talmente virale che

 [....]  Un post condiviso centinaia di volte e arrivato
fino alla bacheca dell’imprenditrice camerunense Rebecca Enonchong, che lo ha ripostato a sua volta su Twitter chiedendo l’aiuto di Microsoft.
Il colosso dell’informatica ha subito promesso di fare la sua parte, inviando un computer con i software necessari per superare l’esame. In realtà, come ha spiegato Richard Appiah Akoto a Quarz, di computer ne servirebbero 50 (uno ad alunno) ma, considerato il successo che sta riscuotendo la sua storia, il traguardo potrebbe essere vicino.  
  da  https://www.vanityfair.it/lifestyle/  più  precisamente  da  qui







16.6.13

Dall'ombrellone a ore alla cabina in condominio l'Italia scopre la balneazione low cost

mentre leggo l'articolo riportato sotto  mi   viene da  canticchiare   , non so spiegarmi il perchè  , questa  vecchia  canzone





Merito o colpa della crisi, gli stabilimenti del litorale affinano tecniche e strategie attira-clienti. Dagli sconti per chi arriva all'alba agli ingressi a tempo. E si risparmia fino al 50 per cento di IRENE MARIA SCALI


Sarà ricordata come l'estate dello "stabilimento creativo". Il lungomare del 2013 si presenta come un girone di offerte fantasiose. Tutto pur di far risparmiare i turisti e distrarli dalla tentazione, a costo zero, della spiaggia libera. Benvenuta, allora, alla stagione democratica. I prezzi non solo non salgono, ma scendono ovunque anche se di poco. E le offerte si moltiplicano. C'è chi offre ombrelloni "part time" da condividere nelle diverse ore della giornata. Chi punta sulla cabina in condominio divisa tra più famiglie. Chi ricompensa gli insonni che arrivano all'alba con un forte sconto. Chi rispolvera la formula tre lettini al prezzo di due. 

Non manca l'ingresso a tempo: dieci ore da spalmare lungo un'intera settimana (in fondo troppo sole fa male alla pelle). Taglia di qua e di là, Federeconsumatori stima un risparmio medio che si aggira intorno al 5 per cento per le sdraio, all'un per cento per la cabina e al 2 per cento per l'ombrellone. Per i temerari che decidono di sfidare il meteo, e abbonarsi per tutta la stagione, si paga a rate.
Nonostante una politica low cost da far invidia a Ryanair, i circa 900 chilometri di costa occupati dagli stabilimenti balneari, nei primi giorni dell'estate hanno offerto uno spettacolo sconfortante. Ombrelloni
chiusi, sdraio ripiegate, facce dei gestori scure e cielo ancora più nero. A Padova, tanto per dirne una, saranno solo 6 su 10 ad andare in vacanza. Mentre al bagno San Rocco di Trieste tutto sembra in salita: " Una catastrofe, mai partiti così male. Gli incassi sono diminuiti del 90%". Spiega Riccardo Borgo, presidente del Sindacato Italiano Balneari: "Con il mese di maggio piovoso la situazione si è aggravata ma un freno generale era già tirato da anni. Anche perché nei momenti difficili la giornata al mare è una delle prime spese che si può tagliare". E così, chi lo scorso anno aveva rivisto le tariffe, quest'anno persevera con l'offerta low cost. È il caso del bagno Nettuno di Viareggio: "Da noi chi prenota il venerdì e il sabato ha la domenica gratis, mentre la tariffa per l'ombrellone con tre sdraio è di tre euro a testa. Le persone non hanno più soldi e non resta che adeguarsi ". 
Pensano alla terza età sul litorale pisano. "Proponiamo ombrelloni gratis dal lunedì al venerdì per gli over 65", spiega Fabrizio Fontani del Bagno Meloria, "si tratta del progetto "Estate per tutti" realizzato dalla Società per la salute, insieme al Sindacato Balneari. Così agevoliamo tutti quelli gli anziani con un reddito inferiore ai 20 mila euro l'anno".
Viaggiare informati? Si, ma soprattutto sui nuvoloni. Ecco, per chi frequenta gli stabilimenti abbruzzesi associati alla Fab, un sms con tutte le informazioni relative al meteo. In alcuni casi c'è persino il rimborso del costo di ombrellone e lettino, se la pioggia arriva improvvisa. Ad esultare per le iniziative è soprattutto il Codacons. "Si tratta di una sorpresa positiva per i consumatori dopo anni in cui i listini degli stabilimenti hanno subito continui rialzi", spiega il presidente del Codacons Carlo Rienzi, "si tratta di offerte in grado di far risparmiare ai bagnanti sino al 50 per cento. Le tariffe restano stabili mentre a far cambiare le cose sono gli sconti e le promozioni". L'importante, precisa ancora Borgo, è la correttezza delle informazioni: "C'è l'obbligo di mettere bene in evidenza le tariffe. Nessuno deve avere sorprese indesiderate ".
               

2.6.13

Le scelte per avviare un'impresa nella crisi


Le scelte per avviare un'impresa nella crisi
di Marco Liera (*) - 26/05/2013
La grave crisi occupazionale spinge non pochi italiani a valutare l’alternativa imprenditoriale. In contemporanea all’ondata dei fallimenti (oltre 6mila da inizio anno)  quotidianamente aggiornati dal Sole-24 Ore, nel primo trimestre 2013 il saldo tra iscrizioni e chiusure di società di capitali è stato positivo e pari a 8.793 unità (fonte: Unioncamere). Insolvenze e cessazioni colpiscono soprattutto le ditte individuali e le società di persone. Il totale delle società di capitali attive a fine marzo è aumentato a quota 1,417 milioni.  Dal punto di vista macro, sembra di assistere a una schumpeteriana distruzione creativa, i cui eventuali effetti positivi tuttavia sono ancora da vedere. E a livello micro?La mancanza di opportunità più o meno interessanti di lavoro dipendente o quasi-dipendente non è di per sé una premessa sbagliata per l’avvio di una impresa. Le difficoltà possono far sprigionare energie innovative che in una situazione di maggior benessere forse resterebbero compresse in un angolo di qualche grandecorporation. La bassa disponibilità di credito bancario o altre fonti di finanziamento è certamente un potente freno oggettivo al “grande passo”.  Ma non sottovaluterei neppure i rischi della mancanza di una formazione organica destinata ai nuovi imprenditori. Quanta attenzione viene riservata dalle facoltà di economia all’imprenditorialità? Si possono avere grandi idee e possedere la capacità di fornire ottimi servizi e prodotti (capitalizzando magari il know-how lavorativo pregresso), ma senza adeguate conoscenze finanziarie e gestionali le probabilità di successo o di semplice sopravvivenza – già non molto invitanti - si riducono sensibilmente. Rielaborando i dati di un rapporto del Cerved Group del febbraio 2011 sulla mortalità delle imprese italiane, a cinque anni dall’apertura il 34% delle start-up è già in default. A questo dato vanno poi aggiunte le liquidazioni. Negli Stati Uniti la probabilità di sopravvivenza di una nuova impresa è storicamente inferiore al 50% al quinto anno.La destinazione di parte dei risparmi familiari (laddove disponibili) alla start-up (sotto forma di equity o di finanziamento soci) è una strada pressochè obbligata per chi non riesce ad accedere ad altre risorse. Questa strategia è solo apparentemente meno rischiosa per il socio fondatore di una Spa o di una Srl, perché riduce la “riserva di sicurezza” per il mantenimento della famiglia. Una riserva che andrà investita tassativamente in attività finanziarie a minor rischio atteso (depositi bancari, risparmio postale, titoli di Stato a breve termine). Gli impegni finanziari legati alla famiglia condizionano seriamente la possibilità di avviare una nuova impresa.Uno studio Bankitalia appena pubblicato (“Le microimprese in Italia: una prima analisi delle condizioni economiche e finanziarie”) alza il velo sulla gestione delle 420mila società di capitali con meno di 10 addetti, che generano il 33% del valore aggiunto della nostra economia, circa 14 punti percentuali in più della media europea. Si tratta di aziende che hanno registrato tra il 2002 e il 2010 un tasso medio di crescita del fatturato annuo (11,7%) di oltre 7 punti superiore a tutte le altre. Le microimprese con meno di quattro anni di vita in particolare sono mediamente cresciute del 46,3%annuo, ovviamente con una dispersione elevatissima e con una forte variabilità dei volumi di affari nel corso del tempo. La redditività operativa è superiore a quella delle altre imprese, pare per “ una minore incidenza dei costi piuttosto che a un maggiore livello di ricavi”. Una delle chiavi del successo di una startup è proprio quello di tenere bassi i costi. E non indebitarsi troppo. Solo una microimpresa su cinque non ha debiti verso le banche, e vanta una crescita del fatturato superiore a quella delle imprese indebitate.
(*) Pubblicato sul Sole-24 Ore del 26 maggio 2013

16.7.12

La casa? Ce la costruiamo da soli il primo borgo multietnico fai-da-te

In tempo  di crisi  bisogna  anche sapersi arrangiare   ecco cosa sta  succedendo dopo  Cagliari (  ne  ho parlato  precedentemente  qui  in questo  post  )   a Perugia    la  gente  sta iniziando ad  arrangiarsi da  sola  . Sarà la riscossa \  ripresa  del settore  edilizio ? o  una nuovo modo di concepirlo    ?



repubblica 15 luglio 2012 pagina 19 sez. CRONACA


PERUGIA - Quel chiodo d' acciaio non entrava. «Picchiavo col martello da ore e piangevo per il nervoso - ricorda lei - io lavoro in un supermercato, che ne sapevo che era così difficile bucare un muro di cemento armato? Lì pensai davvero che non ce l' avremmo mai fatta». Oggi Maria Stella Djinan, ivoriana, madre di 2 figli, racconta la fatica col sorriso, davanti alla villetta che si è costruita da sola. Nel quartiere delle 46 case fai-da-te, a Sant' Enea
preda dalla rete 
a due passi da Perugia. La più grande esperienza di autocostruzione realizzata in Italia. Autogestita e multietnica. Sant' Enea è un borghetto nella campagna perugina. Vigneti e olivi, cicale e anziani che prendono il fresco seduti sulle panchine. Le case degli autocostruttori sorgono su un declivio panoramico, inaugurate il 30 giugno scorso. E mica parliamo di catapecchie. Sono fabbricati di qualità, con certificazione energetica e antisismica, con pannelli solari. Costati 144 mila euro ciascuno (1000 euro al mq), il 40 per cento in meno rispetto al prezzo di mercato per questa zona. «Vede quel tetto di legno? L' ho fatto io con queste mani, lavorando tutti i sabati e le domeniche degli ultimi quattro anni - racconta con orgoglio Walter Cappuzzello, siciliano di 37 anni, amministratore di una società di import/export durante la settimana e manovale nel weekend, nonché presidente della cooperativa Tutti per uno - e anche le mura, i solai, i pavimenti li abbiamo fatti noi. Solo per il progetto esecutivo, le fondamenta, gli impianti, le fognature e le certificazioni ci siamo appoggiati a professionisti». 


preda dalla rete
Villette a schiera di 113 mq ciascuna, dotate di cantine da 35 mq e piccolo giardino, che al primo impatto ricordano la città perfetta e finta del film The Truman Show. Ma qui il sogno è reale e abbatte le frontiere. Ci vivono 46 famiglie, 180 persone, per metà stranieri arrivati dalla Costa D' Avorio, dal Congo, dall' Albania, dal Brasile, dal Perù. O dalla Colombia, come Alberto Sanchez, 53 anni, cinque figli e mani dure che stringono come pinze di ghisa. «Beh, io sono metalmeccanico - ridacchia - sono abituato ai lavori manuali. Per questo ero il saldatore e il falegname della cooperativa». Alberto ha passato sul cantiere tutti i weekend e le ferie degli ultimi anni, sotto il sole o con la neve, a volte portando i figli, a volte anche per non pensare alla cassa integrazione. «Senza questo progetto - spiega - non avrei mai potuto permettermi una villetta così. Con un budget di 150 mila euro avrei trovato solo case vecchie o da ristrutturare». Il progetto, quindi. Nel 2007 sono stati selezionati i soci della cooperativa, per metà italiani, per metà stranieri, con un reddito massimo di 30 mila euro e del tempo libero. Per statuto, ognuno doveva garantire al mese almeno 58 ore di lavoro gratuito in cantiere. C' è chi ne ha fatte anche ottanta. La Banca Etica, grazie al sostegno del Comune di Perugia che ha concesso il terreno a un prezzo ridotto, ha acceso il mutuo per coprire i costi di costruzione, ritardando la prima rata alla fine dei lavori. Tra i soci ci sono carabinieri, professori precari, commessi di negozio, impiegati comunali. Tutti sono stati assicurati e hanno seguito corsi di formazione sulla sicurezza. E poi, a ottobre del 2008, dopo la posa delle fondamenta, hanno preso guanti e caschetto e si sono inventati un lavoro che non era il loro. «L' inizio è stato difficile - ricorda Donatella, due figli, un marito e un lavoro come macchinista alla Perugina - ci è capitato addirittura di fare una stanza senza la porta. Ho fatto i salti mortali per badare ai miei figli, lavorare alla Perugina e passare le ore qui a metter su i mattoni come gli uomini. Alla fine li ho pure costretti a non dire sconcezze in cantiere!». E l' integrazione riesce meglio se si ha un obiettivo comune. «Queste persone sono una grande famiglia - osserva Valeria Cardinali, assessore all' Urbanistica del Comune di Perugia - non hanno litigato nemmeno al momento dell' assegnazione delle abitazioni. Le diffidenze iniziali tra le varie etnie sono svanite lavorando gomito a gomito. Nessuno si è infortunato. È stata un' esperienza dura, ma gratificante». Quanto piantare un chiodo d' acciaio in un muro di cemento.DAL NOSTRO INVIATO FABIO TONACCI               

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