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4.12.23

ancora per quanto tempo dovremo leggere storie come queste “Voleva solo fare musica”: se ne va anche Yonatan, il dj rapito da Hamas o di vittime dei bombardamenti israeliani



entrambe vittime della follia della guerra a tutti i costi . Quando il terrrismo si può combattere in altri modi . Cosi si crea un circolo vizioso e lo si alimenta di più .

È morto a Gaza Yonatan Samerano, 21 anni di Tel Aviv, preso in ostaggio da Hamas dopo essere stato ferito durante l’attacco del festival Nova a Re’im il 7 ottobre.

 
 La famiglia della vittima è stata informata dalle autorità israeliane. Samerano stava partecipando come Dj al rave vicino a Re’im la mattina dell’attacco ed è fuggito nel vicino Kibbutz Be’eri dove è stato ferito e rapito. «Jonathan era un ragazzo magico, circondato da amici, un Dj che voleva solo fare musica, crescere, essere felice e viaggiare. Aveva tanti sogni», hanno detto i membri della sua famiglia. Jonathan ha lasciato i due genitori, Kobi e Ayelet e un fratello, Yair.

Leggi anche: La mamma di Noa, rapita da Hamas: “Ho un cancro in stadio terminale, fatemi riabbracciare mia figlia”
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I raid israeliani nel sud della striscia di Gaza

Intanto, la notte fra il 3 e il 4 dicembre è stata una notte di pesanti bombardamenti israeliani anche al sud della striscia, preparando il terreno a una nuova incursione di terra, come riportato dall’Idf. Lo ha confermato domenica pomeriggio uno dei portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, che in una conferenza stampa ha detto che Israele sta ampliando le operazioni miliari contro Hamas «in tutta la Striscia di Gaza».
Nella notte almeno 13 persone sarebbero morte in raid su un edificio residenziale vicino Rafah e presso l’ospedale di Jabalia, secondo fonti palestinesi citate da Al Jazeera.

9.11.23

Treviso, il post choc della prof di matematica: «Hitler aveva ragione, ebrei andate all'inferno». Ora rischia la sospensione

 leggi anche

  da  thesocialpost.it   e  da  fanpage.it   del  9\11\2023   che  


E’ pronta la sospensione per la professoressa di matematica Hanae Hammoud, l’insegnante salita alla ribalta delle cronache per aver postato sui social un messaggio sconvolgente, tanto da farle rischiare il posto da docente alla scuola internazionale H-Farm di Roncade di Treviso.La docente, di origine libanese [ non è    importante  di che    se  araba   \  medio
orientale  o  occidentale    sempre  un insulto   becero  ed  vergognoso   è    aggiunta  mia
] in un momento incontrollato di rabbia – come riporta Il Corriere del Veneto – ha postato sul suo profilo Instagram un video che mostra gli orrori della guerra tra Israele e Palestina corredato di una semplice frase: “Andate all’inferno, Hitler aveva ragione su di voi ebrei”. Il video postato tra le “stories” – ha raccontato la stessa docente ai dirigenti scolastici – è rimasto online per una manciata di minuti ma è bastato per scatenare la bufera. Una studentessa ha notato il contenuto e ha fatto screenshot e ha mostrato il contenuto del telefono ai genitori. La foto inneggiante a Hitler è velocemente rimbalzata sulle chat dei genitori degli altri studenti.


Posso capire  avercela  con  la  classe   dello  stato  d'israele     e ti suo    tipo  di  stato  che  andrebbe    rifondato  da  capo    su nuove  basi  . Ma    contro il popolo ebreo   no  perchè quasi  2 mila  anni   di  discroimiazioni   e  di persecuzione   che  essa   ha  dovuto subire    dovrebbero essere  sufficenti   a  farci capire  che  non  è  giusto   . La   motivazione  adotttata      da Hammoud  ai dirigenti scolastici di vivere un momento di forte difficoltà psicologica per la drammatica situazione in Medio Oriente.
Le giustificazioni fornite dalla docente  che   per  giunta   non non dovrebbero come  afferma   il ortale thesocialpost.it   metterla al riparo da un provvedimento disciplinare da parte di H-Farm che oggi stesso potrebbe valutare anche la sospensione.  Infatti Da fonti di H-Farm, la società a cui fa capo il Campus che ospita 1.500 studenti e all'interno del quale insegna la docente, già prima della decisione della sospensione è trapelato che l’insegnante in queste ore sta incontrando gli studenti per spiegarsi e per scusarsi per l’accaduto. Sarebbe "devastata" per quanto scatenato dal video postato per qualche minuto sui social.Hammoud si sarebbe confrontata anche con gli altri docenti e dirigenti scolastici, mentre l'azienda sottolinea di essersi "dissociata immediatamente" dalle affermazioni della prof su Instagram, "non solo per quanto detto ma per il ruolo di educatrice" della propria dipendente.Hanane Hammoud insegna matematica a studenti di scuola superiore di più nazionalità, coinvolti di frequente dal Campus stesso in confronti su temi di attualità che hanno riguardato nel recente passato, oltre che la questione palestinese, anche il conflitto in Ucraina. La scuola di Roncade infatti promuove da sempre modelli di inclusività, multiculturalità e si fa vanto della provenienza internazionale degli studenti e dei docenti. Più che  sospenderlòa dovrebbero   mandarla in  gita nel lager   o farla  vivere  per  una settimana  (  anche  tre  giorni     dovrebbero bastare  )   come  hanno vissuto  gli  ebrei   sotto   l'inquisizione    spagnola   o  se si  vuole  vedere  i secolo  scorso   con le  leggi  razziali ( Germania  ed  italia    soprattutto  )  e poi nei lager  tedeschi  ed  italiani   o    vagoni  piombati    \  campi di transito     e  vedremo  se  lo ripeterà  ancora  .

27.10.23

Omer e Omar, uno israeliano, l’altro palestinese: così la guerra (anche sui social) lega il destino di due bambini uccisi vicino al confine



Bambini - paola Turci




Mentre leggo gli  l'articoli   e  vedo    la   foto tratta   dal   primo  ,  riportati  sotto non riesco a controllare le lacrime e lo sconforto nel vedere le vittime collaterali delle guerrra . In questo caso una guerra secolare in cui s'intersecano : ptrolio , religioni , odi atavici ed secolari .




                                        repubblica 
di Enrico Franceschini

Avevano entrambi 4 anni: il primo è morto con tutta la sua famiglia, sterminata il 7
ottobre da Hamas, il secondo è rimasto sepolto sotto la casa che gli è crollata addosso colpita da un missile israeliano. E in Rete c’è chi ha trasformato le loro tragiche storie in propaganda





I loro nomi sono quasi identici: Omer e Omar. Anche l’età era la stessa: avevano entrambi quattro anni. Il primo israeliano, il secondo palestinese, sono morti a pochi chilometri di distanza, sui due lati del confine che separa lo Stato ebraico dalla striscia di Gaza: Omer ucciso il 7 ottobre da Hamas, con tutta la sua famiglia, nel kibbutz in cui vivevano; Omar morto sepolto dalla casa che gli è crollata addosso quattro giorni più tardi, quando è stata colpita da un missile israeliano.
E il tragico destino che ha fatto morire questi due bambini li ha uniti anche sotto un altro aspetto: sui social media la fine dell’uno e dell’altro è stata negata da migliaia di utenti, accomunati dall’odio che si rifiuta di accettare la realtà e trasformati in propaganda.
L’attacco di Hamas ha colto Omer Siman-Tov nel kibbutz Nir Oz, una delle fattorie agricole collettive a una manciata di chilometri dalla frontiera di Gaza messe nel mirino dai fondamentalisti islamici del gruppo. Uomini armati sono penetrati nella sua abitazione, hanno sparato al padre Yonatan e alla madre Tamar, lasciando Omer e le sue due sorelline di qualche anno più grandi all’interno dell’abitazione, a cui hanno poi dato fuoco. I tre bambini sono morti bruciati vivi. Una foto della famiglia Siman-Tov è finita sul profilo del governo israeliano su X, l’ex-Twitter: ritratto di due genitori e tre figli, all’aria aperta, sorridenti e felici. “Un’intera famiglia spazzata via dai terroristi di Hamas”, diceva il post.
Ma tra i commenti lasciati dagli utenti, accanto a parole di condoglianze, solidarietà e dolore, molti hanno accusato Israele di avere pubblicato una foto falsa. “Il bambino indicato come Omer è un attore, non è morto, sta benissimo, lo hanno pagato per recitare il ruolo della vittima dei palestinesi”, afferma uno. “Sono tutti attori, quella famiglia nella realtà non esiste”, afferma un altro. “Non ci sono prove, Israele smetti di mentire”, sostiene un terzo.
Altri hanno affermato addirittura che Omer sarebbe stato ucciso apposta da Israele per poter dare la colpa ad Hamas. Decine e decine di commenti del genere, poi rimbalzati in mezzo mondo, così dando credito alle menzogne di Hamas che da parte sua dichiarava: “Noi non ammazziamo bambini, non uccidiamo civili innocenti”. Una reazione simile a quella della Russia dopo i bombardamenti dell’ospedale di Mariupol, durante la guerra in Ucraina, quando una donna incinta, trasportata via in barella fra i crateri lasciati dalle bombe, fu descritta da Mosca come “una nota attrice”.
A 23 chilometri dal kibbutz dove ha perso la vita Omer, quattro giorni dopo è morto Omar Bilal al-Vanna, sotto le macerie provocate da un raid aereo israeliano su Zeitoun, un sobborgo di Gaza City. Il piccolo bambino palestinese stava giocando in giardino con il fratello Majd di sette anni, quando un razzo ha fatto crollare loro addosso l’abitazione. Omar non ce l’ha fatta, Majd è rimasto ferito a una gamba. Qualche ora più tardi sui social è circolata una foto del padre di Omar, che teneva fra le braccia il corpicino senza vita del figlioletto, portandolo all’obitorio della città.
A quel punto è partito il tam-tam delle smentite. “Quel fagottino che l’uomo ha in braccio non è un vero bambino, è una bambola”, hanno scritto in tanti. “E’ il gioco della disperazione di Hamas, per suscitare proteste in Occidente”, accusano altri post. “Tutta propaganda di Hamas, non credeteci”, sostengono altri ancora. Anche questi post hanno fatto il giro del mondo: uno è stato visualizzato ben 3 milioni e 800 mila volte.
È stata la squadra di fact-checker della Bbc a ricostruire la verità, verificando l’identità dei due bambini e le circostanze in cui sono morti. La giornalista inglese autrice dell’indagine, Marianna Spring, corrispondente della redazione che si occupa di disinformazione e fake news, ha raccontato a Mor Lacob, un’amica della madre di Omer, che anche la morte di Omar è stata messa in dubbio da una analoga campagna di odio e di troll sui social. “Il mio cuore piange per tutti gli innocenti”, le ha risposto la donna, “assassinati e uccisi a causa delle azioni di Hamas”.



I nomi scritti sulle gambe, a Gaza le madri preparano il riconoscimento dei figlidi Sami al-Ajrami 
La strage dei bambini: sono il 40% dei morti
nella Striscia. Uccisi interi nuclei famigliari. Ora i parenti si separano per evitare l’estinzione








DEIR AL BALAH – Il 40% delle vittime dei bombardamenti su Gaza sono minori. Lo dice l’Unicef, non il locale ministero della Salute controllato dal governo di Hamas. Il numero dei giovanissimi morti è agghiacciante: 3mila vittime.
Le si vede arrivare in ospedale con i nomi scritti sulle gambe o sulle braccia dai loro genitori: affinché possano essere riconosciuti e non finiscano seppelliti semplicemente con un numero sul lenzuolo. Muoiono o vengono feriti mediamente 400 minori ogni giorno. «Pensano che siano i bambini il nemico? Sono forse loro i responsabili delle uccisioni e dei rapimenti?», è una frase che si sente ripetere davanti ai corpicini nelle camere mortuarie.
I bimbi che sopravvivono sono intontiti dalla paura, scioccati dalla perdita dei familiari e dalla devastazione di tutto ciò che conoscono. Così, proprio per salvarli, nelle ultime ore, si sta assistendo a un fenomeno nuovo qui nell’aria meridionale della Striscia di Gaza, dove Israele continua a bombardare pesantemente pure le zone a Sud del Wadi Gaza nonostante le avesse indicate come sicure. Intere famiglie abbandonano villaggi e rifugi e, come già accade a nord, vanno ad affollare le aree degli ospedali.
Nella sola giornata di ieri sono state centinaia le persone rifugiatesi nei pressi dell’ospedale al-Aqsa di Deir al Balah: occupando in poche ore tutto lo spazio disponibile con materassi accatastati e tende fatte di tappeti e di stracci. «Forse bombarderanno pure qui», dice Abu Ali Issa, arrivato da Bureij, un piccolo campo profughi vicino: «Ma almeno l’ospedale sarà l’ultimo posto che prenderanno di mira».
E si osserva anche un altro cambiamento: contrariamente a quanto le famiglie hanno fatto finora, riunirsi tutte insieme in un unico luogo, secondo tradizione nei momenti di crisi, cominciano a dividersi in rifugi diversi, sperando che così sopravviva almeno qualcuno. I bombardamenti hanno infatti già troppe volte cancellato interi nuclei, uccidendo fino a 30, 40 membri di un solo clan. Così mentre gli adulti continuano ad arrangiarsi dove e come possono, anziani e bambini – questi accompagnati da un solo adulto - vengono smistati nei pressi degli ospedali nell’area centrale di Gaza. O nelle scuole che l’Unrwa, ha qui in meridione: con buona pace del fatto che pure le risorse dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi sono agli sgoccioli. E a Nord lo hanno detto chiaro ai profughi ospitati nei loro rifugi: “Non siamo più in grado di garantirvi la protezione delle Nazioni Unite”.
A dilaniare questi bambini ci sono poi le ferite dello spirito. Stringe il cuore ascoltare quelli che ripetono continuamente il nome di mamme, papà, fratelli o sorella appena morti. O piangono disperati, implorando di essere riportati in una casa quasi certamente distrutta. Mentre i più grandi usano la parola morte come fosse normale alla loro età, anche parlando dì sé stessi: “Se non muoio vorrei...”. Qui all’al Aqsa Hospital c’è Salma, bambina di nove anni, costretta a crescere in fretta: è sola a prendersi cura dei fratelli di 5 e 2 anni. La mamma e la sorella sono all’interno dell’ospedale, ancora vive ma gravemente ferite, mentre i tre piccoli sopravvissuti dormono all’esterno con altri bambini. Il resto della famiglia, è morta sotto le bombe.
C’è poco per aiutare i più traumatizzati a superare il terrore che ormai li rende apatici e inappetenti e gli fa bagnare il giaciglio di notte anche se non sono più piccoli. Le ong che si occupavano di minori sono allo sbando, non più operative. Ma assistiamo sempre più spesso alle azioni straordinarie di volontari giovanissimi, spesso adolescenti, poco più grandi dei ragazzini di cui si prendono cura. Alcuni sono sportivi che improvvisano per loro giochi di squadra. Oppure studentesse sempre pronte a raccontar favole o a farli cantare. Capaci di trasformare un filo per la biancheria in una corda da saltare. Cartoni da imballaggio in un mini villaggio. E a riciclare ogni foglio per farli disegnare. I piccoli si stringono a ogni possibile oggetto con cui giocare, sapendo di poterlo brutalmente perdere domani.
Intanto, nei campi e nei rifugi le madri cercano di conservare ancora un po’ di decoro strofinando il viso, le mani, i denti dei piccini quotidianamente, spesso solo con uno straccio un po’ umido perché l’acqua è carente. E provano a fargli anche un po’ di scola, tracciando lettere dell’alfabeto per terra. «I miei figli dormono al freddo e in luoghi sudici, sono tutti malati» dice Jannat mentre i suoi tre maschietti si rotolano sui materassi della tenda piazzata in gran fretta nel campo profughi di Kahn Younis. «Dove sono i diritti umani dei miei figli?»

(testo raccolto da Anna Lombardi)

“Hamas non ha ucciso”. La fabbrica trasversale del complottismo italiano

Va bene dubitare delle versioni ufficiali e dei loor media come il sottoscritto , nato e cresciuto : nel periodo della guerra freda e della strategia della tensione .,con rimanzi e film polizieschi ., e le storie di topolino . Ma qui s'esagera . L'ultima ipotesi comlottista è  che  “Hamas non ha ucciso”.  e  l'attentato  del 7 ottobre     se lo sia  fatto Israele   per  giustificare  i  suo intervento nella striscia di Gaza



Domenica 8 ottobre 2023, il giorno dopo le stragi di Hamas in territorio israeliano. Sul canale Telegram “Stop dittatura” a cura di Ugo Fuoco, 40 anni, già leader del comitato “Napoli non si piega” all’epoca della pandemia di Covid, compare il seguente post: “L’attacco di Hamas è una false flag, operazione pianificata dall’alto”. False flag, falsa bandiera, indica operazioni svolte sotto mentite spoglie. Significa, nel caso specifico, che gli israeliani sono stati scannati da altri israeliani per giustificare l’attacco militare a Gaza. Seguono centinaia di messaggi di approvazione e migliaia di condivisioni sui diversi social.
Le operazioni false flag sono un’ossessione dei cospirazionisti di tutto il mondo. Servono peraltro a giustificare tutti gli eventi sgraditi o imprevisti o indifendibili: l’assalto dei trumpiani a Capitol Hill nel gennaio 2021? Un tranello orchestrato dai democratici. Il massacro di civili a Bucha? Una messinscena ucraina, non li avete visti i cadaveri che si muovevano? I feriti dalle bombe a Mariupol? Attori. Negli Usa li chiamano: crisis actors. Molti fanatici delle armi sono tuttora convinti che fossero attori anche i genitori dei bimbi massacrati dal ventenne Adam Lanza nella scuola elementare di Sandy Hook nel 2012. La tesi: un’operazione false flag per screditare la lobby delle armi.  
La  priam  puntata  dell'inchiesta  : << Viaggio nel cospirazionismo in Italia 1 / Sui canali Telegram e sui siti diinformazione “alternativa” si diffondono le teorie false che provano a smentire i “media mainstream >>     di    repubblica    si chiede   : <<  (  ..... )  Quando è cominciato tutto? Quando sempre più cittadini – persone normali, elettori, non solo pazzi paranoici – hanno cominciato a credere all’esistenza dei complotti più assurdi e inverosimili ?  I social e il dilagare dei canali digitali non bastano a spiegare tutto. E ancora: perché, in Italia molto più che all’estero, a cadere nel buco nero del cospirazionismo sono spesso anche persone che si ritengono progressiste? Flashback. In Italia c’è stata una vera operazione false flag che ha marchiato l’immaginario di almeno tre generazioni: piazza Fontana. La bomba dei fascisti e degli apparati deviati dello Stato fatta passare per attentato anarchico.
11 settembre 2023, sul sito di Byoblu – ci torneremo spesso, sul network creato dall’ex comunicatore M5S Claudio Messora, in questo piccolo viaggio nel cospirazionismo italiano – va in onda uno speciale sull’anniversario dell’attentato alle Torri gemelle. Invitati a parlare sono Luca Marfè, 43 anni, opinionista di punta del canale, in alcune bio è professore di Storia contemporanea all’università “Central de Venezuela” di Caracas; il regista Massimo Mazzucco, 69 anni, autore di un documentario, 11 settembre 2001 – Inganno globale molto noto qualche anno fa tra i fautori della tesi secondo la quale gli Usa si sono abbattuti da soli le Torri gemelle. Con loro c’è anche Manlio Dinucci, 85 anni, già dirigente negli anni Settanta del Partito comunista marxista-leninista d’Italia, piccola formazione filocinese. Dinucci ha pubblicato con le edizioni Byoblu La guerra. È in gioco la nostra vita – dove il conflitto in Ucraina è considerato un’operazione anglo-americana.
Parla Marfé, che non crede alla versione ufficiale sulle Torri gemelle: “Se a New York parcheggiate in divieto di sosta, dopo 10 minuti vi portano via l’auto. Come si fa a 
pensare che questi aerei abbiano solcato i cieli degli Usa indisturbati?”. Il conduttore dello speciale manda il filmato di una intervista a Franco Fracassi, negli anni Novanta direttore di un piccolo e combattivo settimanale di sinistra, Avvenimenti, qui in quanto coautore nel 2007 insieme a Giulietto Chiesa di un altro documentario, Zero, inchiesta sull’11 settembre, che dava largo credito alle tesi complottiste. Racconta Fracassi: “L’11 settembre ha cambiato la storia della comunicazione e del giornalismo attraverso l’introduzione della parola complottista. È quello il momento in cui il dissenso viene emarginato”. La libertà di parola, uno degli argomenti che servono a travisare il cospirazionismo spacciandolo per battaglia di sinistra e anti-sistema.   (  ....  )    >>    ed  è  prorio   Mercoledì 18 ottobre 2023, su Byoblu va in onda uno speciale “approfondimento” sulla strage all’ospedale di Gaza della sera precedente. Spiega a braccio uno dei conduttori: “Secondo alcuni ricercatori i missili usati per l’attacco sono dei Jdam sviluppati dalla Boeing. Missili che, si dice, siano recentemente arrivati in forza all’esercito israeliano. Notizie da verificare, ma che potrebbero far sorgere una luce nuova su come la notizia è stata trattata dai media mainstream”. Secondo alcuni ricercatori, dunque. Chi? Non viene ritenuto utile precisarlo. Chi ha seguito il dibattito che si è scatenato sui social dopo l’esplosione all’ospedale sa che la storia dei Jdam ha cominciato presto a circolare in un ben preciso giro di account dell’ultradestra americana.  Uno dei primi  , sempre  secondo    talr  inchiest  a lanciare la teoria delle “bombe Jdam”, che poi bombe non sono, è stato Jackson Hinkle, un giornalista di area alt-right – la destra alternativa che sostiene Donald Trump ed è specializzata in teorie del complotto. Due settimane fa YouTube ha oscurato il canale di Hinkle con l’accusa, ben fondata, di diffondere false notizie sulla guerra in Ucraina. Hinkle ha reagito con una campagna di sottoscrizioni lanciata pochi giorni fa su X: “Abbiamo svelato le bugie di Israele sui bambini decapitati, ora abbonatevi qui per tre dollari se volete che continuiamo”. Ora  Il complottismo è una missione per gli adepti ma è anche un fiorente business per i suoi guru. Byoblu vive di sottoscrizioni diffuse. Sul sito vende anche occhiali da sole “riciclati dalle reti da pesca”, disponibili in quattro modelli. Lo slogan: “Guarda la realtà con occhi diversi”.
Tutte le inchieste indipendenti hanno concluso che è stato un missile della Jihad a finire sull’ospedale di Gaza. La storia dei Jdam prodotti da Boeing potrebbe sembrare solo un caso di disinformazione ideologica  sempre  frequente in  tutti  i  fatti    , se non fosse per la chiosa del giornalista di Byoblu: il fatto, sottolinea, “getterebbe una luce nuova su come la notizia è stata trattata dai media mainstream”. Ciò che distingue la mentalità complottista dalla semplice teoria partigiana o dai singoli casi di fake news è sempre la presenza di un piano preordinato di menzogna guidato dall’alto. Mainstream è parola chiave dello stile paranoico. Indica le fonti mediatiche ufficiali, spesso indicate in Italia con una sineddoche: i giornaloni. L’ha usata anche Giorgia Meloni nel suo video saluto ai militanti di Fratelli d’Italia al teatro Brancaccio di Roma, tutto costruito sulla lotta contro poteri occulti che cercano di sabotare il suo governo.

22.7.17

Criticate Israele per quel che fa. Non per ciò che è Umberto De Giovannangeli Giornalista, esperto di Medio Oriente e Islam


Di Medio Oriente mi occupo da trent'anni. Ma non ho dovuto attendere che i capelli si facessero bianchi per comprendere quanto fosse vera una riflessione lasciataci da un grande giornalista, ahimè scomparso, che il mondo l'aveva conosciuto e raccontato davvero: Sandro Viola."Ho scritto tanti articoli da ogni parte e su tante cose avvenute nel mondo, ma non ho mai ricevuto insulti o plausi. Solo quando mi accingevo a scrivere di Israele avevo la certezza, sempre azzeccata, che sul tavolo del direttore sarebbero arrivate decine di lettere, quasi tutte di critica se non di insulti...".È la verità. Non c'è altro argomento, in politica estera, come Israele che tocchi così tante corde, emozionali e razionali, che susciti polemiche le più aspre, che fomenti divisioni, che militarizzi l'informazione. Sembra non esserci spazio per il dubbio, o si sta da una parte (israeliana) o dall'altra (palestinese) della barricata.E poco vale ricordare, con le parole e le pacate considerazioni di Amos Oz, che il conflitto israelo-palestinese rappresenta una tragedia "dostoevskijana" forse unica al mondo perché a scontrarsi, rimarca il grande scrittore israeliano, non è il "bene" contro il "male", il "torto" contro la "ragione"; l'essenza di questa tragedia è nel fatto che a scontrarsi sono ragioni e diritti altrettanto legittimi: il diritto alla sicurezza e a essere finalmente un Paese normale, per Israele, e il diritto dei palestinesi a vivere finalmente da donne e uomini liberi in uno Stato indipendente, pienamente sovrano su tutto il proprio territorio nazionale, a fianco dello Stato d'Israele.Sembrano affermazioni ragionevoli. Ma così, purtroppo, non è. Chi pensa che una pace giusta, stabile, duratura, altro non possa essere che un incontro a metà strada tra le rispettive ragioni e aspirazioni, nel migliore dei casi è tacciato di "cerchiobottismo", di voler mascherare i crimini degli occupanti (israeliani) ovvero di dimenticare i tanti civili israeliani innocenti massacrati dai kamikaze palestinesi."Nel mio mondo – scrive sempre Oz – la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c'è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte".Quante volte, ormai ho smesso di contarle, nel dar conto di critiche nei confronti di atti compiuti dai governanti israeliani, mi sono trovato (ma non sono il solo) a dover respingere l'accusa più grave, dura, infamante: essere antisemita. Da tempo, ormai, si è fatta strada in una certa parte dell'opinione pubblica e della diaspora che l'antisemitismo moderno oggi si rifletta nell'antisionismo. Soprattutto in Europa.L'accusa è di quelle che fanno male e che impongono una riflessione e interrogarsi con asprezza e sincerità sul lavoro compiuto. E chiedersi e chiedere qual è la frontiera insuperabile. Per quanto mi riguarda la risposta è: Israele può e deve essere criticato, se ve ne siano fondati motivi, per quel che fa e mai, mai, per quello che  per la grande maggioranza dei suoi abitanti e per la diaspora, vale a dire il focolaio nazionale del popolo ebraico.Senza memoria non c'è futuro, ripeteva come monito al colpevole oblio, Elie Wiesel, Premio Nobel per la Pace, da poco scomparso, sopravvissuto ai lager nazisti. E non c'è Paese al mondo come Israele che coltivi, a ragione, la memoria storica con così grande passione e attenzione. La memoria della pagina più spaventosa che l'umanità abbia conosciuto: l'Olocausto.Lo Stato d'Israele, è bene non dimenticarlo mai, nasce da questa immane ferita della quale l'Europa, e non solo la Germania nazista e l'Italia fascista, porta responsabilità. Non è un caso che fino a non molto tempo fa, ogni visita ufficiale di Stato si aprisse con una cerimonia allo Yad Vashem, il Mausoleo della Shoah a Gerusalemme.Ma quando affermo, da amico d'Israele, che Israele può e deve essere criticato se eccede nel diritto, legittimo, alla difesa o se porta avanti la colonizzazione forzata dei Territori palestinesi occupati, rendendo così impraticabile, una soluzione "a due Stati", questo non è antisionismo, tanto meno, antisemitismo.Riporto qui un passo, a mio avviso illuminante, di un lungo colloquio avuto non tanto tempo fa, con il più grande e premiato storico israeliano, il professor Zeev Sternhell:"Il sionismo si fonda sui diritti naturali dei popoli all'autodeterminazione e all'autogoverno. Questi diritti naturali dei popoli valgono per tutti, inclusi i palestinesi. Resto fermamente convinto che il sionismo ha il diritto di esistere solo se riconosce i diritti dei palestinesi. Chi vuole negare ai palestinesi l'esercizio di tali diritti non può rivendicarli per se stesso soltanto.Purtroppo, la realtà dei fatti, ultimo in ordine di tempo il moltiplicarsi dei piani di colonizzazione da parte del governo in carica, confermano quanto da me sostenuto in diversi saggi ed articoli, vale a dire che gli insediamenti realizzati dopo la guerra del '67 oltre la Linea verde rappresentano la più grande catastrofe nella storia del sionismo, e questo perché hanno creato una situazione coloniale, proprio quello che il sionismo voleva evitare.L'immagine può contenere: cielo e spazio all'aperto
Da questo punto di vista, per come è stata interpretata e per ciò che ha innescato, la Guerra dei Sei giorni è in rottura e non in continuazione con la Guerra del '48. Quest'ultima fondò lo Stato d'Israele, quella del '67 si trasformò, soprattutto per la destra ma non solo per essa. da risposta di difesa ad un segno "divino" di una missione superiore da compiere: quella di edificare la Grande Israele".L'esercizio della critica, quando non è strumentale, aiuta a non persistere nell'errore. Ciò vale per i "veri amici" d'Israele come per quelli che si sentono tali verso i palestinesi: essere sotto occupazione non può voler dire disconoscere gli errori, strategici, commessi dalle varie leadership palestinesi nel corso del tempo: non essere riusciti a trasformarsi da capi di un movimento di liberazione a leader di uno Stato in formazione, ad esempio, o l'aver giustificato, o comunque non agito con la necessaria determinazione, quando la resistenza (anche armata) contemplata dalla Convenzione di Ginevra sfociava in terrorismo stragista.Quanto all'Europa, essa non deve chiudere gli occhi o abbassare la guardia di fronte a un insorgente populismo di stampo razzista e xenofobo, che si nutre dell'odio verso l'altro da sé, che concepisce la diversità, etnica, culturale, religiosa, come minaccia e non come ricchezza, e che riaggiorna in questa chiave i pregiudizi antisemiti. Al tempo stesso, però, l'Europa non può e non deve subire passivamente l'accusa, rivoltale dai governanti d'Israele, di essere sfacciatamente filopalestinese (implicitamente intendendo anche antisionista e dunque antisemita) perché critica la colonizzazione o insiste nel considerazione la costituzione di uno Stato palestinese come un elemento essenziale per raggiungere la pace in Terrasanta.Una riflessione in proposito è imposta dalla cronaca e dalla "gaffe" di cui si è reso protagonista nei giorni scorsi il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu:"Penso che l'Europa debba decidere se vivere e prosperare o appassire e scomparire. L'Ue è l'unica associazione di Paesi nel mondo che ponga condizioni politiche ai suoi rapporti con Israele, che produce tecnologia in ogni settore. È folle, è completamente folle".Le parole poco diplomatiche e politicamente azzardate sono state pronunciate Netanyahu nel corso di un meeting a Budapest, a porte chiuse, con i leader del gruppo Visegrad (Polonia, Rep. Ceca e Ungheria). "Folle" si riferisce all'insistenza europea sulla risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Il collegamento con i giornalisti è stato tagliato appena i collaboratori di Netanyahu si sono accorti che i reporter sentivano tutto quello che stava dicendo. Ma prima che ciò accadesse sarebbero filtrate diverse altre dichiarazioni controverse.A proposito dei cambiamenti alla Casa Bianca, Netanyahu avrebbe attaccato l'ex presidente Barack Obama. ''Abbiamo avuto un grosso problema con gli Stati Uniti. È diverso ora. C'è una presenza americana rinnovata nella regione (la Siria e il Medio Oriente in generale, ndr). Questo è positivo'' avrebbe sostenuto Netanyahu, dimostrando di apprezzare il nuovo tono imposto alla Casa Bianca dal presidente Trump. "Siamo d'accordo sullo Stato islamico, non siamo d'accordo sull'Iran".Le critiche sferzanti all'Europa non sono una novità. Ciò che è invece una (sgradevole) novità è che Netanyahu avrebbe espresso anche un chiaro sostegno per la linea anti-immigrazione del gruppo Visegraad, che in questi anni ha alzato recinzioni alle frontiere per bloccare le ondate di profughi provenienti dal Medio Oriente.Il premier israeliano avrebbe detto di credere nella libera circolazione delle merci e delle idee, "ma non delle persone" ed esortato i leader dell'Europa orientale a proteggere i propri confini. Nessuno, nell'entourage di Netanyahu, ha smentito o rettificato queste affermazioni. Fa un certo effetto il sostegno del primo ministro d'Israele al suo omologo ungherese, quel Viktor Orban, che ha fatto della purezza identitaria magiara e del respingimento di persone che fuggono da miseria, guerre, disastri ambientali, il proprio credo politico.Ecco, rilevare questo è una critica a Israele (rappresentato da un premier liberamente eletto) per quel che fa o che dice, e non per ciò che è. L'antisemitismo non c'entra niente ed evocarlo non fa il bene d'Israele.
Huffington Post 20/07/2017

8.9.15

ALLA VIGILIA © Daniela Tuscano

sempre  sullo stesso  fatto

È spirata anche lei, alla vigilia del giorno della Madre, alla vigilia della scuola. Reham aveva ventisei anni, era insegnante e s'è fermata sulla soglia, in perenne attesa. Il suo cuore ha ceduto dopo la perdita ancora senza giustizia del figlioletto Ali, 18 mesi, arso vivo in un incendio causato da estremisti
israeliani. E ha seguito il marito Saad, anch'egli deceduto pochi giorni fa per le ustioni. Di questa famiglia, quasi una sacra rappresentazione musulmana, non è rimasto più nulla. Peggio: è rimasto Ahmed, l'altro figlio. Quattro anni gettati nel mondo. Quattro anni che ancora ignorano di dover camminare da soli, e per quali vie. Le esistenze non sono quadri, anche nell'orrore c'è sempre una sbavatura, un surplus di pena, una vigilia di catastrofi, un bimbo solo. È soprattutto a lui che, ora, il mondo deve stringersi. E far sì che la cenere del ricordo non divampi nel fuoco dell'odio inestinguibile. Per contemplare, un domani, quell'incompiuta Trinità in nome dell'amore, dignitoso e austero, che vi traspariva.
Non oso invocarlo, quell'amore. Nemmeno sperarlo. Non ne ho il diritto. Della distruzione di questa famiglia siamo davvero responsabili tutti. E non possiamo condannare la vendetta che s'invocherà. Ma dobbiamo, dobbiamo assolutamente garantire ad Ahmed di superare quella vigilia, d'entrare in una vita piena, innocente e gioiosa, d'innamorarsi, di completare l'opera iniziata dai genitori e dal fratellino. Altrimenti quell'immagine, già torta dalle fiamme, verrà completamente distrutta; si perderà, come tanti martiri, nel fumo oblioso del tempo, sconosciuta e dannata. Basta fissarla un attimo, e domandarsi: possiamo arrivare a questo punto?


                                      © Daniela Tuscano

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...