volontaria: la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, intesi non come sostegni alla vita quotidiana di una malata grave ma come presidi medici che sostituiscono funzioni vitali. Un punto fermo, per i giudici costituzionali, a garanzia di tutte le persone che si trovano in condizioni analoghe e che vanno protette da derive e scelte letali contro la loro vita, così come detta lo spirito complessivo del nostro ordinamento.A pronunciarsi contro la richiesta della donna triestina e a impedire che si suicidasse era stato anche il Tribunale di Trieste, che a fine marzo ha rigettato la sua richiesta per lo stesso motivo espresso dall’Azienda sanitaria. Due verdetti di autorità differenti – sanitaria e giudiziaria – che sono giunte alla stessa conclusione. Martina Oppelli però non ce la faceva più e ha deciso di suicidarsi ugualmente. Una scelta tragica, come ogni suicidio, davanti alla quale c’è spazio solo per il dolore e il rispetto. Lo stesso rispetto per tutti i pazienti nelle sue condizioni – e anche più gravi – che impone di riflettere sul fatto che la soluzione di morte volontaria per una malattia che si è fatta insostenibile è sempre drammatica, una sconfitta per tutti. E richiede che si evitino le consuete polemiche riflettendo piuttosto su cosa occorre fare perché situazioni come quella di Martina Oppelli si possano prevenire e la morte non diventi la via d’uscita ordinaria a casi simili. Che fare, dunque?Anzitutto ascoltare la voce dei vari malati come e per ultima la donna triestina: «Fate una legge che abbia un senso, una legge che tenga conto di ogni dolore possibile – dice rivolgendosi ai parlamentari nel suo messaggio di congedo diffuso dall’Associazione Coscioni –, che ci siano dei limiti, certo, delle verifiche, ma non potete fare attendere due, tre anni prima di prendere una decisione. In questi ultimi due anni il mio corpo si è disgregato, io non ho più forza, ma non ho più forza nemmeno di respirare delle volte, perfino i comandi vocali non mi capiscono più. Perché sono dovuta venire qui all'estero? Perché non ce la facevo più ad aspettare, non ce la facevo più. Per piacere fate una legge che abbia un senso e che non discrimini nessuna situazione plausibile. Scusate il disturbo».

"Maria", la malata di sclerosi multipla che è comparsa davanti alla Corte costituzionale
Eppure, della sua voce di malata grave che chiede cure e non morte pochi si sono accorti. Perché? «Come si dice, fa più rumore un albero che cade rispetto a una foresta che cresce. Fa più notizia, e non solo – è la risposta di Maria –. Secondo me, le richieste di farla finita arrivano da persone lasciate sole, che non ricevono aiuto sufficiente. Io ho avuto la fortuna di aver incontrato le persone giuste, tra amici, sacerdoti, medici, e ovviamente mio marito. Ricordo ancora che la prima dottoressa che si era occupata di me mi aveva regalato due biglietti per un concerto, proprio per spronarmi a vivere pienamente la mia vita. È una cosa bella ma, in fondo, dovrebbe essere normale. Se incontriamo una persona sul cornicione del quinto piano la invitiamo a buttarsi o ci offriamo di aiutarla a risolvere i suoi problemi? Si evocano termini come misericordia, libertà, dignità, ma si tenta di far passare l’idea che esista una libertà di uccidersi. La dignità, quella vera, è nel poter continuare a vivere. Siamo nati per questo».



