dalla nuova sardegna del 17\10\2011
Meglio le manette ai polsi, piuttosto che una pallottola in testa. Così l’altra sera ha preferito farsi arrestare dando vita a una sorta di sceneggiata: ha rubato un furgone nel cuore della città di Eleonora, poi ha raggiunto la questura e si è autodenunciato. In verità ci aveva provato anche poco prima, confessando un furto (900 euro) messo a segno nel Lazio. Ma non è stato creduto. Così ha optato per il furgone. Il motivo del suo singolare gesto? Eccolo: finire in carcere, piuttosto che varcare da solo i cancelli del palazzo di giustizia di Cagliari.Dove dovrà presentarsi la mattina di mercoledì 22 in veste di testimone in un processo già fissato. Processo al quale voleva andare solo se scortato dalla polizia penitenziaria. Con buona ragione, tenuto conto che il protagonista di questo episodio un po’ kafkiano è Carlo Dessì, 54 anni, cagliaritano doc, malavitoso di lungo corso e forse uno dei pentiti della prima ora. Un uomo, insomma, sul quale vorrebbero mettere le mani in tanti. E non certo per accarezzargli il viso. Infatti, nei suoi confronti esiste probabilmente una vera e propria condanna a morte, emessa da qualcuno di quei boss che Carlo Dessì ha volutamente tradito, dopo averne condiviso i crimini. Forse anche quelli peggiori, mai confessati ovviamente, che dopo anni e anni di indagini fece finire in Corte d’assise pezzi da novanta e semplici gregari di quella organizzazione malavitosa conosciuta come la “banda di Is Mirrionis”, capeggiata dal sanguinario Mario Tidu ( foto dell'epoca sopra a sinistra ), che per lungo tempo e impunemente terrorizzò Cagliari e dintorni, lasciandosi dietro attentati dinamitardi (arrivarono persino a far esplodere la dinamite davanti all’ingresso del commissariato di Sant’Avendrace, allora posto in via Abruzzi), sparatorie in puro stile western nelle strade del quartiere San Michele e un bel po’ di morti ammazzati. Banda che fu sgominata all’alba di un giorno d’inverno di fine ’9 2, quando un esercito fra poliziotti e carabinieri, coordinati dall’ attuale questore di Grosseto, Maria Rosaria Maiorino, cinse d’a ssedio i quartieri di Is Mirrionis e San Michele per eseguire gli ordini d’arresto firmati in buona parte dal sostituto procuratore Mario Marchetti. Ebbene, fra la cinquantina di persone - comprese molte donne - che finirono in carcere (in parte a Buoncammino, in parte a Oristano e altri a Sassari) c’era anche lui, Carlo Dessì, che forse aveva già mosso i primi passi verso la più sicura oasi del collaboratore di giustizia.Ovviamente dopo arrivarono i processi. E nel corso di quello di primo grado, davanti alla Corte d’assise, nell’aula del “ palazzaccio” cagliaritano fece capolino, seppure con una toccata e fuga, anche un vero boss, di quelli con la “B” maiuscola. Vale a dire Gaetano Iannì, “don Tano” per amici e picciotti, riconosciuto capo della Stidda, una costola della mafia siciliana entrata in guerra aperta con Cosa Nostra.Cosa c’entrava Tano Iannì, che a cavallo dei fine anni Ottanta e i primi anni Novanta viveva da libero vigilato in quel di Carbonia (con tutto il suo clan, formato da gente dal grilletto facile)? Lo raccontò lui stesso ai giudici - dopo aver indossato i larghi panni del pentito, che ancor’oggi indossa insieme ai due figli che aveva utilizzato in più azioni criminose - sostenendo che Mario Tidu e il suo braccio destro Elio Melis, soprannominato Sa Niedda, avevano contattato il clan dei siciliani per ottenere da loro droga in cambio di armi o viceversa. Per concludere questa sorta di excursus criminale va ricordato che il processo alla “banda di Is Mirrionis” si concluse con la distribuzione di diversi ergastoli e centinaia d’ anni di reclusione, confermati poi, nel tempo, in Assise e in Cassazione. E tra i condannati, a una pena tutto sommato mite, c’e ra anche lui, questo Carlo Dessì protagonista dell’episodio oristanese, che per un certo periodo era entrato nel cosiddetto programma di protezione, messo in piedi giusto per tutelare i pentiti. Ma evidentemente la protezione è stata breve. Già, perché Carlo Dessì, con un suo amico di gioventù e di pentimento, Paolo Santona, morto poco tempo fa, si mise nei guai durante le indagini sul sequestro di Silvia Melis con un maldestro tentativo di calunnia ai danni del magistrato Mario Marchetti, che a loro dire - ma poi ritrattarono tutto - li assoldò per incastrare con una presunta storia di droga l’allora editore Niki Grauso. Poi, negli ultimi anni, Carlo Dessì ha finito con il vivere da barbone, girovagando per l’Italia, tenendosi però ben lontano da Cagliari. Chissà perché?
A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta la guerra tra gruppi che si contendevano il mercato dell’eroina. Pistolettate sulle auto e dai palazzi in pieno giorno: la gang seminò il terrore nel quartiere
CAGLIARI.
Tra la metà degli anni Ottanta Si lottava per guadagnare spazio tra gli spacciatori, grandi e piccoli, per diventare il primo importatore di droga. Erano gli anni dell'eroina, che arrivava da Milano e dalla Turchia, più della polvere bianca. E poi delle armi a volontà, circolavano come e più della droga. Bombe comprese, usate per terrorizzare e punire. Tidu ne piazzò una il 10 giugno 1991 davanti alla porta di casa di un socio divenuto rivale, Andrea Manca, che abitava in piazza Medaglia Miracolosa. Non lo uccise ma ferì due ragazzini. a e i primi Novanta, le cronache descrivevano una Cagliari criminale. A Is Mirrionis, feudo della banda che faceva capo ad Antonio Fanni e Elio Contu, menti occulte dell'organizzazione, si sparava per strada. Come quando Mario Tidu - che Fanni e Contu avevano designato come reggente dei traffici di droga - scaricava la sua pistola sulle auto che assomigliavano a quelle del rivale Sandro Piu, capo della banda avversaria.
Allora Tidu mandò un commando armato che esplose i colpi contro le finestre di Manca; lui rispose al fuoco con pistolettate. Erano le palazzine di Is Mirrionis, non il vecchio Bronx. È solo uno dei tanti episodi da film divenuti verità processuale con il verdetto della Cassazione di quest'estate, che riguarda anche Riccardo Piras e ovviamente Mario Tidu. Oltre a loro, la statistica criminale deve ricordare Giuseppe Mascia "Brillanti" (la cui condanna è stata però annullata) e ancora Sandro Melis, questi ultimi considerati i mandanti del delitto di Pietro Stori, ucciso da Salvatore Arba e Salvatore Cabiddu.Il nome di Melis ricorre nelle pagine dei quotidiani recenti. Il 18 marzo 2009 ha varcato il cancello dell'agriturismo dei vicini, a Sant'Andrea Frius, e ha fatto fuoco contro Maria Rosa Cireddu e il marito Luciano Cappai, che si è salvato. Dopo tre mesi, il corpo di Melis è stato trovato sul sagrato della chiesetta vicino al lago di Simbirizzi, a Quartu. Morte naturale. Un altro delitto efferato associato al nome della banda è quello del portantino d'ospedale Eraldo Carrucciu, che Antonio Strazzera riforniva di droga da spacciare. Al primo debito, decise che doveva morire, e armò la mano di Paderi e Tidu. Era il 1990. L'anno di Cagliari criminale.
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