vedendo sia indiretta che in differita le gare delle paraolimpiadi mi chiedo quali espressioni , in questo mondo ricco di umanità, usare o non usare o cancellare al mio vocabolario frasi come handicappato, invalido, disabile, diversamente abile, meglio persona con disabilità... .
Ma sopratutto come parlare Come parlare delle donne e dei transgender \ lgbtq alle Olimpiadi senza sembrare un viscido retrogrado.Credo che proverò a seguire quanto consigliato da questi due articoli che ho trovato cercando una riuspostra al mio dubbio in rete : << Paralimpici, via ai Giochi: quali parole usare. >> da La Gazzetta dello Sport sule paraolimpiadi di Rio se ho letto bene e un altro articolo molto interessante << Disabili o diversamente abili : cosa usare per parlare di disabilità?>> da disablog.it in sintesi se ho ben capito ecco evitare le parole passive e vittimistiche. Usare un linguaggio che rispetti le persone disabili come individui attivi con controllo sulla propria vita. Ecco un elenco delle parole da evitare e la loro terminologia corretta:
Da evitare: Handicappato, disabile; da usare: persone disabili.
Da evitare: afflitto da, soffre di, vittima di; da usare: ha (seguito dal tipo di disabilità).
Da evitare: confinato su una sedia a rotelle, relegato su sedia a rotelle; da usare: utente su sedia a rotelle.
Da evitare: handicappato mentale, mentalmente carente, ritardato, subnormale; da usare: con difficoltà di apprendimento.
Da evitare: paralizzato, invalido; da usare: persona con disabilità o persona disabile.
Da evitare: spastico o spastica; da usare: persona con paralisi cerebrale.
Da evitare: malato di mente, pazzo; da usare: persona con una condizione di salute mentale.
Da evitare: sordo e muto, sordomuto; da usare: sordo, persona con problemi di udito.
Da evitare: cieco; da usare: persone con disabilità visive, persone cieche, persone non vedenti e ipovedenti.
Da evitare: un epilettico, un diabetico, un depresso e così via; da usare: persona con epilessia, diabete, depressione o qualcuno con epilessia, diabete, depressione.
Da evitare: nano; da usare: qualcuno con crescita limitata o bassa statura.
Dopo queste precisazioni Eccoci al il terzo giorno di Paralimpiadi . Se vi era già venuta nostalgia delle nazionali italiane di pallavolo, soprattutto quella femminile,da ieri ne abbiamo un'altra da seguire e a cui eventualmente appassionarci una squadra molto detterminata ed combattiva visto che ha sconfitto quella Francese per tre set a 0 .
In questi giorni si stanno svolgendo anche le gare In questi giorni pieni di gare di atletica leggera forse qualcuno si sarà chiesto: perché “leggera”? Serve a distinguerla da altri tipi di atletica? C'è un'atletica pesante? In effetti sì, o almeno c'era: fino a qualche decennio fa infatti a livello internazionale gli sport di lotta e il sollevamento pesi erano gestiti da un'unica federazione di atletica pesante, che peraltro in Italia ha ancora una rappresentanza rispetto a gli altri paesi europei . Infatti Le Olimpiadi moderne si ispirarono ai Giochi dell'antica Grecia, in cui erano previste sia gare di lotta che di sollevamento pesi: tutte le gare che erano state ispirate a quel modello vennero comprese nella definizione di atletica, che poi si distinse in “leggera” e “pesante”: non è comunque così sorprendente che si usi la parola “atletica” anche per questi sport, visto che viene dal greco antico athlos, che significa proprio “lotta”, “combattimento”. Nel corso del Novecento le discipline dell'atletica pesante si organizzarono in federazioni distinte e quindi si smise di chiamarle con quell'unica definizione. Oggi la distinzione tra “leggera” e “pesante” di fatto non è più rilevante .
La partenza della finale dei 100 metri maschili T47 disputata ieri, tra le gare d'atletica (David Ramos/Getty Images)
Un po' troppo entusiasmo allo Stade de France
In diverse discipline per ciechi alle Paralimpiadi – ne avevamo già parlato – c'è bisogno che il pubblico faccia silenzio: tra queste c'è anche il salto in lungo, dove ogni saltatore o saltatrice ha una guida posizionata in prossimità della buca con la sabbia che dà un'indicazione sonora per far capire dove l'atleta deve indirizzare la corsa. Ciascuno ha un suo metodo: ci sono guide che battono solo le mani, altre che danno indicazioni con la voce e altre ancora che fanno entrambe le cose. La guida dell'italoalbanese Arjola Dedaj, per esempio, dice molte volte «vai!».
Più l'atleta si avvicina al punto in cui deve saltare, più la guida aumenta il ritmo del segnale acustico per farle aumentare anche il ritmo della corsa. La guida deve poi spostarsi in tempo dalla traiettoria di corsa per evitare che l'atleta le finisca addosso (alcune lo fanno molto all'ultimo momento).
Ieri durante la finale femminile della categoria T11 (che è appunto quella per saltatrici cieche) tutte queste operazioni sono state molto complicate: il pubblico dello Stade de France – dove si svolgono le gare – era molto esaltato per l'atletica, pure troppo, e faceva un gran rumore anche nei momenti in cui si chiedeva silenzio. Il personale sugli spalti non riusciva a zittire le persone, e alcune atlete hanno dovuto aspettare molto tempo prima di ogni salto. È stato forse il primo grande intoppo organizzativo di queste Paralimpiadi.
Arjola Dedaj è stata tra le atlete penalizzate da questa situazione e a tratti è sembrata piuttosto sconfortata. Alla fine è arrivata quarta con un salto di 4,75 metri, a un centimetro dal terzo posto: un ottimo risultato soprattutto se si considera che ha 42 anni e questa sarà con ogni probabilità la sua ultima Paralimpiade. Nelle sue gare Dedaj è spesso tra le più fotografate per via delle eccentriche mascherine che indossa sugli occhi: tutte le saltatrici cieche ne hanno una, ma nella gran parte dei casi sono oggetti del tutto anonimi. Ieri ne aveva una a forma di farfalla che è molto piaciuta (non è l'unica atleta fantasiosa, comunque).
La mascherina a forma di farfalla usata ieri da Dedaj (Julian Stratenschulte/dpa)
Amore e amicizia
Alla cerimonia di chiusura delle Olimpiadi Tony Estanguet, presidente del comitato organizzatore di Parigi 2024, aveva celebrato con una certa fierezza un record dell'edizione che si era appena conclusa: era stata, aveva detto, quella con più proposte di matrimonio di sempre, ben 6. Secondo Estanguet il record era da attribuire in qualche modo all'influenza di Parigi, che lui definiva la città dell'amore per eccellenza.
Lì per lì quella frase di Estanguet era sembrata semplicemente uno dei tanti espedienti retorici per celebrare i Giochi che lui stesso aveva organizzato, ma in effetti per qualche ragione difficilmente spiegabile a Parigi 2024 le storie d'amore e relazioni tra gli atleti sembrano molto più visibili del solito (i social c'entrano, certo), e la tendenza sta continuando anche a queste Paralimpiadi. C'è stata addirittura una storia che ha fatto da “ponte” tra i due eventi, molto raccontata: quella della recente campionessa olimpica di salto in lungo Tara Davis e del marito Hunter Woodhall, atleta paralimpico specializzato nelle gare di velocità. È probabile che il video di lui che segue molto emozionato la finale di lei, e che piange dopo la vittoria, vi sia già capitato sotto mano.
Dopo di loro è stata la volta dei nigeriani Christiana e Kayode Alabi, che sono sposati e sono entrambi nella nazionale di tennistavolo a queste Paralimpiadi: è una storia d'amore piuttosto normale, in realtà, ma anche questa è finita un po' ovunque.
(Alex Slitz/Getty Images)
Poi sono cominciate le proposte di matrimonio anche alle Paralimpiadi: la prima l'ha fatta fuori dalla mensa del villaggio olimpico il triatleta spagnolo Lionel Morales Gonzalez; la seconda, in una location forse un po' migliore, è stata fatta sui campi da badminton ieri mattina dal brasiliano Rogerio de Oliveira, che dopo una partita si è inginocchiato con in mano un anello e un cartello che diceva «Edwarda vuoi sposarmi?». E siamo solo al secondo giorno.
per altre storie d'amore ma anche d'amicizia eccovi altri url :
come nelle olimpiadi non paraolimpiche anche il quarto posto o non arrivare a medaglia può essere prezioso soprattutto in queste parolimpiadi le cose storie \ vicende sono più sofferte di noi che abbiamo problemi non invalidanti
sempre dalla Nw pari de ilpost.it
Eliminata con stile
Se siete tra quelli che si erano appassionati all'inaspettata coolness di certi tiratori di pistola alle Olimpiadi, allora forse vorrete almeno sapere qualcosa di lei: Asia Pellizzari, 22enne tiratrice con l'arco trentina che stamattina è stata eliminata agli ottavi di finale della categoria W1. Anche se è molto giovane Pellizzari è già alla sua seconda Paralimpiade e ha diversi titoli nei tornei internazionali: non è difficile immaginare che la ritroveremo in altre edizioni dei Giochi. Nel frattempo potete cominciare ad appassionarvi alla sua posa molto fotogenica di quando fa scoccare la freccia dall'arco.
Il tiro con l'arco è il primo sport paralimpico di sempre, e anche quello dov'è ormai comune che gli atleti con disabilità gareggino con quelli normodotati.
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da Open 30 Agosto 2024 - 16:42
Paralimpiadi di Parigi, atleta tunisino boicotta la sfida di bocce con un israeliano: «È per la causa palestinese»
di Ugo Milano
EPA/CHRISTOPHE PETIT TESSON I Alcuni portabandiera durante la cerimonia di chiusura di Parigi 2024, Francia, 11 August 2024.
Achraf Tayahi non si è presentato alla gara con lo sfidante Nadav Lev
Un atleta tunisino, Achraf Tayahi, ha deciso di boicottare la gara di bocce contro lo sfidante israeliano Nadav Lev per dare voce alla «causa palestinese». Una scelta, quella portata avanti dall’atleta, che in modo automatico lo esclude dalle competizioni alle Paralimpiadi di Parigi 2024. Decisione che per il tunisino «rappresenta una vittoria per la causa». A riferirlo è stata una fonte della delegazione tunisina al sito di informazione Al-Araby Al-Jadeed. Lev approda quindi alla fase successiva dove incontrerà stasera il brasiliano Maciel Santos. Non è la prima volta che lo scontro tra Tel Aviv e Hamas approda a Parigi. Già durante lo svolgimento delle Olimpiadi era circolato un video della propaganda iraniana in cui si criticava la partecipazione di Israele ai Giochi.
Parigi, 30 agosto 2024 – Le Paralimpiadi di Parigi 2024, già alla seconda giornata di finali, hanno fatto segnare un momento storico, con la prima medaglia vinta dal Team Rifugiati. È accaduto nel parataekwondo femminile (categoria 47 kg), con il bronzo ottenuto da Zakia Khodadadi, ragazza afghana, nata e vissuta fino al 2021 nella provincia di Herat, da dove venne evacuata tre anni fa dopo il ritorno al potere dei talebani. Infatti Zakia Khudadadi porta con sé molti titoli che potrebbero
appesantirla nella vita quotidiana: rifugiata, donna, persona con disabilità.Anche a causa della sua disabilità (è nata senza l’avambraccio sinistro), e non solo per questioni politiche ma culturali, fatte di discriminazioni, già da ragazzina Khodadadi – che oggi vive e si allena proprio a Parigi – aveva dovuto vivere una quotidianità molto difficile in Afghanistan, sino a pensare addirittura al suicidio ancora bambina. “Ho combattuto per anni per dimostrare che quella non fosse una limitazione”, ha detto in una recente intervista al sito ufficiale delle Paralimpiadi, e se in qualche modo era riuscita a uscire da quella situazione, nulla ha potuto contro le privazioni imposte dal regime talebano.
Ma questo, a Parigi 2024, le ha consentito di realizzare il sogno di una medaglia paralimpica, e di farlo entrando appunto nella storia avendo portato il primo alloro al Team Rifugiati. Lo scorso 9 agosto, anche alle Olimpiadi era arrivata la prima medaglia nella storia del Team Rifugiati: a ottenerla era stata ancora una volta una donna, la pugile Cindy Ngamba (bronzo nei pesi medi), camerunense fuggita dal proprio Paese, dove avrebbe rischiato l’arresto a causa della sua omosessualità. Oggi vive in InghilterraQuando le è stato chiesto quale sia il titolo più pesante da portare, l'atleta nata in Afghanistan che giovedì (29 agosto) ha vinto la prima medaglia in assoluto per la Squadra Paralimpica dei Rifugiati, non ha esitato a rispondere: donna.
“Per me, il bronzo, è come l'oro perché vengo in Francia. Prima ero in Afghanistan e in Afghanistan non era possibile (praticare) questo sport”, ha dichiarato Khudadadi a Olympics.com dopo aver festeggiato la sua medaglia nel Para taekwondo K44, classe -47 kg.
L'atleta 25enne è stata evacuata dall'Afghanistan dopo che i Talebani hanno preso il potere nel suo Paese nell'agosto 2021. All'epoca, Khudadadi si stava preparando a fare il suo debutto Paralimpico a Tokyo 2020, dove è diventata la seconda atleta donna a rappresentare l'Afghanistan ai Giochi Paralimpici e la prima donna Paralimpica del Paese da Atene 2004.
Come atleta donna, Khudadadi ha subito minacce di morte in Afghanistan ed è stata evacuata da Kabul dopo la presa del potere, una settimana prima dell'inizio di Tokyo 2020, insieme al velocista Hossain Rasouli. In seguito si è stabilita a Parigi, in Francia, e ha partecipato ai Giochi Paralimpici del 2024 come unica atleta donna della Squadra Paralimpica dei Rifugiati, composta da otto membri.
Simbolicamente, è stata un'allenatrice donna, la medaglia d'argento di Rio 2016Haby Niare, a guidarla verso lo storico podio. Niare è stata anche la prima a correre a congratularsi con un'emozionata Khudadadi dopo il suo storico risultato.
“Sono così emozionata. Sono così felice perché questo è il mio sogno”, ha detto Khudadadi. “Oggi ho vinto una medaglia di bronzo e sono la prima donna Paralimpica rifugiata (medagliata) al mondo e ho vinto una medaglia di bronzo. Questo per me è un sogno. E ora sono in un sogno”.
ho letto da poco Il Codacons e l’Associazione Utenti dei servizi Radiotelevisivi scendono in campo con una denuncia contro la Rai e Amadeus dopo la notizia della partecipazione dei 'La Sad' al Festival di Sanremo 2024. E' vero che che in un paese dove i femminicidi e la violenza di genere sono
ormai all'ordine del giorni e che nei festival musicali e c'è un’assoluta ipocrisia: "Un Paese che si commuove per Giulia Cecchettin non può applaudire certi brani ('Ma tu sei peggio della coca, sei una tr**', e 'ti sco**** solo per strapparti il cuore', per citarne due tra tanti ) offensivi nei confronti delle donne e caratterizzati da una esaltazione costante di violenza e misoginia.Come è vero che come ho già spiegato in due precedenti post : <<non è censurando le opere misogne e sessiste che s'affronta il femminicidio e la cultura dello stupro ma opponendoli la cultura del rispetto e della legalità e in << “Oscurate le loro canzoni” Fedez, Sfera e altri sedicenti cantanti denunciati per i testi osceni e indegni delle loro canzoni. A chiederlo il Codacons, che in tal senso ha presentato una formale istanza al Governo, alla Siae e a Youtube >> la censura ed il boicotaggio non sono una soluzione ma : una panacea , un nascondere la testa sotto la sabbia . Soprattutto perchè in un festival musicale si dovrebbe giudicare un gruppo o individuo per i testi che porta in concorso e non ( almeno non solo ) per quelli scritti in precedenza . Inoltre tale crociata pubblicitaria , perchè se vuole combattere \ contrastare tali fenomeni culturali lo si deve fare proponendo un altro tipo di cultura . Ora mi faccio la domanda e mi do la risposta finirà tutto a taralucci e vino come qualche anno fa quando non si voleva far partecipare un trapper semre al festival per i suoi testi misogeni e violenti ma poi dopo un estenuate tiura e molla lo facerò paertecipare lo stesso ? io penso di no dopo il caso di giuliachettin . e voi ?
Da oggi inizierà un mio diario in cui parlerò di come sopravvivere ai mondiali edil concentrarmi. delle eventuali storie mondiali e il dietro le quinte vista la censura e l'autocensura che ci sarà o di come ho passato la giornata Ma non divaghiamo .
Oggi , come da 32 anni ( più precisamente da italia 90 ) , ho saltato in tv la giornata inaugurale della kermesse dei mondiali di calcio .Come ci sono riuscito vi chiederete ? semplice per il fatto che il calcio , anche se ancora ne racconto storie ed ogni tanto guardo le partite in tv o allo stadio , o parlo coe commento con amici tifosi giusto per rmanere isolato ed emarginato , non mi sta più appassionando come quando ero ragazzo che pur guardando le partite ho sempre odiato le trasmissioni considerandole un oppio \ arma di distrazione di massa come descrive benissimo questa canzone ( e relativo video sotto riportato ) dei Mcr
intravedevo quello di cui parla in questo belllissimo articolo del giornalista Massimo Fini o questo video di Nova Lectio pur continuando almeno fino a calciopoli a rimanere fedele e sdrammattizzare , che ormai fosse tutto soldi e oppio . Il post potrebbe finire qui , ma una cosa mi sento di dire e che un po' di silenzio da parte dei media , telecronache a parte perchè svolgono servizio per coloro che scelgono di non optare per il boicotaggio , piuttosto che i soliti articoli ipocriti e di circostanza come se scoprissero solo ora il marcio che c'è dietro e la poco democraticità del paese in cui si tengono . Ne ho aprofittato per : mangiare castagnre arrosti.te nel cammino di casa con gli amici e pooi vedermi le altre ultime due puntate della fiction , Esterno Notte genere drammatico, giallo del 2022, diretto da Marco Bellocchio, prolungamento e d approfondimento dei due film : Buongiorno, notte ( 2003 ) e dell' omonimo Esterno notte ( 2022 ) dello stesso regista sulla vicenda di Aldo Moro
IL film racconta la storia gli ultimi sei giorni di Stefano Cucchi. E' un film in cui la sceneggiatura così come è stata scritta che è il frutto di un' analisi dieci mila pagine di verbali ,delle testimonianze delle centoquaranta persone che hanno incontrato Stefano in quei sei giorni non preende naturalmente come è giusto nessuna posizione raccontano i fatti così come sono .un ragazzo che muove mentre custodia dello Stato non è una vicenda privataè qualcosa che riguarda tutti noi perché poi lo Stato dovrebbe rappresentarci tutti. Infatti esso è un film che fa rabbia, tanta rabbia. E che : << non scade nella banale retorica di cui spesso sono vittime pellicole di questo tipo. Assolutamente da vedere >> ( dall'unione sarda quotidiano sardo di centro destra ). Questo articolo di Marco cocco sull'unione sarda del 16 settembre
spiega il perchè , nonostante un fortissimo mal di denti , l'ho visto su netflix .un film talmente fatto bene che : non letto fin ora , se non i siti del famoso sidacato di polizia . nessuna stroncatura o minimazzione da parte di social , sitti , ecc filo forze dell'ordine . Un film che nonostante il boicotaggio : gli rimuovono gli annunci negli eventi di facebook con la scusa che violerebnbe il copyright , Mandano come è sucesso nei giorni scorsi a Rimini la polizia a presediare la sala di dove venicva proiettato
Scusate se concludo , ma ho ancora mal di denti forte , e non riescxo a scrivere molto a lungo con questo ottimo articolo dell'unione sarda del 15\9\2018
Alessandro Borghi nei panni di Stefano Cucchi
Un pugno nello stomaco di inaudita violenza. Di quelli che ti lasciano piegato in due, senza fiato.Anche per questo non è facile scrivere di un film come "Sulla mia pelle", dedicato alla terribile vicenda di cronaca di Stefano Cucchi, il 31enne romano morto nell'area detenuti dell'ospedale Pertini di Roma dopo una settimana di custodia cautelare, mentre era nelle mani dello Stato.Duro, violento - ma senza bisogno di mostrarla, quella violenza - e mai banale.Alessio Cremonini, il regista, non ha bisogno di usare la retorica che spesso trasuda da pellicole che raccontano storie di questo tipo. Non ha bisogno di ricorrere a colonne sonore strappalacrime, di prendere le parti dell'uno o dell'altro o di aizzare gli spettatori contro l'Arma.Così come non ha bisogno di mostrare il brutale pestaggio a cui viene sottoposto Stefano. Quando la porta della caserma si chiude, subito dopo l'ingresso del giovane con i tre carabinieri, la telecamera resta fuori. Discreta. E neanche si sente alcun tonfo, alcun rumore, o qualsiasi altra cosa che possa lasciar immaginare cosa stia accadendo lì dentro.
Da sinistra, il regista Alessio Cremonini e gli attori: Max Tortora, Jasmine Trinca, Alessandro Borghi e Milvia Marigliano (foto Ansa)
Perché quanto successo in quelle quattro mura emerge nei restanti 80 minuti di film. In quel progressivo deterioramentofisico e psicologico che porterà Stefano Cucchi a morire nel giro di neanche sette giorni, e che la regia di Cremonini mostra con una durezza quasi spietata.
Il tutto grazie ad una strepitosa interpretazione di Alessandro Borghi, che raggiunge con Stefano una somiglianza fisica spaventosa. Anche la voce - si evince da un documento audio autentico che si può ascoltare al termine del film - è praticamente identica. Un Borghi straordinario, prima nell'interpretare quel ragazzo di borgata discreto ma anche un po' sfrontato (almeno quando lo fermano i Carabinieri), poi nel mostrarne il rapido declino e la lunga agonia nei giorni successivi al pestaggio.
Alessandro Borghi e Stefano Cucchi (foto Ansa)
Il personaggio di Stefano non viene mitizzato o messo su un piedistallo, ed è un altro grande merito del film. Che non scade, come spesso avviene, nella retorica del ragazzo senza macchia vittima degli uomini in divisa.Stefano Cucchi di macchie ne ha, e il film le mostra tutte: è un ex eroinomane, con tutta probabilità uno spacciatore (prima di uscire di casa si vede Stefano tagliare alcune dosi di hashish da un grosso pezzo, dopo la sua morte i genitori ritrovano in un appartemento di loro proprietà in uso al ragazzo, e consegnano alle forze dell'ordine, 925 grammi di hashish e 133 di cocaina). Un ragazzo della periferia romana, con la voce e l'accento tipici del ragazzo di borgata, con tutti i suoi difetti e le sue fragilità. Un ragazzo che non doveva morire. Non così. Non quel giorno. Non mentre era nelle mani di quello Stato che ci dovrebbe proteggere.
Un film che fa rabbia, "Sulla mia pelle".
In cui tutto fa rabbia. Fa rabbia quel brutale pestaggio, che non vediamo e di cui non sentiamo neanche il rumore, che possiamo solo immaginare. Quel pestaggio ingiustificato, nei confronti di un ragazzo già fragile (162 centimetri d'altezza per 43 chili di peso), per nulla pericoloso e in stato di fermo.Fa rabbia anche Stefano, che non fa nulla per salvarsi o per farsi salvare. Copre - per paura o per sfiducia nelle istituzioni - davanti al giudice e a tanti altri le colpe dei suoi aguzzini. Solo in alcuni scatti d'ira arriva a urlare di essere stato "menato dai carabinieri", ma quando si tratta di confermare le sue dichiarazioni in maniera ufficiale, o perlomeno di riferirle a un'assistente sociale, si rifiuta sempre. E poi rifiuta le cure, non collabora con i medici. Si lascia andare, quasi si lascia morire. Come se quelle botte subite il 15 ottobre 2009 lo avessero non solo colpito fisicamente, ma annullato come persona. Un rapido e inesorabile degrado fisico e psicologico, quello a cui assistiamo per oltre tre quarti del film. Un degrado a cui Stefano non vuole o non riesce ad opporsi.
Stefano rannicchiato e dolorante nella sua cella
Fanno rabbia anche i suoi familiari. Il papà (Max Tortora), unico a vederlo - nel corso dell'udienza in cui viene convalidato l'arresto - dopo il pestaggio, che al momento non fa nulla per pretendere di capire cosa siano quei lividi, cosa sia successo al figlio in quella notte passata in caserma. E tutti gli altri, compresa la mamma (Milvia Marigliano) e la sorella Ilaria (Jasmine Trinca), quando si fanno allontanare ogni giorno con una scusa diversa dal Pertini, che nega loro la possibilità di vedere Stefano e persino di capire il motivo per cui il ragazzo dal carcere sia stato trasferito lì.
La mamma, il papà e la sorella Ilaria
E fa rabbia tutto l'apparato burocratico che lentamente ucciderà Stefano Cucchi. I secondini, che vanno chiamati "assistenti" e non "guardie", altrimenti puoi anche strisciare per terra morente ma non ti rispondono. Il giudice, che neanche ci prova ad approfondire il motivo degli spaventosi lividi sul volto del 31enne. I tanti altri uomini delle forze dell'ordine venuti a contatto con lui. Qualcuno gli mostra anche umanità ed empatia, ma per tutti l'unica preoccupazione sembra essere quella di salvaguardare sé stessi. Emblematico il militare che lo porta a Regina Coeli e dice al collega: "In caso di complicazioni questo è il numero del maresciallo. Questo arresto non l'ho fatto io", come a volersene lavare le mani. Tutte le persone dell'apparato in questa vicenda sembrano intente a lavarsi le mani, senza posarle neanche un attimo sulla coscienza. E l'infermiera a cui Stefano rivela di essere stato pestato dai carabinieri, gli chiede subito di riferire tutto all'assistente sociale. Al "no" di Cucchi, anche lei fa come tutti gli altri. Resetta tutto e ricomincia come se nulla le fosse stato detto.Ed è così che ti ritrovi dopo cento minuti di dolore autentico. Piegato in due. Senza neanche la forza di cercare risposte a tutti i tuoi perché. Perché, Stefano, non dici al giudice che "le guardie" ti hanno pestato? Perché non accetti le cure? Perché tutti voi che lo avete visto in quelle condizioni non avete alzato un dito prima che fosse troppo tardi? Perché, voialtri, lo avete picchiato senza motivo? Perché Stefano Cucchi è morto mentre era nelle mani dello Stato italiano? Chi è Stato?