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12.12.22

a che punto siamo ridotti se consideriamo importante la nazionalità di chi commette un omicidio stradale È bufera sull'incidente di Alessandria.

 chi  ubriaco  o fatto  , a prescindere  dalla  nazionalità   , quando si mette alla guida  è  sempre  un  incosciente ed  non ha   giustificazioni   ed  come tale  va  punito  .  Cosi  come   , andrebbe    sanzionato   e  cazziato  chi  fa  titoli   del genere  visto   che  è colpa  loro   se   la  gente  ha  ancora   nel linguaggio  e  negli atteggiamenti   del  malpancismo      che    spesso  generano  nella  più  bieca     xenofobia  ed   nel  razzismo  .  Quindi   ecco  che  per   onesta   intellettuale  e senza ulteriori commenti li lascio a voi  riporto  l'articolo  in questione 

"Figlio di marocchini...". È bufera sull'incidente di Alessandria


L'incidente di Alessandria in cui hanno perso la vita tre giovanissimi e altri quattro sono feriti in ospedale, continua a far discutere. La dinamica dello schianto sembra essere ormai definita, con il conducente che ha forzato un posto di blocco dei carabinieri di rientro da una serata e poi, per sfuggire alla pattuglia, potrebbe aver perso il controllo del mezzo anche a causa della nebbia e del manto stradale bagnato/ghiacciato. Il conducente non è in pericolo di vita e si trova ora piantonato all'ospedale, dove verrà interrogato non appena le sue condizioni lo permetteranno. Il tasso alcolemico rilevato nel suo sangue era superiore al limite consentito dalla legge ed è forse questo il motivo che l'ha spinto a non fermarsi al posto di blocco, causando poi l'incidente fatale. Ed è su di lui che ci sono la maggior parte delle polemiche.

Alla guida della Peugeot che si è schiantata prima sul guardrail e poi è precipitata nel cortile di una casa lungo la ferrovia c'era un 23enne di origine marocchinaMaruad. La macchina che guidava era quella di sua madre. Forse per questo non si è fermato all'alt, per paura di una reazione di sua madre, ma il suo gesto ha portato alla morte di tre amici. La polemica è esplosa in queste ore soprattutto per un dettaglio: difficilmente nelle cronache dell'accaduto viene data rilevanza alle origini del ragazzo, nato in Italia da una famiglia marocchina. Nella maggior parte dei casi si è preferito omettere anche il suo nome, a differenza di quanto fatto con le vittime. Impossibile capire il perché di così tanto riserbo, considerando la maggiore età. E questo è stato fatto notare da alcuni utenti sui social: "E scrivetelo che il conducente è marocchino, non vi succede niente e fate un servizio all'informazione". Non tutti la pensano così e c'è anche chi considera ininfluente l'indicazione dell'origine del giovane alla guida. "Incidente Alessandria: 7 ragazzi con 4 morti e 3 feriti. Alla guida un ragazzo la cui descrizione, testualmente, è 'un 22enne italiano con la famiglia di origine marocchina'. Devo dire che l'origine della famiglia era un'informazione indispensabile da dare", scrive un utente accusando il Tg1 per aver sottolineato la nazionalità del giovane alla guida. Lo scontro non accenna a placarsi e in tutto questo il conducente dovrà comunque dare qualche spiegazione, ora che è accusato di omicidio stradale plurimo e si trova piantonato dalla polizia.

24.1.21

non sempre il perdono vuol dire dimenticare il male . il caso di Silvio Pezzotta Padre di Mariangela Pezzotta che ha perdonato Elisabetta Ballarin l'assasina di sua figlia

Per un giorno stacchiamo da giornate \ settimane rompi ( giornata della memoria e giorno del ricordo ) e parliamo di Perdono
Elisabetta Ballarin protagonista di una delle vicende di cronaca nera più drammatiche del nostro paese quella delle Bestie di Satana dal 2017 è libera ha scontato il suo debito con la giustizia e si è rifatta una vita .Ed ha ottenuto aiuto e perdono dal padre al padre di una sua vittima Mariangela Pezzotta .
  da   questo articolo    di  https://www.corriere.it/sette/attualita/  del 31 maggio 2019
[...] Silvio Pezzotta, 71 anni, da Somma Lombardo, ex impiegato all’aeroporto di Malpensa, è il papà di Mariangela, una delle vittime delle Bestie di Satana, la setta di ragazzi appena più che diciottenni che uccise quattro persone tra il 1998 e il 2004 convinti di agire per conto del  Maligno.
Elisabetta  Ballarin all'epoca  
E mentre tutta l’Italia e il mondo intero (la storia finì anche sui media australiani) leggevano increduli degli sgozzamenti, delle crudeltà, del sangue e dei crocifissi rovesciati, mentre fioccavano gli ergastoli e le condanne, Silvio Pezzotta spiazzò tutti. Si rivolse a Elisabetta Ballarin, una ragazzina che aveva partecipato all’uccisione di Mariangela con queste precise parole: «Quando avrà finito di scontare la pena, sappia che per lei la porta di casa mia è aperta».


 Una bellissima scelta   quella   del signor  Silvio . 

 da https://www.ilsussidiario.net/news/ho-perdonato-lassassina-di-mia-figlia-padre-di-mariangela-pezzotta-ecco-perche/2112944/  e  da   https://www.tv2000.it/beltemposispera/video/silvio-pezzotta-mia-figlia-uccisa-dalle-bestie-di-satana/

Sincero ed emozionante il racconto di Silvio Pezzotta, padre di Mariangela Pezzotta, ai microfoni di Giovanni Terzi per Libero. L’uomo ha ripercorso il dramma vissuto quasi sedici anni fa, quando a Golasecca la figlia venne uccisa dalla mano di Andrea Volpe – esponente di spicco delle Bestie di Satana – sotto gli occhi di Elisabetta Ballarin.





E proprio lei ha trovato il perdono del padre di Mariangela Pezzotta: «Ho sempre considerato Elisabetta una vittima di Andrea Volpe alla stregua di altri, solo che, per fortuna, lei non è morta. Alberto Ballarin mi chiamò dopo la morte di mia figlia, la mamma la frequentai ed era una donna distrutta; entrambi poi morirono, lasciando sola Elisabetta». Dopo la morte dei genitori, Silvio Pezzotta le andò incontro: «Elisabetta rimase sola ed io semplicemente le dissi, incontrandola in Tribunale: “Quando avrà finito di scontare la pena, sappia che per lei la porta di casa mia è aperta“».

IL PADRE DI MARIANGELA PEZZOTTA: “PERDONO L’ASSASSINA DI MIA FIGLIA”

Elisabetta Bellarin  oggi
frame  dal video https://bit.ly/39aVRnB 
Il padre di Mariangela Pezzotta ha spiegato di aver capito nel corso del processo quanto Elisabetta Ballerin fosse plagiata da Volpe – «il suo sguardo smarrito non lo dimenticherò mai» – e non è tutto: «Un mio amico insistette per vedere Elisabetta. Io alla fine accettai. Elisabetta scese dal traghetto che proveniva da Monte Isola, dove si trovava in permesso per lavoro. Mi vide e mi corse incontro, abbracciandomi e mettendosi a piangere. Parlammo molto, quel colloquio rimarrà riservato nel mio cuore. Ci capimmo e capii che quella ragazza aveva il diritto di rifarsi una vita». Dopo la morte della figlia, Silvio Pezzotta ha potuto contare sulla fede: «Sono stato accompagnato dalla fede, in questo percorso doloroso. Se una persona non ha Fede, si chiude in sé stesso e non riesce più a vivere.
Io però ho una fede semplice, non bigotta; a volte mi fermo in qualche chiesetta di campagna per dire una preghiera».

Ora   ci  vuole  oltre  che una  vera fede   una mente   aperta     per  perdonare  simili  cose   e   non sempre  ci si riesce  . Ma  quando ci si riesce   , ed è questo il caso ,  fa  di te   una  grande  persona  .  Capace   d'incanalare  il tuo dolore   in qualcosa  di  costruttivo  ed  allontanare  l'odio    ed  a  vendetta   da  sé  . Ha  evitato   di  d'unire  dolore  al dolore  ovvero     << prima di intraprendere il viaggio della vendetta, scava due tombe ( Confucio ) >>. Secondo me      ha  fatto una scelta  giusta   in quanto  Elisabetta    come  si   vede questi due video il primo 
 


il   second ( da  cui   ho preso il   frame   , riportato nella   foto  in alto    a   destra  )

    SCONSIGLIATO PER I DEBOLI DI  STOMACO 
 

    
ha  capito   i suoi errori    ed   era  stata ,  questo  non vuol  dire  che  non sia  stata   innocente  ,  plagiata   ed ha  pagato  per  le  sue  colpe  . Ed   adesso  è  una persona  nuova   ed  diversa , il carcere  ed   il lutto  ( ha  perso  i suoi  genitori  )   ti  cambiano  .  Come   dimostra  anche i video   soprattutto il primo  




 Romanzo    suggerito    
Il conte di Montecristo (titolo orig. Le Comte de Monte-Cristo)  di Alexandre Dumas

20.5.18

ma che genitore è uno che denuncia un proprio figlio\a per qualche canna ?

unione sarda 20\5\2018



Immagine simbolo

"L'ho fatto per il bene di mio figlio".
Queste le parole di una donna di 50 anni cagliaritana ai carabinieri della stazione di San Bartolomeo, quasi sorpresi nel trovarsi di fronte una madre decisa a denunciare il figlio diciottenne.
Il motivo? Da casa sparivano i soldi, lei ha sospettato del ragazzo e lo ha perquisito: nello zaino di scuola ha trovato pochi grammi di hascisc e marijuana. La madre-coraggio davanti ai militari non ha avuto dubbi: il giovane studente è stato così segnalato come consumatore alla Prefettura.
Dovrà seguire un percorso riabilitativo e, per un periodo, non potrà conseguire la patente di guida. Poi si vedrà.
"Lo faccio per non essere isolato ed escluso dal gruppo di amici: se non fai uso di droghe, che viene venduta senza alcun problema anche a scuola, vieni emarginato", ha confidato il ragazzo.
                                  Matteo Vercelli

quyell  potrebbe essere  l'estremna  razio  ma  non è il modo  principale  .  E' la dimostrazione   che   i genitori d'oggi sono   ....  fragili   ed inadeguati  al  cambiamento generazionale  . Un minimo di  dialogo   e  d'scolto   no  ?  

26.2.16

Benedetta fra i fiumi

Chiedo scusa  al compagno di strada   Matteo  se  introduco un post  mandando a  Fncl    coloro che mi dicono    che   riportando tali post  invito  la gente  a  drogarsi  . Perchè tale gente  non ha capito niente degli anni  70  \80  o  gli ricorda  solo come  anni di droga e terrorismo  . Ma  soprattutto non conosce la  situazioni  \  le storie    di  chi  ci  è   caduto   come quella  di Matteo e  di questa  ragazza 


di cui parla    questo   documentario   di 



Regia: Antonello Branca
Formato originale: negativo 16mm
Produzione: Antonello Branca
Italia, 1976, bn, 66'



Documentario sulla penetrazione della droga a Milano negli anni '70. Filomena ha solo 24 anni e racconta con una lucidita' che toglie il fiato il suo percorso di bimba rinchiusa in collegio, scappata di casa, ripresa dalla famiglia e trattata come donna perduta. Racconta il matrimonio con un ragazzo emigrato in Germania, e la sua incapacita' di adattarsi a questa nuova situazione. Narra l'arrivo a Milano, l'incontro con Antonio e quello con la droga. Un dialogo a due voci traccia il quadro spietato della tossicodipendenza, della ricerca quotidiana della dose e dei tentativi di venirne fuori. Si tratta di un documento struggente, soprattutto per la lucidita', la misura, la maturita' e l'intelligenza di due figure indimenticabili.






Ora  dopo   questa    premessa   lascio  la parola  a   Matteo ed  al  suo  post

Benedetta fra i fiumi


Come Paz avrebbe disegnato Benedetta

 Il Paz, Benny e io


di Matteo Tassinari                                  
Per quel che ne sola vita è breve, l’uomo è cacciatore, gli italiani sono tutti allenatori e per molto tempo saremo morti. Rimanemmo sull’ultimo concetto in forzosa meditazione, per la durata di diverso tempo. Da una busta quelle internamente con le bolle incellofanate da far scoppiare, trassi due insuline Terumo sterili da 5 cc l'una e in due cucchiaia sciogliemmo polvere bianca (Thailandia) e di brown (Turchia).
Infilai il braccio nel vuoto in modo che fosse teso con vene ben gonfie, pronto a farmi un dose d'ingiustizia pagata con soldi miei trovati chissà dove, ma vallo a spiegare alla gente, a chi si ritiene ragionevole, quindi bravi e zelanti indicatori di quale strade imboccare. Bazzecole? Non ho problemi. Però fatti una pera, poi diventane schiavo, scappagli se ti riesce e trovati, se non sei ancora morto nel frattempo, per lei malato fino alla morte dopo 33 anni che non vedo un milligrammo d'eroina. Allora, forse, potremmo intavolare un discorso, di quelli che si fanno guardandosi in faccia, alla pari. E sentirti dissociato ti farà solo bene, restando per sempre coinvolto in cose che preferisci non sapere. Non scrivo tutto ciò in giugno, a caso, e il giusto lavoro "sporco", lo faccio sempre molto volentieri. Un 16 giugno di 24 anni fa, a Montepulciano, per un pera qualsiasi, morì il miglior fumettista e pittore italiano del secolo scorso, Andrea Pazienza detto il Paz!, come fosse stato spintonato, ubriaco di Toradol, per poi essere appeso ad un vortice di polvere divenuto sciarada, ma non sappiamo cosa.

“Siamo qualcosa che non resta,
frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno”
                                                            (Francesco Guccini, “Incontro”)
Non so che anno fosseforse il 1982, quando un giorno accadde un fatto che oggi ricordo con buona memoria e vivido ricordo e non perché fosse più truculento di altri, niente affatto, perché era gelido come la Tramontana dopo che ha attraversato i Pirenei. Anche se sono trascorsi 33 anni, lo scrivo al presente quel giorno privo di compassione e vissuto con una mia amica, molto speciale.
   Il linguaggio gonfio
Una donna che sapeva leggere il linguaggio del non detto per pura nostra incapacità nell'essere leali, senza lasciare nulla d'incompiuto. Emergendo dagli abissi come un cadavere gonfio di un annegato di droga, Benedetta è alle prese coi fiumi che le fluttuano plasma. L'adolescenza sorprese a tradimento le nostre giovanissime vite e la schiantò con la furia indifferente e sciatta di un uragano, senza che nessuno se ne accorgesse. Nell'anonimato che vi rende tutti colpevoli nei confronti di Benedetta e di me, vigliacchi ipocriti falsi, che appena vi brucia un tendine pensate subito al tumore. Come si capisce che non siete abituati a dolore. Come si vede che vi piace da morire fare le vittime, anche quando siete dei soverchiatori. Vergognatevi di tutte le fandonie che avete detto su questo terreno.




















L'oppio,
la     nostra religione
E’ in una rovinosa ricerca di una vena. Le braccia di Benedetta, più grande di me di un paio d'anni, sono un cimitero di cicatrici: tagli, fori, calli, buchi, tentati suicidi, tatuaggi alla come viene viene. Febbricitante s’infila la spada e comincia il rituale ululato, poi il risucchio per vedere se l’ago aveva centrato la vena oppure no. Benedetta sta da far schifo, astinenza esplosa da un pezzo, per di più suda e trema dal dolore. E’ seduta su di una sedia in cucina. Assisto in silenzio, strafatto per conto mio e steso sul divano con gli occhi a fessura e la tv accesa con il volume al minimo, per cui non le dedico alcuna attenzione. 


















E' un pò più chiaro?
L’astinenza la costringe a scoreggiare forte e assumere piegamenti nel volto che la sua femminilità non avrebbe voluto. Spiegazione dovuta ai più: quando si è in down forte, come quello di Benedetta e hai la roba pronta nell'insulina già calda, l’emozione ti prende così forte allo stomaco che rischi di cagarti addosso senza dedicare al fatto molta attenzione, per cui continui a praticare l’iniezione ignorando completamente l’evacuazione solido-corporea. Se qualcuno storce il naso per lo schifo, allora vorrei dirgli quanto segue. Alla base dell'assunzione delle droghe, di tutte le droghe, anche tabacco e alcol, c'è da considerare se la vita offre un margine di senso sufficiente per giustificare tutta la fatica che si fa per vivere. Se questo senso non si dà, se non c'è neppure la prospettiva di poterlo reperire, se i giorni si succedono solo per distribuire insensatezza e dosi massicce di insignificanza, allora si va alla ricerca di qualche anestetico capace di renderci insensibili alla vita. E' un pò più chiaro? Non penso.


Aiutami, cazzo, aiutami!!!
Benedetta tira su il primo risucchio e dalla cannula della Terumo esce il primo fiotto di sangue. Ma la spada, come un gancio che si stacca dalla propria presa, esce dalla vena. Benedetta torna coll'ago a farsi spazio dentro il braccio. Con quella spada rimestola come avesse in mano un cucchiaio e girasse del minestrone. “Cazzo Matteo, aiutami! Non vedi che son fuori vena?! Dammi una mano, fa qualcosa, per la miseria! Qua si sta seccando tutto! Sto andando giù di testa! Aiutami, cazzo, aiutami!!! Mi scoppia la testa, mi tremano le mani e non riesco a beccare la vena più grossa per non andar fuori vena. La roba mi si raggruma tutta col sangue”. Più che pompargli l’avambraccio, cosa potevo fare? Le presi il braccio e strinsi forte per riuscire a vedere meglio dov’erano 'ste vene. Schizzò un fiotto di sangue sulle pareti e una piccola parte sulla pasta rimasta dal pranzo. Un fatto, in quell’istante, che a Benedetta importava quanto gliene poteva fregare di chi aveva vinto il campionato di Golf americano quell'anno, non essendosene accorta mai di entrambi i fatti.

La      Flebo
spontanea
Eccola di nuovo tornare alla carica come una Giovanna D'Arco di provincia. Inizia a forarsi in una mano, ma a nulla servì. Poi riprova in una gamba. Niente. Le vene erano massacrate e seccate. Nella furia di pizzicare un rigagnolo di sangue, mi butto e provo anch’io nella ricerca di quel rosso che ti fa capire di essere ad un passo dalla felicità malata, ma ridotto com’ero e beccare la vena, era come iscrivere uno che soffre di vertigini ad un corso di paracadutismo.
Il figlio illegittimo di Patty Pravo


Vene otturate
Le vene erano tutte otturate a forza di darci dentro, negli anni con furioso sdegno verso sé stessi, si formano canali che poi seccano, quelli che i tossici chiamano "Flebo spontanea".“No, no, sto perdendo la mia pera! Non ci posso credere, mezzo grammo buttato via! Si sta solidificando tutto, ummfff...”. L’angoscia è spessa: “Come cazzo faccio, non becco la vena, non becco la vena. Non la becco, ti sto dicendo”. Paranoia full immersion. Non beccare la vena significa non sentire il flash, l’impatto che l’eroina ti offre appena saluta il tuo sangue, cioè la parte migliore della storia, quella che ti stravolge e ti lancia per un periodo di tempo precisato nel regno dell’ovatta e degli abbandoni globali per poi ritornare come zombi. “Ma porca puttana vacca troia, evvaffanculo!". E' Benedetta, va capita.
 "Oggi avrei
voglia di quiete"
"Come faccio con ‘staroba! Non becco la vena" e imprecazioni di ogni risma e un suo urlo agghiacciante chiuse per un attimo quella follia, nel tentativo di farsi sta cazzo di pera, mentre con l'ago frugava nel crocevia della mano sinistra. Inizia ad emettere rumori strani, più strani degli altri. Dal suo stomaco partono gorgoglii in continuazione. Come rutti e scoregge si succedono uno dietro l’altra. Sarà al quarto buco. L’astinenza gli sta soffiando addosso tutta la sua inquietante per quanto certa presenza, avendo in mano l’arma che potrebbe spegnere tutte le sue angosce in un solo secondo. Non ho dubbi, è palese, direi.

 E ribuca la carne
Il liquido rosso nell’ago sta coagulandosi. Benedetta sa, e questo la manda in maggior tormenta, s'è possibile. Buca, buca, buca. E ribuca la carne color madre perla. Fruga e buca, fruga e buca, cerca, buca, fruga una vena che da qualche parte nel corpo avrai?! Con mani tremanti tira su lo stantuffo per vedere se l'ago è in vena. Niente. Nella spada solo aria, niente ampolle rosso sangue. Ci riprova, ancora. Poi ancora. Buca, fruga e stramazza. Benedetta mi guarda con uno sguardo mai visto prima, fra il terrore e l’impotenza. Decisa come pochi essere umani al mondo, tira su la maglietta per iniettarsela nel Deltoide, il muscolo dell’avambraccio, almeno, l’effetto della roba le verrà su parzialmente venti minuti dopo e senza risucchio, che è tutt'altra roba, per un tossico o tossica. Un esempio: è come per un alcolista mangiarsi una caramella al liquore oppure tracannarsi con infamia un bicchiere ricolmo di Vodka.















Urlerà ancora? 

Benedetta becca il muscolonon la vena, fa pressione sullo stantuffo e stak!, il plasma ormai denso ottura l’ago e schizzandomelo in vari punti della camicia, la faccia. le mani. Benedetta fugge, non so dove. Io rimango a casa sua da solo, bollito come un patata, o forse più lessato come quel tubero. Mi metto a sedere nel suo divano e piano piano mi allungo fino a stendermi. Apro gli occhi e mi trovo di fronte sua madre che mi chiede chi ero e cosa facevo in casa sua. In realtà mi conosceva e sapeva già di sua figlia e di me.

Sapeva che ci facevamo insieme al ritmo della mattanza, che eravamo quanto non si può dire, che avevamo fatto qualche colpettino assieme (furti, scippi, situazioni strane come trovarsi con un avvocato stimato e danaroso di Bologna in un divano galattico in un attico a far maialate di ogni tipo per poi farci sganciare una cospicua parcella per il nostro impazzimento). Sapeva tutto sua madre perché Benedetta, prima o poi, le raccontava tutto. Bella donna, dall’aspetto giovanile, nonostante gli anni.
Le rispondo con notevoli ammaccature grammaticali, di sintassi neanche parlarne: “Signora, come sta? Quando c’ero, lei c’era. Benedetta, Benedetta, Benedetta, dove ti trovi? Vuoi fuori? Non vedi, c'è mamma?!”.La madre mi guarda come si guarda un beota e parte:“Ascolta scemo quindicenne ho già troppi casini con mia figlia e il resto della mia vita. Se Benedetta fosse qui me ne sarei già accorta. Ma qui non c’è. Si può sapere dov’è?”, mi staffilò secco. Risposi: “Signora, guardi niente storie strane, cioè, non le sto facendo le menate, lo capisce no? Per davvero, non so dov’è Benedetta. Sarei il primo a saperlo volere”. Mi cacciò di casa come un appestato, e non (forse) aveva torto.
L'eroina è come una donna. Non ti perdonerà se oltrepassi la misura
L'eroina degli dei
M’incamminai verso il Roncoun fiume di Forlì dove c’era un bar, Il Lido, che ci radunava un po’ tutti, un luogo proprio adatto per gente come noi, isolato, pieno di scappatoie in caso di "perquise" e tante altre piccole comodità. Non c'ero con la testa. Pensavo a Benedetta. L'episodio in se non mi pare più terribile di altri, la differenza la faceva Benedetta.
Rivedendola, una decina di giorni dopo, fredda, occhi chiusi, bella e ben vestita di una cassa di legno. Un'overdose le aveva schiantato ogni legame con questo detrito di realtà dove c'è anche chi riesce a divertirsi. Pensai subito che non era la peggiore delle notizie che potessero darmi di Benedetta, fra tossici si fa presto a capire ciò che è riparabile e ciò che non lo è più e mettersi, non dico il cuore in pace, ma a farsene un ragione. Ma non so se questo serva qualcosa per aiutare a capire il modus-vivendi di chi, per un periodo della propria vita, ha scambiato Dio con l'eroina.

5.1.16

chi lo dice che i vip siano tutti\e spocchiosi ed antipatici si sbaglia la storia di Keneau Reeves

chi lo dice  che  i  vip    siano tutti\e  spocchiosi   ed antipatici  si sbaglia . E' vero che  una rodine  non fa  primavera  , ma  è vero che allo  stesso tempo quando  qualcuno\a  non lo è  non fa notizia .  Come  la  storia di Keanu Reeves   



Notizia   e  foto  prese  da http://www.blog-news.it/ più  precisamente  dal  profilo di  notiziesecche.it 


S
icuramente lo ricorderete per il suo ruolo da protagonista in vari film, tra cui  : l'avvocato del diavolo, .Matrix., Constantin, ma quello che non sapete su di lui, è che oltre ad essere un bravissimo attore di fama mondiale .Keanu Reeves., ha una storia con un passato molto triste, ma nonostante ciò rimane uno degli attori più .umili.e .umani.che ci siano al mondo.. All'età di tre anni, venne abbandonato dal padre.Ha frequentato quattro diverse scuole superiori e ha lottato con la dislessia, facendo diventare la sua formazione molto impegnativa. Alla fine ha lasciato il liceo senza diplomarsi. All'età di 23 anni, il suo più caro amico River Phoenix è morto di overdose.Nel 1998 Keanu Reeves ha incontrato Jennifer Syme . I due si innamorarono subito e nel 1999,
incidente stradale.Ai tempi in cui girò il film Matrix, la sorella di Keanu Reeves era malata di leucemia e lui decise di donare in beneficenza circa il 70% del suo guadagno a vari ospedali, per la ricerca della prevenzione contro la leucemia.

Si stima che la triologia dei vari film Matrix, abbia fruttato all';attore circa 185 milioni di dollari.
Durante le riprese del film The lake houseKeanu Reeves, sentì una conversazione di una costumista in lacrime parlare con un amica, piangeva perché avrebbe perso la casa se non pagava 20.000 dollari per il mutuo.Lo stesso giorno  Keanu Reeves, fece un versamento sul conto della donna, saldando il debito.
Keanu Reeves è una delle poche star a vivere in un modesto appartamento, non ha guardie del corpo, viaggia ancora in metropolitana.
Nel 2010 alcune sue foto hanno fatto il giro del mondo. Per il suo compleanno, Keanu Reeves entrò in una pasticceria e si è comprò una brioche con una sola candela sopra mangiandola insieme ai presenti e offrendo anche un caffè alle persone che si fermavano a parlare con lui.Un gesto che raramente vedrete fare ad altre star di Hoolywood. La maggior parte di loro quando amano stare sotto i riflettori e vantarsi dei loro atti di beneficenza, Keanu Reeves non ha mai dichiarato di fare beneficenza semplicemente perché va contro i suoi principi morali.
Keanu Reeves, ne ha passati di momenti difficili e ha sofferto per un certo periodo della sua vita di depressione.Ecco cosa ha dichiarato ad una intervista qualche anno fa.
”Non posso far parte di un mondo in cui i mariti fanno vestire le mogli come delle donne facili, facendo mettere in mostra cose che dovrebbe apprezzare solo lui.

U mondo in cui non esiste il concetto  di onore e dignità e puoi fidarti delle persone solamente quando dicono ”Prometto!”.Un mondo in cui le donne non vogliono avere bambini e gli uomini non vogliono avere una famiglia. Un mondo in cui degli idioti si considerano uomini di successo perché guidano un auto costosa che appartiene al padre.Un mondo in cui gli uomini credono in Dio solamente quando fa comodo a loro.Un mondo in cui le persone sperperano i soldi per riparare la macchina al primo difetto sulla carrozzeria, senza risparmiare, sono così patetici che solo la loro macchina che vale tanto può nascondere la loro realtà.Un mondo in cui i giovani spendono i soldi dei genitori in discoteche, facendo i fighi con una bottiglia di alcool costosa, il brutto è che le ragazzo si innamorano di questi stupidi.Un mondo in cui se fai una scelta diversa da quella che la società considera ”giusta” sei automaticamente uno sfigato.”
E' sempre bello sapere che nel mondo esistano ancora persone con dei valori, nonostante abbiano un passato non facile, persone a cui di certo i soldi non mancano, ma nonostante questo abbiano ancora dei valori che si stanno perdendo, valori come   umiltà ed  umanità  



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31.12.14

genitori che aiutano i figli caduti nel vortice della droga . la storia di Valentina Iovine

Chiaccherando  con amici  \  che      su questa   adolescenza   sempre  piùallo sbando  e  i genitori  (  alcuni dela mia generazione e o del decennio successivo  ) o  mennefreghisti   o  allo sbando   perchè cresciuti  in pieno edonismo   \  reflusso cioè con il craxismo e il berlusconismo rampante  , mi èvenuta  in mente  questa  storia poco nota  rispetto alla  combattività dei familiari  di Elisa  Claps  e  di Federico Aldobrandi . Essa  smentisce  il luogo comune   genitori  cinici  ed  assenti  nei confronti dei propri  figli grazie  all'app cortana   dev'avermi fatto conoscere  questa    triste  storia  di Valentina Iovine 

Valentina è morta annegata. Sette giorni prima del ritrovamento

Il primo riscontro dall'autopsia eseguita dal medico legale Stefano Pierotti. Quando è caduta in acqua, la ragazza era ancora viva. La storia della madre, Immacolata Panico, che sette anni fa denunciò gli spacciatori che avevano agganciato la figlia. E con lo stesso coraggio ora chiede di sapere la verità

VIAREGGIO. Quando è caduta in acqua, spinta o per propria volontà è ancora il mistero della morte di Valentina Iovine, 30 anni, ritrovata sotto un pontile nel porto di Viareggio, la ragazza era ancora viva. Valentina è morta annegata, sette giorni prima - questo il tempo stimato, come anticipato dal "Tirreno" - del ritrovamento: è il primo riscontro dall'autopsia eseguita dal medico legale della Asl Versilia, Stefano Pierotti. Sul corpo della giovane donna, spiega Pierotti, "non vi sono elementi che possano indicare che ha subito atti violenti". All'autopsia vera e propria faranno seguito "ulteriori accertamenti e screening" . E comunque - conclude Pierotti - "mi confronterò con il magistrato", che è il sostituto Procuratore Enrico Corucci (Procura di Lucca).
La madre di Valentina, Immacolata Panico, non smette di chiedere la verità sulla morte della ragazza. Per lei, nel 2007, arrivò a denunciare gli spacciatori che ronzavano intorno a sua figlia ed altri ragazzi della Versilia. “Madre coraggio”, titolarono le cronache dei quotidiani locali e nazionali. Oggi che Valentina non c’è più, è con lo stesso coraggio che Immacolata vuole sapere la verità sugli ultimi momenti di vita della figlia che le lascia una piccolina di pochi anni.

Valentina felice per le poche ore di lavoro conquistate l’estate scorsa, o per il vestitino con il quale mascherare la bambina in vista di Halloween: così ce la raccontano i post degli ultimi mesi su Facebook. Ma anche Valentina inquieta, senza pace, come la raccontano le parole degli amici impresse negli addii affidati al web.
E ancora Valentina, sette anni fa, non ancora madre, che Immacolata decide di strappare alla compagnia in cui era finita e della quale faceva parte anche l’uomo che la ragazza aveva scelto come fidanzato. Pare di immaginarla, mamma Immacolata, dilaniata tra parlare o non parlare, coinvolgendo anche la figlia nelle inevitabili indagini: «Con quell’azione - ricorda l’avvocato di famiglia, Piero Falchi - la signora Panico interruppe per un periodo le vicende della figlia».È il gennaio 2007 quando Iammacolata Panico prende la decisione che porterà i carabinieri della Compagnia di Viareggio a mettere a segno un’operazione antidroga decisamente di peso. La donna si presenta in caserma e racconta che la figlia si è accompagnata con uno spacciatore. Ed è il 22 gennaio dell’anno dopo, quando - all’alba - scatta l’operazione che vede coinvolti 350 uomini e porta all'arresto di 35 persone, tra versiliesi e stranieri, i nordafricani addetti - così ricostruiranno le indagini - all'acquisto e al trasporto della merce. Una vera e propria organizzazione che importava in Versilia - ma anche nelle province di Massa Carrara e di Pisa - chili e chili di eroina e cocaina. Una struttura gerarchicamente ben definita, nella quale quattro versiliesi definivano tempi e modi dell'acquisto dello stupefacente, in Italia ma anche all'estero, per mezzo di una schiera di “cavalli” tutti rigorosamente maghrebini.I
carabinieri hanno prodotto pagine e pagine di intercettazioni telefoniche (sono state sorvegliate 30 linee di telefono cellulare per circa 23mila conversazioni) e ore di pedinamenti partendo proprio dal «marcamento» stretto del giovane che frequentava la ragazza di Camaiore. E da lì sono riusciti, con pazienza certosina, a ricostruire la fitta e intricata rete di rapporti personali, di comunicazioni più o meno in codice finalizzati comunque all'ingresso della droga sul mercato della Versilia.  Stupefacente - ricostruirono i carabinieri - destinato ad un giro di acquirenti abbastanza ampio, 120 persone di età compresa tra i 28 e i 36 anni. I militari sequestrano, nel corso delle indagini, tre chili e mezzo di droga e 15mila euro, solo una piccola tranche della vendita di coca ed eroina.
Ne seguì un processo, con condanne anche pesanti, e persone ancora oggi in carcere. Un atto di coraggio, quello di mamma Immacolata, Il più grande, forse, che si possa compiere nei confronti di un figlio per toglierlo dai guai e farlo nascere per la seconda volta. Oggi che la sua Valentina non tornerà a casa mai più, è con la stessa determinazione che Immacolata Panico chiede di sapere la verità. Affidandosi a quei carabinieri cui si era rivolta sette anni fa e dei quali l’avvocato Falchi, a nome della famiglia di Valentina, dice: «Ci ha colpito moltissimo l’umanità e la sensibilità che abbiamo trovato in tutti i militari dell’Arma che abbiamo incontrato in questi giorni».


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12.6.13

Saviano: «La Costa Smeralda supermarket della droga». e poi dicono che in sardegna non c'è mafia

Mi sa  che  Pino Arlacchi   dovrà  riscrivere o aggiornare   il suo   libro  (  copertina  a destra  tratta  dal suo sito in cui  trovate  il libro in pdf  )   . Infatti questa intervista a  la  nuova sardegna   di Roberto Saviano  in tour in sardegna in questi giorni pere presentare  il suo ultimo libro  e l'arresto di Graziano Mesina    ex bandito  per  estorsione  e  droga    testimoniano il contrario 

L’autore di “Gomorra” analizza il ruolo di Graziano Mesina nel traffico della coca. «Lui era solo uno dei terminali, l’isola è per le cosche una piattaforma girevole»

SASSARI. La droga muove il mondo. La cocaina, in particolare, muove il mondo. Il traffico di stupefacenti è il cuore di un’economia criminale che ha infiniti collegamenti con quella legale. Niente sfugge al meccanismo infernale. Nessuna parte del mondo globalizzato ne è esclusa. Quindi neppure la Sardegna. Roberto Saviano, che queste cose le dice e le scrive,capita nell’isola mentre centinaia di carabinieri sono impiegati per arrestare Graziano Mesina, accusato di essere il capo di una banda dedita soprattutto allo smercio della droga. Inevitabile sentire l’autore di “ZeroZeroZero” (Feltrinelli)per un giudizio su ciò che sta accadendo.






Graziano Mesina è stato un simbolo del vecchio banditismo sardo, legato in qualche modo ai valori della tradizionale società agropastorale sarda. Ora viene arrestato come capo di un'organizzazione che gestisce, secondo l'accusa, il traffico della droga nell’isola. Anche la Sardegna omologata all'orizzonte globale dell’economia criminale?
«La Sardegna è da sempre nello scacchiere delle mafie nazionali e internazionali. Da sempre è attraversata dal narcotraffico. Solo che oggi c’è un’operazione che fa notizia perché è coinvolto il furbissimo Grazianeddu, che sino a pochi giorni fa, ospite di un festival di storia, schermava le attività criminali di questi anni dietro la sua vicenda di bandito, insinuando la pittoresca interpretazione che, finita la miseria, in Sardegna non c’è più bisogno di fare sequestri. In questo modo mirava a giustificare il suo essere bandito come una scelta inevitabile negli anni di miseria. Detto questo, la Sardegna, essendo un’isola, è piena di porti e il trasporto marittimo è quello da sempre preferito dalle mafie, perché permette di spostare enormi quantità di droga – tonnellate e tonnellate – con un unico viaggio. Negli ultimi dieci anni la maggior parte (il 60%) della cocaina è stata intercettata in mare o nei porti».
La Sardegna come punto di passaggio dei traffici legati alla droga?
«Più che essere un punto di passaggio la Sardegna è una “piattaforma girevole” per la coca che va dal Sud America all’Europa; cosa che accade soprattutto d’estate, quando ci sono più imbarcazioni private che utilizzano i litorali sardi come punti d’appoggio. Ma la Sardegna è anche un punto di arrivo. Qui la coca si ferma e viene consumata. Ogni anno nell’isola arrivano tra i cinque e i seicento chili di cocaina e, secondo gli inquirenti, ci sarebbero (stima fatta per difetto) oltre diecimila consumatori. D’estate, con i turisti, i consumatori raddoppiano, per un giro d’affari di oltre duecento milioni di euro l’anno. I corrieri sbarcano a Cagliari, Sassari, Olbia, Alghero, moltissimi nell’arcipelago della Maddalena. La Costa Smeralda diventa un supermarket della coca. Quello che i sardi ancora non sanno è che stanno per diventare, se non lo sono già, una sorta di garage di stoccaggio della coca, perché la conformazione geografica della vostra regione permette di nascondere grandissime partite di droga: gli stazzi della Gallura e gli ovili della Barbagia sono zone di stoccaggio. Con i metodi usati un tempo per presidiare i sequestrati, si presidia la coca. Soltanto qualche giorno fa, per fare un esempio vicinissimo nel tempo, a Golfo Aranci, sulla banchina, all’arrivo del traghetto della Sardinia Ferries proveniente da Livorno, in una Volkswagen, nascosti sotto i sedili, sono stati scoperti cinque panetti di cocaina. Al volante c’era un cagliaritano che da anni vive a Civitavecchia: l’uomo è subito sembrato nervoso, ecco perché l’auto è stata sottoposta al controllo dei cani antidroga. Cinque panetti, quindi cinque chili, che una volta tagliati sarebbero diventati quindici, per un valore di oltre un milione di euro. La coca era destinata alla costa Smeralda: era il primo arrivo per questa estate».
Quanto incide il silenzio, anche in Sardegna, sulla crescita delle realtà criminali come quella che sembra emergere dalle indagini su Mesina e la sua banda? Non le sembra che sulla Sardegna ci sia come un cono d'ombra che tiene l'isola fuori dalla grande informazione nazionale?
«Il silenzio incide moltissimo nel rendere meno efficace l’opera di contrasto delle organizzazioni criminali. A dimostrazione del fatto che in Sardegna la coca è di casa, lo scorso ottobre a Olbia, in una casa di campagna in località Lu Mungoni, è stato scoperto un piccolo stabilimento che veniva usato per ricristallizzare la cocaina, cioè per portarla dallo stato liquido allo stato solido attraverso sostanze chimiche. C’era un gruppo di narcotrafficanti, attivi tra il Sud America, la Liguria e la Sardegna, che impregnava di cocaina liquida le tele dei quadri per il trasporto dal Sud America all’Italia, in modo da poter passare senza problemi i controlli doganali. Poi a Olbia la coca tornava allo stato solido nel laboratorio di Lu Mungoni e alla fine era spacciata principalmente nel mercato dell'isola. Il silenzio sulle vicende sarde ha avuto come effetto, in questi anni, l’assenza di un contrasto vero delle potenti organizzazioni criminali. Nel caso di Mesina, va sottolineato che le due organizzazioni che sono state scoperte e sgominate con l’operazione di questi giorni non sono le più pericolose. Mesina si è inserito nel traffico di stupefacenti sfruttando, per attivare legami con la ’ndrangheta, il suo carisma. Mesina non si è mai pentito, è riuscito – uso una parola del modo criminale – a “fottere” perché ha fatto il gioco del dissociato: non si è pentito, moralmente si è dissociato, è tornato alla vita “civile”, a fare affari senza dover denunciare nessuno. Ma continuava a essere un riferimento e quindi ha iniziato a ricevere coca da distribuire alle strutture territoriali per lo spaccio. Grazianeddu è diventato il mediatore. Il cono d’ombra cui lei fa riferimento esiste: ci vorrebbe una presa di coscienza e di responsabilità, che però non arriva».
  tale intervista rilasciata  da saviano    viene  confermata     anche da  :  
1)  da questo articolo  del 11\6\2013  sempre  dellla  nuova  
L’Anonima della cocaina 
Il traffico di stupefacenti collante tra malavita sarda, ’ndrangheta e mafie emergenti 
l’arresto di grazianeddu 


di Pier Giorgio Pinna wSASSARI Forse non c’era bisogno di una conferma tanto eclatante. «Si sa da tempo che i canali della droga portano dalla Sardegna a Milano, con saldature tra personaggi della vecchia mala sarda e boss mafiosi emergenti», commenta un investigatore. Ma certo l’arresto di Mesina e del suo esercito di presunti complici fa riflettere a fondo. Intanto, perché costringe gli inquirenti a rispolverare i faldoni sulle ultime inchieste da cui sono scaturiti collegamenti con la ’ndrangheta. Poi, perché getta luce non tanto sul ruolo dei corrieri – da sempre semplici pedine in una scacchiera molto più ampia - ma soprattutto sugli affari illeciti, da centinaia di milioni all’anno, che legano calabresi, albanesi, barbaricini, capi delle aree cagliaritane a maggior tasso di criminalità. Infine, perché, indirettamente, quest’ultimo blitz dei carabinieri svela aspetti inediti nel sotterraneo spaccio di coca, eroina, ecstasy, anfetamine. Terreno di coltura. La Sardegna è un mercato appetibile per

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